Sempre in silenzio, sempre nascosta; non parla mai, ha gli occhi bassi, fissi sulla matita che scorre leggera sul foglio di carta sottile, traccia linee rette e curve e spesse e sfumate, con le iridi concentrate sul suo lavoro. Attorno a lei la gente parla e si confonde nei contorni, urla, si diverte, si interroga e ride, mangia, si distrae, prende in giro, vive, respira; i suoi riccioli castano chiaro le scivolano sul viso, ricamati sulla schiena e sulle spalle, dipanati in matasse profumate che le incorniciano il volto tranquillo. Non dà mai nell'occhio, con le labbra sottili e screpolate, la voce acuta quando ride, nessun tipo di armonia negli occhi che osservano e divorano ogni granello di polvere, dettagli, visi, voci, ricordi, memorie, battute, impressioni, sentimenti, emozioni, fogli di giornale e pagine di libri; le vere parole le giacciono lì, negli occhi tempestosi; le mani sono ali di colibrì, le dita suonano e giocano e stringono con forza i pennelli.
Ma il suo sguardo, lo sguardo! Un suo sguardo è doloroso e pesante, e risucchia tutta l'aria nei polmoni, ed è sfacciato, pericoloso, spaventato, ed è coraggioso. Guardarla e farsi guardare è un ponte per una stella, attraversa istanti che non passano più, costellazioni intere, filamenti di ricordi, ed è un fulmine, un salto, un raggio di sole. E' una scarica che non ti scalda ma ti sveglia come uno schiaffo, è maestosa ed è minuscola. I capelli ricci le coprono gli occhi come un sipario ripara gli attori di teatro. Aspetto con ansia che le cortine si dissolvano per dare inizio allo spettacolo, e quando si volta sento un colpo di pistola nelle tempie che non smette più di fare male.