[Izaya x Shizuo]
[accenni Izaya x Shiki]
-E' colpa tua, Izaya! E' solamente colpa TUA.
Quindi adesso smettila di scappare..-
-E' un ordine, Shizu chan?-
-Sì, è un ordine.-
(...)
Forse sono stati i suoi occhi, braci ardenti nella flebile luce del corridoio spoglio, forse è stato il tintinnio metallico del fedele coltello volutamente lasciato rovinare sul pavimento biancastro; o forse ancora sono state le labbra del corvino che, dolcemente, si sono posate su quelle del biondo imprimendo un bacio dal desiderio talmente latente da far rabbrividire entrambi.

Il desiderio, la brama di possedersi a vicenda ancora viva negli occhi rosso profondo dell'uno e negli occhi color cioccolato fuso dell'altro.
Le loro lingue ancora unite nella disperata ricerca di qualcosa che però non riuscivano a trovare.
Le braccia che si stringevano più forte, temendo che qualcosa fosse di nuovo pronto a separarli e il calore dei loro corpi che cresceva insieme a quello nella stanza, alimentato dalle braci ardenti che tranquillamente continuavano a bruciare, riscaldando maggiormente i corpi riversi sul pavimento.
Le lacrime scorrevano ormai rassegnate a venire alla luce, delicatamente asciugate da due mani slanciate e dalle dita affusolate.
Un sorriso gli comparve sul volto.
Non aveva paura.
Non dovevano più averne.

In fondo del semplice sesso non comportava né strani pensieri né comportamenti o impegni sentimentali, era soltanto uno scambio reciproco di piacere, tanto per alleviare un po' la frustrazione quotidiana.
E che cosa l'avrebbe reso più accattivante e perverso dell'andare a letto con il proprio nemico, la persona che di più odiava al mondo?
Tornò annoiato e sbuffando a fissare le stelle ancora splendenti nel cielo invernale, finché non si guardò addosso, accorgendosi di indossare una camicia che gli andava almeno tre volte più grande.
Si portò il polso vicino il naso ed aspirò chiudendo gli occhi l'odore emanato dall'indumento.
Sapeva di fumo e di biscotti al cioccolato, proprio come Shizu-chan.

Dal testo:
Un sorriso stirò le labbra di Izaya Orihara: sì, era lui il padrone di quella città e dei suoi abitanti. Quelle persone non erano che delle inermi pedine nelle sue mani e le loro vite erano da lui controllate, volenti o nolenti. Così era e così era giusto che fosse.