Halfblood 2 - Città dei Demoni

di Defiance
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao a tutti, questa è la mia nuova fan fiction, il seguito di 'Halfblood', che ho scritto circa un mesetto fa. Visto che l'area creativa del mio cervello non voleva lasciarmi in pace, ho deciso di scriverne un seguito, introducendo anche il mondo degli Shadowhunters. La storia ormai è completamente inventata, anche se ispirata alle saghe di 'Harry Potter', 'Percy Jackson' e 'Shadowhunters' appunto. Che dire, spero che vi piaccia, che la seguirete in tanti e che mi lascerete qualche recensione, sia positiva che negativa, accetto anche le critiche ovviamente, servono solo a migliorare! 
Ps. nel primo capitolo ci sono dei riferimenti ad Hunger Games.
Buona lettura :D

Halfblood 2
Citta dei Demoni


 

Prologo
 
 
Tese l’arco e prese la mira; la freccia incoccata, i sensi all’erta.
I lunghi capelli castano chiaro le ricadevano sinuosi sulle spalle, le sue braccia sembravano esperte, come se non avesse fatto nient’altro per tutta la vita.
 Lasciò andare il filo e il dardo fendette l’aria rapidamente, andando a conficcarsi dritto nel cuore del bersaglio.
Hermione sorrise soddisfatta, ritraendo l’arma e osservando la precisione del colpo inflitto al manichino.
“Ma come cavolo fai?” chiese Neville, stupefatto.
“Non lo so spiegare, mi viene naturale” gli rispose la ragazza.
“Magari fa come me” intervenne Harry, scagliando una freccia che si piantò al centro del suo bersaglio.
“E cioè?” domandò Ron, curioso.
“Immagina di dover infilzare Faccia – Da – Rospo - Umbridge” spiegò il moro, come se fosse scontato.
Scoppiarono tutti a ridere, ma Hermione si fece subito seria e disse piano:
“Magari invece, immagino solo di dover colpire a morte la vecchia me, anche se ormai non esiste più. Credo di essere invidiosa, lei almeno sapeva chi fosse” chiuse gli occhi e sospirò.
Si voltò rapidamente e mise a posto il suo arco, poi cominciò a camminare senza voltarsi a salutare i suoi amici.
Percy fece per seguirla, ma lei, senza guardarlo, gli rivolse un cenno con la mano, come per ordinargli di non farlo. Hermione era cambiata. E molto. E non solo per via delle due guerre che aveva affrontato e delle perdite che aveva subito.
“Devi darle tempo. Non ha ancora accettato questa cosa, non l’ha ancora superata” mormorò Harry alle spalle del ragazzo.
“Certo… vorrei solo che non mi tagliasse fuori. Che mi parlasse” ammise tristemente lui.
“Sta tagliando fuori tutti, forse anche sé stessa” rispose il mago.
Poi tornarono tutti ad esercitarsi.
Perfino Percy da quando era all’Istituto aveva fatto enormi progressi col tiro con l’arco, considerando che l’unica volta che aveva fatto centro, in passato, era dovuta all’aiuto divino di Artemide.
L’Istituto di Addestramento Auror e Cacciatori era un imponente palazzo stracolmo di stanze ove risiedevano gli allievi: ognuno ne aveva una propria e questo era senza dubbio uno degli aspetti di quel posto che veniva più apprezzato da chi lo aveva scelto per proseguire gli studi.
Era stato costruito dopo la ‘Guerra Dei Due Mondi’, (così chiamavano la battaglia contro Urano di cui maghi e semidei erano stati protagonisti), con lo scopo di formare degli Auror specializzati non solo nel combattere contro i Maghi Oscuri, ma anche contro i mostri mitologici.
Pochi avevano scelto quel mestiere: Harry Potter, Neville Paciock, Luna Lovegood, Ronald e Ginny Weasley, Draco Malfoy, Percy Jackson, Annabeth Chase, Clarisse La Rue, Nico Di Angelo, Leo Valdez, Chris Rodriguez e, ovviamente, Hermione Granger.
Ed erano gli unici studenti dell’Istituto, in quel momento.
Gli altri semidei superstiti erano riusciti a superare i test per accedere al Campo Romano, dato che il Campo Mezzosangue non esisteva più, perché ritennero più opportuno continuare a stare con i propri simili; gli altri maghi avevano intrapreso altre carriere tipiche del loro mondo: alcuni scelsero di giocare a Quidditch, altri di studiare per diventare medimaghi, cose del genere insomma.
Le lezioni di Magia si tenevano nei sotterranei dell’edificio, mentre all’esterno avevano luogo le esercitazioni per la lotta; le prime, erano per i maghi degli approfondimenti di ciò che avevano appreso ad Hogwarts, con diverse aggiunte, mentre per i semidei consistevano nel conoscere meglio le proprie capacità (intese come poteri divini) e nell’imparare a gestirle e a sfruttarle a pieno. Percy Jackson e Leo Valdez erano quelli che si erano rivelati più potenti: l’uno per il controllo dell’acqua, l’altro per quello del fuoco; per non parlare poi di Nico Di Angelo e del suo inquietante controllo sui morti.
 
Hermione varcò la soglia della sua camera, sbattendone la porta.
Si sedette sul bordo del letto, portandosi le mani sul volto, poi aprì il comodino e agguantò una catenella alla quale era appeso un medaglione molto piccolo: su un lato vi erano incise le lettere H. J., sull’altro J. C..
Lo aprì e si ritrovò per l’ennesima volta a fissare quelle due foto.
Nella prima, una bambina piccola, di circa un anno, sorrideva, mentre nell’altra, un bambino con dei riccioli biondi, che doveva avere all’incirca un anno in più della sorella, esibiva la sua lingua in una smorfia divertita.
È tutto ciò che abbiamo. Le parole di sua madre, le riecheggiavano in testa.
Madre. Non sapeva nemmeno se era il modo più giusto per definirla, ormai.
Con la mente, ritornò a quel pomeriggio estivo, circa un mese prima, quando i suoi genitori le avevano chiesto di andare a trovarli perché dovevano urgentemente parlarle.
 
Il caldo la soffocava, anche se indossava solo un paio di shorts di jeans e una magliettina a bretelle.
Nella sua mente si susseguivano immagini di guerra, risultato della sua ultima missione, nella terra di Panem.
Attraversò il cortile di quella casa che le mancava tanto, quella in cui era cresciuta e, una volta arrivata sulla porta, suonò il campanello.
Sua madre la accolse con un abbraccio caloroso, seguita da suo padre.
“Cosa c’è di così urgente da farmi correre qui dopo neanche due ore dal mio ritorno da una missione? Di guerra, tra l’altro” chiese preoccupata la ragazza.
“Siediti tesoro” le suggerì dolcemente la signora Granger.
“Si tratta di te… beh, e di noi” cominciò il marito.
Hermione inarcò un sopracciglio, piuttosto confusa.
“Non avremmo dovuto aspettare così tanto per dirti questa cosa, lo sappiamo, ma non ne abbiamo avuto il coraggio. Ora il senso di colpa è troppo grande per poter continuare a conviverci” si scusò sua madre.
“Non fate così… parlate” li esortò la figlia.
La donna le porse il medaglione e una volta che l’ebbe aperto e visto cosa conteneva, la ragazza disse “quella sono io… ma… quel bambino?!”.
“È tuo fratello” spiegò il padre.
“Mio, cosa?!” boccheggiò Hermion, sgranando gli occhi.
“Herm, tesoro… non odiarci, te ne prego. Non volevamo ferirti. Noi non riuscivamo ad avere figli, erano anni che ci provavamo… ma alla fine decidemmo di adottarne uno. Abitavamo a Manhattan, in quel periodo. Quando andammo all’orfanotrofio, e ti vedemmo, ci innamorammo subito di te e decidemmo che saresti stata tu la nostra bambina. Ci dissero solo che i tuoi genitori erano morti, e che avevi quel medaglione al petto quando una donna ti portò in quell’edificio. Tuo fratello fu affidato a lei, ma non poteva permettersi di crescervi entrambi. Così ti prendemmo noi” la voce della signora Granger si spezzò e scoppiò in lacrime.
“Chi… chi erano?” domandò Hermione. “I miei genitori. Lo sapete? Sapete il loro nome? O almeno il cognome?”
Il signor Granger scosse il capo.
La mente della ragazza lavorava precipitosamente, cercava di analizzare quelle informazioni estranee e per la prima volta nella sua vita, sembrava non riuscire a criptarle, ad accettarle, a memorizzarle.
Ebbe un flashback in cui la McGranitt compariva sulla soglia di casa, quando lei aveva undici anni. Ora si spiegava il terrore che aveva visto lampeggiare negli occhi di sua madre: credeva che fosse quella donna, quella che aveva adottato suo fratello, e che fosse venuta a prenderla o a pretendere chissà cosa.
“Forse i tuoi genitori erano dei maghi, noi non lo sappiamo” disse suo padre.
“Herm, tesoro. Per noi sei nostra figlia. Lo sei sempre stata, lo sarai sempre.”
Aggiunse poi l’uomo.
“Questo medaglione… questo è tutto ciò che avete dei miei genitori naturali? Di mio fratello?” domandò Hermione, ancora troppo scossa per realizzare che tutto ciò stava davvero accadendo.
I signori Granger annuirono.
“È tutto ciò che abbiamo. Tutto ciò che abbiamo mai avuto.”
 
Hermione si rigirava la catenella tra le mani, fissando l’oggetto, ora di nuovo chiuso.
Per la prima volta i suoi occhi parvero criptare un simbolo impresso sotto le lettere. Voltò il medaglione: quel simbolo era inciso anche sull’altra parte. Lo studiò incuriosita.
Capì che si trattava di una specie di runa, che non riusciva però a decifrare, non l’aveva mai vista in vita sua. Poteva essere lo stemma di famiglia, magari erano importanti, i suoi genitori naturali.
Ma non era da lei ragionare per ipotesi. Detestava non capire a pieno il significato di qualcosa.
Assorta tra i suoi pensieri, parve non accorgersi nemmeno che Percy, il suo ragazzo, era appena entrato nella sua stanza.
“Ho bussato, ma non rispondevi. Mi sono preoccupato” si giustificò lui.
Hermione gettò rapidamente il medaglione nel comodino e scosse il capo, come per dirgli che non c’erano problemi.
Il semidio si sedette al suo fianco.
“Vuoi parlarne? È per la storia di quella ragazza, Katniss? Quella al cui fianco abbiamo combattuto a Capitol City?” le chiese dolcemente, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
“No, Percy. La sua storia mi ha scossa si, ma mai quanto la mia, anche se è una cosa brutta da dire, perché tra le due non c’è paragone” le rispose la ragazza. Ora delle lacrime silenziose le rigavano il viso.
“Herm, non devi mettere in dubbio l’affetto dei Granger” le sussurrò lui stringendola a sé.
“Non lo faccio. È solo.. Non so più chi sono, Percy” ansimò lei.
“Io lo so. Sei Hermione Jean Granger. Una ragazza stupenda, la mia ragazza. La strega più brillante della tua età. La migliore amica di Harry Potter. Una guerriera” fu la risposta che ottenne dal semidio. Si aprì in un sorriso, e il cuore di lui si alleggerì un poco.
“Voglio trovarlo, Percy. Voglio trovare mio fratello. Chissà se lui sa di me, se mi ha mai cercata. Voglio conoscere la mia storia. Voglio sapere chi erano i miei genitori naturali, come e perché sono morti” gli confessò la ragazza, dopo qualche minuto di silenzio.
Lui le prese delicatamente il volto tra le mani e la guardò negli occhi.
“Lo scopriremo. Te lo prometto” le disse, poi la baciò.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Ron camminava sbuffando per i corridoi, era nervoso e glielo si poteva leggere in faccia.
Sorpassò diverse porte finchè non giunse a quella della sua camera e vi entrò.
Si accasciò sul letto e cominciò a fissare il soffitto, un’abitudine che aveva acquisito dopo la sua rottura con Romilda.
Harry bussò alla porta.
“Avanti” disse secco il rosso.
“Tutto a posto Ronron?” lo beffeggiò l’amico.
“Non sono dell’umore giusto, Potter” gli rispose lui.
“Uhm… ti vedo un po’ alterato” constatò il moro.
“Beh, probabilmente lo saresti anche tu se avessi visto tua sorella pomiciare con un furetto” ribattè Ron.
“Parli di Malfoy?” chiese Harry, abbozzando un mezzo sorrisetto divertito.
Lo ricordava perfettamente, il loro quarto anno ad Hogwarts, quando Malocchio Moody, beh, il falso Moody in realtà, aveva trasfigurato il biondino di un bianco furetto e gli aveva impartito una lezione, che tutti sanno gli sarebbe rimasta in testa per il resto della vita.
Il rosso annuì e poi si lasciò sfuggire uno sbuffo irritato.
“Stanno insieme, lo sai. Credevo ci avessi fatto l’abitudine ormai” gli disse il moro.
“A una cicatrice ci si abitua. A svegliarsi presto la mattina, ci si abitua. Non al fatto che tua sorella esce con quello che per diciassette anni è stato il tuo nemico numero uno a scuola” borbottò in risposta Ron.
“Si.. infondo, Malfoy è stato l’avversario più tosto che abbiamo mai affrontato, vero?” lo canzonò Harry, ma a quel punto l’amico era già scoppiato a ridere.
Considerare Draco il loro ‘nemico numero uno’, dopo Voldemort, la Umbridge, i Mangiamorte, i Lupi Mannari, i mostri… si, era proprio una cosa stupida, pensò Ron.
A interrompere le risate ci pensò Hermione, irrompendo nella stanza a tutto gas “Perché ridevate?” domandò e si lasciò sul letto accanto agli amici.
“Oh, niente… Solo Ron che ha deciso di richiamare alla mente qualche allegro ricordo dei nostri anni a Hogwarts” spiegò Harry.
“Come quando gli ho detto che aveva la sfera emotiva di un bradipo?”lo schernì la ragazza e il rosso gli lanciò un cuscino in faccia, ma dopo due secondi si stavano già tutti sbellicando dalle risate.
“Ti serviva qualcosa, ‘Mione?” chiese poi il moro, tornando serio.
“In realtà no. Volevo solo stare un po’ con voi, sapete, come i vecchi tempi” ammise lei, abbassando lo sguardo.
“Mmh… allora ci vorrebbe proprio un bel po’ di burrobirra” esclamò Ron, prima di dirigersi verso il minifrigo che aveva dietro l’angolo dell’armadio e tornasse con una bella bottiglia ancora imballata della bevanda.
 
“Stanno succedendo cose strane, Kingsley”
Il ministro Shacklebolt era seduto dietro la sua scrivania, nell’ufficio più alto del Ministero della Magia, a Londra.
“Forse non possiamo più aspettare. Occorre mandare una squadra. Le autorità di Manhattan sono disperate. Ogni giorno vengono ritrovati sempre più cadaveri, non sanno come giustificarne la morte” stava dicendo il Capo Auror.
“Ho parlato con un loro delegato. Non si tratta di maghi” annunciò il Ministro “Non è l’Anatema che Uccide a causare quelle morti”.
“È per questo che non possiamo occuparcene noi! È per questo che dovete affidare questo incarico alla Squadra Speciale, anche se sono solo dei ragazzi!” tentò di convincerlo l’altro.
“Pensi che sia un gioco? Pensi che possiamo scomodarli senza alcuna prova concreta che non si tratti di un semplice Serial Killer babbano?” reagì Kingsley “e poi, quei ragazzi ne hanno viste peggio di tutto lo scompartimento Auror messo insieme, definirli ‘solo dei ragazzi’ è un vero e proprio insulto!” aggiunse poi, con una punta di rimprovero ben distinguibile nel suo tono di voce calmo e pacato come sempre.
Poi parve ripensarci. Non c’erano prove ufficiali che non si trattasse di un Serial Killer babbano, che ci fosse in azione qualcosa di più sinistro, ma lui la pensava proprio così.
“Tuttavia, ho visto dei cadaveri, e credo che la cosa che li ha uccisi, non fosse affatto umana. Si capiva. Ed è proprio per questo motivo, che sono d’accordo con te. La Missione va assegnata alla Squadra Speciale” decretò infine.
 
Annabeth bussò con un gran impeto alla porta, cosa che sottolineò l’urgenza della sua visita.
I ragazzi balzarono in piedi di scatto, “Avanti” disse Ron.
La semidea spalancò la porta e annunciò con un grande affanno, come se avesse corso per tutto l’istituto : “Ci vogliono in Sala Riunioni. Subito! Il Ministro in persona ha chiesto un colloquio.”
Quando i ragazzi giunsero davanti alla porta d’ingresso della stanza, che era chiusa, notarono che era già affollato.
Neville, Luna, Ginny e Draco erano già lì; dopo qualche secondo si precipitarono sul luogo anche Percy, Leo, Nico, Chris e Clarissa.
“Siamo tutti qui” notò Hermione.
“Cosa può essere successo di così terribile da convocarci tutti? Solo per la Guerra di Panem ci hanno richiesti tutti insieme. Di solito ci dividono in gruppi per le missioni” chiese Ron a voce alta, parlando più con sé stesso che con gli altri.
“Forse c’è qualcosa di grosso in ballo. Tanto per cambiare” ipotizzò ironicamente Percy.
“Si, ma spero che non riguardi una profezia” borbottò Harry, e, nonostante fossero tutti preoccuparti, i ragazzi si lasciarono andare a una risatina pacata.
La porta della Sala Riunioni si aprì poco dopo, e Aberforth Silente, che era il loro mentore, o istruttore, chiamatelo come volete, li invitò ad accomodarsi.
Al centro della stanza era stato deposto un tavolo lungo con quindici sedie, due delle quali, quelle a capotavola, erano già occupate da Kingsley e da Aberforth, che dirigeva l’Istituto.  
Alla vista di quella disposizione, Draco rabbrividì: per un momento immaginò di trovarsi a Malfoy Manor, circa quattro anni prima, durante la riunione dei Mangiamorte in cui Voldemort aveva assassinato davanti ai suoi occhi la vecchia insegnante di Babbanologia di Hogwarts.
Represse quel ricordo e si sedette a una sedia.
“Abbiamo una missione per voi. E ci servite tutti. È una situazione delicata. Prestatemi molta attenzione” esordì Kingsley.
I ragazzi si scambiarono un’occhiata preoccupata.
No, non era una buona notizia quella di volerli mandare tutti insieme in missione. Fino all’ultimo avevano sperato che li avrebbero divisi in gruppi, o che cercassero dei volontari tra loro, ma non l’avevano fatto in questo modo: decidevano loro chi partiva e chi no, e la formazione delle squadre. E non li avrebbero chiamati tutti insieme.
Avrebbero dovuto immaginarlo, quando si erano ritrovati davanti alla Sala, che c’era qualcosa che non andava. Più del solito, s’intende.
E il tono di Kingsley, non lasciava presagire nulla di buono.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 
 
Kingsley attese un minuto, per attirare tutta l’attenzione su di sé e poi parlò:
“Ci sono state delle aggressioni, degli omicidi. Ho visto uno dei cadaveri ed erano completamente dilaniati, avevano delle grosse ferite, tagli, come se degli artigli avessero perforato il loro corpo. Alcuni erano dissanguati, ad altri erano stati strappati gli occhi, o le loro orbite erano diventate bianchissime. È per questo che non credo che si tratti di un Serial Killer babbano ma…”
“Di mostri” concluse Annabeth.
“Non abbiamo mai sentito nulla del genere, Chase!” la rimbeccò Clarisse.
“Vampiri? Lupi Mannari?” propose Luna, rabbrividendo.
“Questo spiegherebbe solo alcune cose… ma né gli uni, né gli altri sarebbero in grado di ridurre in quello stato una persona”rispose Kingsley.
“È per questo che vogliamo che voi partiate, perché scopriate cosa sta succedendo ” spiegò Aberforth.
“E che, qualsiasi cosa sia, la sconfiggiamo” dedusse Hermione.
Il Ministro annuì.
“Ma non avete delle teorie?” domandò Draco.
“Infinite. Ma solo una può essere probabile, al confine dell’assurdo, tra l’altro” rispose Kingsley, “Pensiamo, che abbia a che fare con Gea”.
“Quindi, in poche parole, un altro Dio primordiale ha deciso di prendersela con noi?” buttò lì Ron “Miseriaccia, ma perché non si danno a dei festini, come passatempo?” e alzò gli occhi al cielo.
“Non credo sia così semplice. Lupa, la ‘direttrice’, chiamiamola così, del Campo Romano, sostiene che Gea sia profondamente addormentata, quindi no, Weasley, non è lei che cerca di contrastarci. O almeno, non crediamo che sia lei”.
Kingsley trasse un profondo respiro e osservò le facce dei ragazzi, che risultavano tutti alquanto perplessi e confusi, ovviamente.
“Quando Gea ha cercato di contrastare l’ascesa di Urano, cercando di chiudere la spaccatura, due anni fa, ha messo in subbuglio tutto l’equilibrio interno del nostro pianeta. Noi pensiamo, che da allora i mostri abbiano trovato un modo per rinforzarsi, ma non sappiamo come. In più stanno aumentando precipitosamente di numero.” spiegò il Ministro.
“È possibile che si tratti di un’altra spaccatura? Di una gemella a quella utilizzata da Urano?” chiese Nico.
Era convinto che dovesse essere in grado di riconoscere e sapere tutto ciò che avveniva sottoterra, essendo il figlio di Ade, ma forse il suo potere era semplicemente confinato ai morti e non, propriamente, al Tartaro o al nucleo terrestre.
“No, questo è impossibile. Gea l’avrebbe richiusa insieme all’altra” replicò Aberforth.
“Quindi, dobbiamo andare in missione sapendo solo che i mostri sono diventati più potenti e senza avere la minima idea di come ciò sia stato possibile?” ricapitolò Leo.
“Mi dispiace, ma temo proprio di si. L’unica speranza è che voi scoprite cosa sta succedendo. Siete le uniche persone che potrebbero farcela” concluse Kingsley.
Hermione si alzò in piedi e poggiò entrambe le mani sul tavolo.
“Io ci sto!” annunciò, seguita subito da Annabeth e Clarisse.
Erano sempre le prime ad accettare un’impresa, come se per loro fossero semplici sfide.
Anche gli altri, tuttavia, iniziarono a farsi subito avanti.
“Bene, allora, c’è bisogno che sappiate che non potete contare sulle vostre bacchette” rivelò il Ministro, rivolto ai maghi.
“Che cosa?!” esclamò Harry, stupefatto.
“No. Non potete usufruirne. Le lascerete qui, verranno custodite dal signor Silente, sono armi scomode, vi potrebbero scivolare via o spezzarsi”
“Ma…?!” fece Neville, che però fu interrotto subito da Kingsley che invitò tutti a guardare la scatola che aveva appena appoggiato sul tavolo e che ora era ben visibile ai ragazzi. La aprì. Conteneva…
Gioielli?” domandò un confusissimo Ron “Come possono quegli accessori sostituire le nostre bacchette?!”
“Non sono semplici gioielli, signor Weasley. Sono stati forgiati appositamente per ognuno di voi, con l’essenza delle vostre bacchette. Sono stati realizzati dal signor Olivander e dai Ciclopi. Sono armi. E molto più potenti e, come dire, comode delle bacchette. I semidei, non hanno bisogno di queste ultime per incanalare la loro magia, ma voi sì. Ed è questo il compito di questi gioielli, o meglio, della pietra rinchiusa in essi” chiarì Kingsley.
“In poche parole, funziona come una bacchetta… dobbiamo solo tenerli addosso!” dedusse Hermione.
“Esattamente. Il loro potere si aziona con gli incantesimi non verbali. Vuoi provare tu signorina Granger?”
La ragazza si alzò e si avvicinò alla scatola. Vide che erano tutti degli anelli, ciascuno con una gemma di colore diverso incastonata nell’argento o nell’oro.
Intuì che quelli d’oro, con le gemme più grosse, dovessero appartenere ai ragazzi. Nel momento in cui tese il braccio su di essi sentì un formicolio lungo tutto il braccio e la sua mano, che sembrava agire da sola, agguantò uno degli anelli.
“È questo vero? Il mio” domandò e il Ministro annuì.
Lo riusciva a sentire, sentiva che era parte di sé.
La sua gemma era di colore azzurro. Se lo infilò al dito e portò la mano davanti a sé, in direzione della sua sedia vuota.
Vingardium Leviosa, pensò. E la sedia cominciò a levitare, per poi poggiarsi nuovamente al suolo quando la ragazza ritrasse la mano.
Erano tutti molto impressionati; uno alla volta, presero il loro anello: Harry ne aveva uno con la gemma rossa, quella di Ron era arancione, quella di Draco nera e quella di Neville verde. Mentre Ginny ne aveva una bianca e Luna una lilla.
“Ma non rischiamo di perderli?” domandò Draco.
“No. Non potete. Aderiranno alla vostra pelle. Sarà come se fossero una parte del vostro corpo. Solo voi potete sfilarveli, intenzionalmente” rispose Kingsley.
“Per quanto riguarda voi semidei, ho degli anelli anche per voi. Contengono essenza di ambrosia e nettare degli dei. Si attiveranno alla minima ferita che vi verrà arrecata e guarirete subito” aggiunse indicando la scatola che Aberforth stava aprendo davanti a loro e i semidei si precipitarono a prendere ciascuno l’anello contrassegnato dal simbolo del proprio genitore divino.
“Sarebbe comunque saggio, se portaste con voi dei kit di pronto soccorso. Tutti. Bene, allora. Andate nelle vostre stanze a riposare. Partirete questa sera. Alloggerete in un istituto gemello a questo, che ovviamente è disabitato, ma dotato di ogni protezione possibile; vi condurrà lì una passaporta che si azionerà alle sette in punto e sarà disposta all’ingresso dell’Istituto. Nelle vostre stanze troverete le vostre divise e le vostre armi già nei bauli, dovete solo aggiungervi ciò che volete portare con voi” concluse poi.
“Ma, dov’è che dobbiamo andare?” chiese Chris, dato che ancora non gli avevano rivelato il luogo in cui avrebbero dovuto intraprendere quell’impresa.
“A Manhattan”, disse il Ministro e li congedò.
 
Hermione guardò l’orologio. Erano le quattro del pomeriggio.
Aveva giusto il tempo di sistemare la valigia, farsi una doccia e cenare, prima di partire.
Manhattan.
Abitavamo a Manhattan, in quel periodo, aveva detto sua madre.
Lei era nata lì? Suo fratello viveva lì? Se lo avesse incontrato, lo avrebbe riconosciuto?
Non poteva fare a meno di chiederselo.
Gettò alla rinfusa paia di abiti, jeans, magliette e scarpe dentro il baule, senza pensare davvero a cosa stesse prendendo e cosa no; poi aprì il comodino e riprese in mano quel medaglione.
Stava decidendo se portarselo dietro o meno, e decise che avrebbe potuto sfruttare quell’occasione anche per scoprire qualcosa del suo passato e che per farlo avrebbe certamente avuto bisogno di quel cimelio.
Lo poggiò delicatamente dentro una scatolina e lo inserì nella valigia.
Ti troverò. pensò e poi si diresse verso il bagno.
Quando scese per cena, già con il mantello da viaggio addosso, lasciò il suo bagaglio insieme agli altri, nell’ingresso dell’Istituto e si diresse verso la Sala Pranzo.
Salutò Percy con un leggero bacio sulle labbra e poi rivolse un gran sorriso ai suoi amici.
“Questa volta dovremmo cavarcela un po’ alla cieca” stava dicendo Ginny “Non abbiamo molto da cui partire”.
“Non abbiamo niente da cui partire, in realtà. Solo una fottutissima ipotesi” controbatté Clarisse.
Luna si chiese se tutti i figli di Ares fossero così scontrosi e dato che nessuno dei semidei pareva farci caso, dovette dedurre che o erano semplicemente abituati a lei, o che la risposta alla sua domanda dovesse essere un ‘sì’.
“Beh, non sarebbe la prima volta che c’è la giochiamo come viene, no?” disse Ron, intercettando la sguardo di Harry ed Hermione.
I tre ricordavano perfettamente il periodo di ricerca degli Horcrux di Voldemort e più di una volta si erano chiesti se starebbero ancora cercando la Coppa se non fosse stato per l’errore di Bellatrix di perdere il controllo quando aveva pensato che erano entrati nella sua camera blindata alla Gringott.
“Per la barba di merlino! Ragazzi mancano cinque minuti alle sette!” li avvertì Ginny e tutti si precipitarono all’ingresso, mollando lì il resto della loro cena.
Afferrarono i loro bauli, su ognuno dei quali era stato poggiato uno zaino, contenente i loro kit di pronto soccorso, che si misero in spalla e poi posarono tutti una mano sulla passaporta.
Dopo circa un minuto, quella si azionò e riconobbero subito la spiacevole sensazione di venire compressi nel vuoto e trasportati altrove.
Dopo pochi secondi la pressione cominciò a diminuire e i ragazzi si trovarono catapultati in un edificio enorme, identico all’Istituto di Londra.
“Beh, almeno ci sentiremo a casa” commentò Neville.
“Forza, andiamo a prenderci una camera e a sistemare le nostre cose” li incoraggiò Leo e cominciarono tutti a disperdersi all’interno del palazzo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
 
 
Annabeth aprì il baule e cominciò a disfarlo.
Inizialmente sistemò nella stanza le cose che aveva inserito lei: i suoi vestiti, le sue scarpe e i suoi oggetti personali, fra cui suscitò il suo interesse un piccolo berretto blu.
“E tu? Da dove spunti fuori?” sussurrò e se lo posizionò sul capo, scomparendo.
Si era completamente dimenticata di quell’oggetto! Le sarebbe potuto tornare utile un’infinità di volte negli ultimi tre anni e ora si sentiva un’enorme stupida per non averne usufruito quand’era necessario.
Lo appoggiò sul comodino e continuò a riversare fuori dalla valigia il suo contenuto.
Quando arrivò al set di divise che l’Istituto le aveva messo a disposizione, il suo volto diventò paonazzo. Possibile che volessero farli combattere con quel genere di abbigliamento?
Ce n’erano diverse paia, alcune estive, alcune invernali, altre una via di mezzo, segno che chiaramente nessuno sapeva quanto a lungo sarebbe durata quella missione.
Fece scorrere le mani sul loro tessuto: era di pelle, spessa e molto fine allo stesso tempo. Resistente, ma senza dar l’aria di essere infrangibile.
Ed era nero. Tutte le divise erano nere. Facevano eccezione solo le giacche, tra le quali vi erano alcune di colore grigio o verdone scuro.
“Sembrano abiti adatti a delle… “ pensò “che anche quelli delle altre siano così?”.
Corse subito lungo il corridoio e bussò alle porte delle camere delle sue compagne, che uscirono tutte stringendo tra le mani o una delle loro divise o un paio di alti stivali e scarponi coi tacchi.
“Ma che diavolo? Pensano che siamo le Charlie’s Angels?” sbottò Ginny.
“A quanto pare le avete viste anche voi e non le avete apprezzate affatto. Esattamente come me”.
In quel momento si aprì l’ultima stanza di quel piano, dove si erano stabilite le ragazze. I ragazzi erano al piano di sopra.
Dalla soglia ne uscì Clarisse, con un aderente vestitino nero senza spalline, di pelle e molto corto. Sulle spalle si era messa una giacchetta a maniche corte, sempre in pelle, ma di colore verdone scuro.
“Ragazze. Queste sono una forza!” esclamò indossando un paio di stivali che le coprivano le gambe dalle ginocchia in giù e le davano circa sette centimetri in più della sua altezza normale.
“Sei pazza? Piacciono solo a te!” controbatté Annabeth.
“Non fate le schizzinose! Le avete provate? Stranamente, sono gli indumenti più comodi che abbia mai indossato!” e per dimostrarlo, fece una capriola e tirò un calcio nel vuoto, fingendo di colpire qualcuno.
Persino per la figlia di Ares, quei movimenti erano troppo facili: con le loro armature erano sempre state agili sì, ma mai fino a quei livelli.
“Il tessuto dev’essere speciale” intuì Hermione.
“Adatto a combattere i mostri, dato che sono più forti, occorreva che anche noi ci, come dire, evolvessimo” proseguì la figlia di Atena, alla quale stava cominciando a diventare chiaro il motivo per il quale il Ministro della Magia e il Maestro Aberforth Silente avessero scelto proprio quegli indumenti come divise.
“Chissà come sono quelle dei ragazzi” disse Luna con aria maliziosa.
Sicuramente pensava a Nico e a quanto potesse apparire sexy se le loro uniformi erano anche lontanamente simili a quelle delle ragazze.
 
“Maledizione sembro Ares in miniatura!” esclamò Percy non appena ebbe provato una delle sue divise.
“Dai, il look motociclista fuorilegge ci fa più fighi!” aveva ribattuto Neville, guardandosi stupito allo specchio.
“Miseriaccia quanto sono aderenti questi cosi” si lamentò Ron cercando di stropicciarsi i pantaloni.
“Oh, piantatela! Sono una favola per combattere, anche se a vederli non si direbbe!” sbottò Chris.
Avevano anche loro delle divise in pelle. E nere. Completamente. Qual cosina così, di grigio, però c’era, nelle sfumature delle giacche.
“Scendiamo di sotto. Dobbiamo vedere se questo posto ha delle armi che ci possono tornare utili” suggerì Harry.
Quando furono tutti pronti, scesero nella Sala d’Ingresso, dove c’erano già le ragazze ad attenderli, con addosso le loro divise.
I ragazzi si bloccarono sugli ultimi scalini e si sentirono mozzare il fiato.
Erano tutte bellissime, incredibilmente sexy.
Persino Luna, che era sempre stravagante, ora sembrava più, come dire, ragazza.
L’uniforme risaltava tutte le loro forme e dato che ognuna aveva “la propria metà” nell’Istituto, la reazione dei giovanotti era ben più che comprensibile.
“Non state là impalati, idioti!” sbottò Annabeth, già abbastanza seccata per via dell’abbigliamento che avevano scelto quelli dell’Istituto.
“Dobbiamo mostrarvi una cosa!” annunciò Hermione dirigendosi verso un’enorme porta, che spalancò.
Neville, osservandone l’interno, pensò che la stanza somigliasse a uno studio.
In fondo ad essa, si trovava una grande scrivania sulla quale vi era poggiato un mappamondo e delle scartoffie; sul muro dietro, era appesa una mappa della città, con dei luoghi ben definiti cerchiati con una specie di evidenziatore rosso luminoso.
Dall’ingresso alla scrivania, sui lati, si stagliavano diverse librerie con ciascuno scaffale colmo di libri.
Harry e Ron si scambiarono un’occhiata divertita, senza dubbio si erano capiti a vicenda: quello era il paradiso, per Annabeth ed Hermione.
“È una libreria-studio” constatò Neville.
“Sì, e qui ci sono delle carte con le informazioni che ancora non ci erano state date per via della mancanza di tempo” li informò Clarisse.
“Kingsley ci ha lasciato scritto che i tessuti delle divise sono molto resistenti e facilitano i movimenti. Inoltre, dice che i luoghi evidenziati nella mappa, sono quelli in cui si sono verificati maggiormente gli attacchi.
Credo che ci convenga andare a perlustrare la zona. Possiamo iniziare da questo” disse Ginny.
“Bene, cominciamo? Qual è il primo luogo?” li incalzò Chris.
“Non fare lo stupido, ci divideremo!” gli rispose Clarisse.
“Cosa? Siete impazzite?” boccheggiò Ron.
“No. Abbiamo già organizzato i gruppi. Ci sono diverse tappe e se andassimo tutti insieme sarebbe inutile e per lo più una perdita di tempo! Saremmo costretti a girare fino all’alba, e non mi va di farlo, soprattutto in una città che non conosco” spiegò Hermione.
“Ma…” cominciò Draco.
“No” lo interruppe Luna “Noi sappiamo cavarcela quanto voi, se non meglio! È la soluzione migliore”.
“E va bene!” si arresero i ragazzi. Sapevano che a discutere con loro non l’avrebbero mai avuta vinta.
A quel punto, prese la parola Annabeth: essendo figlia della dea della saggezza e della strategia militare, era sempre lei ad occuparsi del piano da seguire durante le missioni.
“Dunque, gruppo numero uno: Chris, Draco e Leo.
Gruppo numero due: Ron, Percy ed Harry.
Gruppo numero tre: Neville, Luna, Ginny e Nico.
L’ultimo gruppo, siamo Clarisse, Hermione ed io” dichiarò e successivamente assegnò a ciascun gruppo un’area tra quelle segnalate.
“… mentre noi andremo al Pandemonium e ispezioneremo anche i dintorni” concluse la semidea.
“Ora, andiamo a fare rifornimento!” ordinò, prima che qualcuno avesse la possibilità di sollevare altre obiezioni.
 
Hermione indossava un completo intero, una specie di versione a pantaloncini del vestito di Clarisse, con una grossa cintura all’altezza della vita, alla quale era agganciata l’impugnatura di una spada; bisognava usare la magia per farne uscire la lama. Era un’idea che avevano preso da Anaklusmos, la penna di Percy, che, non appena fatta scattare, si trasformava in una spada.
Il semidio, notò che la ragazza non aveva solo quell’arma con sé: portava il suo arco con la faretra dietro la schiena, una frusta attorcigliata dal punto del braccio che restava scoperto dalla giacca e che l’avvolgeva fino al polso, e aveva dei pugnali agganciati agli alti stivali, che le arrivavano fino al ginocchio. Persino i tacchi gli facevano pensare ad un’arma letale.
Una cosa certa la sapeva: Hermione, in battaglia, era ormai diventata spietata, per lo più quando combatteva contro i mostri; di solito era quella che alla fine di uno scontro riportava meno ferite. Beh, dopo Clarisse, naturalmente, cosa alquanto comprensibile dato che lei era la figlia di Ares.
“Non mi va a genio che tu vada in una discoteca vestita così!” le disse il ragazzo, avvicinandosi e cominciando a giocare con delle ciocche di capelli ondulati che ricadevano sulla schiena della ragazza.
“Sta tranquillo” lo rassicurò lei sorridendo, “starò bene. Lo sai di che pasta sono fatta”.
Percy doveva ammetterlo: non si sarebbe mai voluto trovare al posto di qualsiasi persona avrebbe deciso di fronteggiare Hermione, perché lei era benissimo capace di ridurla in polvere. Non solo fisicamente, ma anche con le parole.
“Ci vediamo dopo” le sussurrò all’orecchio e le stampò un lieve bacio sulle labbra.
“Che la caccia abbia inizio!” sanzionò Clarisse e i gruppi, una volta fuori dall’Istituto, si divisero.
 
La musica rimbombava anche fuori dal locale, dove due buttafuori regolavano la fila di gente che si accalcava davanti alla porta d’ingresso.
“Sembra un posto, non lo so, strano” commentò Annabeth, guardandosi intorno.
“È un po’ sinistro, sì” concesse Hermione.
“Ma lo frequentano anche gli umani” notò Clarisse “ non è un luogo per vampiri e roba del genere”.
“Ora che ci penso, non mi sembra di aver mai sentito parlare di attacchi di Lupi Mannari e Vampiri, qui a Manhattan” disse la figlia di Atena, “è strano?”.
Le ragazze fecero spallucce e si incamminarono verso i buttafuori, che, guardandole, le fecero subito passare.
Annabeth borbottò qualcosa riguardo ai maiali ed entrarono.
L’interno del locale era decisamente sovraffollato: c’erano ragazzi che ballavano, si scatenavano, accalcandosi e sbattendosi gli uni contro gli altri. Indossavano tutti abiti simili ai loro, in un certo senso, solo più volgari; inoltre, di sicuro non erano dotati della stessa resistenza, elasticità, eccetera, eccetera. Altrettanto scontato era il fatto che non avessero la stessa funzionalità.
“Perché non prendiamo qualcosa da bere? Così per, ehm, scioglierci” propose Clarisse.
Annabeth la fulminò con uno sguardo.
“Oh andiamo, non vedo fiori in giro giusto? Che male può farci un cocktail?” si spazientì lei.
“Io ci sto” acconsentì Hermione e si recarono al bar ordinando tre Sex On The Beach.
“Guarda quel ragazzo!” esclamò a un certo punto Annabeth “quello col cappuccio!” e indicò un giovane dai capelli ricci e biondi che si faceva largo tra la folla; doveva avere si e no vent’anni ed era vestito tutto in nero, con dei pantaloni lunghi e aderenti di pelle, una maglietta a maniche corte col cappuccio che gli copriva la testa e una giacca giromanica di pelle, che portava con la cerniera chiusa a metà.
“È armato!” le avvertì Clarisse.
“E sembra seguire qualcuno. Andiamo” disse Hermione.
Tenere il passo con il misterioso ragazzo si rivelò più difficile del previsto; la gente si strattonava, continuava a ballare e saltare a destra e sinistra, in preda degli effetti dell’alcool.
Più di una volta un paio di ragazzi avevano provato ad abbordarle, ma loro gli avevano ordinato di togliersi dai piedi in una maniera così brusca che persino i più grossi si erano fatti da parte senza insistere.
“Di questo passo li perderemo!” sbottò Clarisse.
Di immortales! Troppo tardi. Non li vedo più!” imprecò Annabeth.
“Usciamo di qui!” esclamò Hermione “svelte! Credo che quella sia un’uscita di emergenza!” e indicò una porta nascosta dietro una colonna.
Una volta oltrepassata si trovarono in una specie di lungo vicolo cieco, delimitato da due muretti.
Corsero verso quello di destra, ma vi erano solo dei bidoni della spazzatura e vari sacchi orridi, con dei topi che vi rovistavano dentro.
“Blah!” gemette Annabeth “Spero non ci siano ragni!”.
“Sembri Ronald” la sfotté Hermione e ridacchiarono.
Ma poi si udì il rumore di uno schianto violento e le ragazze si voltarono di scatto, sussultando e dirigendosi presso l’altro capo del vialetto.
Accasciata contro il muro vi era una figura umana, sulla quale torreggiava imponente un grosso mostro ricoperto di squame e… denti. Aveva denti acuminati su ogni parte del corpo.
“Che diamine è quell’essere?!” esclamò Annabeth, impallidendo.
La creatura stava per scaraventarsi sull’uomo per terra, Hermione immaginò per infliggerli il colpo di grazia, ma lei fu più veloce: agguantò l’arco e incoccò tre frecce, che una volta scagliate si conficcarono del collo del mostro.
Quello ruggì di rabbia, ma non scomparse. In compenso, si era però accorto delle ragazze e si era voltato nella loro direzione.
Hermione fece scattare la sua frusta, che si attorcigliò attorno alle gambe dell’essere, facendolo cadere per terra di peso e Clarisse partì alla carica con la spada sguainata, pronta a colpirlo.
La creatura, però, aveva ancora le mani libere e scagliò via la semidea di lato, come se niente fosse, per poi grugnire di soddisfazione.
Mentre la cosa era distratta, Annabeth lanciò il suo pugnale, che si conficcò proprio nel petto del mostro, il quale esplose liberando una specie di liquido nero e viscido.
La figlia di Ares, che si era rimessa in piedi, le raggiunse di corsa.
“Ma che cavolo era quella cosa? Non ho mai visto nessun mostro esplodere così!” sbraitò indicando il punto in cui l’essere si era dissolto.
“Non credo fosse un mostro mitologico!” le rispose la figlia di Atena.
Le due semidee in quel momento si guardarono e poi rivolsero lo sguardo dietro di loro: Hermione era sparita.
Si voltarono di nuovo, stavolta guardando davanti e notarono che la strega aveva raggiunto la persona aggredita dal mostro e che i due si stavano fissando intensamente.
“È il ragazzo che abbiamo visto dentro!” gridò alle due amiche, senza però distogliere lo sguardo da lui.
Dato che il cappuccio gli era scivolato indietro, la ragazza poté notare che aveva due bellissimi occhi dorati, e il suo corpo era muscoloso, forte e interamente coperto da strani simboli neri, molto simili a dei marchi, ma non sembravano pericolosi, né lo sembrava lui.
Anzi, le ricordava il volto di un angelo, uno stupendo angelo.
Ma era ferito. Parecchio sangue gli sgorgava dalle braccia e dalle gambe e aveva un profondo squarcio sul fianco destro e dei tagli sul volto.
Hermione era inchiodata al suolo, immobile. Cosa le stava prendendo? Lei stava con Percy, non poteva permettersi che un altro ragazzo le facesse quell’effetto! Ma proprio non riusciva ad evitarlo.
Quel tipo l’attraeva troppo. Era come una calamita.
“Tu.. tu mi vedi?” boccheggiò lui, continuando a fissarla; lottava per restare cosciente, si capiva da modo in cui sbatteva le palpebre.
“Certo, perché non dovrei…” fece per rispondergli lei, ma il ragazzo chiuse gli occhi e cadde disteso sul suolo.
Come svegliata da un trance, Hermione urlò “è svenuto! Ragazze aiutatemi forza, dobbiamo portarlo all’Istituto!”
“Sei pazza?” esclamarono le due semidee in coro.
“Ha bisogno di cure, io non lo lascerò qui! E tra l’altro non possiamo portarlo in un ospedale babbano, sono ferite da mostro, come gliele spiegheremmo?!” ribatté lei, adirata. Stavano perdendo tempo.
“D’accordo! D’accordo! Andiamo!” concesse Clarisse e corse da lei, seguita da Annabeth.
Aiutarono la strega a sollevare il ragazzo e lo trascinarono fino all’Istituto, trasportandolo di peso con le sue braccia appoggiate una sulle spalle di Hermione, l’altra su quelle di Clarisse.
Annabeth aprì la porta e tutti corsero loro incontro: erano già tornati.
Tutti, eccetto loro tre.
“Cos’è successo?” domandò Harry, preoccupato.
“Chi è lui?” chiese Percy di rimando.
“Ne parliamo dopo!” gli urlò contro Hermione.
“È ferito. Ha bisogno di cure.”

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
 
 
 
“Mi dispiace Harry ma sono la sua migliore amica, non potevo non dirglielo!”
Annabeth cercava da ore di spiegare al suo ragazzo che se aveva raccontato a Percy della reazione che Hermione aveva avuto con quel misterioso giovane, era perché glielo doveva.
“Hermione è una ragazza seria e affidabile ‘Beth! Hai solo alzato un polverone per niente!” rispose Harry, adirato.
“Senti, Percy è il mio migliore amico, va bene? Era mio dovere raccontargli tutto, non ho detto che penso che Hermione gli farà del male, ma il fatto che siano giorni che lei non fa altro che stare in infermeria a prendersi cura di quel ragazzo che per giunta nemmeno conosce, mi ha fatta insospettire. Io voglio proteggere Percy e ne ho tutto il diritto! Se tu fossi al mio posto, se la situazione fosse ribaltata, dimmi la verità, non lo avresti detto a lei?” reagì Annabeth, ora totalmente fuori di sé. “Avanti, dimmelo!” urlò.
“Okay. Hai ragione. Ma forse ne avrei parlato prima con te, cosa che tu avresti dovuto fare, dato che io conosco Hermione da tutta una vita!” ribattè il ragazzo, per poi uscire dalla stanza e lasciare da sola la semidea a guardare cupa fuori dalla finestra. Cos’aveva combinato?
 
Erano passati tre giorni e il misterioso ragazzo ancora non si era svegliato.
Hermione e Luna, gli avevano estratto dal corpo tutto il veleno che il mostro aveva iniettato con i suoi artigli e i suoi denti, avevano curato le sue ferite con i loro unguenti magici e ormai erano rimasti solo pochi segni visibili a contraddistinguere i punti in cui era stato colpito dal resto della pelle.
“Non capisco, dovrebbe già aver ripreso coscienza!” esclamò Luna quel pomeriggio.
“Magari dipende dal fatto che è più debole di noi… infondo è umano e non abbiamo potuto utilizzare tutte le medicine necessarie a guarirlo più in fretta… avremmo rischiato di ucciderlo” disse Hermione, per rassicurare più sé stessa che l’amica.
In quei giorni, lei non si era mai allontanata dall’infermeria e si era occupata personalmente di tutto ciò che riguardava quel giovane.
Non avevano scoperto nulla su di lui, non aveva un portafogli né altro che potesse contenere informazioni sulla sua identità con sé.
“È una cosa un tantino sospetta!” le aveva detto Percy, quando lei glielo aveva riferito.
“Oh andiamo! Il mondo non si divide in buoni e cattivi! E solo perché abbiamo conosciuto più persone cattive che buone, non vuol dire che le altre non esistano! Non siamo calamite per il male, Percy!” le aveva risposto lei.
“Cos’è? Perché lo difendi sempre? Ti piace per caso?” le chiese il semidio, cominciando ad alterarsi.
“Non essere sciocco! Sei tu il mio ragazzo! Dico solo che non dovremmo giungere a conclusioni affrettate, senza avere delle prove oltretutto!”
“Ah! Io sono il tuo ragazzo, vero? Eppure non mi sembra che tu passi il tuo tempo con me” aveva ribattuto lui.
“Smettila Percy! Stai diventando paranoico! Tu non c’eri l’altra sera… non hai visto quel mostro! L’unico che può darci delle risposte, l’unico che possa dirci che diamine era quell’essere, è proprio quel ragazzo!” sbottò Hermione, piuttosto spazientita: odiava essere messa in discussione in quel modo.
“O forse è quello che speri?!”
“Anche! Non ci stiamo capendo nulla di tutta questa storia, voglio sperare che prima o poi avremo un qualche dato su cui lavorare e dovresti augurartelo anche tu!” sospirò Hermione, stanca di quel genere di discussioni che ormai andavano avanti da due giorni.
Era vero che lei provava dell’attrazione per quel tipo, ma di certo non aveva smesso di amare Percy, solo che lui non sembrava capirlo.
“Allora perché non lasci che se ne occupi qualcun altro? Perché stai sempre al suo capezzale ad aspettare che si svegli?” le domandò di rimando il figlio di Poseidone.
“L’ho portato io qui, sono io a dovermene occupare” fu la giustificazione della ragazza.
“Allora dimmi che non provi niente per lui, dimmi che non ne sei attratta. Dimmelo guardandomi negli occhi e la questione finisce qui”
La ragazza arrossì e abbassò lo sguardo.
“Non so cosa sento per lui, Percy” rispose dopo qualche secondo di silenzio e il ragazzo le voltò le spalle e fece per andarsene, le mani strette in pugni.
“Però so cosa provo per te! E io ti amo. E dovresti fidarti di me!” gli urlò dietro.
Il semidio si bloccò,con la mano sul pomello e le sussurrò “non è abbastanza”, dopo di che, uscì dalla stanza.
 
Hermione si costrinse a reprimere il ricordo di quella conversazione, che aveva avuto luogo appena qualche ora prima.
Il cuore le doleva come se lo stessero infilzando di spilli appuntiti, ma non poteva lasciarsi sopraffare da quel sentimento: lei pensava sempre prima al dovere e il suo dovere, in quel momento, era prendersi cura di quel ragazzo e scoprire cosa stava accadendo.
“Che possiamo fare altro?” le chiese una disperata Luna.
“Aspettiamo…” rispose cupa lei.
“Perfetto” commentò ironicamente l’amica, rassegnandosi.
“Perfetto? State parlando di me, vero?”
Domandò una voce alle loro spalle. Era profonda e.. carismatica.
Le due ragazze si voltarono e videro che il giovane aveva aperto gli occhi, si era messo a sedere e stava sorridendo maliziosamente.
“Ehm, in un certo senso” boccheggiò Luna “’Mione..”
“Ci penso io” le disse l’amica, restando impalata nello stesso punto con gli occhi fissi su di lui, finchè non senti la porta sbattere.
A quel punto si avvicinò al letto del ragazzo e si portò dietro una sedia.
“Come ti senti?” gli chiese, porgendogli un bicchiere d’acqua.
Lui non lo prese, ma rimase a guardarlo.
“È acqua” lo rassicurò lei, comprendendo al volo il motivo di quell’esitazione: forse anche quel ragazzo ne aveva passate di cotte e di crude, forse anche lui aveva visto così tante cose brutte da avere paura di fidarsi di qualcuno. “Se ti avessi voluto fare del male, avrei anche potuto risparmiarmi tre giorni ininterrotti di cure” gli fece notare.
Lui allungò il bracco e in un baleno svuotò il bicchiere. Hermione lo riempì nuovamente e dopo qualche secondo tornò di nuovo vuoto.
“Prova a farti investire da un’auto” le suggerì lui.
“Come scusa?” chiese lei, inarcando le sopracciaglia.
“Mi hai chiesto come mi sento”
“Ho fatto il possibile” mormorò la ragazza, con un tono di scuse implicite.
“Lo vedo. Grazie”
“Io sono Hermione Granger” si presentò, porgendogli la mano e il ragazzo la strinse “Io sono Jace”.
“Jace…?”
“Solo Jace” rispose lui molto francamente, poi aggiunse “so che vuoi farmi delle domande”.
“Troppe” ammise lei.
“Tu chiedi. Se potrò darti una risposta, lo farò” le disse.
“Perchè vai in giro armato?”
“Lo faccio sempre” risposta evasiva. Ecco saltare il primo nervo saldo di Hermione.
“Perché seguivi quel ragazzo, al Pandemonium?”
“Non era un ragazzo”
“A me sembrava tanto un ragazzo” ribattè lei.
“Non puoi capire”
“Tu prova a spiegare. Posso capire molte più cose di quanto credi.”
Nessuna risposta. Provò a cambiare domanda.
“Perché mi hai chiesto se potevo vederti?” silenzio.
“Come hai fatto ad ucciderlo?” le chiese lui di rimando e lei capì che si riferiva al mostro.
“Sono addestrata. Ma non risponderò alle tue domande se tu non farai altrettanto. Ti ho salvato la pelle, mi devi un favore” rispose Hermione.
“Il ragazzo era quella cosa” le disse lui.
“Come scusa? Quel mostro era il ragazzo che stavo seguendo?” domandò lei, sgranando gli occhi.
“Spesso sembrano umani. E non era un mostro” spiegò Jace.
“E cosa allora?”
“Un demone. E io sono uno Shadowhunter, un cacciatore di demoni. Ecco perché vado in giro armato. Ti ho chiesto se potevi vedermi, perché ho delle rune dell’invisibilità sul corpo. I mondani, non possono vedermi”
Shadowhunters? Mondani? Ma di che diavolo stava parlando? Hermione si chiese se il ragazzo non avesse battuto troppo forte la testa durante lo scontro e avesse perso qualche rotella.
Jace, da parte sua, non sapeva perché le stava raccontando tutte quelle cose, non avrebbe dovuto farlo, ma non riusciva a trattenersi. Sentiva che poteva fidarsi di quella ragazza e non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhietti color nocciola. Era sicuro che spiegarsi fosse la cosa giusta da fare, anche se non avrebbe saputo dire cos’era a suggerirglielo.
“Mondani?” chiese lei, inarcando un sopracciglio.
“Coloro che non fanno parte del Mondo Invisibile, ovvero coloro che sono estranei alla realtà dei demoni, dei Nascosti, ecc.” spiegò lui.
“Nascosti? Ti dispiace spiegarmi tutto insieme? Mi fa saltare i nervi sapere le cose a metà” gli disse lei.
“I Nascosti, sono i Lupi Mannari, i Vampiri, gli Stregoni e le Fate. Noi non diamo la caccia a loro, ma se violano gli Accordi, possiamo farlo.”
“Quali accordi?”
“Quelli presi con il Conclave, il governo degli Shadowhunters. Per un momento, quando ho notato che potevi vedermi, ho pensato che fossi una di noi. Voglio dire, anche l’abbigliamento me lo suggeriva. Ma visto che non hai usato delle rune per guarirmi, e che non ne hai nemmeno una tatuata sul corpo, ho capito che non eri una Nephilim” chiarì Jace e aggiunse subito “è un altro modo per chiamare gli Shadowhunters. Ecco, ora è arrivato il momento in cui mi urli contro dicendo che sono pazzo, vero?”
“Per niente. Se tu sei matto, io sono peggio” lo rassicurò lei.
Ci fu qualche minuto di silenzio, finchè il ragazzo non le disse, dal bell’e buono “Hai un accetto inglese”.
“Sono di Londra… più o meno”
“Chi, o cosa, sei, esattamente?” le chiese.
“Faccio parte della Squadra Speciale di Auror Cacciatori, sono una strega che combatte contro i Maghi Oscuri e i Mostri, quelli mitologici s’intende. È una specie di organizzazione nata dopo “La Guerra Dei Due Mondi”, nella quale maghi e semidei hanno lottato fianco a fianco per impedire a Urano di rigenerarsi e distruggere il mondo” rispose Hermione.
Riportò i fatti come se niente fosse, come se fossero righe imparte a memoria da un testo di storia.  
“Stai parlando di dei, come se esistessero e avessero forma”
“È così. E quando rimorchiano i mortali, a volte avendo dei figli con loro, generano i semidei” spiegò la ragazza.
“Whao. E tu, da quanto tempo sei in giro?” le chiese.
Hermione notò che nella sua voce si era insinuato un tono diffidente.
“È un modo gentile per chiedermi quanti anni ho?” rispose sarcasticamente, ma visto che lui continuava a fissarla con gli occhi socchiusi, aggiunse, sospirando, “Circa diciannove anni, diciamo”
“Uhm, sei giovane” commentò lui.
“Finchè dura”
“Come? Streghe e stregoni sono immortali, restate sempre così” esclamò Jace.
“Non nel mio mondo. Non credo di appartenere alla categoria di ‘stregoni’ che conosci tu” gli rispose aspramente.
“Non ci sono categorie che noi non conosciamo” ribattè lui.
“Era quello che credevo anche io, fino a un anno fa, quando una banda di semidei è arrivata nella mia Scuola. Dunque, se i Vampiri e i Lupi, ovvero i Nascosti, hanno questi accordi con il vostro governo, è per questo che non si sentono voci di attacchi agli umani” chiese Hermione.
Il ragazzo annuì.
“Quindi, le aggressioni di cui si parla, non sono assalti di… ehm, Nascosti. E nemmeno dei mostri mitologici.”
“No, sono dei demoni. È successo qualcosa, ce ne sono in giro molti più del solito da qualche mese” la informò Jace “fatichiamo a eliminarli e a rispedirli nella loro dimensione”
“Esiste una dimensione dei demoni?”
“Probabilmente, ne esistono un’infinità” rispose lui.
“Da quanto tempo, ne arrivano di più, precisamente?”
“È cominciato tutto circa dieci mesi fa… ma ancora riuscivamo a tenere tutto nascosto. Poi c’è stato un attacco di Lupi e Vampiri in città e non siamo riusciti a risolvere la faccenda. Il Conclave ha dato di matto, ma non sono state trovate prove contro i clan conosciuti. Poi Manhattan è stata fatta evacuare e noi Shadowhunters siamo tornati a Idris, la nostra ‘città natale’ per così dire” le raccontò.
Hermione sbiancò.
“Ehi, stai bene? Sembra che tu stia per svenire!”
“Tutto bene. Quelli erano i Lupi e i Vampiri alleati di Urano, provenivano dalla Gran Bretagna. Non ci sono Accordi da noi. Poi, verso Giugno, Urano ha dato battaglia, qui a Manhattan e noi lo abbiamo sconfitto. Tuttavia, credo che le cose siano collegate” riflettè la ragazza.
“Come?”
“La conosci la storia di Urano e Gea?”
“Si”
“Ecco, dopo la Guerra dei Titani, la seconda per precisare e ti prego non chiedermi di spiegartelo, si è aperta una spaccatura attraverso la quale i Titani (che sono immortali) avevano evocato Urano da un’altra dimensione. Dopo la Guerra Dei Due Mondi questa spaccatura è stata chiusa, ma magari lo stesso discorso non vale per le vie di accesso dei demoni” suppose Hermione “Magari, quelle sono state rinforzate dall’apertura della spaccatura, ma non, come dire, indebolite dalla sua chiusura”.
“Ha senso. Devo parlarne col Conclave” annunciò il ragazzo.
“E io con il Ministero della Magia” lo avvisò lei.
“Per l’Angelo! È tutto così, confuso” imprecò lui.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
 
 
“È un’assurdità!” sbottò Percy.
“Non dirmi che gli credi!” esclamò Clarisse.
“Se ci fossero stati dei demoni a Manhattan ne avremmo sentito parlare” aggiunse Annabeth.
“Non sono un bugiardo” disse Jace in tono di sfida.
“Sì. Io gli credo. E mi sorprende che non lo facciate anche voi dopo… dopo tutto quello che abbiamo passato!” sbraitò Hermione, incredula.
“Allora, perché questi Shadowcosi non ci hanno mai aiutati? Né durante la guerra dei Titani, né durante quella contro Urano!” urlò Clarisse.
Hermione e Jace avevano raccontato tutto agli altri, ma i semidei non si erano mostrati molto propensi a credere al ragazzo; credevano infatti, che se questi demoni esistevano veramente, loro ne sarebbero stati al corrente e ne sarebbero stati anche le vittime, come avveniva con i mostri mitologici.
“Shadowhunters. Nephilim” precisò Hermione.
“Sono solo delle storie! Di quelle per spaventare i bambini” sentenziò Chris.
“Tutte le storie sono vere” rispose Jace, mantenendo un tono calmo e distaccato.
“Miseriaccia! Volete farla finita?!” scattò Ron “a me sembra che questo tipo sappia di cosa sta parlando! E forse se voi semidei metteste da parte il vostro sproporzionato ego, riuscireste ad accorgervene!”
Proprio in quel momento, il caminetto della Sala Pranzo si illuminò, sputando fiamme verdi, e ne uscì fuori Kingsley.
I ragazzi si alzarono in piedi. “Ministro” lo salutarono.
“Tranquilli, ragazzi” rispose pacatamente lui, facendo segno con la mano per avvertirli che potevano restare seduti.
“Sono qui per parlare del Cacciatore di Demoni”
Sgranarono gli occhi.
“Lei come…?!” fece per chiedere Harry, ma il Ministro cominciò a parlare prima ancora che il mago finisse di esporre la sua domanda.
“Esiste un Accordo tra il nostro mondo e quello degli Shadowhunters”
“Ma non mi dire” borbottò Ron, causando un attacco di risatine a Draco, che per poco non si strozzava con delle patatine per cercare di mascherarlo.
“Noi non interferiamo con il loro lavoro e loro ci permettono di restare organizzati con la nostra società e con le nostre leggi. Noi siamo maghi e streghe, ma non discendiamo dai demoni, ed è per questo che ce lo consentono senza alcun problema. Noi non siamo Nascosti. Per quanto riguarda i semidei, il discorso è un po’ diverso. Gli Shadowhunters discendono dall’Angelo Raziel, i semidei dagli dei. Pertanto, i primi si occupano della caccia ai demoni, i secondi di quella ai mostri mitologici. In questo modo, vi è una sorta di equilibrio. Se volete sapere perché non abbiamo mai collaborato insieme negli ultimi anni, la risposta è che: durante l’ultima guerra, erano occupati nelle ricerche di uno Shadowhunter mezzo demone, molto pericoloso, mentre durante la guerra contro i Titani e, di conseguenza anche durante la Seconda Guerra Magica, loro erano a Idris, impegnati a fronteggiare un esercito di demoni controllato da Valentine Morgenstern” spiegò il Ministro.
“Voleva uccidere tutti i Nephilim e i Nascosti, per creare un mondo, diciamo… più puro, dove tutti sarebbero stati Cacciatori Di Demoni, ma non più sotto il controllo del Conclave, bensì sotto il suo ” aggiunse Jace.
Hermione ebbe un brivido al sentire il nome di Valentine. Guardò il ragazzo e notò che i suoi occhi dorati erano diventati neri… quell’uomo doveva avergli fatto molto male.
Si chiese quale fosse la sua storia, perché non usava il suo cognome e se ‘Jace’ era un diminutivo o un nome vero e proprio.
“Ogni mondo ha il suo pazzo ossessionato dall’idea della ‘purificazione’, a quanto pare” mugugnò Ginny.
“Gli umani sono sciocchi. Tendono a non imparare mai dai loro errori” commentò Kingsley.
“Mi faccia capire, Ministro. Voi sapevate del Conclave e degli Shadowhunters. Dei demoni. E non avevate capito che in questa storia centravano loro?” chiese Annabeth.
“Lo sospettavano. Avevano bisogno di prove e non gliele abbiamo appena fornite. Volevano farci entrare a contatto con quel mondo gradatamente, facendoci capire tutto piano piano, man mano che ci saremmo avvicinati alla verità. Solo non riesco a capire perché” intervenne Hermione.
“È stata una decisione del Conclave. Io non potevo parlarvi dell’esistenza degli Shadowhunter perché l’Accordo tra i due governi prevede che né i membri dell’uno né quelli dell’altro, rivelino mai l’esistenza dell’altro mondo ai propri ‘cittadini’. Mentre in questo modo, ve la siete rivelata voi trovandovi a fronteggiare insieme un demone e capendo di essere alleati e non rivali. Certo ci aspettavamo che ci impiegaste più tempo…” chiarì Kingsley.
“…ma ciò non è accaduto… ‘grazie’ a Jace” concluse Percy, con accento sarcastico; dal tono in cui lo disse si capì perfettamente che lo Shadowhunter non gli stava affatto simpatico.
Il ragazzo ricambiò scoccandogli un’occhiataccia.
“E i Nascosti? Perché nel nostro mondo non rispettano gli Accordi?” domandò Ron. Il Ministro si lasciò andare a una risat򠀠canzonatoria e poi rispose: “Oh, lo fanno eccome. I clan dei vampiri hanno Accordi sia con il Conclave che con le Comunità Magiche, mentre i Lupi da noi sono piuttosto pochi. I più fanno parte di branchi che vivono qui in America. Tuttavia, ogni specie ha i suoi ribelli, come per esempio…”
“i tipi come Fenrir Grayback che si sono ficcati la loro umanità su per il…”
“RONALD!” lo rimproverò Hermione.
Il rosso aveva tutte le ragioni per odiare quel lupo mannaro dato che aveva ferito suo fratello, per non parlare poi dell’odio comune che i ragazzi provavano da quando avevano scoperto che era stato lui a contagiare Remus Lupin, ma non era il momento di manifestare quei sentimenti, non con quei toni e non in presenza del Ministro della Magia.
“Come abbiamo fatto a uccidere quel demone? Noi non ne avevamo mai affrontato uno prima d’ora! D’accordo, siamo favolosi, ma da quanto ci ha raccontato Jace occorrono armi particolari per ammazzarli” chiese Annabeth.
“Voi avete ricevuto lo stesso tipo di addestramento degli Shadowhunters, il vostro maestro, Steven Penhallow, è uno di loro. Le vostre armi sono costruite con materiali capaci di annientare non solo i mostri mitologici, ma anche i demoni. Ad ogni modo, ho già avvertito il Conclave. Jace, devi sapere che il vostro Istituto è stato attaccato ieri notte ed è andato distrutto” raccontò il Ministro.
Il ragazzo saltò in piedi e sgranò gli occhi. Fece per parlare ma Kingsley lo interruppe “Alec e Isabelle stanno bene. Maryse è a Idris. I ragazzi verranno qui, alloggerete nel nostro Istituto fino a nuovo ordine. Dovrete collaborare. Siete stati scelti per questa Missione e mi… volevo dire, ci aspettiamo il massimo da voi. Ora devo andare. Non appena avrò notizie ve le comunicherò. Stiamo cercando un modo per indebolire le vie di accesso dei demoni sulla terra, pur sapendo che chiuderle totalmente è impossibile. Non vi piacerà saperlo, ma siamo a un punto morto.”
Grandioso, pensò Ron.
 
“Jace! Per l’Angelo ero così in pensiero per te!”
Isabelle Lightwood, appena varcata la soglia di ingresso dell’Istituto, si era gettata al collo del ragazzo e lo aveva stretto di un abbraccio che, se prolungato oltre, avrebbe anche potuto spappolargli i polmoni.
Liberatosi dalle braccia della giovane, Jace salutò Alec con una pacca sulla spalla e gli domandò dove fosse Magnus, il suo ragazzo-stregone.
“Oh, è ad una riunione con quelli della sua specie. In Florida. Stanno anche loro cercando di trovare una soluzione a questo disastro” spiegò lui.
“Capisco. Venite, vi devo presentare delle persone!” annunciò il biondino, guidando gli Shadowhunters fino alla Sala Pranzo.
“Sappiamo già tutto” gli disse Isabelle.
“Non conoscete il resto della Squadra, però. E poi penso che vorreste incontrare la ragazza che mi ha salvato la vita”
“Jace…” cominciò Isabelle.
Gli occhi del ragazzo si incupirono, scurendosi di colpo.
“No. Lei non è Clary, okay?” la interruppe subito, prima che potesse aggiungere altro. La ragazza sospirò.
“Eccoci qui. Pronti?”
“Che sarà mai… smettila di farla così lunga” replicò Alec.
Jace  lo guardò e gli disse con una leggera impertinenza: “Beh, tu proprio, di solito non sei molto incline a fare squadra con altre persone che non siano me o Iz!” poi aprì la porta e annunciò “Ragazzi… sono arrivati. Vi presento i miei fratelli, Izzy… cioè Isabelle… e Alec”
“Miseriaccia!” esclamò Ron e Annabeth diede un colpo dietro alla nuca ad Harry.
Isabelle era quel genere di persona che i ragazzi avrebbero di certo giudicato ‘una bomba sexy’; capelli neri, seno prosperoso, bellissime forme, parecchio alta e dall’aria letale. E in più era in tenuta da Shadowhunter, quindi indossava dei pantaloni in pelle neri e una maglietta grigio scuro che le metteva terribilmente in risalto il seno.
Alec, da parte sua, era molto diverso: aveva due occhi azzurrissimi e un bel fisico, sottolineato dall’aderente canottiera che indossava, capelli neri e l’aria da fratello maggiore, ma non attirava l’attenzione come Jace e Izzy.
Dopo aver fatto le presentazioni, Jace cercò con lo sguardo Hermione, ma non la trovava da nessuna parte.
“Allora, dov’è questa misteriosa ragazza che si è presa tanto cura del nostro fratellino?” gli chiese Alec, con aria divertita.
“Mmh, qui non c’è” rispose il ragazzo.
“Se ti stai chiedendo dov’è ‘Mione” lo informò Harry “è sul tetto. Sta parlando con Percy”
“Già, il suo ragazzo” precisò Annabeth, prendendo per mano il mago e fissando intensamente Isabelle, come se volesse marcare il territorio.
Alec ridacchiò, ma i due ragazzi erano già fuori portata d’orecchi per accorgersene.
“Piantala” gli disse la sorella, ma poi si mise a ridere pure lei.
 
“Percy, non è come credi! Tu parti subito in quarta e sei terribilmente cocciuto!”
Hermione stava cercando di fare ragionare il semidio.
“Se basta uno sconosciuto per metterci l’uno contro l’altra, che razza di coppia siamo?” controbatté lui.
“Sei tu che ti sei messo contro di me! Non avevi motivi per non fidarti..”
“Non è di te che non mi fidavo, ma di lui! E ad ogni modo, tu stessa hai ammesso di provare qualcosa per lui!” la interruppe Percy.
“Ma non in quel senso! Sono attratta da lui, ma non fisicamente!” nel dirlo, Hermione arrossì.
Si sentiva una terribile bugiarda, perché non era del tutto vero.
Aveva osservato i lineamenti di Jace per ore mentre lui dormiva, sognava i suoi occhi e immaginava quanto dovesse essere bello far scorrere le mani sui suoi muscoli.
“Quindi, mi stai dicendo che ti interessa perché?!” chiese il semidio, con tono ironico.
“Perché mi sa di ragazzo complicato Percy. Mi sembra molto chiuso in sé stesso e vorrei aiutarlo… vorrei capire perché si mostra così duro con sé stesso e con gli altri!” rispose lei.
“Uhm, vuoi dire che vuoi scoprire perché è così simile a te?”
“Io non sono dura e soprattutto non è vero che sono molto chiusa!” ribattè Hermione.
“Una volta, forse. Ma dopo che hai scoperto di essere stata adottata, ci hai tagliati tutti fuori. Ormai, nessuno sa più cosa ti salta in mente e per di più sembra che tu ti… diverta a cacciare e uccidere i mostri!”
“È solo un modo come un altro per distrarmi, per non pensare… e cosa più importante è il mio lavoro Percy! Per quanto riguarda l’adozione beh scusami ma non c’è molto da dire dato che io non ne so NIENTE!” sbottò e scese le scale di corsa, ignorando il ragazzo che la chiamava a gran voce chiedendole perdono.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
 
 
 
Hermione aveva le lacrime agli occhi. Come aveva potuto Percy dirle una cosa del genere, proprio nel periodo in cui ci stava pensando di meno?
Aprì la porta della sua stanza, prese una divisa a caso e si chiuse in bagno.
Indossò gli indumenti e si legò i capelli a coda alta, si sciacquò il viso e poi si mise un po’ di eye-liner, matita, del mascara sulle ciglia e un po’ di fard qua e là. Era tutto ciò che si concedeva, non si truccava mai in maniera esagerata, come tutte le altre ragazze.
Uscì e si diresse verso l’armadio, ne aprì un’anta e cominciò a scegliere le armi da portare con sé: un paio di pugnali, il suo arco, la sua frusta attorcigliata attorno al braccio e un chakram che appese alla cintura.
Quando fece per infilarsi la giacca di pelle, fu spiazzata da una profonda voce che proveniva dalle sue spalle e che la fece sobbalzare.
“Carina. Vai da qualche parte?”
Hermione si voltò. Appoggiato alla porta, c’era Jace, in tutta la sua bellezza.
I riccioli d’oro sembravano splendere sotto la luce della luna che traspariva dalla finestra e metteva in risalto i suoi muscoli, scoperti dalla canottiera nera che indossava.
Fu in quell’occasione che la ragazza notò quanti marchi avesse, tatuati su tutto il corpo.
“Non ti riguarda” gli rispose, distogliendo lo sguardo.
“Uhm. Non sono abituato a trattare con persone che hanno il mio stesso caratteraccio”
“Io non ho un brutto carattere!” protestò lei, tornando a sistemarsi.
“Già, certo. È quello che diciamo tutti. Infatti, scommetto che non stai uscendo per andare a sfogare la tua rabbia su qualche ‘povero’ demone indifeso, dico bene?” la canzonò lui, con il suo tipico accento sarcastico.
A quel punto Hermione gettò con forza la giacca per terra, si voltò e cominciò a guardarlo di sottecchi.
“Lo sai che il sarcasmo è l’ultimo rifugio di chi ha finito tutte le altre idee?” gli disse.
Quelle parole colpirono Jace quasi come se avesse ricevuto una sberla in pieno volto e sbiancò. Il suo cuore mancò di qualche battito e poi sprofondò.
Clary, pensò. Lei gli aveva detto quelle stesse identiche parole, anni prima.
“Io…” boccheggiò lui.
Hermione non riusciva a credere che quella semplice frase pungente fosse riuscita a ferire quel ragazzo all’apparenza così forte e indistruttibile… non aveva senso, ma era così arrabbiata che non aveva voglia di indagare.
Sbatté l’anta dell’armadio, si infilò la giacca appena raccolta dal pavimento e andò ad aprire la finestra.
Jace si risvegliò da quello stato di stupore che lo aveva imprigionato per un momento ed esclamò “Ehi ma fai sul serio? Isabelle e Alec sono arrivati, volevo presentarteli!”
“Scusami Jace. Ma non sono dell’umore per conoscere gente”
“Va bene, allora, se mi dai due minuti, vengo con te” propose lui.
“Cosa?!” chiese lei, sgranando gli occhi.
“Hai capito bene. Non esiste che qualcuno pratichi il mio hobby senza di me, se io so che sta andando a cacciare” le rispose lui, abbozzando un mezzo sorriso.
Le fece l’occhiolino e uscì dalla stanza, per poi tornarvi armato fino al collo e in uniforme da Shadowhunter, con tanto di marchi nuovi disegnati sulla pelle, dopo davvero due minuti.
“Sei un orologio” commentò lei e Jace ridacchiò.
“Siamo al quarto piano! Sicura di non sfracellarti al suolo?” le domandò una volta vista l’altezza cui si trovavano.
“Paura di non farcela?” lo provocò la ragazza e lui socchiuse gli occhi e saltò, per atterrare leggero e agilmente coi piedi per terra, come se avesse semplicemente saltato un gradino, così velocemente che Hermione non se ne accorse nemmeno.
Inarcò un sopracciglio: lei usava la magia, ma lui?
 
“Esattamente a cosa vi servono le rune?” chiese Ron.
“Beh, a tutto in realtà. Alcune ci rendono più forti, altre silenziosi, altre ancora invisibili… possono guarirci, proteggerci…” stava spiegando Isabelle.
“Grandioso!” esclamò Neville, con aria sognante.
“Dì un po’, Izzy, se posso chiamarti così” esordì Percy e la ragazza annuì “Jace è sempre così scontroso con tutti?”
“Non giudicarlo. Ne ha passate tante” lo ammonì lei.
“Qui tutti abbiamo attraversato periodi brutti” proseguì lui, imperterrito.
“E per di più odio il modo in cui guarda la mia ragazza”
“E cioè?” domandò Alec, appena comparso alle sue spalle.
“Come se volesse mangiarsela”
“Non essere stupido. Lei gli ha salvato la vita. Lui si sente in debito e se prova un qualsiasi interesse per,- com’è che si chiama? Hermione?-, stai pur certo che non è il genere di interesse che credi tu” gli rispose Isabelle.
“Ah no? Come fai a dirlo?”
“È mio fratello! Sono cresciuta con lui! Lo conoscerò abbastanza da poter capire cosa prova e cosa no, ti pare?” sbottò lei.
“Il sarcasmo è un dono di famiglia?” le chiese un’accigliata Annabeth.
“No, dico la verità. Jace si è innamorato di una ragazza solo una volta nella sua vita e credetemi se vi dico che non guarda mai nessuna come guardava Cla…”
“Izzy chiudi il becco!” la gridò Alec, lanciandole un’occhiataccia che esprimeva perfettamente il concetto ‘se – gli – sguardi – potessero – uccidere – tu – saresti – fottuta’.
Isabelle arrossì, rendendosi conto che stava per rivelare uno dei segreti più profondi del fratello e non proferì più parola per il resto della serata.
 
“Come cavolo hai fatto?” chiese Hermione non appena atterrò accanto a Jace.
“Tu come hai fatto?” le domandò lui di rimando.
“Ma tu rispondi sempre ad ogni domanda con un’altra domanda?”
Boom. Altra sberla. Perché diavolo deve ricordarmi così tanto Clary? Si chiese.
Aresto Momentum” spiegò lei mentre si rimetteva in piedi, riportandolo alla realtà.
“Come?”
“È un incantesimo!” chiarì, indicando l’anello. “E tu?”
“La storia è più complicata di così” rispose il ragazzo, alzandosi.
“Prova a spiegarmela” lo incoraggiò.
Lui esitò per un momento, poi la prese per le braccia e le disse, piantando gli occhi dorati dentro i suoi color nocciola “promettimi che qualunque cosa ti dirò non cambierà il tuo modo di vedermi”
“Se fossi in te, sarei più contento del contrario” gli rispose lei e Jace inarcò un sopracciglio per poi scoppiare entrambi a ridere.
 “Comunque, lo prometto”.
“Sono cresciuto con Valentine” confessò lui.
Quel Valentine?” chiese.
Il ragazzo annuì; per Hermione fu come prendere una martellata potente sul cuore.
“Fece degli esperimenti su me e… non importa” si interruppe, scosse la testa, come se servisse a cacciare via un doloroso pensiero e poi proseguì“Mi iniettò il sangue di un Angelo. Per cui, le mie capacità, quelle che gli altri Shadowhunters non hanno, o hanno in potenza ridotta, dipendono da questo fatto” le spiegò.
“Valentine era…”
“No” rispose lui, secco, anticipando la sua domanda.
Restarono a guardarsi per qualche istante e poi si incamminarono lungo la via, restando in silenzio per diversi minuti.
“Ti è caduto questo” disse Jace a un certo punto, porgendole un foglietto rettangolare che diceva ‘Orfanotrofio St. Jules, Brooklyn’.
Hermione sbiancò e si affrettò a metterlo via.
“Hai… hai letto?” gli chiese dopo un po’.
“Scusa”.
La ragazza sospirò.
“Comunque…” fece per dire lui, ma all’improvviso lei  urlò il suo nome e gli si scagliò addosso, facendolo cadere per terra.
Protego Maxima’ pensò appena in tempo da permettere allo scudo magico di salvarli da un’artigliata di un enorme demone la cui parte superiore ricordava quella di un serpente, mentre quella posteriore somigliava per lo più a uno scorpione, con tanto di pungiglione; dalla bocca fuoriusciva a intermittenza una lunga lingua, che sputava veleno.
“Attenta!” l’avvertì lui, prendendola in braccio e spostandosi di lato così rapidamente che la creatura rimase stordita per qualche secondo ma poi individuò Jace e in un attimo lo colpì con la sua coda lanciandolo contro un muro.
Hermione estrasse la sua frusta, e formò un cappio attorno a quello che immaginò essere il collo del demone, ammesso che ne avesse uno.
Con la magia, fece crescere delle radici dal terreno, che bloccarono la coda dell’essere, privandolo così dell’utilizzo del suo pungiglione.
“Sputa veleno, Hermione attenta!” gridò Jace, notando che il mostro si stava avventando su di lei, cercando di liberarsi dalla stretta della frusta.
La ragazza balzò in dietro e distrasse il mostro abbastanza da consentire allo Shadowhunter, che si era rialzato, di piantargli la sua spada angelica nel petto.
Il demone esplose liberando un fluido nero e flaccido.
“Blah, almeno con i mostri mitologici ci puoi fare la polverina dorata per Natale” borbottò Hermione, schifata. “Stai bene? Ti ha punto?”
Il ragazzo scosse la testa.
“La prossima volta, cerca di pensare a salvare la tua di pelle Shadowhunter!” lo rimproverò lei.
“Lo prendo come un grazie” rispose lui.
 
“Ma dico… SIETE IMPAZZITI??” urlò Isabelle quando Hermione e Jace ritornarono all’Istituto.
“Dovevamo andare tutti insieme a Caccia e voi sparite così, dal bell’e buono, senza averci detto nulla! Ci avete fatto perdere una serata a cercarvi, per non parlare dello spavento che ci siamo presi!” sbottò Alec, gesticolando.
“Scusate. Colpa mia. Ero arrabbiata e stavo scappando dalla finestra, per andare a caccia e sfogarmi. Jace mi ha scoperta e…” provò a spiegare Hermione, puntando lo sguardo su Percy, per farlo sentire più in colpa.
“…e non è riuscito a resistere all’impulso di spappolare un bel demone, dico bene?” ruggì Isabelle.
“Esatto!” confermò con entusiasmo il Nephilim, sfoderando un sorriso raggiante e facendo l’occhiolino alla sorella, che scosse il capo.
“Sai, credevamo che non ci fosse qualcuno con più voglia di farsi ammazzare di te” dichiarò Alec, indicando il fratello “a quanto pare, ci sbagliavamo” e scoccò un’occhiata truce ad Hermione, la quale sbuffò e salì in camera sua.
Se non la smettono di provare a darmi ordini, pensò, li prendo a pugni.
Si tolse l’uniforme, si infilò il pigiama e si lasciò cadere sul letto stringendo tra le mani il foglietto che Jace aveva recuperato.
 
“Mamma? Sono Hermione”
“Hermione, tesoro! Eravamo così preoccupati!” la signora Granger scoppiò a piangere.
“Sto bene. Volevo solo avvisarti che andrò in missione, non so per quanto tempo e non potrò né farmi sentire, né farmi vedere” le disse.
“Piccola, sei ancora arrabbiata vero?” le chiese la madre, tra un singhiozzo e l’altro.
“Non è una cosa facile da digerire” le rispose la strega.
“Dove andrai?”
Hermione esitò, ma poi decise di dire la verità.
“Manhattan” fece una pausa. “A proposito, mi chiedevo…”
“Orfanotrofio St. Jules, a Brooklyn” le disse la signora Granger, intuendo quale fosse la domanda che la figlia stava per porgerle.
“Sta attenta” si raccomandò poi e si lasciò andare di nuovo alle lacrime.
“Come sempre, mamma. Ti… ti voglio bene. A presto”
 
Non aveva ancora deciso se fare visita all’orfanotrofio o meno; da una parte, voleva scoprire chi erano i suoi genitori, dall’altra aveva paura di farlo e soprattutto, non credeva fosse giusto pensarci, dato che si trovava lì per lavoro e c’erano delle cose più importanti su cui dedicare il proprio tempo.
Stava ancora fissando il biglietto, quando qualcuno sulla soglia della stanza disse “Se vuoi ti ci posso accompagnare”.
Era Jace. Di nuovo.
Entrò chiudendosi la porta alle spalle, poi si trascinò una sedia fino al letto e ci si sedette.
“Ma voi Shadowhunters non usate bussare?” chiese lei stizzita.
“Solo quelli che non possono permettersi di fare come me” rispose lui.
“Chi ti dice che tu puoi permettertelo?” replicò Hermione.
“Beh, io sono fico. Ti servono altre motivazioni?”
La ragazza inarcò un sopracciglio, ma optò per lasciar cadere il discorso.
“Mi accompagneresti davvero?” domandò.
Il ragazzo annuì “Se a Percy non dà fastidio. So che state insieme”
Lo sguardo di lei si incupì.
“Non lo deve sapere” gli disse.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
 
 
Il sole non era ancora completamente sorto quando la sveglia di Hermione suonò, la mattina dopo.
Aprì gli occhi e maledì il fatto di dover fare tutto di nascosto solo perchè il suo ragazzo era paranoico-geloso.
Si alzò e andò a farsi una doccia, dopodiché indossò un paio di jeans e una maglietta a maniche corte azzurra.
“Finalmente un po’ di colore!” sussurrò a sé stessa.
Si tirò dietro le ciocche davanti dei suoi capelli e le fermò con una forcina, poi si stese sul volto un leggero strato di trucco.
Dopo circa una mezz’oretta, sentì dei colpetti appena percettibili alla porta e andò ad aprire.
“Buon giorno” mormorò Jace, bello come il sole anche alle sei del mattino.
“Giorno” rispose lei, sorridendo.
“Svelta, dobbiamo filarcela. Ho lasciato un messaggio a Izzy dicendole che andavo a trovare Jocelyn, così non sospetteranno che siamo insieme” la informò il ragazzo.
“Bene. Un momento, chi è Jocelyn?”
“Lei è… ehm… un’amica” arrancò lui, ma si voltò e si incamminò verso le scale.
Hermione afferrò la sua borsa e si affrettò a seguirlo.
Camminarono a lungo, e per le sette arrivarono davanti a uno strano locale dal tetto concavo al centro e le finestre oscurate.
“Ti porto a fare colazione” le spiegò lui “questo è Taki, il miglior ristorante di Manhattan”
“Fate colazione in un ristorante?” domandò lei, accigliandosi.
“Non è proprio un ristorante… o meglio, non è solo un ristorante… entriamo e basta” rispose lui, dando l’impressione di volersi dare una mossa.
Disse qualcosa a quella che Hermione capì essere la guardia e poi la scortò all’interno del locale. Era accogliente.
“Jace!” non appena si sedettero a un tavolo, lo chiamò una voce, la voce di una strana ragazza dotata di ali bianco-azzurre.
“È una pixie” sussurrò lui all’orecchio della strega.
“Ciao Kaelie!” la salutò.
“Ne è passato di tempo” gli disse, sbattendo a raffica due occhietti dalle lunghe sopracciglia.
“Sono stato indaffarato” rispose lui, sbrigativo.
“E lei.. ehm… chi è?” Kaelie sembrò rimanerci male nel vederlo in ‘dolce’ compagnia, e ancor più quando la risposta di Jace fu la richiesta della colazione.
Mangiarono in silenzio.
Hermione si sentiva nervosa e non aveva molta fame, in realtà non ne aveva per niente, ma le sembrava scortese rifiutare l’invito del ragazzo.
Se aveva delle possibilità di scoprire qual cosa sul contro dei propri genitori, era proprio questa. E forse, era anche l’unica.
Appena ebbero terminato la colazione, Jace la portò a un parco che si trovava a pochi passi dall’orfanotrofio.
“Apre alle otto, per le visite” le spiegò.
“Sembra che tu lo conosca” commentò lei.
“No, ma una volta ho ucciso un demone Drevak lì vicino e la scritta sul cartello appiccicato alla porta d’ingresso mi è rimasto impresso”
“Capisco… Jace… posso farti una domanda?” chiese con cautela.
“Chiedi, se potrò risponderti…”
“Lo farai, si lo so, me lo hai già detto” concluse Hermione. Poi il suo tono di voce divenne più calmo, dolce e vellutato “come mai non usi mai il tuo cognome? Isabelle e Alec non si fanno problemi...”
Il giovane si rabbuiò e la ragazza si pentì subito di avergli posto quel quesito, per semplice curiosità poi! Che trovata stupida, se lui non usava il suo cognome doveva avere un buon motivo… così si affrettò a dire “Lascia perdere, non sono…” ma venne interrotta dal ragazzo stesso, che mormorò “Lightwood non è il mio vero cognome”
“Cosa? Isabelle e Alec non sono…?”
“Sono stato affidato ai Lightwood quando avevo dieci anni… mio pa… Valentine, decise che, dato che avevo dei sentimenti profondi, ero troppo debole per conseguire i suoi scopi, così mi mandò da loro, inscenando la sua morte. Col tempo scoprii che non era davvero mio padre, ma che lui morì prima ancora della mia nascita, e per colpa di Valentine stesso, tra l’altro. Mia madre si suicidò poco dopo” raccontò Jace. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, pronunciava le parole come una macchina registrata per dirle, un po’ come i distributori di sigarette.
“Io… scusami. Non sapevo… mi dispiace tanto” fece Hermione, leggermente scioccata da quel racconto.
“Continuo a non capire perché voi mondani vi scusiate per cose di cui non avete alcuna colpa né la possibilità di cambiare” disse il ragazzo alzandosi in piedi e lasciando la ragazza sola sulla panchina.
“Io non sono una mondana
Si voltò a guardarla e pi aggiunse.
“Il mio nome lo ha scelto Maryse. Dice che da piccolo gli ricordavo mio padre, quello vero e che il nome che lui avrebbe voluto dare a suo figlio era Jace. Così lo scelse anche lei. Ma in realtà in quel periodo credevamo che fossi figlio di un’altra persona… insomma, è tutto un casino”
“E Jocelyn? È la tua ragazza?” gli chiese poi, cercando un argomento più piacevole.
“Oh. No”
Se Hermione aveva pensato, fino ad un momento prima, di non poter vedere Jace più triste, dovette ricredersi: nulla era in confronto alla reazione che ebbe a questa domanda.
“Io.. senti scusami mi dispiace non ho alcun diritto di chiederti queste cose lo so… volevo solo conoscerti, ma non voglio ferirti, quindi, fa finta che non ti ho chiesto nulla, per favore” lo supplicò, quasi tra le lacrime.
“Lei è la madre di Clary. O almeno, lo era”.
Il ragazzo trasse un respiro profondo e tornò a sedersi accanto a Hermione.
Clary era la mia ragazza” tutto il dolore che Jace provava, lo sentì sulla sua palle. Lo sguardo del ragazzo era spento, desolato, come se non ci fosse più niente di bello nella sua vita.
“Cosa le è successo?” chiese dolcemente Hermione, posandogli una mano sulla spalla.
Lui fissò il vuoto per qualche attimo poi rispose, secco “È morta. Per salvare me”.
Non le lasciò tempo per dire nulla, perché si rialzò e aggiunse “è ora, devono aver aperto. Sei pronta?”
“Jace…”
“Sto bene. Tu, piuttosto? Ci hai ripensato?” era tornato il ragazzo impenetrabile, quello i cui pensieri erano impossibili da carpire.
La strega sospirò e si mise accanto a lui, seguendolo verso la porta dell’orfanotrofio.
 
L’edificio era decisamente desolante.
Le mura grigie e l’assenza di un giardino, davano l’impressione di una specie di carcere minorile e non appena Hermione vi mise piede, si sentì come se non vedesse altro che pioggia da tutta la vita, come se non avesse mai visto il sole.
Si voltò verso Jace, in cerca di sicurezza e i loro sguardi si incrociarono; il ragazzo le prese la mano e con l’altra le diede un buffetto sulla guancia, come per farle forza. Poi le sorrise, per incoraggiarla a proseguire.
Quando Hermione tornò a guardare avanti, vide che una donna alta, una suora, si stava incamminando verso di loro.
“Cosa vi porta in questo luogo benedetto, miei giovani?” domandò.
“Io… vorrei parlare con la direttrice dell’istituto” disse la strega.
“Seguitemi”
Li condusse lungo un corridoio, di quelli che sembravano non avere mai una fine, il grigio regnava sovrano anche all’interno dell’orfanotrofio.
Giunsero davanti alla porta di una specie di ufficio, fuori dal quale vi erano delle sedie per l’attesa.
“Accomodatevi. Vado ad annunciarvi” li informò la suora.
“Sei ancora sicura di volerlo fare?” le sussurrò Jace all’orecchio, quando furono nuovamente soli.
La ragazza annuì, anche se non ne era del tutto convinta.
Dopo circa cinque minuti, la porta dell’ufficio si spalancò e la suora che li aveva accolti annunciò che potevano entrare.
“Ti aspetto qui” le disse il Cacciatore.
 
La stanza era enorme. Piena di libri, crocifissi e ritratti di santi appesi alle pareti, ed era grigia, ovviamente.
Ad Hermione vennero i brividi. Era tutto così… inquietante.
Sul fondo dell’ufficio, dietro una scrivania, sedeva una donna di mezza età che la scrutava in silenzio. Quel poco di luce che entrava, era presente grazie alla finestra alle spalle della suora.
“Buongiorno” disse con un filo di voce Hermione.
“Buongiorno signorina. Prego, si accomodi” l’accolse la donna
“Io sono Suor Mary, la preside dell’istituto.”
“Hermione Granger” si presentò.
“Allora, sei qui per lasciare tuo figlio qui da noi?”
“Santo cielo no!!” esclamò lei con un po’ troppa voga e, prima di essere cacciata da quel luogo a pedate, si affrettò ad aggiungere: “Sono qui per avere delle informazioni”.
Suor Mary inarcò le sopracciglia e con un cenno della mano la invitò a proseguire.
“Sono stata adottata. So che mi hanno trovata qui, quando avevo circa un anno. E so che i miei genitori biologici sono morti, ma mio fratello credo di no e sono venuta perché o bisogno di trovarlo e di avere più notizie sulla mia famiglia” spiegò.
“Sai dirmi il tuo cognome?” le chiese la donna.
Hermione scosse il capo, ma dalla borsa, tirò fuori il medaglione e lo posò sulla scrivania.
La suora lo fissò e sgranò gli occhi.
“Non so niente” disse.
“Non è possibile!” esclamò Hermione, ma lo vide: un lampo negli occhi della direttrice e lo riconobbe. Terrore. Paura.
“Senta, mia madre mi ha detto che mio fratello è stato affidato alla donna che ha portato qui me. Chi era?” domandò.
“Ti ho detto che non so niente!” urlò Suor Mary “Faresti bene a lasciar perdere ragazzina. Quel bambino è morto! Non ci pensare più! È meglio lasciare i fantasmi al loro posto! Metti subito via quell’oggetto ed esci da questo luogo per sempre!” pronunciò quelle parole come se avesse voluto scacciare un demone.
Hermione  rimise subito la catenella all’interno della borsa e scappò via, quasi tra le lacrime.
“Jace, Jace andiamo!” prese per mano il ragazzo e cominciò a correre, trascinandoselo dietro, finchè il dolore ai fianchi fu così acuto da non poterlo più sopportare.
Cadde in ginocchio sull’erba di un parco a circa quattro isolati dall’orfanotrofio; Jace stava davanti a lei, in piedi, le mani sulle ginocchia, ansimando.
“Cosa ti hanno detto?”
“Niente!” sbottò lei “a parte, che mio fratello è morto!” poi, scoppiò in lacrime.
Si sentì sollevare da due braccia forti e sicure di sé e si trovo col volto di pochi centimetri da quello di Jace, sebbene lui fosse più alto di lei.
Le mani del ragazzo erano sul suo volto.
“Devi calmarti” le disse.
Ma cosa poteva capirne lui? Per gli Shadowhunters la morte era una questione quotidiana, la percepivano in maniera diversa da tutti gli altri; crescevano con la consapevolezza di poter perdere la vita da un momento all’altro.
“Non l’ho mai conosciuto Jace. Era l’unico modo per… per scoprire qualcosa sulla mia famiglia, per scoprire chi sono” rispose Hermione.
“Tu sai chi sei. Sei Hermione Granger. Come io sono Jace Lightwood anche se non sono figlio dei Lightwood. Non sono i legami di sangue a determinare una persona, bensì chi ha cresciuto tale persona. Quelli sono i veri genitori” i suoi occhi dorati brillavano sotto la luce del sole.
Hermione si scostò e si girò di spalle.
“C’è qualcosa che non va in me. La direttrice ha cominciato a dare di matto quando ha capito chi ero. Mi ha consigliato di lasciare perdere”
Jace ricordò il periodo in cui credeva di essere Jonhatan Morgenstern, quando credeva di essere un mostro, di avere sangue di demone dentro di sé. Aveva creduto che quella fosse la verità e non gli era piaciuta affatto. Aveva desiderato morire. Ed era una cosa che non avrebbe augurato a nessuno.
“Allora forse dovresti lasciar perdere” le consigliò.
“Cosa?” Hermione era sbalordita.
“Non sempre non sapere è una condanna. Non sempre restare nell’ignoranza è una cosa negativa”
“Tu al posto mio lasceresti perdere?” gli chiese.
Jace si incupì. I suoi occhi diventarono neri.
“Penso che se avessi passato tutta la vita credendo di essere un Wayland mi sarei risparmiato molto… dolore”  le rispose.
Jace che parlava di ciò che provava. Bella novità.
“Dobbiamo tornare all’Istituto Hermione”
“Tu vai. Io aspetterò un po’” gli disse.
“Non se ne parla, non puoi restare da sola!”
“Sì, che posso” gli assicurò “e se non altro, devo. Per gli altri noi due non siamo insieme in questo momento, ricordi?”
Jace emise un sospiro rassegnato “non fare sciocchezze” si raccomandò, poi in un batter d’occhio sparì.
 
Era passato molto tempo da quando era rimasta sola.
Non aveva pranzato, sebbene le campane della chiesa lì vicino avessero battuto le dodici parecchie ore prima.
Hermione tirò fuori il medaglione e lo aprì.
Osservò l’immagine di quel bambino allegro, con quell’aria da ‘amo – le - sfide’ stampata sul volto già a quell’età.
Ebbe una stretta al cuore e si sentì inondare dalla tristezza; con uno scatto chiuse il medaglione e cominciò a rigirarselo tra le mani, come faceva sempre quando era immersa nei suoi pensieri.
Se lo portò più vicino agli occhi, sebbene lo avesse studiato già con tutta l’attenzione che era capace di dargli.
Lo stemma dei suoi genitori, le lettere incise… e poi boom, quel simbolo comparve di nuovo davanti ai suoi occhi.
Hermione sussultò e lasciò cadere l’oggetto.
Lo aveva già visto, quel marchio, di recente. Nero e permanente.
Era una runa.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
 
 
“Isabelle! Alec!”
Hermione spalancò la porta dell’Istituto e corse in Sala Pranzo.
“Non ci sono… stiamo andando a caccia, loro due e Jace formavano il primo gruppo… ci stavamo chiedendo quando saresti tornata! Dove diavolo eri finita ‘Mione?” chiese Harry.
“Io… non importa. Vado a sistemarmi” e corse verso la sua stanza.
“’Mione, ‘Mione aspetta!” Percy l’aveva rincorsa lungo tutte le scale.
“Volevo chiederti scusa, per ieri”
“È tutto a posto, tranquillo” lo rassicurò lei.
Le mancava. Le mancava da impazzire il suo ragazzo, i suoi baci, le sue carezze…
“Sei molto pallida.. hai mangiato?” le domandò preoccupato.
Hermione scosse la testa. Se n’era completamente dimenticata!
“Vado a prenderti qualcosa” le disse e tornò dopo circa dieci minuti con un bel panino imbottito.
La ragazza era già pronta per andare a caccia e la sua uniforme faceva sembrare la sua pelle ancora più bianca.
Ringraziò il semidio e si avventò sul cibo, che ingurgitò a grandi morsi.
“Sono andata all’orfanotrofio stamattina” confessò guardando il pavimento.
“Come? Perché non me l’hai detto? Avrei potuto accompagnarti!” la rimproverò Percy.
Lei avvampò, poi disse, “volevo andarci sola. Insomma, era una cosa che… che dovevo fare da sola”, sentendosi decisamente in colpa e  raccontò l’accaduto sotto il suo sguardo incredulo e alla fine dispiaciuto.
“Pensavo che tu fossi con Jace” ammise il ragazzo.
“Perché avrei dovuto essere con lui?!” ribattè lei, cosa che fece aumentare ancor di più il suo stato d’animo.
“Non lo so. Forse hai ragione ‘Mione. Sono paranoico. È che ho perso così tanto… abbiamo perso così tanto… che ora ho paura di perdere anche te, e non voglio!”
Hermione sorrise e lo abbracciò.
“Non mi perderai mai, Percy” dopodiché si baciarono, molto dolcemente.
 
“Annabeth, l’Istituto degli Shadowhunters è stato attaccato di notte! È stato deciso che a turno due di noi sarebbero rimasti qui di guardia e ora questo compito tocca a te e ad Harry! Accetta la cosa, non puoi venire stasera!” stava urlando Clarisse.
“Oh, vai al Tartaro, La Rue!” imprecò la figlia di Atena.
“Il nostro Istituto ha più protezioni” fece notare Ron, “Magari…”
“NO. I patti sono patti!” esclamò Draco “Noi siamo rimasti l’altro ieri. Ora tocca a loro. E poi, Kingsley potrebbe arrivare con delle notizie da un momento all’altro, è sempre utile avere qualcuno qui!”
“Ha ragione, ‘Beth. Che ti costa non andare a caccia per una sera?” tentò di farla ragionare Harry.
“Oh e va bene!” si arrese lei, e rimase a guardare i suoi compagni uscire tutta imbronciata.
Quando si voltò, notò che Harry la stava fissando con un sorrisetto divertito stampato sul volto.
“Cos’hai da ridere, Fulmine?” gli chiese.
“Sei tu” e ridacchiò.
“Mi trovi buffa? Se vuoi posso dimostrarti quanto poco divertente posso essere” lo minacciò.
“Calmati. È che sei terribilmente testarda” le disse.
Le si avvicinò piano piano, e la bloccò tra il muro e il suo corpo.
Lei gli sorrise e posò le labbra sulle sue.
Cominciarono a baciarsi, prima dolcemente, poi con più passione.
In un lampo, si trovarono in camera di Harry, stesi sul suo letto.
Le loro labbra sempre incollate, le loro mani che si muovevano frettolosamente cercando l’altro.
I loro abiti volarono velocemente sul pavimento, mentre i due continuavano a cercarsi febbrilmente.
Annabeth guardò Harry negli occhi e lesse il desiderio che provava, rendendosi conto che anche lei voleva farlo.
Ricominciò a baciarlo e quando lui fece per toglierle la biancheria non oppose resistenza, abbandonandosi a quel momento, lasciandosi trascinare da quel sentimento, fecero l’amore per la prima volta.
“Ti amo” le sussurrò dolcemente all’orecchio Harry.
“Ti amo anch’io” rispose, accoccolandosi tra le sue braccia.
 
“Ti fa male?”
“Percy, no. Cioè, sì. Ma quando arriverò all’Istituto passerà, ci metterò pochissimo a sistemarla. È solo una ferita” rispose Hermione.
Il ragazzo aprì il portone d’ingresso e i due si recarono direttamente in infermeria, dove lei poté usufruire del suo kit di pronto soccorso e curare il profondo taglio che si era procurata sul braccio.
“Siamo tornati solo noi” li avvertì Ron “E Annabeth e Harry non sono in giro”
“Come?” domandò Percy.
“Sono in camera di Harry, la porta è chiusa a chiave” spiegò il rosso, sorridendo.
“Dio mio, sei proprio un pettegolo Weasley!” lo rimproverò Hermione, lanciandogli addosso il cuscino del letto su cui si era seduta e scoppiarono tutti a ridere.
“È arrivato qualcun altro! Vado a vedere” disse il semidio ad un tratto.
Si diresse verso l’ingresso e vide che erano gli Shadowhunters.
“Alec! Isabelle! Hermione vi cercava quando è tornata questo pomeriggio!” annunciò, ricordandosene.
Alec notò che Jace aveva inarcato le sopracciglia.
“Te l’ho già detto. Non tutti ti vogliono avere sempre intorno” lo beffeggiò.
“Non dire stupidaggini!” ribatté lui, con il suo solito tono sicuro di sé.
“Vado io!” li avvisò Isabelle, alzando le mani in aria, spazientita e si diresse presso l’infermeria.
“Hermione?! Mi cercavi?”
“Uhm, si Iz! Ron potresti…” non terminò la richiesta che il rosso era già uscito chiudendosi dietro la porta.
“Volevo chiederti, cosa vuol dire questa runa? Continua ad apparirmi ovunque!”
Le mostrò un disegno, dove un simbolo, simile a due falci incrociate, spiccava in nero sul foglio bianco.
Isabelle ne aveva uno uguale proprio sul petto.
“È la runa del potere angelico” le spiegò “è il simbolo degli Shadowhunters!”
“E allora, perché continuo a vederla ovunque? Voglio dire, cosa centra con me?” chiese Hermione.
La Cacciatrice fece spallucce, poi Jace irruppe all’improvviso nella stanza.
“Devo urgentemente disinfettare un taglio sulla spalla” si scusò.
“Non fa niente, tanto avevamo finito” gli rispose la sorella “ vado a mangiare qualcosa”.
Jace si tolse la giacca e rimase solo con la canottiera.
Che fisico pensò la strega, poi scosse violentemente la testa, per scacciare quel pensiero e distolse lo sguardo dal giovane.
Ma non durò molto, perché dopo qualche secondo i suoi occhi si puntarono nuovamente addosso a lui, percorrendo ogni tratto del suo corpo, sfiorandone i muscoli con la mente, studiando i marchi tatuati ovunque, soffermandosi su una strana cicatrice a forma di stella che aveva vicino al collo…
Cicatrice a forma di stella?! Hermione tornò alla realtà.
“Come ti sei fatto quella?!” gli chiese. Lei aveva una voglia uguale, a destra infondo alla schiena.
“È una voglia” spiegò Jace “compare su chi è stato in contatto con gli angeli”.
Cosa?! Pensò la ragazza, piuttosto perplessa. E quando mai io sarei entrata in contatto con un angelo?!
Ma non poteva esserne sicura, non sapeva cos’era successo nel primo anno della sua vita e quella voglia ce l’aveva da sempre.
“Jace, continuo a vedere ovunque la runa che voi Shadowhunters avete tatuata sul petto, quella del potere angelico”
Il ragazzo inarcò confuso le sopracciglia ma non si girò.
“Non è possibile”.
Anche Clary la vedeva, a suo tempo, ma lei aveva un blocco mentale, ed era una Nephilim.
“Se fosse impossibile non succederebbe” replicò decisa Hermione.
Fu quando Jace si voltò a guardarla, che le mancò il fiato, che il cuore cominciò a batterle all’impazzata e iniziò ad ansimare.
“Ehi?! Tutto bene?!” le domandò lui, preoccupato, avvicinandosi.
“Dove l’hai preso?!”
“Eh? Cosa?” boccheggiò lui, chiedendosi se la ragazza avesse battuto la testa.
Quello” rispose, puntandogli un dito contro.
Un medaglione, identico a quello di Hermione, brillava sul petto di Jace, appeso ad una catenella che lui portava attorno al collo; non glielo aveva mai notato addosso.
“Oh, Amatis Herondale, la prima moglie di mio padre, me l’ha dato insieme alle sue cose dopo che ho scoperto di essere suo figlio, perché?” rispose lui, sempre più turbato dall’atteggiamento della ragazza.
“Aspetta qua” gli ordinò e poi corse via, nel corridoio, giungendo alla sua stanza e prendendo il suo medaglione dal comodino.
La sua mente lavorava freneticamente, senza tregua e senza ottenere risultati accettabili. O comprensibili. Tornò rapidamente in infermeria.
Jace era ancora là.
“Guarda” gli disse annaspando e gli porse il gioiello.
“Questo è assurdo” commentò lui aprendo la bocca per lo stupore.
“Hermione… per caso hai?!” fece per chiederle dopo qualche minuto di silenzio, ma lei si era già voltata di spalle, scoprendo la parte della schiena dove c’era la sua voglia a forma di stella.
Jace sussultò.
“H. J.” mormorò, pensando alle lettere scritte nella parte del medaglione che nascondeva la foto di quella che lui aveva immaginato essere sua sorella, o al massimo sua cugina. Amatis non gli aveva detto nulla a riguardo, né lui le aveva mai chiesto alcunché. Era già troppo complicata la sua storia familiare per venire a conoscenza di altri particolari ingarbugliati e si era voluto auto-convincere che non ci fosse altro da sapere.
“Hai un secondo nome, Hermione?” le domandò a un certo punto, col cuore che mancava di qualche battito a intervalli regolari.
Stava per scoprire qualche altro particolare segreto della sua famiglia? Non era sicuro di volerlo. Ma questo riguardava anche Hermione e lei voleva capire, quindi non poteva tirarsi indietro. E sapeva per certo che se lo avesse fatto, alla fine, probabilmente, se ne sarebbe pentito e ci avrebbe pensato in continuazione.
“Jean. Hermione Jean Granger” rispose lei con un filo di voce. Stava tremando.
“J. C.” rifletté. “Jace…” il cuore sembrò fermarsi nel suo petto.
Lui la fissava ad occhi sgranati e lei si sedette sconvolta sul letto.
Si sentiva mancare l’aria; sarebbe svenuta, ne era certa.
“Dobbiamo… dobbiamo parlare con Amatis” boccheggiò il ragazzo.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


 
Capitolo 9

 
 
 
Fu proprio in quel momento che Percy entrò nella stanza.
“Cosa succede? Hermione stai bene?”
La ragazza lo fissò e poi corse via, andandosi a chiudere a chiave nella sua stanza. Era molto pallida.
“Cosa le hai fatto o detto Jace?!” inveì il semidio.
“Nulla che ti possa anche solo lontanamente riguardare” rispose lui, freddo come il ghiaccio e con gli occhi fissi nel vuoto.
“È la mia ragazza, Lightwood. Tutto ciò che riguarda lei, riguarda anche me, che ti piaccia o no!” controbatté Percy.
“Credimi, non è giornata per attaccare briga con me, Jackson. Ho delle cose da fare, e sono urgenti. Non seccarmi” il biondino si diresse verso la porta e fece per andarsene.
“Dammi una buona ragione per lasciarti andare, per non affogarti in questo istante” urlò il semidio.
“Hermione non te lo perdonerebbe mai” rispose Jace e uscì dall’infermeria.
 
Hermione si gettò sul letto e cominciò a piangere.
Si trovava finalmente a un passo dalla verità, ma comunque non riusciva ad afferrarla. O forse non voleva, non ne era più così tanto sicura.
Attrazione. No, non si trattava di questo, non era questo ciò che l’aveva spinta ad avvicinarsi a quel ragazzo dai capelli biondo sporco e gli occhi dorati: si trattava del sangue.
Il richiamo del sangue, aveva sempre sentito dire, è tra le forze più potenti al mondo.
E il caso aveva voluto che lei lo sperimentasse in prima persona, sbattendogli sul cammino un sarcastico fratello con la mania di andare a cercare di proposito tutto ciò che lo poteva uccidere e che fino a pochi mesi prima non sapeva di avere.
Un fratello che lei aveva riconosciuto fin dall’inizio, e adesso se ne rendeva conto; non le erano mai andati a genio quei sarcastici, sbruffoni, pieni di sé come Jace, non ne era mai stata interessata, anzi cercava di liberarsene, mentre nel suo caso, lo aveva avvicinato perché sentiva che c’era di più sotto quella sua maschera imperturbabile, che c’era molto da scoprire su quel ragazzo.
E aveva avuto ragione. Su tutto. Come quando era l’unica a credere che Malfoy fosse cambiato... Lei era Hermione Granger, lei aveva sempre ragione, che lo volesse o meno.
Toc, toc.
Si affrettò ad asciugarsi il viso e cercò di far suonare la sua voce il più calma possibile. “Avanti”.
“Ehi… Amatis è qui, a Manhattan. Jace l’ha dovuta convocare, non potendo andare di persona a Idris. Mi ha chiesto di chiamarti e di dirti di metterti in uniforme e di portare con te delle armi” annunciò Isabelle, con tono incerto.
Hermione sgranò gli occhi “va.. vado subito da lui” borbottò.
Rimasta nuovamente sola, si sciacquò la faccia, si sistemò e poi corse di sotto.
Strada facendo, incrociò Percy, che le rivolse un grande sorriso e la bloccò stringendola tra le braccia.
“Ehi, dove scappi?” le sussurrò, avvicinando le labbra a quelle della ragazza.
“Non ora, per favore. Devo fare una cosa importante” rispose lei, non senza lasciar trasparire tutta la sua agitazione.
“E per caso, questa cosa la devi fare con Jace?!”
“Non puoi capire Percy. Non lo capisco nemmeno io. Ma forse, entro qualche ora potrò dare delle risposte a entrambi” gli disse e corse via, lasciando solo il semidio, che continuò a fissare perplesso il punto dove lei era scomparsa.
 “Jace..?!” chiamò Hermione, con voce tremante, dopo aver bussato piano alla porta aperta della camera del ragazzo.
“Sono qui” rispose una voce proveniente da dietro un’anta dell’armadio.
Il ragazzo uscì a torso nudo, infilandosi una canottiera pulita e il resto della tenuta da Cacciatore.
“Sei pronta. Si va a caccia” la informò il ragazzo.
“Cosa?!” domandò lei, spalancando la bocca.
Credeva che sarebbero andati da Amatis.
“Si. Andiamo a caccia della verità, Granger”.
 
Il viaggio fu lungo e silenzioso.
Jace non sapeva come doveva comportarsi: gli era risultato abbastanza semplice relazionarsi con Hermione, ma ora era diventato tutto più complicato, colpa di una realtà che nessuno dei due si era andato a cercare; erano successe già tante cose che gli avevano fatto mettere in dubbio la sua identità e ora questo.
Cosa gli avrebbe rivelato Amatis? Lui era nato all’ottavo mese di gravidanza, dopo la morte di sua madre e suo padre. Come poteva avere una sorella più piccola?
“È qui che ha detto di aspettarla” disse a un certo punto, una volta giunti davanti al portone di un grande condominio.
Passarono pochi minuti, in cui il silenzio continuava a vigere tra i due, finchè Hermione non provò a parlare “Jace, ascolta…”
Fu interrotta da un rumore che si levò proprio alle loro spalle. Si voltarono.
Il portone si stava spalancando.
“Questo è normale?” chiese preoccupata.
“Non lo so” rispose il ragazzo, sfoderando la sua spada angelica.
“Jace? Sono Amatis. Salite” li informò una voce che probabilmente proveniva dal primo piano.
I due si guardarono per un attimo, poi salirono.
“Quella la puoi mettere via” disse la donna indicando la spada, quando l’ebbero raggiunta.
I suoi occhi azzurri si spalancarono e furono attraversati da un’emozione che Hermione non riuscì a decifrare, quando la vide.
“Tu… non è possibile. Tu sei… sei Hermione! Mio dio, mi è sembrato di rivedere Celine!” esclamò Amatis.
“Mia madre?!” chiese Jace.
Lo sguardo della donna si intristì e lei si voltò di spalle, invitandoli a entrare in uno degli appartamenti.
Una volta accomodatisi in salotto, arredato a puntino, con colori miti e floreali, tanto che a Jace ricordò uno dei giardini di qualche villa a Idris, Amatis offrì loro del tè e poi si scusò per l’orario dicendo che non sarebbe potuta andare da loro il giorno dopo.
“È solo l’una” la rassicurò il ragazzo, abituato a starsene in giro a caccia anche per tutta la notte.
“So già cosa volete sapere” li anticipò la donna.
I due le porsero i loro medaglioni e lei annuì.
“Sarà una storia lunga, ma prima che ve la racconti, Jace devo chiederti di non giudicarmi e, se ti è possibile di non odiarmi”
Lo Shadowhunter rimase a fissarla, impassibile. Lei trasse un profondo respiro e poi parlò: “Come ben sapete, io sono stata la prima moglie di Stephen Herondale, ehm.. vostro padre. Perché ormai credo che sia ben chiaro anche a voi che siete davvero fratelli e che non si è trattato di una coincidenza.
Dicevo, sono stata legata a lui finchè mio fratello Luke non divenne un Nascosto, fatto dopo il quale Valentine decise di trovare una moglie più consona per il suo più fedele servitore”.
Amatis si era alzata, ora raccontava tutto fissando un punto fuori dalla finestra. Hermione sospettava che non stesse sbattendo neanche le ciglia, un po’ come se fosse in trance… tanto meccanica sembrava la sua voce!
“Quando Stephen mi lasciò, io aspettavo un bambino, ma lui non lo seppe mai”.
Jace si voltò a guardare Hermione, inarcando le sopracciglia.
“No, non lei” confessò la donna.
Quando si girò per guardare il ragazzo in faccia, aveva gli occhi carichi di lacrime “tu, Jace”.
“E così io sono figlio tuo? E quindi è Hermione la figlia di Celine?” eccola, la batosta che si era aspettato per tutta la sera. Un’altra occasione in cui smascherare un falso genitore. Doveva esserci abituato, ormai.
Amatis annuì.
“Mi hai abbandonato! Mi hai lasciato nelle mani di Valentine!” ruggì Jace.
“Non è così! Ti prego di ascoltarmi!” lo supplicò, tra le lacrime.
Hermione posò la sua delicata mano su quella del ragazzo, per fargli forza.
Lui si ritrasse bruscamente.
“Tuo padre, non seppe mai di te. Ma Valentine si. Fu lui a portarti via da me, quando avevi appena due anni e io non ebbi mai più tue notizie, mi dissero che ti aveva ucciso e pensai che fosse vero, fino al giorno in cui ti donai le cose di tuo padre di cui ero in possesso. Ho provato a cercarti, te lo giuro Jace. Non avrei mai rinunciato a te”
Lui si alzò e fu il suo turno di andare a fissare il vuoto fuori dalla finestra.
“E Hermione? Lei come ci è finita in un orfanotrofio?” domandò.
La ragazza sussultò. Voleva davvero saperlo?!
“Sai già che Valentine fece nascere il bimbo di Celine, o meglio, la bambina. Ci fu un periodo, in cui vi tenne tutti e due. Hermione aveva un anno quando Hodge ed io la sottraemmo a quel… quell’uomo” raccontò, marcando con particolare disgusto la parola ‘uomo’ riferita a Valentine.
“Non potevo tenerla, si sarebbe capito tutto. E saremmo morti tutti. Creai i due medaglioni e decisi di portare qui la bambina, di metterla al sicuro. Così la lasciai all’orfanotrofio, dove Valentine non l’avrebbe mai trovata, spiegando che doveva assolutamente avere con sé quell’oggetto, che rappresentava la sua famiglia, la sua discendenza dagli Shadowhunters. È il simbolo con la H circondata da uccelli in volo, vedi?” disse a Hermione, indicandole un modo di vedere quel medaglione, diverso da come lei lo aveva sempre osservato: al posto della runa angelica, ora vedeva lo stemma degli Herondale.
“Ad ogni modo, fummo fortunati. Perché Valentine trovò l’orfanotrofio, ma tu eri già stata affidata a una famiglia che volle restare anonima e che sparì subito dopo la tua adozione”
“Ecco perché Suor Mary si è spaventata così tanto quando ha capito chi ero! Valentine deve averle fatto qualcosa!” dedusse Hermione e Amatis confermò la sua teoria.
“Non pensavo che vi sareste mai incontrati… Jace io provai a cercare anche te, ma non c’eri… fu così che mi convinsi che eri morto. E tenni quel medaglione per me, come se potesse farti sentire la mia vicinanza… fino a quando non ti ho incontrato” provò a giustificarsi la donna.
“Non c’ero, ovunque tu abbia cercato, perché ero nella tenuta dei Wayland” le disse seccamente.
“Lo so che mi odi, ma..”
“AVRESTI POTUTO DIRMELO ANNI FA!! AVRESTI POTUTO DIRMELO QUANDO HO SAPUTO DI MIO PADRE PIUTTOSTO CHE DIRMI UN’ALTRA BALLA!!” esplose il ragazzo.
Amatis scoppiò di nuovo a piangere, e infine disse “Cercavo solo di non farti più male di quanto già eri costretto a sopportare… credevo che voi due non vi sareste mai incontrati… Jace…” si avvicinò al figlio per poterlo toccare, ma lui si scansò e si rivolse a Hermione “Ti aspetto di sotto. Se hai ancora domande da fare a questa donna”, dopodiché sparì.
“Gli passerà signora. Vedrà che la perdonerà!” tentò di consolarla la strega.
“Oh, non lo so. Jace è imprevedibile e io merito di essere odiata. Avrei dovuto dirglielo prima” ammise.
“Sarà meglio che tu vada, comunque. Si sta facendo molto tardi” consigliò poi ad Hermione.
“Solo un’ultima domanda… come posso essere una Shadowhunter e una strega,( non della categoria dei Nascosti), insieme?”
“Oh. Il potere magico si è manifestato in te. Che coincidenza! Si diceva, anni fa, che una delle bisbisbisnonne di Celine fosse una strega, lei aveva radici in Inghilterra, sai?! Ma il sangue di Shadowhunters batte qualsiasi altro genere. Fidati se ti dico, che sei più Nephilim che qualsiasi altra cosa”  le spiegò.
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi Hermione si alzò.
“Grazie, signora” sussurrò e salutò Amatis con un sorriso.
“Figurati. E comunque, chiamami pure Amatis” le disse lei, facendole un cenno col capo in segno di congedo.
“Beh, allora arrivederci, Amatis. Buonanotte.”
 
Quando uscì dal palazzo, Hermione vide Jace appoggiato con le spalle e un piede al muro di fronte, fissando il vuoto, le braccia conserte.
Non appena la notò e tornò alla realtà, le fece cenno di tornare all’Istituto.
Metà della strada, la trascorsero in silenzio: entrambi avevano ricevuto la loro dose di shock e avevano delle cose a cui pensare, dati da elaborare.
A un certo punto la ragazza si fermò.
Lui, invece, fece qualche passo avanti, soprappensiero, poi si accorse che Hermione era rimasta indietro e si voltò.
“Jace…” cominciò lei “mi dispiace tanto”.
“Non riesco a capire perché voi mondani vi scusiate sempre per cose di cui non avete colpa” ribadì lui, tornando a guardare avanti.
“Sai cosa voglio dire… e sai che in parte se stai provando questo, è colpa mia. E per l’ultima volta, ti ricordo che io, non sono una mondana.” rispose lei.
“Come vuoi, ma a me non importa”
Fu come ricevere una doccia fredda. Aveva passato gli ultimi mesi della sua vita a pensare a lui, a cercarlo, lo aveva aiutato, curato e a lui non importava?! Oh, ma certo che gli importava! Stava solo facendo l’orgoglioso, come sempre.
“Dovresti smettere di comportarti così” gli disse.
“Così come?” domandò lui, inarcando le sopracciglia
“Come se niente potesse ferirti”.
Fu il turno di Jace di ricevere uno schiaffo in piena faccia.
Fu lui a fermarsi, questa volta.
“Parli come lei” mormorò con lo sguardo perso.
“Come scusa?”
“Parli come Clary, a volte” ripetè il ragazzo.
“Io non sono Clary. Potremmo anche avere qualcosa in comune, ma non sono lei. Non mi faccio ferire e poi stare ai tuoi sbalzi di umore. Ai tuoi ‘ora ci sono, ora non ci sono più’, ai tuoi ‘ora mi importa, ora non più’. E sono tua sorella purtroppo. Avrei sperato in qualcuno di meglio, in qualcuno che sarebbe stato felice di ritrovarmi e non in una persona alla quale non importa nulla, per la quale sarebbe meglio che io non esistessi!” ruggì lei.
Ora delle lacrime silenziose le rigavano il viso.
Quando Jace si avvicinò per asciugargliele, fu lei a ritrarsi.
“Non capisco perché mi sono data tanta pena per te. Per aiutarti e per trovarti” sputò quelle parole come se fossero veleno e il ragazzo sgranò gli occhi, profondamente ferito.
“Hermione…” le sussurrò cercando di prenderla per il braccio.
“No” rispose lei, strattonandolo.
“Ho bisogno di stare da sola per un po’”
“Sei pazza?! È notte fonda!” le fece notare lui, “io non ti lascio”.
“Sì. Tu lo farai. Mi lascerai tornare da sola. Non ti voglio accanto a me”
Lo sguardo della ragazza era deciso, fisso negli occhi dorati di Jace, che in quel momento, sembravano dei vetri sul punto di infrangersi.
Il ragazzo arretrò.
Hermione si stava cominciando a sentire una ‘strega’ perfida, e i sensi di colpa stavano arrivando a tormentarla, ma si voltò ugualmente e proseguì da sola lungo la strada di ritorno all’Istituto.


Angolo dell'autrice: ciao a tutti :) spero che la mia storia vi stia piacendo! Se qualcosa non vi è chiara potete chiedere, ma soprattutto recensite e commentate perchè ci tengo tanto a sapere la vostra opinione :) A presto con il decimo capitolo :)

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 
 
 
 
Cominciò a piovere.
Jace era ancora in piedi, impalato nel punto in cui Hermione lo aveva lasciato. Si era comportato da stupido.
Fu quando la pioggia divenne insopportabile che costrinse le sue gambe a muoversi e a riportarlo all’Istituto.
Non faceva che pensare, ma senza pensare veramente.
Si era comportato da stupido, quella ragazza aveva pianto quando lo aveva creduto morto e nemmeno lo conosceva e lui l’aveva ripagata dicendole che non gli importava di avere una sorella.
È che a questo punto, non voleva più illudersi di aver capito tutto del suo passato, della sua famiglia. Non voleva più illudersi confidando che non ci fosse più nient’altro da scoprire, nient’altro che lo ferisse, che intaccasse la sua identità. Temeva di affezionarsi a lei e poi di perderla.
Non lo avrebbe retto.
Varcò la soglia dell’edificio, bagnato fradicio e subito Isabelle gli fu addosso.
“Jace! Jace, per l’Angelo! Eravamo così in pensiero per te! Dove diavolo sei stato per tutto questo tempo? Non credo che da Amatis ci sia voluto così tanto!”
“Da mia madre” rispose, secco, togliendosi la giacca inzuppata.
“Tu.. cosa? È sepolta a Idris!” ribattè Alec.
“Oh no, a quanto pare mia madre è Amatis. E Hermione mia sorella. È la figlia di Celine. A proposito, lei dov’è?” domandò Jace, guardandosi intorno preoccupato. Aveva un brutto presentimento.
“Credevamo che foste insieme” disse Isabelle, inarcando le sopracciglia.
“Abbiamo discusso. Ha detto che sarebbe tornata qui, non mi voleva attorno. Avrei dovuto seguirla, che stupido!” inveì contro sé stesso il ragazzo,tirando un pugno sul muro e ferendosi alla mano.
“Arriverà, vedrai. Magari si è fermata per ripararsi dalla pioggia… intanto vieni, ti sistemo la mano” lo rassicurò Alec.
“Devo andare a cercarla Alec!” esclamò Jace, adirato.
Possibile che non capissero? Sapevano benissimo quanto fosse pericoloso stare là fuori da soli.
“Non serviresti a niente con la mano fuori uso!” replicò Isabelle.
“Te la rimettiamo a posto e poi andiamo a cercarla. Insieme.”
“E va bene!” Jace fu costretto a rassegnarsi; Alec avrebbe potuto convincerlo, ma con Isabelle discutere era totalmente inutile.
 
Quando Hermione non conosceva bene una città, almeno per i primi tempi, aveva bisogno di molta concentrazione per non perdersi.
Cercava di ricordare le strade, nomi di locali che Percy le aveva indicato una sera mentre erano a caccia, la via seguita da Jace per arrivare da Amatis.
Jace. Come doveva comportarsi con lui? Cosa dovrebbe provare, come dovrebbe reagire una persona che ha passato mesi a cercare qualcuno che non voleva essere trovato?
Forse si era sbagliata quando aveva pensato che il ragazzo stesse semplicemente facendo il duro; forse a Jace non importava davvero niente di lei. L’aveva lasciata andar via da sola e in fin dei conti sapeva da anni di avere una sorella, ma non si era mai preoccupato di cercarla.  
Si chiese se effettivamente a lui importasse qualcosa oltre l’uccidere i demoni.
“Che stupida” si disse a voce alta.
Guardò l’orologio: erano le tre di notte. Il cielo non prometteva nulla di buono e Hermione vagava per la città in preda ai suoi pensieri, senza prestare attenzione a dove svoltava.
Poi cominciò a piovere, a dirotto e usò un incantesimo non verbale per proteggersi al meglio; ma era sabato sera, la gente cominciava a uscire dai locali, qualcuno avrebbe notato, prima o poi, foschia o no, che lei camminava sotto l’acqua eppure era ancora asciutta.
Risvegliata da questa riflessione, si rese conto di essersi spinta più lontano di quanto credesse. Era in piedi, di fronte al Pandemonium.
I suoi piedi l’avevano condotta in quel luogo, chissà perché.
Forse dipendeva dal fatto che stesse pensando a Jace e che quello era il luogo dove lo aveva incontrato per la prima volta? O forse dal fatto che aveva un’inconscia voglia di prendere a calci nel sedere dei mostri, giusto per sfogarsi, come faceva quando era frustrata o arrabbiata.
Ad ogni modo, qualunque fosse il motivo, decise di entrare nel locale.
Restava aperto fino alle cinque del mattino, per cui pregò che per quell’ora smettesse di piovere.
La musica, le sembrò ancora più alta dell’ultima volta che vi era stata; il Pandemonium era ancora pieno zeppo di gente che si scatenava e urlava, i più erano ubriachi.
Ordinò un cocktail e si mise ad osservare le persone, chiedendosi chi tra loro fosse un Nascosto o un demone.
È assurdo come i babbani non sospettino nulla.
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi. A un tratto sentì qualcosa di strano. Hermione non avrebbe saputo dire esattamente cosa, ma quando spalancò le palpebre, queste si fermarono sul volto di una persona ben precisa.
Era una donna, di quelle senza età. Capelli neri e occhi blu. No, erano verdi. “Ma adesso sono viola!” pensò la strega.
Okay, quella non era una semplice donna.
Notò che stava conducendo un ragazzo dietro uno stanzino buio, quel genere di luogo dove i più spregiudicati vanno a fare sesso durante le feste, e decise di seguirli.
Si accovacciò dietro una catasta di scatoloni e spiò i due dalle fessure; si stavano baciando, molto intensamente.
Dopo un po’, proprio quando stava cominciando a pensare di aver preso un granchio, vide le unghie della donna trasformarsi in artigli e mirare alla gola del giovane.
Hermione fu velocissima, balzò fuori e saltò addosso alla creatura, bloccandole le mani e le gambe.
“Va’ via!” urlò al ragazzo.
Lui, sgranò gli occhi, confuso e corse fuori dalla stanza.
“Tu chi ssseii?” le domandò il demone, mostrando la sua lingua serpentina.
“La tua fine. Credo” rispose la ragazza, cinque secondi prima di conficcargli uno dei suoi pugnali nel petto.
Mentre lo ripuliva del sangue, non fece caso a ciò che accadeva alle sue spalle.
Qualcuno si avvicinava e quel qualcuno era armato, un bastone di legno stretto nella mano.
Hermione si voltò, sentendosi osservata, ma prima ancora di scorgere qualcosa, sentì un forte dolore alla tempia e poi non vide più nulla.
 
“Avresti dovuto prenderti cura di lei!”
“Percy smettila. Non è colpa di Jace! Lei gli ha chiesto di starle alla larga!” lo difese Isabelle.
“No. Ha ragione. Non avrei dovuto lasciarla andare sola. E ora è scomparsa” ammise Jace, lo sguardo triste.
È solo che sei un perfetto idiota, si disse.
“Io vado a cercarla” annunciò il figlio di Poseidone.
“Vengo con te” esclamarono in coro Harry, Ron, Luna, Ginny, Draco e Neville.
“No, andrò io con lui” sentenziò lo Shadowhunter, con un tono che non lasciava possibilità di repliche.
“È più facile che vi ammazziate a vicenda.. sai che bel colpo per un demone se anziché attaccare lui, vi attaccaste tra di voi” borbottò Alec, ma i due lo ignorarono.
“Ma vengo anche io!” decise Isabelle.
“Bene. Noi tre. Discorso chiuso” assentì Percy.
“Da dove cominciamo?” chiese la cacciatrice.
“Oh Izzy, sottovaluti i privilegi dell’essere un semidio. Ho appena avuto un’idea” disse tirando fuori una dracma doro.
“Messaggio-Iride” spiegò “chiederò di parlare con Hermione e mi mostreranno dove si trova”
“Che stai aspettando?” lo incalzò Jace.
La figura che comparve davanti a loro, non fu nulla di piacevole: la ragazza era distesa per terra, con le mani legate e aveva un brutto squarcio sulla fronte, a destra.
Dietro di lei, vi erano tanti scatoloni di cartone, impilati uno sopra l’altro.
“È lei. Ha ucciso Ellie” stava dicendo un ragazzo.
“Mmmh. Non ha marchi. Non è una Shadowhunter. Cosa diavolo significa?” disse una voce “voglio parlare con lei, quando si sveglierà”
Il messaggio-Iride sparì. “Inserire un’altra dracma per continuare la chiamata”
“Non ne ho un’altra, maledizione!” imprecò Percy “Che avete voi due?”.
Jace e Isabelle si stavano fissando, gli occhi sgranati.
“Quella voce..” mugugnò il ragazzo.
“Sebastian!” esclamò con odio la ragazza.
“Dobbiamo andare. Subito. Sono al Pandemonium” disse Jace.
 
Hermione era sveglia già da un po’, ma non osava aprire gli occhi.
Il ragazzo biondo, dagli occhi neri, aveva detto che voleva parlarle, ma lei non ne aveva voglia in quel momento.
Pensò che fingendosi ancora svenuta, avrebbe potuto udire qualcosa di interessante.
“Se solo quell’idiota di mio padre mi avesse spiegato come fare!” stava urlando il giovane.
“Sai che potrei provare…” azzardò una ragazza dalla voce che Hermione immaginò un tempo dovesse essere gentile, anche se ora sputava veleno ad ogni parola.
“Non rischieremo. Dobbiamo trovare un modo, più sicuro. Non possiamo permetterci errori e soprattutto non si scherza con il processo per l’evocazione dei demoni. Se solo avessimo gli Strumenti Mortali…”
“Ci basterebbe la spada. E la potremmo sempre rubare” gli assicurò lei.
“I Fratelli Silenti avranno preso le giuste precauzioni dopo ciò che ha fatto Valentine. Dubito che sarebbe così facile” disse il ragazzo.
“Ascolta Sebastian. Tu vuoi distruggere gli Shadowhunters, giusto? E lo voglio anche io. Posso farcela. Fammi provare…”
Hermione non capì cosa stesse suggerendo la ragazza, perché all’improvviso si udì un forte rumore e la porta dello stanzino volò verso l’altro capo della stanza.
“Bene, bene. Il paladino Jace è arrivato. Come va, fratellino?!” lo beffeggiò Sebastian.
La strega aprì gli occhi. Jace era davvero lì, con Percy e Isabelle.
E perché quel giovane lo aveva definito ‘fratellino’?
“Andate via!” urlò Hermione.
“Uhm, vi conoscete dunque? Sono qui per te, bella addormentata? Finalmente sei sveglia” le disse Sebastian, avvicinandosi e scostandole una ciocca di capelli dal volto.
Hermione lo sputò.
“Che caratterino” commentò lui, ridacchiando.
“Non la toccare!” ruggirono insieme Percy e Jace “e noi non siamo fratelli” precisò lo Shadowhunter.
Una risatina isterica, palesemente divertita, riecheggiò nell’aria a quel punto e la ragazza che stava parlando con Sebastian, uscì da dietro un angolino.
Indossava una divisa da Cacciatrice ed era ricoperta da marchi che si intravedevano nei punti lasciati scoperti dagli abiti. Era molto bella, pensò Hermione. E sexy.
“Non è possibile!” esclamò Isabelle, spalancando la bocca.
Jace sgranò gli occhi. La lama angelica che impugnava gli cadde dalla mano. Impallidì.
Quei capelli rossicci, quegli occhi verdi, quel corpo appena pronunciato…
“Come liquidi in fretta il nostro amore” disse la ragazza, abbozzando un sorriso provocatorio che sapeva di tante cose assieme: sfida, malizia, divertimento. Odio, forse.
Clary?!” sussurrò Jace.


Angolo dell'autrice: ciao a tutti :) Sono riuscita ad aggiornare anche oggi, sebbene il capitolo non sia molto lungo :) Non è un gran che, ma spero che vi piaccia!
Per favore recensite e commentate, fatemi sapere che ne pensate della storia, nel bene e nel male vi sarò grata, ci tengo a sentire le vostre opinioni :)
A presto, Bell :D


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
 
 
 
Clary?!” sussurrò Jace.
“Clary?!” lo canzonò lei facendogli il verso, poi ridacchiò “dovresti vedere la tua faccia!”
“Non è divertente!” esclamò Isabelle, scioccata e confusa allo stesso tempo.
“Tu… tu sei morta! Noi abbiamo visto il tuo cadavere!” affermò Alec.
“Voi avete visto solo quello che io ho voluto farvi vedere” spiegò Sebastian.
Cosa?!” fu Jace, dopo parecchi minuti di silenzio, a parlare.
Era rimasto impalato a guardare Clary, con gli occhi sgranati per la sorpresa, il sollievo, la gioia di rivederla e il dolore per quella pugnalata che la ragazza aveva inferto a tutti loro.
“Cosa le hai fatto, Jonathan?”
“Non mi ha fatto niente” rispose lei.
“E come mai ora sei dalla sua parte? Che state combinando?” la incalzò Isabelle.
“Oh Iz… sai, potremmo pure dirvelo… non uscirete vivi da qui, comunque. Ma credo che farvi morire col dubbio, non mi dispiaccia poi così tanto” la beffeggiò Clary.
“Vedete, lei è mia sorella, dovevate aspettarvi che prima o poi avrebbe capito, che si sarebbe unita a me!” dichiarò Sebastian – Jonathan.
Perché?!” mormorò Jace, con le mani strette in due pugni, le nocche bianche, tanto forte stava stringendo nel tentativo di placare la rabbia, lo stupore e il dolore per ciò che stava accadendo.
Forse, tra il credere che Clary fosse morta e l’accettare la verità, ossia che lei fosse passata al ‘lato oscuro’ e che avesse tagliato tutti i ponti con lui e con gli altri, il ragazzo avrebbe di gran lunga preferito dover sopportare la prima opzione.
“Mi hai sempre vista come un angelo, ma non hai mai capito che non lo sono davvero. Mi hai conosciuta quando non sapevo nulla del vostro mondo e voi tutti mi avete insegnato a vedere le cose a modo vostro. Mio fratello mi ha spiegato come vederle a modo mio” disse lei.
“A modo suo, vorrai dire!” la corresse Alec.
“No. A modo mio. Jonathan mi ha dato la possibilità di scegliere: tornare da voi o restare con lui. Io ho deciso per la seconda”
“Clary, tu non sei così! Tu non sei questa” urlò Jace a quel punto.
Sembrava che volesse buttar via dal suo corpo tutto il dolore che stava provando in quel momento e che gridando credesse di riuscirci.
“Sempre convinto di sapere chi sono, vero, Herondale? Sempre sicuro di conoscermi. Forse un tempo era così, ma ora è cambiato tutto” lo avvertì Clary.
“Cos’è cambiato?! Perché proprio non riesco a capirlo!” chiese il ragazzo.
Io, Jace. Sono cambiata io. Ho capito che bisogna stare dalla parte della propria famiglia, e lui è la mia” disse indicando Jonathan, che stava appoggiato al muro, con le braccia conserte, esibendo un sorriso soddisfatto.
Relascio, pensò Hermione, e le corde che la legavano si ruppero all’istante.
Lo sapeva che non doveva perdere tempo, che di lì a poco ci sarebbe stato uno scontro.
Si era sempre immaginata Clary come una ragazza dolce e anche un po’ indifesa, ma a lei, in quel momento, sembrava arrogante, meschina e terribilmente egoista.
Come aveva potuto fare una cosa del genere a Jace? Jace che l’amava sopra ogni cosa, Jace che ne aveva già passate così tante, Jace che non era mai riuscito a dimenticarla e che continuava ad avvertire il peso della sua morte come un macigno pesante sul cuore, dal quale non si sarebbe mai liberato, prima d’ora.
Quindi, quella era Clary. Bellissima certo, persino sexy, anche se in un modo diverso da Isabelle. E quello era Jonathan, o Sebastian, o come cavolo voleva chiamarsi. E i due erano fratelli.
Hermione ricordò quando Percy le raccontò di Luke, di come Hermes, suo padre, avesse avuto fiducia in lui fino all’ultimo secondo della vita del figlio.
Se c’è una cosa che ho imparato nel corso dei millenni è che non si possono abbandonare i propri familiari”, così aveva detto il dio a Percy e quest’ultimo ad Hermione.
Fu invasa da una strana sensazione, il suo posto era accanto a Jace, che loro lo volessero o meno.
Si alzò in piedi e corse accanto al fratello.
“Cosa?! Come diavolo hai fatto?!” esclamò Jonathan sgranando gli occhi e inarcando le sopracciglia.
Hermione lasciò che un sorriso provocatorio le spuntasse sul viso.
“Sai, non è tutto qui, il mondo! Non c’è solo ciò che ti è dato sapere” gli rispose.
“Clary! Chiama i demoni. Chiudiamo questa faccenda!”
Esattamente cinque secondi dopo che Jonathan ebbe pronunciato quelle parole, un gruppo di cinque enormi demoni deformi riempì la stanza e si avventò sui ragazzi.
Jace afferrò la sua lama, Isabelle fece scoccare la sua frusta, Alec incoccò il suo arco e Percy fece scattare Vortice.
Quanto a Hermione, lei stava pensando di fare qualcosa di epico. Tremendamente pericoloso, certo, ma quelle creature non sembravano affatto amichevoli e lei voleva tornare presto all’Istituto, parlare con il fratello e raccontare tutto ciò che aveva scoperto al figlio di Poseidone.
Senza contare, che nonostante la loro preparazione, dubitava potessero avere la meglio su quegli esseri: erano tutti molto provati.
Chiuse gli occhi e si concentrò; portò le mani davanti a sé e respirò a fondo.
Gli Shadowhunters stavano lottando a fatica contro i mostri; Percy ne aveva eliminato uno, creando con l’acqua delle tubature, una specie di cappio che fece chiudere attorno alla gola della creatura, il quale, stringendosi via via sempre di più, l’aveva soffocata, facendola esplodere.
Ora ne restavano quattro: Alec era ferito a una spalla, con Jace che cercava di coprirgli le spalle, mentre Isabelle cercava di mozzare la testa a un demone squamato con tante lingue che gli fuoriuscivano dal cervello.
È disgustoso, pensò la cacciatrice, colpendolo con la frusta.
Fu a quel punto che una vampata si levò da ogni direzione: dalle pareti, dal pavimento, dall’aria stessa.
Si concentrò al centro della stanza, fino a formare un’enorme sfera di fuoco, che attirò su di sé gli occhi di tutti, umani e non.
L’uniforme di Hermione sembrava brillare di luce propria e non appena la ragazza spalancò gli occhi, la sfera esplose travolgendo tutti i presenti tra fiamme e calore.
Fuoco sacro. Una grande quantità. I demoni si dissolsero.
Aveva funzionato come una specie di bomba e l’esplosione aveva spinto i ragazzi di lato, Hermione inclusa.
Si rialzò giusto in tempo per vedere Jonathan e Clary fuggire via e sigillare l’uscita, ma era troppo stordita e sfinita da tutti gli eventi accaduti in quel giorno e per lo sforzo che quest’ultimo incantesimo aveva richiesto.
Si stropicciò gli occhi e si guardò attorno: bruciava. Tutto.
“Cosa diavolo facciamo?!” stava urlando Isabelle, mentre si affrettava a disegnare un’iratze sul braccio di Alec.
“Percy! Percy può spegnerlo! Le vie d’uscita sono tutte sbarrate!” esclamò Hermione, gesticolando a casaccio.
Non riusciva a vedere né il semidio, né il fratello.
Cercò di utilizzare la magia, ma le tempie sembravano scoppiarle non appena iniziava a eseguire un incantesimo.
L’anello sarà pure stato utile, ma richiedeva maggiore forza della bacchetta.
Con grande sforzo, si rimise in piedi; zoppicava e aveva delle scottature sulle braccia, là dove le fiamme avevano preso il sopravvento sul controllo che aveva su esse. La fronte pulsava violentemente: la ferita aveva ripreso a sanguinare.
Raggiunse Isabelle e la ragazza indicò un punto alla sua destra: c’era Jace, chino su…
Percy!” gridò Hermione, spaventata e corse verso di loro.
“È svenuto!” la rassicurò Jace.
“Ma non dovrebbe succedere! Non ha con sé il suo anello di guarigione rapida?!”
“No. Lo aveva scordato e non ha voluto perdere tempo per tornare a prenderlo! Si risveglierà presto” tentò di tranquillizzarla lo Shadowhunter.
Presto?! Jace! Se non usciamo da qui subito, nessuno di noi vedrà un’altra alba!” sbottò Hermione. “E Clary e Jonathan sono scappati prima che l’incendio divampasse, sigillando l’uscita di emergenza! Che ora comunque è bloccata dalle fiamme!”
Jace si sentì uno schifo per aver provato quel lieve senso di sollievo: lei stava bene, era al sicuro. Assurdo come, nonostante lei avesse appena cercato di ucciderlo, di fare fuori lui e le persone a cui teneva, nonostante gli avesse traditi e avesse tradito lui, ancora non riusciva a non preoccuparsi per lei, a non cercare di proteggerla.
Alec cominciò a tossire violentemente. E così anche Isabelle.
Hermione aveva la vista annebbiata dal dolore che le ferite le infliggevano, dal fumo che la stava lentamente uccidendo… sarebbero morti tutti asfissiati.
“PERCEUS JACKSON MALEDIZIONE SVEGLIATI!”  
Sentiva le palpebre chiudersi, stava cominciando a cedere.
Le sue gambe si piegarono e lei si ritrovò stesa per terra in una posizione innaturale.
Il fuoco ora aveva lasciato solo un minuscolo cerchio libero, dove i ragazzi stavano ammassati. Jace prese tra le braccia la sorella “resisti. Resisti Hermione” le sussurrò “io ho bisogno di te. Percy ha bisogno di te. Tutti abbiamo bisogno di te”.
La ragazza sentì le parole molto lontane, remote, come se stesse vedendo il ricordo del ricordo di un ricordo.
Gli occhi le si fecero pesanti e si chiusero, ma era ancora cosciente. Sentiva ciò che accadeva attorno a lei. E ciò che sentì sulla propria pelle, in quel momento, non fu più il calore asfissiante del fuoco, ma gelo.
Un’ondata di freddo, aveva infatti attraversato la stanza, trasformando progressivamente il fuoco in ghiaccio.
“State giù” disse una voce calma.
Jace fece scudo a Hermione con il proprio corpo, mentre Alec e Isabelle si proteggevano tra di loro e riparavano anche Percy.
Ora le fiamme sembravano degli iceberg, iceberg che in una frazione di secondo esplosero, rompendosi in minuscoli pezzettini che schizzarono ovunque.
Sul fondo della scena, si stagliava una figura alta, familiare. Anche solo l’ombra risultava eccentrica.
“La prossima volta che cercate di suicidarvi” esordì l’uomo, mentre si avvicinava a loro a passo lento “assicuratevi che io non sia intorno”.
Alec si alzò in piedi, tossicchiando ancora. Socchiuse gli occhi.
Non appena riconobbe l’identità della persona che gli aveva appena salvato la vita, il suo cuore mancò di qualche battito.
“Magnus!” esclamò, sorridendo.
“Mi sei mancato anche tu, Alexander” rispose lo stregone, chinandosi per baciare il ragazzo. 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Ciao a tutti! Chiedo scusa per il mio incredibile ritardo nell'aggiornare la storia, ma la scuola mi sta portando via la maggior parte del tempo libero che avevo e sono riuscita a scrivere e postare il nuovo capitolo solo ora.
Mi auguro che vi piaccia e che mi facciate sapere cosa ne pensate lasciandomi una recensione, ci tengo a sentire la vostra opinione, (buona o cattiva che sia).
Spero di riuscire ad aggiornare presto.
Buona lettura :)

Capitolo 12
 
 
 
 
Le sembrò di aver dormito per settimane quando riaprì gli occhi.
Jace era seduto su una poltrona accanto al suo letto e sonnecchiava irrequieto.
Riusciva a intravedere le pupille del ragazzo muoversi sotto le palpebre chiuse e si domandò cosa stesse sognando, se stesse bene.
Si voltò di lato e vide Percy che la osservava dalla branda accanto.
“Ehi bella addormentata! Ho dovuto darti più di un bacio per farti svegliare. Cominciavo a credere di non essere io il tuo principe” le disse il semidio, sorridendo.
Hermione sbattè le palpebre, poi ricambiò il gesto.
“Stai bene?” gli chiese.
“Ora si… Tu?”
Lei annuì. Spostò di nuovo lo sguardo su Jace.
“Si è alzato da quella poltrona solo per andare in bagno” la informò Percy.
“Quanto ho dormito?”
“Due giorni. Hai tenuto tutti molto occupati. Eri grave. Come se quella magia ti avesse consumata dentro. Nessuno riesce a capire cos’hai fatto, laggiù” le rispose il ragazzo.
Hermione si stiracchiò e poi si stropicciò gli occhi.
“Non lo so nemmeno io”.
Se era davvero stata così male, come mai ora si sentiva piena di energie? Come mai non provava alcun dolore fisico insopportabile? Si sentiva solo un po’ indolenzita.
Quando spostò i suoi occhi lungo le braccia, rimase sgomenta.
“Che cosa..?!” boccheggiò.
“Hanno dovuto. Saresti potuta morire. Hai eseguito una magia di livello molto avanzato, non eri pronta. E non sapevi come gestirla” le spiegò il semidio. “Ha preso il sopravvento su di te”
Sulla sua pelle, di solito candida, ora erano evidenti tanti marchi, neri, come quelli che Jace e i Lightwood avevano tatuati sul corpo.
Aveva un’iratze su entrambe le braccia, una runa energetica sulla spalla… e sul petto, le avevano tatuato la runa del potere angelico.
Guardò Percy e sorrise nel vederlo addormentato.
“Sei una Cacciatrice. E hai già dimostrato che ti piace combattere. Prima o poi, le avresti ricevute. Prima o poi, le avresti usate” disse una voce calda alla sua destra.
“Jace” si era svegliato. I folti riccioli biondi che gli ricadevano sul volto, scompigliati. Gli occhi arrossati.
“Hermione…” cominciò il ragazzo.
“Non importa” lo interruppe lei.
“Sì che importa. Mi dispiace. Io.. io non avrei dovuto dirti quelle cose. Non è colpa tua se mi hanno mentito tanto spesso sulla mia identità…  ma sono felice di averti, felice che tu sia mia sorella” continuò lui.
“Sono felice anche io, a dispetto di ciò che ti ho detto”
“Me lo meritavo” ammise Jace. “Scusami, per non averti mai cercata”
Calò il silenzio e dopo qualche minuto il ragazzo si avvicinò al letto di Hermione e le prese una mano tra le sue, poi cominciò a fissarle.
Lo guardò negli occhi. Erano tristi, spenti, irradiavano dolore.
Fece per parlare ma lei lo anticipò e gli chiese, esitando:
“Quella ragazza… quella era Clary, vero?”
Jace serrò le labbra e alzò lo sguardo. Annuì, e lo riabbassò.
“Mi dispiace” sussurrò la ragazza.
“Già, anche a me” sospirò.
“Jace, ascolta. So che forse sei l’ultima persona a cui dovrei dirlo… prima che arrivaste, l’ho sentita parlare con Jonhatan...”
“Cos’hai sentito?” la incalzò lui.
Ed Hermione ripercorse gli avvenimenti di quella sera, quelli cui aveva assistito prima che arrivassero i suoi amici. Raccontò di come aveva finto di essere ancora svenuta per poter ascoltare ciò che dicevano.
Tuttavia, faceva fatica a ricordare e dovette sforzarsi molto per riuscirci.
“È così crolla anche l’ultima speranza che quella di Clary fosse una messa in scena” constatò Jace e si lasciò sfuggire un gemito. Aveva la testa bassa.
La sorella gli passò una mano tra i capelli. Poteva leggere nei suoi occhi dorati la solitudine che provava e ciò le causava un dolore lancinante al cuore.
Non sapeva spiegarlo: era suo fratello, okay. Ma si conoscevano da così poco tempo, non avrebbero dovuto avere già quel legame, non quella confidenza…
“Jace”
Il ragazzo sollevò il capo per fissare i suoi occhi dentro quelli della sorella.
“Tu non sei solo” gli sussurrò dolcemente “Tu hai Alec e Isabelle. E hai me. E ti assicuro, che per quanto vorrai liberarti di me, per quanto potrai non sopportare la mia presenza, io non andrò mai via. A meno che tu non mi guardi negli occhi e mi giuri di non aver bisogno della mia vicinanza. A meno che tu non lo giuri sull’Angelo
Sapeva quanto un giuramento del genere fosse vincolante per i Nephilm, lo aveva fatto a posta.
Jace sgranò gli occhi. “Io non voglio che tu te ne vada! Assolutamente! Io ti voglio con me. Ho passato la vita ad allontanare le persone che mi volevano bene, a cercare di farmi ammazzare… quando poi non ne avevo un vero motivo. Ma ora non ho intenzione di farlo più. Clary mi ha spezzato il cuore, ma questo non vuol dire che io debba lasciare fuori te, Alec e Izzy. Siete la mia famiglia. L’unica che abbia mai avuto e che io possa definire tale”
Hermione gli sorrise. Poi il suo sguardo si incupì.
Nella sua mente balenavano e si susseguivano immagini, a intermittenza, una dietro l’altra. Non era lei a cercarle.
La sua amata Londra, molti, molti anni prima della sua nascita.
Un ragazzo moro, dagli occhi di un azzurro-violetto; il suo amico, il suo parabatai dai capelli all’apparenza argentati.
Macchine assetate di sangue ovunque.
“Jace… cosa sai di nostro padre?” 
“Poco e nulla. Si chiamava Stephen. Stephen Herondale. Faceva parte del Circolo, è stato ucciso da Valentine. Era sposato con Amatis e l’amava, ma Valentine lo costrinse a lasciarla e a sposare Celine… so che ha compreso troppo tardi i suoi sbagli. So solo questo” rispose lui, con voce monotona.
“Non sai nulla del resto dei nostri parenti? Intendo, non sai da chi discendiamo?” domandò ancora.
“No. Però ho conosciuto nostra nonna… che donna deliziosa. Ma sebbene mi abbia dato del filo da torcere, quando non sapeva chi fossi… mi ha salvato la vita”
“Jace, io voglio sapere” ammise la ragazza dopo qualche istante di silenzio.
Lui la guardò intensamente.
Hermione non poté fare a meno di sentirsi a disagio; era suo fratello e lo sapeva… ma non poteva negare di esserne stata attratta fisicamente, prima di scoprirlo. Per quanto disgustoso possa sembrare.
“Ci ho pensato, in questi due giorni. E ho capito che lo voglio anche io. Per questo ho chiesto a Maryse di parlare con il Console… dovrò andare a Idris, tra due giorni, per fare rapporto su quello..” la voce gli si spense in gola. Per un attimo la luce abbandonò i suoi occhi, ma Jace era noto anche per saper benissimo reprimere le emozioni in fretta. “Quello che è successo al Pandemonium Club. Vieni con me. Ho chiesto anche di annunciarti. Possiamo restare lì un giorno in più, per vedere di scoprire qualcosa”
Hermione non ci pensò per più di due secondi che già aveva gettato le braccia al collo del fratello e lo ringraziava tra le lacrime.
Lo sapeva, che seppure egli fingeva il contrario, tutta la situazione lo faceva stare male. Eppure, per lei stava facendo questo sacrificio.
Passarono diversi minuti, nei quali si raccontarono tutta la loro vita. Poi, Hermione ripensò a quegli… automi, così li aveva chiamati il bellissimo ragazzo dai capelli neri. Le era sembrato così vivido… quel sogno.
“Jace, fai mai dei sogni che sono reali? O che lo sono stati?” chiese.
“Sì. E di solito, non sono piacevoli” rispose alzandosi e camminando fino alla finestra. Rimase a fissare la strada affollata di gente che correva verso Central Park.
La ragazza si chiese di nuovo a cosa diavolo stesse pensando.
Doveva per forza essere così introverso? Doveva proprio trasudare mistero da tutti i pori?
 
Isabelle aprì la porta del terrazzo.
Fin da quando era bambina, quando aveva bisogno di pensare, di stare da sola, quando era triste o arrabbiata, e non voleva essere disturbava, saliva sul tetto dell’Istituto; si sedeva sul muretto, le gambe che penzolavano fuori, sulla strada che si stendeva metri e metri sotto di lei.
Osservava i mondani, condurre la loro vita in tutta tranquillità, ignari della realtà delle cose, ignari che il ragazzo che consegnava loro la pizza potesse essere un demone, ignari del fatto che il vicino di casa potesse essere un Nascosto… sedeva lì, ad osservare i colori, le luci della sua Manhattan illuminata nella notte.  
S’incamminò verso il lato del terrazzo che offriva la visuale più bella… ma il posto era già occupato.
Distinse, grazie alla runa della Vista Notturna che si era tracciata qualche ora prima quando era andata a caccia, una folta chioma di capelli rossicci.
Il ragazzo si girò.
“Izzy. Che ci fai qui?”
“Potrei farti la stessa domanda” ribattè lei inarcando le sopracciglia.
“Pensavo” rispose lui.
“Volevo pensare anch’io” mormorò lei, sorprendendo sé stessa più di quanto avesse sorpreso lui. Arrossì. Lei che non avvampava mai…
Si sorrisero, impacciatamente.
Ron piantò i suoi occhi sulla ragazza: ne percorse i lineamenti del volto, il colore blu intenso degli occhi, le sue labbra più rosse che rosee, le forme del corpo, le curve… e distolse lo sguardo.
Vedere Isabelle in tenuta era sempre stato uno spettacolo fantastico per lui, ma vederla così, senza trucco e con indosso solo una camicia da notte, molto provocante per giunta, era doloroso: lo fece sentire vulnerabile.
La Cacciatrice metteva molto più in soggezione in quel modo, perché era sé stessa. Ed era bellissima. Ron si chiese come mai si truccasse così tanto se era stupenda già di suo.
“Stai bene?” le chiese, quando si fu accomodata sul davanzale, accanto a lui. Lei annuì, ma abbassò lo sguardo. Fissavano entrambi il panorama.
“È solo che… Alec sta con Magnus. Sono così innamorati… nell’ultimo anno è stato all’istituto solo per due mesi. Jace aveva Clary… e quando è rimasto solo ho pensato che almeno lui non mi avrebbe mai abbandonata.. e invece ora c’è sua sorella. Sai, quella vera. E io mi rendo conto, che non potrò mai trovare l’amore. Che sono destinata ad essere sola” confessò dopo un po’.
Ron fu sorpreso. Isabelle Lightwood; bellissima, sexy e indipendente.
Aveva sempre saputo che dietro la sua corazza si nascondeva molto di più, ma tanta fragilità non se la sarebbe aspettata mai e poi mai.
“Izzy, Jace ti vuole bene. Non ti abbandonerà” la tranquillizzò lui “e poi perché mai non dovresti mai trovare l’amore?”
“Perché non ci credo” rispose lei e gli raccontò la storia del padre, che poco prima della nascita del fratellino, Max, quando ancora non sapeva della gravidanza, aveva tradito la moglie e pensava di lasciarla.
Raccontò dei suoi sogni di amore andati in frantumi, come quando una mondana ha il cuore spezzato per la prima volta e capisce che non c’è e non ci sarà mai nessun principe azzurro delle favole nella sua vita; o quando un bambino un po’ troppo cresciuto capisce che Babbo Natale in realtà non esiste. Lasciò fluire le parole, in uno sfogo che tanto aveva cercato negli ultimi anni e che finalmente sembrava essere giunto.
“Ecco. Ecco perché. Non ci credo nell’amore. Sono un mucchio di sciocchezze” ribadì lei.
“Arriverà il giorno in cui un ragazzo ti farà battere il cuore e ti farà rimangiare queste parole, Isabelle Lightwood” le disse Ron.
Lei si voltò a guardarlo e gli sorrise suo malgrado, sebbene con una punta di scetticismo “e quando?”
“Io spero adesso” sussurrò lui e si avvicinò a lei, posando dolcemente le labbra sulle sue.
Isabelle si sentì avvampare, il cuore sprofondare. Questo non se l’era aspettato. Non c’erano stati segni e lei non ne aveva dati a lui. Non se n’era neppure accorta, che Ron le piacesse, prima che le loro labbra entrassero a contatto.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare alle labbra morbide di lui, alla dolcezza di quel bacio. Al fuoco che la divorava dall’interno. Che li divorava, bruciando la loro pelle e tutto ciò che avevano intorno.

 
“Interessante” si sentì commentare Magnus, appena entrato nell’infermeria, seguito da Alec che gli teneva la mano.
“Lui è il mio compagno Hermione” li presentò il Cacciatore.
La ragazza gli strinse la mano e lo ringraziò per aver salvato la vita a tutti loro, ma l’uomo la fermò con un cenno della mano, quasi a dire ‘figurati. È quello che faccio da anni ormai. Salvare la pelle a questi Nephilim. Ci sono affezionato, e per me è un piacere aiutarli’. O almeno, così lei volle interpretare quel gesto.
“Sei la sorella di Jace, vero?” domandò lo stregone.
Il biondino aveva ancora lo sguardo fisso sulla vita notturna fuori dalla finestra.
Doveva essere venerdì sera, perché le strane erano piene di liceali in cerca di divertimenti.
“Sì” rispose la ragazza.
“E mi dicono… che tu abbia doti magiche”
Hermione assentì. “Sono una strega”
“Sei una Nephilim” la corresse Magnus.
“Anche, suppongo” concesse lei.
“Soprattutto, direi” le rammentò lui.
Il sangue dei Cacciatori era dominante. Sempre, ricordò Hermione.
“Tuttavia, non sei una strega come… beh come me
“No” confermò la ragazza.
“Suppongo tu sappia il perché delle tue doti” ipotizzò lo stregone, ma dalla faccia di lei e dal voltarsi di scatto di Jace dedusse che si sbagliava.
“Magnus, cosa sai che noi non sappiamo?” chiese il Nephilim.
Tutto” voltò i suoi occhi da gatto verso la ragazza “Le tue capacità, Hermione, non vengono da Celine. Non c’è mai stato sangue di strega nella sua famiglia. Per quanto Amatis sostenga che tu ricordi tua madre, non posso fare a meno di dissentire. Magari fisicamente le somigliate molto… ma caratterialmente..” sembrava che lo stregone stesse riflettendo ad alta voce, parlando più a sé stesso che agli altri, sfregandosi l’indice e il pollice della mano destra sul mento, gli occhi socchiusi.
“Non credo che cercare a Idris sia la cosa giusta. Non troverete nulla di che. Gli Herondale sono una generazione di Cacciatori esistente da secoli” disse alla fine.
“Ma c’è una persona che può raccontarvi tutto, sin dall’inizio” annunciò. “O forse due” si corresse.
“E io posso dirvi dove trovarle”.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Salve a tutti! Sono riuscita ad aggiornare prima questa volta :) 
Be' che dire, vi lascio alla lettura del capitolo e come al solito spero che vi piaccia e che mi farete sapere cosa ne pensate :)
A presto :D

Capitolo 13
 
 
 
“Clarisse! Vieni qui! Vieni a vedere, ho trovato qualcosa!” urlò Annabeth.
La figlia di Ares la raggiunse in un lampo, eppure si trovava dall’altra parte della campagna.
“Cos’è?” domandò sgranando gli occhi.
“Sembra una specie di pentagono… guarda. Questi sono i lati” rispose la figlia di Atena, indicando con le dita le linee esterne del disegno.
“E quella stella al centro? Cosa significa?” la incalzò Clarisse.
“Non ne ho idea… ma ho fatto una fotografia con il cellulare… magari i Cacciatori o i Maghi ne sanno qualcosa!”
“’Beth, guarda!” esclamò subito dopo la compagna.
Annabeth, che odiava essere chiamata in quel modo, le scoccò un’occhiataccia prima di avvicinarsi a lei e osservare ciò che la figlia di Ares le stava mostrando.
Dovrei abituarmi, pensò, dannata Testa d’Alghe.
“È come se fossero state conficcate delle lame. Guarda, qui, qui…”
“…intorno a tutto il pentagono! Miei dei, fa venire i brividi!” constatò la figlia di Atena.
“Vieni, torniamo all’Istituto” disse Clarisse, rabbrividendo. Quel luogo le dava strane sensazioni che si diffondevano in ogni punto del suo corpo.
Non appena si voltarono per imboccare il sentiero che le avrebbe ricondotte in città, si sentirono gelare il sangue nelle vene.
Avevano la strada sbarrata, da un enorme mostro a sette braccia: tre sul lato destro, tre sul sinistro… e una dalla testa; il volto era scavato e deformato, dotato di un solo occhio gigante.
La creatura aprì la fessura che aveva sul fondo della ‘faccia’ e scoprì i suoi denti aguzzi, quasi come se stesse provando a sorridere.
Le semidee si scambiarono un’occhiata.
“Che schifo!” esclamarono in coro.
E un attimo dopo, la figlia di Ares fu sopra il mostro, brandendo la sua spada elettrica, mentre Annabeth si avventò verso la coda, cercando di tranciarla via dal corpo del demone con il suo pugnale.
 
“Da quanto tempo è che non parli con Hermione?”
Ron sedeva al contrario sulla sedia della scrivania di Harry, con la testa poggiata sulle braccia incrociate sullo schienale.
“Da un po’. È tutta presa da Jace. Per quanto ne so, ultimamente trascura anche Percy. Ma infondo, siamo in missione e sai quanto sia professionale lei. E già tutto il casino della sua famiglia è una… ‘distrazione’ di troppo. Dobbiamo capirla Ron” gli rispose il moro.
“A volte vorrei poter tornare indietro. Tra noi era tutto più facile prima” ammise il rosso.
“Dici? Se vuoi possiamo organizzare un cappeggio di dieci mesi, spostandoci da bosco in bosco. Sai, ‘come i vecchi tempi’” lo stuzzicò Harry.
Ron impallidì. “Miseriaccia…” deglutì. “Mi sa che ho cambiato idea” e scoppiarono a ridere.
Sapevano entrambi quanto la mancanza di cibo comportava una brutta cera per il Weasley.
 
 
“Alexander!” esclamò Magnus, indignato.
“Che c’è?” sbottò il Nephilim “E non chiamarmi così” aggiunse irritato.
“Non puoi comportarti così! Non ha senso!” lo rimproverò lo stregone.
“Tu dici? Vediamo. Come reagiresti se ti nascondessi tutti i particolari più importanti del mio passato? Se tu fossi al posto mio, non penseresti di non conoscermi affatto?” replicò Alec.
“Bene. Vuoi conoscere il mio passato? Ecco, tieni”
Magnus allungò le braccia, posando nelle mani del Cacciatore una scatola vecchia.
“Sono i miei diari. C’è tutto ciò che potresti sapere di me” spiegò.
Il ragazzo avvampò.
Per quanto desiderasse far luce sui misteri del suo compagno, non voleva violare i suoi pensieri più intimi.
“Mag…” fece per replicare, ma lo stregone gli aveva già dato le spalle e si stava incamminando a passo rapido verso la sua stanza.
Alec rimase immobile, impietrito, a fissare la sua sagoma rimpicciolire lungo il corridoio, con una sensazione che gli stringeva lo stomaco.
Senso di colpa, imbarazzo, il tutto accentuato dalla morbosa curiosità che lo stava avvolgendo in quel momento.
Poteva una scatola così piccola stravolgere tutte le sue emozioni?
 
 
“Dovresti andare a dormire” sussurrò Hermione, quando aprendo gli occhi notò che Jace era ancora in piedi davanti alla finestra.
“Non ci riesco e non ti voglio lasciare sola” rispose il ragazzo.
Il suo tono era fermo e il messaggio che voleva trasmettere chiaro: non avrebbe ammesso obiezioni.
“C’è Percy qui. E poi, io sto bene” aveva ribattuto la ragazza, ma, quando si era girata a guardare il letto dove fino a qualche ora prima riposava il semidio, realizzò che era vuoto.
“È tornato nella sua stanza” le spiegò Jace “sta bene ora. Tu, un po’ meno”
“Ma io…” fece per replicare, ma il fratello le fu subito accanto e la interruppe.
“Ci aspetta un lungo viaggio domani, e non sei del tutto in forma. Per favore, riposa” la supplicò.
“Appunto perché ci aspetta un lungo viaggio dovresti dormire anche tu!” lo rimproverò lei.
“Per l’Angelo quanto sei cocciuta!” esclamò il Nephilim, alzando gli occhi al cielo.
“Ma da che pulpito!” esclamò Hermione, sventolando le braccia per aria.
Scoppiarono a ridere.
Sì, la testardaggine doveva essere una caratteristica di famiglia.
La sorella stava ancora ridendo, quando Jace si fece improvvisamente serio e si avvicinò a lei, scostandole una ciocca di capelli.
“Qualsiasi cosa scopriremo” disse “non permetteremo che distrugga questo rapporto che sta nascendo tra di noi, vero? Giuramelo, ‘Mione. Non posso sopportare di perdere qualcun altro”.
Hermione avvampò. Si sentì tutt’a un tratto le gambe molli, la schiena percorsa dai brividi. Non l’aveva mai chiamata ‘Mione.
Né l’aveva mai guardata così, con gli occhi pieni di ansia, paura, perfino un po’ di disperazione. E quel gesto, quello era stato troppo azzardato.
Non erano così in confidenza da permettersi gesti così… intimi; sarebbe stato diverso se fossero cresciuti insieme, ma in realtà le cose stavano diversamente.
La ragazza, in preda da qualche strano impulso, non si controllò più.
Gli si gettò contro, serrando le sue braccia attorno al collo di Jace, le cui mani si erano richiuse subito sulla schiena di lei.
Hermione affondò il volto nell’incavo del collo del fratello e lui fece altrettanto con il suo.
“No. Non lo permetteremo” gli sussurrò.
 
 
Clary si svegliò di soprassalto.
Un incubo. Un altro.
Orribili sogni di demoni che vagano per le strade, distruggendo edifici e negozi, travolgendo e uccidendo i mondani.
Sudava e la camicia da notte le si era incollata perfettamente alla pelle.
Si alzò dal letto e aprì l’anta del balcone della sua stanza: una vista mozzafiato si proiettò davanti ai suoi occhi.
La città. La sua Manhattan. La città dei demoni.
Respirò a fondo l’aria fresca e sospirò.
Come ogni volta che si svegliava di soprassalto scossa da un incubo, si domandò perché lo stava facendo, perché stava cercando di uccidere i Nephilim, la sua stirpe. Perché servirsi delle creature che avrebbero dovuto combattere, perché evocarle anziché distruggerle?
Jonathan, giusto. Suo fratello. La sua famiglia.
Era il suo piano, era per lui che doveva farlo; la famiglia si sostiene e lui le aveva salvato la vita, glielo doveva. Prima o poi, anche Jace si sarebbe unito a loro, lo avrebbe capito.
Jace. Jace. Jace.
Quel nome continuava a fluttuargli nella mente, monopolizzando i suoi pensieri.
Il suo Jace.
Davanti a Jonathan non avrebbe mai mostrato la sua debolezza, non gli avrebbe mai fatto capire quanto l’amore che provava per quel ragazzo fosse forte, quanto male le aveva causato trattarlo in quel modo, ferirlo.. forse allontanandolo per sempre da sé.
Si diresse verso il comodino e aprì il cassetto.
Vi estrasse un cofanetto, dal quale tirò fuori una catenella, con un anello appeso: la M dei Morgenstern brillava alla luce della luna.
Si affacciò nuovamente al balcone, stringendo il gioiello a sé, all’altezza del cuore.
Glielo aveva dato Jace, per poterlo avere sempre con lei e sebbene non avesse mai desiderato qualcosa dei Morgenstern lo aveva conservato, custodito con la massima cura… perché era di Jace. Era una parte di lui che ancora non la odiava e voleva tenersela stretta.
Ti amo” sussurrò.
E in quelle due parole, ci mise tutto il cuore, e tutta la sua anima, come se caricandole del loro significato, il ragazzo potesse udirle. Come se fosse sufficiente a rimettere a posto le cose.
Come se servisse a qualcosa.
Probabilmente, quella ragazza che era andato a salvare, aveva preso il suo posto. Magari, in quel momento erano insieme, e lei stava facendo quello che Clary avrebbe voluto tanto poter fare. Baciarlo. Amarlo.
Amarlo come meritava.
 
 
Jace spalancò gli occhi e si guardò intorno.
Hermione dormiva tranquilla tra le sue braccia, poteva sentirne il respiro sul petto nudo.
In altre circostanze, sarebbe stato in imbarazzo, ma lei era sua sorella, non c’era niente di male a dormire insieme, giusto?
Eppure il suo cuore non rallentava i suoi battiti e il sangue continuava implacabile ad affluire sulle sue guance.
Poteva sentire la pelle di lei, calda, soffice, a contatto con la sua.
Era stato un sogno. In realtà, non era successo nulla di.. inappropriato.
Ma cos’è? Una maledizione? Si chiese.
Lentamente, si scostò, alzandosi dal letto e dirigendosi verso la finestra.
La spalancò. Guardare la città, ancora accesa e in movimento durante la notte, lo calmava. Sentire il vento soffiargli in faccia…
Ad un tratto, lo percepì. Fu come essere percorsi da un brivido, ma anziché freddo provò calore, un calore che gli si propagò nel petto.
Ti amo.
Era l’effetto che solo una confessione del genere potrebbe fare.
Chiuse gli occhi.
“Clary” mormorò, un sussurro appena percettibile.
Poi udì qualcosa muoversi all’interno della stanza, un fruscio, come quello delle foglie che venivano trascinate dal vento.
Ritornò alla realtà e si voltò di scatto, precipitandosi vicino ad Hermione.
Urtò una lampada, che si fracassò al suolo e la ragazza si svegliò.
“Jace?” chiamò.
“Sono qui. Scusami” gli disse piano il ragazzo, tornando a stendersi accanto a lei.
Guardò di nuovo verso l’oggetto infranto sul pavimento, imprecando; poi notò che sul comodino c’era un pacchetto, che prima assolutamente non era lì. Un biglietto posato sotto di esso.
“Cos’è?” chiese Hermione, mettendosi a sedere.
Il Nephilim lo prese e lo aprì. Era un anello, con la H degli Herondale incisa sul davanti, un anello come il suo, che teneva conservato nella scatola donatagli anni prima da Amatis. Non lo aveva mai indossato, non lo aveva mai sentito come suo, prima di allora.
Aprì la lettera e lesse ad alta voce: “Hermione, questo è per te. Celine me lo affidò pochi giorni prima di suicidarsi, è tempo che ora torni nelle mani della sua legittima proprietaria. Con affetto, Amatis”.
La ragazza tese la mano per toccare l’oggetto e Jace glielo infilò al dito.
“Volevi indossarlo, vero?” le domandò.
Lei lo guardò e annuì. Non era mai riuscita a portare la catenella con la sua foto e quella del fratello, cosa che lui invece faceva da anni… ma quell’anello era diverso.
Non appena fu al suo dito, fu percorsa da un brivido: la stanza attorno a lei sparì, sostituita da un’altra, molto simile a quella, ma era sola.
O meglio, quasi.
C’era il ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli neri del suo sogno, davanti a lei, chino sul letto di fronte al suo.
Jem.. Jem..” sussurrava.
Poi la visione sparì com’era arrivata, senza che lei facesse o capisse niente.
Si ritrovò col volto a pochi centimetri di distanza da quello di Jace, che la guardava preoccupato, con le mani sulle sue guance.
“Hermione? Stai bene?” le chiese con voce malferma.
“Io… sì, sono solo stanca” mentì.
Jace sospirò di sollievo e si distese, permettendo alla ragazza di poggiarsi nuovamente sul suo petto scolpito da anni e anni di addestramento.
Ci impiegarono pochi istanti per addormentarsi.
 
 
“Siete sicuri di volerlo fare?” chiese Magnus, in piedi davanti a un enorme oggetto ricoperto di rune.
Jace le aveva detto che era un Portale e che serviva per raggiungere un altro luogo in breve tempo.
“Sì, ma potremmo Smaterializzarci. Perché usare quest’aggeggio, quando posso farlo io senza tanti giri?” domandò Hermione.
“Non conosco il nome della via” rispose lo stregone, facendo un gesto con la mano, come per zittirla.
“Tornerete a modo tuo, almeno questo me lo potete risparmiare” aggiunse poi “è un bene che tu sia di Londra, eviterete di perdervi! Ora ascoltatemi. Dal punto in cui sbucherete, dovrete proseguire dritti per una decina di case, poi svoltare a destra e alla prima curva girare a sinistra. La casa che cercate si troverà davanti a voi” li informò.
Hermione aveva già memorizzato tutte le indicazioni: facile, per lei.
Jace si era portato un arsenale a presso.
“A cosa ti servono? Non stiamo mica andando ad affrontare un esercito di demoni!” esclamò la ragazza.
“Prevenire è meglio che curare” la liquidò lui, scrollando le spalle.
Poi Magnus aprì il portale e lo attraversarono.
 
Si ritrovarono su una stradina che ad Hermione sembrò subito familiare.
Seguirono le istruzioni di Magnus, senza proferire parola e svoltarono a sinistra.
Hermione sbiancò e si immobilizzò.
“Che succede?” chiese Jace, sfiorandole il braccio con la mano.
La ragazza si voltò verso di lui, e con la coda dell’occhio notò che si era messo il suo anello degli Herondale e non potè che provare un moto di felicità nel cuore. Forse anche lui ora era contento di sapere la verità, forse anche Jace ora sentiva di avere una famiglia, di appartenere ad una famiglia di sangue. Forse, anche lui accettava il fatto che la famiglia con cui era cresciuto non era davvero la propria.
“È il quartiere dove vivono i miei genitori” spiegò con un filo di voce “intendo, quelli adottivi”.
Il cuore le pulsava a mille. La risposta a tutte le sue domande era sempre stata così vicina? Come aveva fatto a non accorgersene? A non capirlo?
“Quella è casa mia. I miei devono essere al lavoro” gli disse indicando una casetta graziosa e dall’aria accogliente alla destra della strada.
Poi si voltò e fissò la villetta che si stagliava davanti a loro, quella di cui parlava Magnus.
“Dev’essere quella” annunciò Hermione, distogliendo lo sguardo dalla casa dei Granger.
Se ci sarebbe stato tempo, sarebbe andata a trovarli, avrebbe presentato loro Jace.
S’incamminarono verso la loro meta e bussarono alla porta.
Ad aprire fu un giovane dagli occhi e i capelli scuri, doveva avere poco più di vent’anni.
La ragazza impallidì.
Non era possibile. Era identico al ragazzo del sogno, quello con i capelli e con gli occhi argentei. Solo che non erano più di quel colore.
“Posso aiutarvi?” domandò con voce gentile e un’espressione sorpresa gli balenò sul volto, non appena li vide.. o meglio, non appena riconobbe Jace.
Hermione notò che aveva delle cicatrici sulle guance e diverse rune sbiadite sul corpo.
Un tempo, pensò il fratello, doveva aver avuto un parabatai. Forse prima di diventare un Fratello Silente, cosa che capì da alcune rune che era riuscito a scorgere e riconoscere… ma perché abbandonare l’altra parte di sé per scegliere quella via, se poi vi aveva rinunciato?
“Si, cerchiamo la padrona di casa” affermò Jace, scuotendo la testa per cacciare via quei pensieri, di pura curiosità.
“Tu sei Jace Lightworm… Herondale, in realtà” disse il giovane.
Il Nephilim si irrigidì.
Lightworm? Pensò poi, deve avere qualche rotella fuori posto.
“Come fa a sapere il mio nome?”
“ Sono.. ero un Fratello Silente. Lo sono stato fino al 2008. Un anno prima che me ne andassi, sei venuto nella Città di Ossa per accompagnare la figlia di Valentine” rispose lui.
“Chi mi cerca?” chiese a un tratto una dolce voce proveniente dall’interno dell’abitazione, interrompendo la conversazione.
“Siamo Hermione e Jace..” la frase le rimase sospesa nell’aria.
“Herondale. Hermione e Jace Herondale. Siamo amici di Magnus Bane” concluse per lei il fratello.
Una donna molto bella varcò la soglia dell’edificio.
Non poteva avere più di vent’anni, lunghi capelli le ricadevano sulle spalle e quando li vide sgranò gli occhi: due pupille grigie intenso li guardarono sbalordite. Sospirò.
“Prego, entrate. Io sono Theresa Herondale, ma chiamatemi Tessa, ve ne prego… lui è un mio caro amico, James Carstairs” dichiarò la donna.
“Jem..” sussurrò Hermione, il battito del cuore che accelerava sempre di più.
Il giovane inarcò le sopracciglia.
“Ci conosciamo?”
La ragazza arrossì. Aveva gli occhi di tutti puntati addosso.
Si diede della stupida: lo aveva detto ad alta voce.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
 
 
 
“Cos’è successo?” esclamò Harry, la preoccupazione evidente nel suo tono di voce.
Clarisse stava varcando la soglia dell’Istituto, reggendo Annabeth a fatica.
“Demone” spiegò la semidea, con una smorfia di dolore sul volto “Sto bene” aggiunse, mentre la figlia di Ares la deponeva lentamente sul divano.
“Sei sicura?” chiese il ragazzo, sedendosi al suo fianco e tendendo la mano per accarezzarle una guancia.
“Se mi portaste un po’ di ambrosia o di nettare sì, ne sarei sicura” borbottò la semidea, ritraendosi.
Non era una buona idea discutere con lei quando aveva la luna storta.
“Ehm, si… Vado a prendertela io” si propose Ron, precipitandosi verso l’Infermeria.
“Harry… sai che vuol dire questo, per caso?” gli domandò Annabeth mostrandogli la foto che aveva scattato con il cellulare.
“Mmmh, non lo so.. potrebbe essere un marchio?” ipotizzò il ragazzo.
“Andiamo Potter, smettila di vedere marchi dappertutto!” sbottò Draco, staccandosi dal muro cui stava poggiato, con aria stanca e, probabilmente, anche parecchio seccata.
Harry scrollò le spalle.
“Fammi vedere” disse Isabelle, chinandosi sull’oggetto per guardare meglio. “È un pentagono!” esclamò.
“Beh, grazie. Fin lì, ci eravamo arrivate anche noi” dichiarò Clarisse, con aria saccente.
“Voi non capite… servono a evocare i demoni…” chiarì la Cacciatrice.
Annabeth rabbrividì. “Quello che abbiamo affrontato noi? Può essere?”
“No. È troppo grande, credo che fosse un Demone Superiore e fidatevi se vi dico che non lo avreste sconfitto tanto facilmente. Nemmeno noi Shadowhunters ci riusciremmo… almeno, non restando così illesi...” rispose Isabelle, lanciando un’occhiata al fratello.
Alec si voltò e aggiunse “ha ragione… e parlo per esperienza”.
Lui aveva rischiato la vita, qualche anno prima, proprio per colpa di un Demone Superiore, la ‘strega’ Dorothea, che viveva sotto l’appartamento di Clary. E non era stata affatto una bella esperienza.
“Credete che lo abbia evocato Jonathan? A quale scopo?” chiese la figlia di Atena, prendendo il nettare dalle mani di Ron, appena tornato nella sala.
“Tempo fa lui voleva… beh, distruggere tutti i Nephilim” spiegò il Cacciatore.
“Perché?” domandò il rosso, inarcando le sopracciglia.
“Potere… dominio… suppongo. Vuole il sangue degli Shadowhunters. Lui è per metà demone e senza di noi, il mondo cadrebbe nelle loro mani… e vi lascio immaginare quello che potrebbe significare” spiegò Alec, dirigendosi verso la sorella e posandole una mano sulla spalla.
Magnus sapeva perché.
Parlare di Jonathan/Sebastian alla ragazza non piaceva; le faceva riaffiorare brutti ricordi: la morte del fratellino Max avvenuta proprio per mano di quell’essere ignobile e ripugnante, una vendetta tanto aspirata e non ancora ottenuta.
“Distruzione” dedusse Draco, in tono lugubre.
 
 
“Luna, Luna sei tu?”
Domandò Nico, sentendo la porta della sua stanza aprirsi.
Se ne stava rannicchiato sul pavimento, con la schiena appoggiata al letto e lo sguardo fisso nel vuoto.
“Sì. Sono io” rispose la ragazza.
Si avvicinò al semidio e gli si sedette accanto.
“Ti senti bene?” domandò.
Lui scosse la testa.
“Voglio evocare Bianca. Voglio parlare con lei… magari può aiutarci, magari sa cosa sta succedendo!” confessò il ragazzo.
“Nico… sai come la penso” obiettò Luna.
“Si, che i morti debbano essere lasciati in pace… ma, potrebbe essere l’unico modo. Siamo qui da un mese e ancora non abbiamo ottenuto risultati!” esclamò il figlio di Ade. “Non sappiamo come si sta evolvendo la situazione, dove sia Jonathan, cosa stia tramando… Bianca…”
“Bianca non può esserci di aiuto, Nico. I demoni non provengono dal regno dei morti, gli Shadowhunters l’hanno spiegato chiaramente. Vengono da altre dimensioni, esterne alla nostra, esterne agli Inferi” lo interruppe Luna.
Sapeva perché ogni volta che c’era un problema, il semidio diceva di volerne parlare con la sorella morta asserendo che lei poteva aiutarli a capire cosa stesse succedendo… ma Luna ne era sicura, coglieva la minima scusa per provare a parlarle.
A Nico mancava Bianca. Ed era normale.
Erano stati una famiglia, loro due, per la maggior parte della vita del ragazzo… e gli si era spezzato il cuore quando lei aveva deciso di diventare una Cacciatrice di Artemide e ancor più quando aveva ricevuto la notizia della sua morte.
“Nico…” sussurrò, ma il ragazzo scosse la testa e chiuse gli occhi.
“Forse hai ragione. È che mi sento così strano ultimamente, così… irascibile. Per fortuna me ne sto quasi sempre per conto mio, o non so cosa potrebbero pensare gli altri” ammise il figlio di Ade.
“È come se riuscissi a percepire nel mio sangue l’attività demoniaca”
“O forse, senti il dolore che quelle creature causano alle loro vittime. Non sei mai riuscito a stare qui a Manhattan oltre un determinato periodo… magari è questo il motivo” ipotizzò Luna.
Nico la guardò.
Aveva sempre considerato irresistibili i suoi occhi e soprattutto la sua aria trasognata… gli dava l’idea di una ragazza che viveva in un mondo tutto suo.
Era strana, e gli piaceva. Era strana come lui. Lo aveva colpito sin dal primo momento in cui aveva incrociato il suo sguardo.
Tese una mano verso di lei e cominciò a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli biondi-argento. 
Sapeva che legarla a lui era un atto di puro egoismo, fare sua una creatura innocente come lei… lui che era così collegato con la morte e la sofferenza… ma non poté più trattenersi.
Avvicinò le sue labbra alle sue e la baciò.
Era rassicurante sapere che qualsiasi cosa fosse successa, qualsiasi cosa fosse andata storta, avrebbe avuto sempre qualcuno su cui contare.
Luna, la sua Luna.
 
Tessa condusse i ragazzi nel salotto della sua abitazione.
Sembrava essere arredata con gusto di altri tempi e ad Hermione fece venire in mente il Pensatoio: era come se si trovasse nel ricordo di qualcuno vissuto un centinaio di anni prima.
La donna li fece accomodare su un soffice divano e si mise a fissarli.
“Herondale, dunque” disse più a sé stessa che ai suoi ospiti, annuendo col capo, pensierosa.
Non riusciva a togliere gli occhi di dosso a Jace, lo fissava da quando era comparsa sulla soglia della casa.
James entrò nel salotto portando un vassoio con del tè e dei tramezzini e quando si chinò per poggiarlo sul tavolino i suoi occhi incrociarono quelli di Jace, e mormorò “oh mio dio”.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia ed esclamò “si, sono bello, lo so. Ma sono etero, mi dispiace.”
La sorella si voltò, per guardarlo con gli occhi sgranati.
Doveva essere sempre così poco modesto?
“Oh, mio, dio” ripetè James “Tessa…”
“Lo so” lo interruppe lei, con gli occhi umidi.
Hermione era confusa. “Sa cosa? Signora, mi scusi, ma siamo qui per avere delle risposte…”
“Gli somigli tanto, sai?” domandò la donna, lo sguardo sempre fisso su Jace, come se ignorasse la presenza di sua sorella.
“Somiglio, a chi?” chiese il Nephilim.
Will…” rispose Jem, che si era seduto sulla poltrona accanto a quella di Tessa, che sospirò.
“Will Herondale” chiarì, spingendo verso i ragazzi una foto.
Hermione la guardò: era vero. Jace somigliava incredibilmente a quel ragazzo, il ragazzo del suo sogno, quello che era chino sul letto di Jem e sussurrava piano il suo nome; sebbene il colore degli occhi e dei capelli fosse completamente diverso, i lineamenti del volto, i muscoli delle braccia, il busto, le espressioni e gli altri caratteri del loro fisico erano quasi identici.
“Chi è?” chiese Hermione, esitando.
“È.. era mio marito” disse Tessa, con un tono malinconico e carico di dolore e nostalgia che le fece rimpiangere di aver posto quella domanda.
“E il mio parabatai” aggiunse Jem.
Era? Mi dispiace tanto, signori..” fece per dire la ragazza ma la donna la interruppe.
“Oh, è successo tanto tempo fa… è morto nel 1937” fu scossa da un singhiozzo.
Cosa?!” esclamò Jace, sgranando gli occhi.
“Magnus ha lasciato a me il compito di raccontarvi tutto vero?” domandò Tessa, socchiudendo gli occhi.
Hermione annuì, imbarazzata.
La donna sospirò e cominciò a raccontare la sua storia.
Raccontò di come Will l’avesse salvata tante di quelle volte, di come si innamorò di lui e anche di Jem, della malattia di quest’ultimo e della sua scelta di diventare un Fratello Silente per poter sopravvivere… raccontò della lotta contro gli automi di Mortmain, di aver visto il marito e tutte le persone a cui teneva di più morire, e di essersene andata prima di vedere i propri figli fare altrettanto. Di come si era riunita a Jem, una volta che lui ebbe trovato una cura per la sua malattia e lasciato i Fratelli Silenti.
Hermione notò come il giovane guardava Tessa, ovvero come se non ci fosse nessun’altra donna al modo e non potè fare a meno di chiedersi se un giorno qualcuno avrebbe fatto lo stesso con lei.
Immaginò la sua forza, nell’accogliere nuovamente Jem a tempo pieno nella sua vita: da come ne parlava, sapeva che sarebbe morto anche lui, ora che non faceva più parte dei Fratelli Silenti.
Intanto, i suoi sogni cominciavano ad avere senso: aveva visto parti del passato della sua famiglia ma a quale scopo?
“Magnus credeva che lei potesse darmi delle risposte, signora” esordì Hermione, quando Tessa ebbe finito di parlare.
Jace era pensieroso… se era così simile a Will, se il loro carattere era così simile, allora c’era una buona probabilità che fosse davvero un Herondale.
Il suo cuore si alleggerì e capì che fino a quel momento aveva ancora dubitato della sua discendenza. E ne aveva tutti i motivi, ovviamente.
“Dammi del tu, Hermione” la esortò la donna. “e chiedi pure”.
“A sentire Amatis, io sono la prima discendente degli Herondale ad avere doti magiche da tanto tempo. Dice che derivano da Celine, mia madre, ma… ma Magnus la pensa diversamente” spiegò la ragazza.
Vide Tessa annuire.
“Che genere, di doti?” domandò.
“Io… ecco, sono una strega… ma non come Magnus… non so spiegarlo” provò a rispondere Hermione, rendendosi conto per la prima volta in vita sua che qualcosa le era sfuggito, che non riusciva ad esprimersi, che non riusciva a capire…
“Io sì. Le tue capacità, derivano da me. Sono una mutaforma, vedi… metà demone e metà Cacciatore. La mia opinione è che il sangue angelico che Valentine ti ha somministrato tramite tua madre, Celine, abbia potenziato le tue capacità, come è successo con Jace o con quella ragazza, Clarissa mi sembra che si chiami…” il cuore di Jace mancò di un battito nell’udire quel nome “il tuo potere è particolare… ma credo che il fatto che si sia manifestato in te, sia questione di… ehm… probabilità? Sai quella cosa genetica che studiano i mondani…” provò a spiegare Tessa.
Hermione afferrò al volo.
“Si, ho capito… ma… perché io ho i poteri di una qualsiasi strega non discendente dai demoni?” chiese ancora.
“Vedi… ragazza mia, so chi sei da quando i tuoi genitori, i Granger, si sono trasferiti qui. Li incontrai una mattina mentre ti stavano portando a fare una passeggiata… ti piegasti per raccogliere un sassolino da terra e ti si alzò la maglietta, così vidi la tua voglia a forma di stella…” raccontò la donna “iniziai a sospettare e decisi di indagare. Qualcosa di te deriva da me, il tuo potere di mutare forma.. ma il resto… beh il caso ha voluto che tu fossi una ‘Nata Babbana’ a tutti gli effetti… solo che i tuoi genitori erano Cacciatori e non Babbani… che io sappia, un caso unico nel suo genere”
“Mu… mutare forma? Ma io non sono un Metamorfomago! Tonks lo era… ed era così dalla nascita, utilizzava il suo potere involontariamente già da bambina.. a me non è mai capitato nulla del genere!” obiettò lei.
Tutti la fissavano confusi e accigliati. Metamorfomago? Ma di che accidenti stava parlando?!
Hermione fece cenno di lasciar perdere, rassegnata.
“Riconosco qualcuno con il mio stesso potere, quando lo vedo” replicò decisa Tessa “Hai qualcosa che non appartiene a te? Posso dimostrarti che non mi sbaglio”.
“Qualcosa, tipo?” domandò confusa Hermione.
“Una collana, un anello, una ciocca di…”
La donna non finì di pronunciare la frase che la ragazza aveva già staccato una ciocca di capelli dalla testa di Jace, che si portò una mano nel punto dove aveva avvertito lo strappo.
“Ehi!” esclamò lui, contrariato.
“Scusami, questione di abitudine” si giustificò Hermione, ripensando a quando aveva preparato la pozione polisucco per la prima volta, al secondo anno anche se non gli era andata piuttosto bene e a quando, due anni prima, aveva strappato a forza una ciocca di capelli ad Harry… represse l’istinto di sorridere a quel ricordo. Sebbene quel periodo fosse stato difficile, sebbene tutta la sua infanzia sia stata scandita dal pericolo, lei ci era legata e vedeva il buono di ogni momento vissuto con i suoi amici.
“Stringi la ciocca tra le mani e concentrati. Chiudi gli occhi e attaccati alla vita in essi contenuta. Lasciati invadere dall’anima che rappresentano” la istruì Tessa.
Jace le fissava perplesso, Jem invece appariva curioso di vedere se la ragazza ci sarebbe riuscita.
Hermione sospirò e provò ad eseguire quanto le era stato detto.
All’inizio non successe niente e si chiese se quella donna non fosse una pazza, ma poi si sentì stringere da una sensazione simile a quella del momento della smaterializzazione; fu avvolta dalle tenebre e percepì il suo corpo mutare: le piccole mani sostituite da mani forti, la sua statura che si innalzava, i capelli che si accorciavano e si schiarivano… quando riaprì gli occhi, notò che tutti avevano il fiato sospeso, eccetto Tessa, che sorrideva smagliante.
Hermione si guardò, guardò il suo corpo… no. Non il suo corpo… il corpo di Jace. Era davvero diventata suo fratello!
Riusciva a percepirne i pensieri, tutta la sofferenza che aveva provato nella sua vita e che ancora provava, il suo sforzo di mascherare un’anima buona e fragile con un comportamento da duro e inflessibile, la fatica di attenuare il dolore col sarcasmo… poi non resse più e svenne.
Quando si svegliò, si trovava stesa un letto, con Jace che le stringeva la mano, seduto su una sedia lì accanto.
“Come ti senti?” le domandò.
“Sembra che sia diventata un’abitudine. Finire in infermeria…” borbottò lei, sorridendo. Il fratello ricambiò il sorriso.
“Mi sento una debole” aggiunse lei tornando seria “ma fondamentalmente sto bene”.
“Non sei debole. Stai solo facendo uso di poteri che non sapevi di avere e che non sai bene come usare e controllare” la corresse Jace.
“Capitava anche a me, all’inizio… di svenire” la rassicurò Tessa, appena comparsa sulla soglia della stanza.
Si avvicinò ad Hermione e le mise un panno umido sulla fronte.
“È solo questione di pratica… e poi, se si ha un legame con una persona in cui ci si trasforma.. beh, diciamo che le cose si complicano un po’” spiegò “comunque, se volete, potete trascorrere qui la notte, e ripartire magari domani pomeriggio” aggiunse poi.
“Oh, no è molto gentile signora, ma dobbiamo proprio andare… sa, stiamo investigando su..” cominciò Jace, ma si bloccò vedendo la gioia scomparire dagli occhi di Tessa.
Doveva sentirsi molto sola, pensò Hermione. O forse faticava a lasciare andare Jace.
“La verremo a trovare, se ci assicura che le fa piacere” assicurò la ragazza.
La donna la guardò e parve pensarci su per un momento, poi disse “Tornate quando volete, la mia casa è sempre aperta agli Herondale e mi farebbe molto piacere conoscervi meglio… comunque Jace, forse dovresti lasciare sola tua sorella, magari si vuole sistemare prima di ripartire”.
In effetti, Hermione aveva proprio una gran voglia di darsi una controllata.
Rassicurò il fratello con un cenno del capo, accompagnato da un sorriso.
Lui si alzò e seguì Tessa lungo il corridoio.
“L’anello che indossi… era di Will, lo sai?” gli chiese ad un tratto, con tristezza.
Jace fece per sfilarselo e porgerglielo, ma la donna gli sorrise e fece un gesto con la mano, come rifiuto.
“È tuo. Promettimi solo di portarlo sempre al dito, io so che Will ti proteggerà. Lui era fatto così, sai? Lui credeva…”
“…di dover salvare il mondo intero” concluse il ragazzo. Conosceva la sensazione. Perfettamente.
“Esatto. Siete molto simili… ma questo l’ho già detto. Ad ogni modo, permettimi di darti un consiglio” Tessa guardò verso la porta della stanza dove aveva riposato Hermione.
“Ho visto come la guardi. Stai attento. I sentimenti degli Herondale non sono mai stati semplici, né mai lo saranno. E se cominci a provare qualcosa per tua sorella, potrebbe distruggerti” lo avvertì.
“Io… io non provo quel genere di sentimento per lei!” si difese il Nephilim, che tutta via non potè evitare di avvampare.
“Il mio cuore appartiene a… non importa” liquidò così il discorso.
 
Quando uscirono dalla casa di Tessa era pomeriggio inoltrato.
“Jace…” sussurrò Hermione.
Il ragazzo si voltò a guardarla, negli occhi una domanda inespressa.
“Mi chiedevo… per caso…” la ragazza arrossì violentemente “Ti va di conoscere i miei genitori?”




Se volete leggere l'incontro tra Jace e Tessa, dal punto di vista di lei, vi lascio il link della OS che ho pubblicato ieri: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2211190&i=1
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
 
 
 
Cominciò a diluviare, l’acqua veniva giù pesantemente.
“Ma qui non fa altro che piovere?” domandò Jace, scuotendo la testa per far sgocciolare in capelli. Era  evidentemente seccato.
Si trovavano sotto il porticato di casa Granger.
Hermione estrasse le chiavi dalla sua collana-borsa che portava appesa al collo e aprì la porta, ricoprendo di acqua l’entrata.
Ci mise un attimo ad asciugare il pavimento, con la magia.
“Vieni, i miei dovrebbero tornare tra.. qualcosa non va” esclamò la ragazza, osservando il soggiorno.
La casa era troppo… immobile, come se non vi mettesse piede nessuno da un po’ di tempo.
Afferrò il telefono e compose il numero del cellulare di suo padre, che rispose al terzo squillo.
“Pronto?”
“Papà! Dove siete?” domandò sospirando di sollievo.
“A Parigi, ci siamo presi una breve vacanza.. dovremmo tornare a casa giovedì prossimo. C’è qualche problema piccola? Stai bene?” le chiese l’uomo, preoccupato.
“Sisi, è tutto a posto… volevo solo assicurarmi che voi steste bene” lo rassicurò Hermione “Scusami, ma ora devo andare…” e riagganciò.
“Sarà meglio asciugarsi… di sopra c’è il bagno di mio padre, puoi usare quello… io vado in camera mia, seconda porta a destra del piano di sopra, se hai bisogno” annunciò poi, correndo via senza neppure guardarlo.
Jace rimase per un momento immobile, a fissare perplesso il punto in cui lei era sparita: cosa stava succedendo dentro sua sorella? Come si sentiva? Come stava reagendo a tutto ciò che aveva scoperto?
Si fece una doccia veloce e indossò i vestiti che la ragazza aveva messo a sua disposizione… sicuramente erano del padre, doveva aver eseguito qualche incantesimo per rimpicciolirli.
Uscì dalla stanza e cercò quella di Hermione.
Nello stesso istante in cui aprì la porta, lei uscì dal bagno, con indosso solo l’asciugamano, i capelli bagnati che le cingevano il viso. La vide arrossire.
Jace si portò il braccio dietro la nuca, lo faceva sempre quando era a disagio.
“Io… mi dispiace, non pensavo…” provò a scusarsi, ma la sorella lo zittì.
“Mi aspettavo almeno un ‘toc,toc’, ma non fa niente”.
Hermione si diresse verso l’armadio, prendendo degli abiti e fece per tornare in bagno, ma il ragazzo la bloccò, prendendole un braccio.
“Hai pianto” constatò.
Era vero. Aveva gli occhi arrossati e gonfi.
Lei scosse la testa. “Sto bene” tentò di rassicurarlo.
Erano molto vicini, Jace riusciva a percepire il calore del suo corpo.
Aveva le braccia scoperte, e l’asciugamano, attorcigliato attorno al petto, la copriva solo fino a metà cosce.
L’abbracciò. No, non stava bene e lui lo capiva.
Le sue mani scivolarono sulla schiena della ragazza e il suo viso affondò nell’incavo del suo collo.
Lei era immobile. Che diavolo gli salta in testa? Pensò.
Le parole di Tessa riecheggiavano imponenti nella mente del Nephilim. “Ho visto come la guardi. Stai attento. I sentimenti degli Herondale non sono mai stati semplici, né mai lo saranno. E se cominci a provare qualcosa per tua sorella, potrebbe distruggerti”
Come poteva pensare qualcosa del genere? Insomma, era sua sorella.
E lui lo capì in quel momento, che la sua - bis-bis-bis-bisnonna?! - si sbagliava di grosso.
Lui amava Hermione, ma come si può amare una sorella. Voleva proteggerla. Non desiderava minimamente toglierle l’asciugamano da dosso o baciarla, ma desiderava che non lo facesse nessuno, anche se probabilmente, Percy ci aveva già pensato.
Forse era così strano per la gente vedere Jace che manifestava i suoi sentimenti verso una persona diversa da Clary, che tutti avevano pensato il peggio.
Sorrise.
“Ti aspetto di sotto” le sussurrò.
 
“Si chiama telecomando” disse Hermione, varcando la soglia del salotto.
Si era sistemata. Indossava un paio di jeans lunghi e una maglia rosso e oro e i aveva raccolto i capelli indietro, con un fermaglio.
Jace pensò che la faceva sembrare più piccola e più vulnerabile, quel look.
“serve a…”
“Ehi, lo so cos’è un televisore” borbottò lui.
La ragazza ridacchiò.
“Bella maglietta” aggiunse poi, facendole l’occhiolino.
“Oh. Sono i colori del Grifondoro… era la mia Casa, a Hogwarts. La culla dei coraggiosi di cuore. Ah quanto mi manca” citò lei, sospirando con aria trasognata e malinconica.
Il ragazzo posò la sua mano su quella della sorella, come se quel gesto fosse sufficiente a trasmetterle la sua forza.
“Comunque, forse dovremmo andare, se vogliamo raggiungere l’Istituto prima..”
“Sembri pallida” la interruppe il fratello, scrutandola con circospezione.
Hermione scrollò le spalle.
“Sono solo stanca” si giustificò.
“Allora forse dovremmo restare qui, e partire domani. Sei stata dimessa stamattina dall’infermeria, eri già molto debole di tuo, prima di…” gli si infuocarono le guance.
“Mi dispiace aver preso i tuoi capelli okay? Non pensavo di riuscirci!” si scusò lei.
Jace scosse la testa.
“Non preoccuparti” mormorò.
Non era il fatto che Hermione avesse assunto il suo corpo a dargli fastidio, ma la consapevolezza che in lui, sebbene in quantità minime, scorresse del sangue di demone, di ciò che dovrebbe combattere.. il motivo per cui anni prima aveva intrapreso una missione suicida, il motivo per cui credeva di aver amato Clary… ma aveva anche sangue d’angelo, dentro di lui… c’era la possibilità che questo avesse neutralizzato quello demoniaco? O era destinato ad odiarsi e a identificarsi in un mostro per sempre?
Ma anche Tessa aveva sangue di demone nelle sue vene. E lei era buona, non gli ci era voluto molto tempo per capirlo… forse, non tutti erano come Sebastian…
“C’è qualcosa di cui vuoi parlare, Jace?” domandò Hermione dopo vari minuti di silenzio.
“No, è tutto okay” rispose lui.
Lei lo guardò di sottecchi, per svariati secondi, poi lo abbracciò, capendo che era una bugia e ripagandolo così con lo stesso gesto che lui le aveva rivolto solo poche ore prima e per lo stesso motivo.
“Allora, vado a riposare.. partiremo domani mattina, va bene?” disse  infine la ragazza.
Jace acconsentì e, una volta rimasto solo, si appisolò sul divano, troppo stanco per tenere gli occhi aperti, troppo stanco per raggiungere la camera degli ospiti e crollare su un comodo letto.
 
 
Percy se ne stava seduto su una sedia, osservando la vita fuori dalla finestra.
Erano solo i primi di Ottobre, ma i negozi avevano già cominciato ad esporre i loro prodotti e addobbi per Halloween.
Si era sempre chiesto, negli ultimi anni, come potessero i mortali celebrare una festa del genere, che raffigurava tutto il mondo in cui non credevano.
“Percy?”
Il semidio si voltò. Hermione era lì, di fronte a lui e sorrideva.
Sì, sorrideva, ed era da tanto tempo che non la vedeva allegra, che non la sentiva viva.. questo rianimò il suo cuore, inondandolo di gioia; forse, tutta quell’attesa, non era stata vana. Forse, poteva riavere indietro la sua Hermione.
Le fece un cenno con la mano, invitandola ad entrare e lei si precipitò all’interno della stanza quasi saltellando, gettandosi con poca delicatezza sul letto.
“Pensavo…” cominciò la ragazza, guardando il soffitto con aria sognante.
“Oh no!” mormorò Percy, alzando gli occhi al cielo e le mani per aria, molto teatralmente.
Hermione puntò gli occhi su di lui.
Oh, no?!” ribattè, irritata, inarcando un sopracciglio.
“Beh, è solo.. che ultimamente non viene fuori niente di buono quando tu pronunci una frase che comincia con ‘pensavo’. Di solito, si tratta di qualcosa di avventato e pericoloso e…” fece per giustificarsi il semidio, subito sulla difensiva, ma lei storse il naso, in un’espressione riluttante e poi scoppiò a ridere.
“E io che volevo chiederti se volessi venire a cena con me… vabbè, credo che andrò a proporlo a qualcun altro allora” lo schernì Hermione, alzandosi e incamminandosi verso la porta.
Due secondi, e il ragazzo era già in piedi, davanti a lei, sbarrandole l’uscita.  
“Fai sul serio?” le chiese, con gli occhi sgranati.
Lei annuì.
“Ascolta, Percy… lo so che sono stata un po’ distante in questo periodo… ma sapevi cosa stavo passando, non che questo mi giustifichi certo.. è solo che..” niente da fare, non riuscì a scusarsi, perché lui le fu subito contro e la strinse a sé.
La baciò, prima molto lentamente, dolcemente; poi, i loro baci divennero più intensi, passionali, pieni di desiderio e disperazione insieme.
Hermione capì in quel momento quanto si era comportata da stupida nell’ultimo periodo della sua vita: lei aveva bisogno di Percy, ne aveva sempre avuto, e se solo avesse provato a parlagli, ne era sicura, lui le sarebbe stato d’aiuto. O quanto meno di conforto. E invece, lo aveva tagliato completamente fuori da tutto.
Aveva rischiato di perderlo.
Si strinse ancora di più a lui, desiderosa di sentire che ancora le apparteneva, con i corpi che aderivano perfettamente e studiavano il modo migliore per incastrarsi.
Il semidio la spinse verso la scrivania, la prese in braccio e la issò sul tavolo; lei chiuse le sue gambe attorno alla vita del ragazzo.
Le loro mani, freneticamente, esploravano ogni zona dell’altro, guidate dal desiderio e dalla gioia di essersi ritrovati.
Gli sfilò la maglietta e la gettò sul pavimento, poi fece scorrere le dita sul petto di lui.. al solo tocco riusciva a percepirne la forza, a sentire i muscoli che ricoprivano quel corpo ben fatto che gli anni di addestramento avevano modellato.
Percy infilò le mani nella maglietta di Hermione, che ansimava…
Poi la porta si aprì e i due si staccarono di colpo l’uno dall’altra.
Avevano l’aria di due persone che erano appena state strappate da un bellissimo sogno… o dalla propria vita stessa.
Era Jace, che li fissava immobile dalla soglia della stanza, la rabbia ben percepibile nei suoi occhi.
Con che diritto provava tanto fastidio? Stavano insieme da prima che si conoscessero ed erano fratelli da così poco tempo…  no, non era una questione di mesi, giorni, ore o anni: lei era sua sorella, ed era normale che non volesse che nessuno la toccasse in quel modo.
La ragazza arrossì violentemente.
“Jace” sussurrò con voce roca. Si schiarì la gola.
Il Nephilim si costrinse a riprendere il controllo delle proprie emozioni, a non mollare un pugno in faccia a quel ragazzo che stava sicuramente per portarsi a letto la sua sorellina…
“Dovete scendere di sotto. È un’urgenza” annunciò, e andò via senza proferire altra parola.
 
 
“Alec, mi piace. Credo che.. che sia quello giusto. Lo sai che non sono il tipo che fa questi discorsi.. ma.. non mi sono mai sentita così.. felice, così presa da qualcuno in vita mia” confessò Isabelle.
“Basta che tu non gli spezzi il cuore per poi mangiartelo a colazione, come hai fatto con, vediamo…” il fratello fece finta di contare sulle dita un numero di ragazzi, senza nemmeno tenerne veramente il conto, e poi si portò una mano sulla bocca, fingendo stupore, una volta aperto tutte le dita di entrambe le mani.
La sorella gli lanciò contro il cuscino e arricciò il naso.
Non c’era nessuno nel ‘salotto’ dell’Istituto, adesso lo chiamavano così, a parte loro.
“Alec, smettila!” sbottò lei “ti sto dicendo che penso di essermi innamorata di Ron e tu che fai? Mi prendi in giro! Sarò pure una grandissima stronza, ma sai, purtroppo non sono immune ai sentimenti, o ti avrei già tagliato via la testa con la mia frusta”.
“Non l’avresti mai fatto” la contraddisse lui con un sorriso tronfio dipinto sul volto.
“E perché mai?” lo schernì la Cacciatrice, assumendo un’espressione accigliata.
“Sono il tuo fratellone adorato” la beffeggiò lui, scompigliandole i capelli, per poi cominciare a tirarsi cuscinate a destra e manca, finchè non ressero più la sensazione che cresceva nel loro stomaco da diversi minuti e scoppiarono a ridere.
Fu il suono del campanello dell’Istituto a riportarli alla realtà.
“Sono tutti nelle loro stanze” osservò Isabelle, con la fronte aggrottata.
“Andiamo a vedere chi è” le rispose il fratello.
Ci misero un attimo a raggiungere la porta d’ingresso, qualche secondo per aprirla.
Vedere la persona che si trovarono davanti li fece impietrire; lentamente, si voltarono l’uno verso l’altra, guardandosi con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
Chi gli stava di fronte, presentava numerose ferite lungo tutto il corpo, ben visibili dagli abiti strappati, sanguinava copiosamente e aveva l’aria di riuscire a malapena a reggersi in piedi; un grosso e profondo taglio spiccava sulla tempia sinistra.
“Sono Clarissa Morgenstern e nel nome dell’Angelo Raziel, chiedo di essere ospitata in questo Istituto” disse la ragazza, con voce tremante, per poi svenire ed essere afferrata appena in tempo da un Alec del tutto sgomento.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
 
 
 
“Questo non è un Istituto di Cacciatori, noi non abbiamo le loro preziosissime regole da seguire!” urlò Clarisse, sbattendo i pugni sul tavolo.
“Non abbiamo obblighi nei confronti degli Shadowhunters, questo è vero. Ma ne abbiamo verso la nostra umanità e le faremmo un grosso torto mandandola via!” esclamò con rabbia Hermione.
“E se fosse una spia? Se Sebastian l’avesse mandata qui per avere accesso all’Istituto? Per superare le protezioni? O semplicemente per tenerci sotto controllo… per farci spiare?” obiettò Draco.
“Possiamo scoprirlo facilmente. Ho del veritaserum in camera” dichiarò Ginny.
“E se sui Cacciatori non funzionasse? Se ci raggirasse?” protestò Chris.
“Fatela finita! Tutti!” tuonò Annabeth “non credo che Jonathan, Sebastian o come cavolo si chiama lui, avrebbe mandato qui una spia più morta che viva! Non credo che l’avrebbe ridotta in quello stato se fosse venuta qui per conto suo!”
“Magari voleva solo rendere più credibile il tutto…” ipotizzò Percy, restio a credere che quella ragazza, che una volta aveva cercato di uccidere lui e i suoi amici, fosse lì per tradire il fratello.
“Taci, Testa d’Alghe! Tu pesteresti a sangue tua sorella pur di risultare credibile?” lo rimbeccò la figlia di Atena, che, nel notare il silenzio dell’amico, aggiunse “come pensavo”.
“Ma lui non ha sentimenti” ricordò loro Neville.
“Ma non è stupido” s’intromise Luna, parlando col suo usuale tono mite.
Gli occhi di tutti di posarono su di lei, che sorrise.
“Per quanto Jonathan potesse fidarsi di Clary, non credo che sarebbe stato così sprovveduto da azzardare una mossa del genere” spiegò lei, pacatamente.
Per quanto stramba, Luna sapeva essere incredibilmente carismatica… peccato che nessuno viaggiava sulla sua stessa lunghezza d’onda e per questo erano pochi a riuscire a capirne davvero le parole.
Il volto di Nico si illuminò.
Lui aveva capito, ma gli altri continuavano a fissare la sua ragazza, confusi.
Si sentì in dovere di intervenire e supportare la tesi di Luna, così disse:
“Beh, secondo me ha ragione. Voglio dire, non credo che sarebbe stato così stupido da mandare da noi Clary”.
“E perché mai?” domandò Harry.
“Beh, semplicemente perché Jace è qui. E un amore come il loro non si estingue mai del tutto. Nessuno con un briciolo di cervello l’avrebbe mandata qui a fare la spia, sotto il tetto in cui vive non solo l’amore della sua vita, ma anche la maggior parte delle persone a cui abbia mai tenuto!” concluse Luna.
Aveva ragione. Ora ne erano convinti tutti.
Restava solo aspettare che Clary si risvegliasse e desse delle spiegazioni; era in pessimo stato, Magnus aveva riferito loro che qualche secondo di ritardo in più l’avrebbe potuta uccidere. .
 
 
“È chiuso in quella stanza da due giorni” sussurrò Isabelle a Hermione.
“Sono preoccupata”
“È normale” le rispose la ragazza “ma è altrettanto normale che voglia starle vicino, voglio dire, la ama! ”
“Ma dopo tutto quello che…” cominciò la Cacciatrice, ma fu subito interrotta dalla strega, che le disse: “L’amore non si misura in base agli errori, Izzy. Percy avrebbe già dovuto lasciarmi, mesi fa, se fosse così! E non sappiamo nemmeno come stanno le cose, dobbiamo sentire la versione dei fatti di Clary, se sarà disposta a darcene una, e penso proprio che lo farà”.
 
 
Jace stava fissando il corpo di Clary, disteso sul letto.
Intravedeva solo un lieve alzarsi e abbassarsi delle lenzuola, segno che ancora respirava, ma da quando era arrivata all’Istituto, non aveva dato altro segno di vita.
Per questo, quando lei mosse una mano, il cuore gli balzò in gola.
“Jace..” sussurrò la ragazza.
“Sono qui” rispose prontamente lui, avvicinandosi a lei.
Fu invaso da una strana sensazione quando incrociò gli occhi verdi di Clary.
“Mi dispiace tanto..” gli disse, con le lacrime che le rigavano le guance.
Il Nephilim s’irrigidì. L’ultima cosa che si aspettava, era di trovarsi a fare quel discorso non appena lei si fosse svegliata.
“Non ora..” provò a fermarla lui, ma lei non gli lasciò proferire altra parola.
“No, Jace, ascoltami. Sono stata davvero cattiva, so di averti ferito, ma faceva tutto parte del piano, non capisci? Dovevo farlo”
“Dovevi provare a tutti i costi ad ucciderci?” ribattè lui, accigliato.
“Non volevo che voi moriste, stavo elaborando un modo per salvare la situazione, lo giuro! Ma poi quella stupida ragazzina ha mandato tutto a fuoco…” urlò Clary.
Quella stupida ragazzina è mia sorella” puntualizzò Jace, una nota di irritazione nella sua voce, che fece sprofondare il cuore della ragazza.
Erano fratelli?! Com’era possibile? Quant’era stata sciocca a credere che potesse essere la sua nuova fidanzata?
“Tua sorella?!” ripetè confusa.
“Esatto. E sei pregata di non esprimerti mai più in questo modo, quando parli di lei. Direi che abbiamo molto di cui parlare, comunque” asserì lui.
 
 
La porta dell’infermeria si aprì di scatto, facendo sobbalzare Hermione ed Isabelle.
Ne uscì fuori un Jace, ansante, che annunciò:
“Si è svegliata!”
Si precipitarono all’interno della stanza.
“Isabelle..” esordì Clary,gli occhi umidi e spenti.
“Sarà meglio per te che tu abbia una buona spiegazione per tutto,Clarissa Morgenstern, altrimenti, se non ti ucciderà Jace, lo farò io” rispose gelida la Cacciatrice, ignorando l’occhiata di rimprovero del fratellastro.
“Bene. Non sono mai stata dalla parte di Sebastian! Mai. Volevo solo che si fidasse abbastanza di me per confidarmi i suoi piani, tutto qui!” esclamò la ragazza.
“Tutto qui?! TUTTO QUI?” sbottò Isabelle, furibonda.
“Ti credevamo morta e quando abbiamo scoperto la verità, tu eri una stronza crudele che appoggiava Sebastian! Oh ti ci vorrà molto di più per tirarti fuori da guai!”
“È stato lui a salvarmi.. il veleno di quel demone mi aveva paralizzata, ma non uccisa completamente. Solo che voi non avreste potuto accorgervene.  Mi ha curata e mi ha detto che mi avevate lasciata lì di proposito.. ha detto che voi volevate che io morissi.. e come una stupida gli ho creduto, per questo non sono tornata all’Istituto, ma ho deciso di occuparmi del mio ‘adorato’ fratellino da sola” spiegò Clary, con voce rotta.
“E come ci sei arrivata qui, in questo stato? Come ti ha scoperta?”
Era la prima volta che sentiva Hermione parlare; aveva una di quelle voci gentili, e carismatiche, che lasciava trapelare tutta l’esperienza e la conoscenza attraverso cui lei si esprimeva.
“Ogni volta che lui evocava un Demone Superiore, truccavo il disegno con una minuscola runa che lo faceva dissolvere dopo qualche minuto. Sebastian non ha capito perché i suoi tentativi non avevano successo, finchè non mi ha scoperta… stava cercando di evocare Agramon, il demone della paura, uno dei più potenti in assoluto… dopo quello che ha causato anni fa, non potevo lasciarglielo fare.. mi serviva una runa molto forte, mi serviva tempo… ma non ne ho avuto abbastanza. Mi ha scoperta e ha provato ad uccidermi, ma sono riuscita a creare un portale col mio sangue” raccontò Clary, tremando.
“E come hai fatto ad arrivare qui?” domandò Hermione, inarcando un sopracciglio.
“Ho solo… ho solo pensato a Jace” rispose lei, arrossendo violentemente; cercò lo sguardo del Nephilim, ma lui lo distolse subito.
Clary si sentì sprofondare.
“Allora. Qual è il piano di Sebastian?” la incalzò Isabelle.
“Vuole liberare tutti i Demoni Superiori sulla Terra, e indirizzarli a Idris e contro i vari Istituti. Si, sono protetti, ma un attacco di centinaia di potentissimi demoni superiori, non può essere fermato da quelle precauzioni.. per di più, intendeva sfruttare i mondani, se fosse stato necessario” rivelò la ragazza.
“Cosa vuole?” chiese Jace.
Era la prima volta che proferiva parola da quando le sorelle si erano unite alla conversazione.
“L’estinzione dei Nephilim” sussurrò Clary, tetra. “Un mondo governato dai demoni, del quale lui sarebbe il re”.
Isabelle fu scossa da un brivido.
“Sai quando ha intenzione…”
“Non è ovvio? Qual è il giorno dell’anno in cui tutte le forze malefiche, infernali, demoniache sono al massimo della loro forza?” la interruppe lei.
“La notte di Halloween” concluse Hermione.
Clary annuì.
“Dobbiamo impedirglielo!” esclamò Isabelle “ci ucciderà tutti se riesce a portare a termine il suo piano e la terra cadrà nel caos e nella morte e nella distruzione e…”
“No. Non lo farà. Perché lo troveremo e lo uccideremo” la interruppe Hermione, gli occhi fissi in quelli di Jace. “Prima che tutto ciò accada”.
Il Nephilim annuì.
Insieme, erano inarrestabili.
Insieme, erano imbattibili.
Un concentrato di determinazione, forza e crudeltà, quando si trattava di fare fuori qualche minaccia per l’umanità.
 
 
Clary si dimenava nel sonno da ore.
Pochi secondi prima di spalancare gli occhi e affondare il capo tra le braccia di Jace, stava urlando come le matte, a squarciagola.
“Lasciami, Sebastian, no, ti prego..non voglio..”
“È tutto okay, era solo un sogno… ci sono io qui, te l’ho giurato anni fa, ti proteggerò con la mia stessa vita,  se sarà necessario” tentò di tranquillizzarla il Nephilim, accarezzandole piano i capelli.
Clary tremava, e piangeva ininterrottamente.
“Non era un sogno, Jace” mormorò con voce spezzata lei “è successo davvero..”
“Cosa?” domandò lui, prendendole il volto tra le mani.
La ragazza chiuse gli occhi e inspirò a fondo.
“Dimmelo, Clary. Che cosa ti ha fatto?!” tuonò Jace, la rabbia che gli montava dentro impetuosamente.
“Jace…” boccheggiò lei, scuotendo la testa, e singhiozzando a più non posso.
“Parla.” le ordinò lui, in un tono che non ammetteva altre opzioni.
“Sebastian mi ha violentata.” confessò alla fine.
Lo Shadowhunter la mollò di colpo.
Come aveva potuto fare una cosa del genere a sua sorella? Beh, certo.
Lui non aveva sentimenti, perché avrebbe dovuto farsi degli scrupoli? Aveva ucciso un bambino piccolo, solo qualche anno prima, aveva ucciso Max.
Jace non aveva mai provato una rabbia simile, un così forte desiderio di porre fine alla vita di qualcuno.
Serrò le mani, formando dei pugni, così forte che le nocche gli diventarono bianche.
Avrebbe sferrato lui il colpo che avrebbe finalmente ucciso Jonathan Morgenstern.



********Angolo dell'autrice**********
Chiedo scusa per il ritardo con cui aggiorno la storia, ma dato che ci tengo preferisco lavorare per bene ai vari capitoli, anche se ciò comporta pubblicarli con qualche giorno di distanza l'uno dall'altro.
Mi chiedo se la mia FF vi stia piacendo, e vi esorto a dirmi cosa ne pensate e soprattutto se ci sono errori non esitate a farmeli notare :)
Come al solito, cercherò di aggiornare il più presto possibile!
Grazie a tutti,
a presto,
Bell :)

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17
 
 
 
 
“Abbiamo setacciato tutta la proprietà e le zone limitrofe. Si è volatilizzato!” ruggì Isabelle, gettando le armi nell’armadio.
“Cosa ti aspettavi?” replicò Hermione, rassegnata.
“Se già i demoni sono molto furbi, figurati uno che è per metà anche Cacciatore quanto può esserlo!” s’intromise Clarisse.
“Sebastian non è un Nephilim, chiaro?!” puntualizzò la Shadowhunter, lanciando un’occhiataccia omicida alla semidea.
“Lui è solo un mostro. Un orribile abominio!”
Hermione deglutì. Anche lei e Jace, da qualche parte remota del loro sangue, avevano tracce demoniache, dato che discendevano da Tessa.
“Pss!” si voltò, scrutando la stanza interrogativa, in cerca della persona che aveva emesso quel suono per attirare la sua attenzione; ci mise un po’ prima di individuarla.
“Ehm, ragazze.. scusatemi, torno subito. Mi sono appena ricordata di dover fare una cosa” si congedò inventando una scusa.
 
“Che succede? Perché tutta questa circospezione?” chiese Hermione al ragazzo.
“Ho una teoria. Ma ho bisogno di parlarne prima con qualcuno con una mente eccezionale, e questo dovrebbe chiarire il perché io abbia scelto te” spiegò lui.
“Sentiamo” lo incalzò lei.
“Qual è il posto dove Sebastian non si aspetterebbe di essere mai trovato?” 
“Draco, maledizione, se lo sapessi ora non sarei qui!” sbottò irritata Hermione.
Motivo del suo fastidio? Probabilmente il fatto che qualcun altro fosse stato in grado di elaborare una teoria abbastanza plausibile e lei no.
“Vedila in questo modo: stai cercando di far fuori tutti i maghi e le streghe del mondo. Ti serve un posto che loro non scoverebbero mai, per nasconderti. Dove andresti?” raggirò il problema il biondino.
La ragazza inarcò un sopracciglio; decisamente, si stava spazientendo.
Adesso, dove andresti?” la incoraggiò lui.
Il viso di Hermione si illuminò.
Era ovvio, come aveva fatto a non pensarci prima?
“Un posto in cui nessun Nephilim penserebbe che lui possa essere… un posto non legato al suo mondo!” esclamò soddisfatta.
Draco annuì.
“Ma ce ne sono a migliaia!” obiettò lei.
“Pensaci. Un posto che tutti evitano da un secolo..”
“So a cosa stai pensando e no. No, è assolutamente improbabile” disse la ragazza, ma la voce le tremava: lo era sul serio?
Troppe cose improbabili nella sua vita si erano rivelate poi reali.
Improbabile, ma non impossibile” la corresse Malfoy.
“E come saprebbe della sua esistenza, genio del male?” lo schernì Hermione, alzando le mani per aria.
“Io.. io” balbettò lui, arrossendo lievemente.
“Oh, io non lo so, ‘Mione sei tu quella che sa sempre tutto!” sbuffò alla fine,
“Ma ho una strana sensazione. Tentar non nuoce ed è sempre meglio che starsene qui con le mani in mano! Diventiamo tutti più irritabili, quando non sappiamo che pesci prendere, lo sai!”
“Bene. Se vuoi perlustrare la Stamberga Strillante, fallo pure, ma cercati qualcun altro con cui farlo! Ho già avuto un buco nell’acqua, oggi” concesse Hermione, rientrando nell’Istituto, esausta.
 
Hermione risalì le scale, diretta alla sua camera da letto.
Aprì la porta e accese la luce; sobbalzò. C’era qualcuno, lì.
Jace!” esclamò in un misto di sollievo e collera per lo spavento che il fratello le aveva procurato.
Sul viso del ragazzo, invece, spuntò un sorriso.
“Dovresti vedere la tua faccia” la beffeggiò, scoppiando a ridere.
“Non è stato divertente” rispose lei, mollandogli un pugno sul braccio.
“Ahi! Questo si che fa male!” continuò a prenderla in giro lui, portandosi la mano sul punto in cui lo aveva colpito e imitando una smorfia di dolore.
“Non mi provocare, Jace Herondale, o te ne faccio pentire” lo minacciò la ragazza, cercando di usare la voce più intimidatoria che le poteva uscire dalla bocca.
“Uh. Uh!”  
Hermione sospirò, rassegnata.
Non c’era niente da fare con Jace, ormai lo aveva capito: se era in vena di sfottere, o lo si prendeva a pugni (e questo comportava per il suo avversario una brutta e dolorosa fine) o si cercava di tenergli testa e di lasciarlo fare. E non le andava di lottare con suo fratello.
“Cosa vuoi?” gli domandò, in maniera poco gentile.
“Stavo andando a letto”
“Con Percy?” chiese lui, diventando subito serio e arrossendo lievemente.
Perché si stava addentrando in questa conversazione?
“Non sono affari tuoi!” sbottò Hermione, adirata.
“E sei pregato, la prossima volta, di non entrare in quel modo in camera! Sai, la buona educazione prevede che si bussi, prima” lo ammonì poi.
“Non sono mai stato molto educato” rispose sfacciatamente Jace.
Erano già arrivati alla prima litigata tra fratelli? Bene. Lei non aveva intenzione di dargliela vinta.
“E per la cronaca, se la camera è quella del ragazzo di mia sorella, e so esserci anche lei lì dentro, ci entro quando mi pare e piace” aggiunse, incrociando le braccia.
No che non lo fai!” ruggì la ragazza, livida in volto.
“Sei mio fratello da quanto? Un mese? Giorno più, giorno meno? Cosa ti dà il diritto di pensare di poterti comportare come se lo fossi da sempre? Cosa ti fa credere che tu possa essere geloso o iperprotettivo o qualsiasi altra cosa? Io non ti ho mica fatto storie, per Clary! E non venirmi a dire che tu sei il ragazzo, per favore, perché ci metto un secondo a schiantarti fuori dalla stanza!”
Il volto di Jace si rabbuiò, non solo perché non si aspettava una tale reazione da parte della sorella, ma anche perché il pensiero di Clary lo faceva ancora stare male.
Fece per andarsene, ma Hermione, resasi conto di averlo ferito, lo fermò, afferrandogli il braccio.
Aveva esagerato.
“Aspetta, mi dispiace, Jace.. non..non avrei dovuto essere così dura” ammise.
“No, hai ragione. Scoprire che abbiamo un genitore in comune non fa di noi due fratelli veri e propri” replicò lui e uscì dalla stanza, sbattendosi dietro la porta.
 
“Un altro buco nell’acqua” annunciò Ron, appena tornato da Hogsmeade, seguito da Harry e Draco.
“Ormai è scontato, quel posto” replicò Neville.
“Non potete esserne così delusi!”
“Ci speravamo. Non avevamo opzioni migliori” si giustificò Harry.
Nessuno l’aveva mai visto così abbattuto.
Ginny corse ad abbracciare Draco e lo baciò più appassionatamente di quanto avrebbe dovuto fare davanti al fratello, che, emettendo un verso di disgusto, lasciò la stanza imprecando.
 
“Jace?!” chiamò Hermione, sbattendo forte i pugni sulla porta della camera del fratello.
“Lo so che sei. Devo parlarti. È importante” cercò di attirare la sua attenzione, ma niente.
Sebbene avesse provato mille volte a trasformarsi in Sebastian, non c’era mai riuscita, ma alla fine era giunta a una conclusione: c’era solo un posto dove qualcuno che aveva intenzione di evocare tutti i demoni possibili e inimmaginabili, poteva trovarsi, e lei lo sapeva… ne era sicura.. ma voleva il parere del fratello, che però la evitava spudoratamente da settimane, dopo quella conversazione.
“Oh, Va’ al Tartaro!” sbottò infine, in una perfetta imitazione di Annabeth quando si arrabbiava.
Aveva passato così tanto tempo con i semidei, che ormai il loro gergo le era entrato dentro come se le fosse sempre appartenuto; e la stessa cosa valeva per loro.
Ogni tanto, sentiva Leo dire ‘miseriaccia’ o Chris invocare la tanto famosa barba di Merlino, e tutte le volte non riusciva a fare a meno di sorridere.. la trovava un tantino comica, la situazione.
Tornò in camera sua, facendo il meno rumore possibile, visto che era notte fonda e probabilmente tutti stavano già dormendo.
Era il ventinove ottobre, non avevano più tempo e lei doveva fare qualcosa.
Aprì l’armadio e afferrò una tenuta da Cacciatrice.
Per la prima volta in vita sua, si tracciò delle rune sul corpo.
Tre iratze, per sicurezza; una runa della forza, una del silenzio e quella della vista notturna: Isabelle era stata così gentile da prestarle il proprio stilo, qualche giorno prima.
Afferrò un foglietto e vi scrisse sopra un messaggio che prima di uscire avrebbe rifilato sotto la porta di Harry.
Si guardò allo specchio: la tuta le copriva ogni parte del corpo, eccetto una lieve scollatura davanti.
Afferrò dei pugnali e una lama angelica, che inserì nella cintura e si avvolse la frusta attorno al braccio, com’era solita fare.
Legò i capelli in una lunga e folta coda e aprì la finestra.
Saltò giù.
 
I sentieri lungo i quali si stava addentrando erano lunghi, bui e oscuri: il classico luogo adatto ai film Horror, pensò.
Rumori inquietanti scuotevano l’aria e le facevano accapponare la pelle.. cosa le era saltato in mente?
Andare lì da sola, solo per fare un dispetto a Jace; avrebbe potuto almeno portare Percy, con sé. Si sarebbe sentita più sicura…
No. Lei era Hermione Granger, era sempre stata all’altezza di ogni situazione ed era una Grifondoro, lo sarebbe sempre stata.
Niente paura. Il coraggio prima di tutto.
Lei poteva farcela anche da sola.
Imboccò una via desolata e raggiunse il luogo che stava cercando.
Era una scuola, un liceo, di una piccola cittadina con pochi abitanti.
Sapeva che Sebastian era lì. Lo sentiva. Doveva solo scoprire dove.
Aggirò l’edificio con circospezione, studiandone le possibili entrate sotterranee, ma non riuscì a trovare niente di utile: doveva cercare un altro accesso.
Decisa a tornarvi in un secondo momento, stava per voltarsi e tornare indietro, all’Istituto, quando una mano le bloccò il corpo e un’altra le serrò la bocca.
“Bene, bene, bene” commentò una fredda e metallica voce.
“Guarda un po’ chi c’è qui. La sorellina del mio ‘adorato’ Jace”
Hermione provò a divincolarsi, ma fu tutto inutile.
Percepì la mano dell’uomo sfiorarle il fianco e sentì la cintura cadere per terra.
“Questo lo prendo io, se non ti spiace” sussurrò con un ghigno lui, sfilandole l’anello magico dal dito.
Lo avrebbe riconosciuto ovunque.
Non avrebbe mai dimenticato quella voce arrogante e disumana.
Sebastian.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18
 
 
 
“Allora, che cosa ci fai qui streghetta? Come mi hai trovato?” le domandò Sebastian, mentre la strascinava lungo profondi sentieri sotterranei.
Era al suo quartier generale che volevo arrivare, pensò Hermione tra sé, bene. Ci sto andando.
“Sei prevedibile” lo canzonò lei, sfacciatamente.
“No. Non lo sono. Quindi, spiegami come hai fatto, perché se non lo fai con le buone, dovrò regolarmi di conseguenza” la minacciò lui, mostrandole i denti con fare maligno.
La strattonò e sbattè la testa allo stipite di una piccola porta, che poi attraversarono.
Scusami, non volevo” la beffeggiò poi.
Hermione era sicura che quel colpo volesse essere un avvertimento: parla o ti torturerò finchè non esalerai l’ultimo respiro.
Si costrinse a restare calma.
“Non è stato difficile, in effetti. Conoscevo il tuo piano, so quando e cosa vuoi fare. L’ultimo pezzo del puzzle, era scoprire dove” rispose.
Doveva temporeggiare.
Harry avrebbe trovato il suo messaggio e sarebbero arrivati i rinforzi; e anche se per quel momento lei fosse stata morta, almeno ne sarebbe valsa la pena.
“Suppongo che la mia fedele sorellina sia ancora viva, allora” constatò Sebastian.
“Dovresti scegliere con più cura, i tuoi alleati” continuò a provocarlo Hermione.
“E tu dovresti avere maggiori riguardi per la tua vita” rispose con un ghigno il Nephilim.
“Tanto ormai sono morta” commentò lei: era un dato di fatto, a quel punto.
“Oh, io non ne sarei così sicuro.. ho dei piani, per te, di gran lunga più interessanti” la informò lui.
La ragazza inarcò un sopracciglio.
“Ogni cosa a suo tempo.”
 
“Avete visto Hermione?” Percy entrò ansimando nel salotto dell’Istituto.
Jace, che sedeva dietro la scrivania leggendo un libro, inarcò un sopracciglio e fece subito ricadere l’oggetto sul tavolo, guardando il ragazzo con aria annoiata.
Stava sulla difensiva e lo avevano capito tutti.
“Non la vedo né la sento da ieri sera. Non è scesa a colazione e nemmeno a pranzo. Non risponde quando busso alla porta della sua camera” raccontò il semidio, preoccupato.
“Probabilmente starà tenendo su il broncio perché ieri sera l’ho ignorata” commentò noncurante Jace.
“Cos’hai fatto? Hai idea di quanto ci stia male, per quello che sta succedendo tra voi due?” sbottò il figlio di Poseidone.
Il Nephilim fece spallucce.
“Vado a controllare io” annunciò Annabeth prima di uscire dalla stanza borbottando qualcosa che suonava come un ‘uomini’ pronunciato con tonalità decisamente irritata.
Bussò forte alla porta, ma non ne scaturì nulla.
“Hermione?! Sono io, apri per favore!”
Ancora niente.
“Se non mi fai entrare, sfondo la porta a calci, lo giuro sullo Stige!” urlò ancora, ma la strega non si decideva a risponderle.
Bene. L’hai voluto tu!” l’avvertì, poco prima di prendere la rincorsa lungo il corridoio e spalancare la porta con un calcio.
La stanza era vuota.
“Ma cosa?!” boccheggiò, sbattendo ripetutamente le palpebre.
L’armadio era aperto e mancavano una tenuta e qualche arma.
Cominciò a scendere le scale di corsa, raggiungendo in pochi secondi il salotto, dove Percy e Jace stavano ancora battibeccando.
“Non c’è! Hermione è sparita!” rivelò loro, ansante.
Il figlio di Poseidone scoccò un’occhiataccia da ‘te l’avevo detto che qualcosa non andava’ a Jace, il quale nel frattempo era decisamente impallidito.
Si sentiva in colpa e sapeva di essersi comportato da stupido.
“Magnus!” chiamò a gran voce.
Lo stregone si precipitò lì rapidamente, scrutando con sguardo interrogativo tutti i presenti.
“Devi fare un incantesimo di localizzazione. Hermione è sparita”
 
“Quindi, ha intenzione di dirmi come hai fatto due più due, o no?” la incalzò spazientito Sebastian.
Hermione si arrese e spiegò:
“Mi sono sempre interessata ai fatti esteri. Quando ero al primo anno ad Hogwarts, lessi un articolo sulla Gazzetta del Profeta.. parlava della ‘Bocca dell’Inferno’ che secondo molti era situata qui, sotto il liceo di Sunnydale. Se già volevi svolgere il rituale nella notte in cui le forze demoniache sono più potenti, ho pensato che volessi servirti anche del luogo in cui le barriere tra le dimensioni sono più deboli. Così, eccomi qui”
“Ma non hai detto nulla agli altri, dico bene? O non sarebbero stati così sciocchi da farti venire qui da sola.. mi hai fatto proprio un bel favore. Adesso, so per certo che nessuno rovinerà i miei pieni” disse Sebastian, palesemente soddisfatto, poco prima di fermarsi.
Avevano raggiunto un’enorme stanza arredata solo da un letto e una scrivania; faceva davvero molto freddo, lì dentro.
“Benvenuta nella tua nuova casa, Principessa”.
 
“Mi dispiace, non funziona!” annunciò Magnus.
“Cosa?” esclamò Alec, spalancando la bocca.
“Quella camicia è di Hermione! Come può non funzionare?”
“Probabilmente si trova in un punto protetto. Se vi sono degli incantesimi di protezione, come quelli che vigono su questo Istituto, ovviamente, non posso localizzare né tale luogo né alcuna persona che si trova lì” spiegò triste lo stregone.
“Dannazione!” imprecò Jace, alzandosi e scagliando lontano la sedia.
“Cosa c’è, adesso ti preoccupi?” lo provocò Percy.
Il Nephilim gli lanciò un’occhiataccia e poi gli si gettò contro, afferrandolo per il colletto e sbattendolo al muro.
“Non so se l’hai notato prima d’ora, ma non mi stai affatto simpatico, Jackson. Ti conviene stare attento” lo minacciò.
“Forse conviene di più a te” replicò il semidio, tirando un calcio negli stinchi a Jace, che ritrasse la mano, distratto dal dolore.
“Smettetela, voi due!” ruggì Harry. “Dobbiamo trovare Hermione e siamo già abbastanza nei guai senza che voi due ci aggiungiate i vostri stupidi battibecchi!”  e uscì dalla stanza, per cercare di calmarsi, di concentrarsi.
Hermione era la sua migliore amica; era come una sorella per lui: la conosceva meglio di chiunque altro, se avesse provato a pensare come lei, sicuramente, l’avrebbe trovata.
Aprì la porta della sua camera da letto e, senza accorgersene, calpestò un foglietto situato sul pavimento.
Vi scivolò sopra.
“Ma che…” gli bastò guardarlo, per capire.
Fece scorrere sopra esso la sua mano, pensando all’incantesimo di rivelazione che Piton aveva provato a usare tanti anni prima sulla sua Mappa del Malandrino, e provò un moto di sollievo ed eccitazione, nel vedere la calligrafia di Hermione comparire sul bianco del foglietto.
“Ragazzi!” urlò.
“Ragazzi! So dov’è! Mi ha lasciato un messaggio!”
Jace e Percy comparvero contemporaneamente sulla soglia.
“Allora?!” lo incalzarono.
“C’è scritto solo questo: Sunnydale” annunciò, mostrando loro il pezzo di carta.
“Si trova vicino a Los Angeles! È…” cominciò Jace, ma fu Annabeth a terminare la frase.
“È la ‘Bocca dell’Inferno’. Hermione ha trovato Sebastian.”
 
“Sei impazzito?” sbottò irritata Hermione.
“No. Te l’avevo detto che ho dei piani per te. Tu.. sei speciale” replicò il Nephilim.
La ragazza represse un conato di vomito e poi sputò le parole come se fossero veleno.
“Tu mi disgusti. Io non passerò mai dalla tua parte. Io non sarò mai la Principessa del tuo schifossissimo mondo di demoni, Jonathan Morgenstern. E stai sicuro, che questo tuo regno non arriverà a formarsi!”
Sebastian le aveva appena confessato la sua intenzione di usarla nel rituale, per aumentarne la potenza, dato che il sangue della ragazza era decisamente speciale.
La voleva accanto nel suo nuovo regno, ed era convinto di potersi riprendere anche Clary.
Jonathan scoppiò a ridere; una risata fredda, calcolatrice. Disumana.
“E come pensi di impedirmelo, dolcezza?”
“Lo vedrai” rispose lei, con tutta la sicurezza che poteva far trasparire dalla voce.
Vide lo sguardo del suo nemico scurirsi e il suo volto farsi immediatamente serio e… adirato.
“Sei solo una sciocca!” le urlò contro, colpendola poi in testa.
Hermione sentì un dolore lancinante attraversarle la testa, poi svenne.








***************Angolo dell'autrice********************
Riferimenti alla serie tv 'Buffy L'Ammazzavampiri': Sunnydale, la Bocca dell'Inferno, è la città dove vivono Buffy e i suoi amici e dove le loro vicende si verificano.

Beh, cos'altro dire.. ringrazio chiunque abbia seguito la mia storia fino a questo punto, ci avviciniamo alla fine, credo.
Vi invito a lasciarmi il vostro parere,
cercherò di aggiornare al più presto.
Alla prossima,

Bell 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19
 
 
 
Quando Hermione rinvenne, si trovò legata al letto di quella lugubre stanza con delle manette di acciaio, incapace di compiere alcun movimento.
La sua tenuta da Cacciatrice era stata sostituita da un attillato vestitino che le arrivava a metà cosce e le stringeva il seno, in modo da metterlo in risalto.
Sentì la rabbia farsi strada lungo ogni fibra del suo corpo.
Non l’aveva mica cambiata Sebastian?!
“Se ti stai chiedendo com’è che indossi quell’abito, la risposta è che Evelyn, una mia alleata licantropa, ha ritenuto adatto cambiarti d’abito, sai, per il rituale. Non posso essere più d’accordo con lei, sei molto meglio, così”
Il commento di quell’essere ripugnante le arrivò alle orecchie non richiesto, ma si sentì comunque sollevata dalla notizia che era stata una donna a vestirla.
Rabbrividì.
Aveva già freddo con la tuta, che le ricopriva tutto il corpo, figurarsi con questo vestito striminzito.
“Sai, sei alquanto codardo” lo provocò Hermione.
“E perché, di grazia?” domandò Sebastian, fingendo stupore per quella frase.
“Sono completamente disarmata, eppure hai paura a tenermi slegata”
Il Nephilim scoppiò a ridere.
Paura? Non sono io quello nella condizione di dover temere qualcosa, ragazzina!”
Tirò fuori un coltello affilato.
“Allora. Ho qualche semplice domanda da farti, adesso” esordì.
Hermione strinse le labbra.
“Su, da brava. Dimmi, dove si trova il vostro Istituto? Che genere di protezioni vigono su esso?”
Niente. La strega non aveva alcuna intenzione di parlare.
“Mmmh. Che peccato rovinare una così bella pelle” commentò Sebastian, premendo il pugnale sulla coscia destra di Hermione e facendolo scorrere fino al ginocchio.
Non urlerai Hermione, ripeteva nella mente, non cederai e non gli darai alcuna soddisfazione.
“Non avrai mai alcuna risposta, da me!” esclamò la ragazza.
“Lo vedremo” la sfidò lui, ferendole anche l’altra gamba.
“Hai molta resistenza al dolore” constatò poi, guardandola come un bambino può guardare un dolce.
“Sono stata torturata così tante volte, che se te ne parlassi, ti sorprenderesti anche tu del fatto che non sono diventata matta” replicò Hermione, in tono provocatorio.
“Non mettermi alla prova. Potrei essere io, a farti diventare matta” rispose Sebastian, con una nuova luce negli occhi.
“Puoi provarci” lo sfidò lei.
Il pugnale toccò anche le sue braccia, scendendo questa volta più in profondità.
Il dolore, ne era consapevole, era attutito dagli iratze, ma una volta svaniti, non sarebbe stato più così facile resistere, non urlare.
“Perché ti ostini a proteggere un fratello che non ti vuole?” le domandò il Nephilim, socchiudendo gli occhi.
“Non sto proteggendo soltanto lui. E non mi interessa che lui mi voglia o meno. Io non farei mai niente a suoi danni” controbattè Hermione.
“Ah, sai. Clary dovrebbe essere così con me, ma invece lei è totalmente fedele a Jace. Non capisco perché lui debba avere sempre tutto”
I suoi occhi erano diventati rossi.
“Magari, visto che lui ha mia sorella, io potrei avere la sua” disse, sfiorando con le dita il collo nudo di Hermione.
“Non mi toccare!” gli urlò contro lei.
“Non mi sembra che tu possa impedirmelo” le fece notare Sebastian.
Il sangue affluì sul volto della ragazza, che in preda a una collera che non aveva mai provato prima, fece un gesto del tutto poco femminile: lo sputò in faccia.
“Sei un maiale!” ringhiò, cercando di far trasparire quanto più odio possibile da quelle parole.
Sebastian si asciugò il volto con una mano e serrò le labbra.
“Maiale, hai detto? Forse, posso mostrarti cosa vuol dire” rispose, avvicinandosi a lei e alzandole il vestitino da sotto.
Hermione urlò e provò a divincolarsi, ma il Nephilim ridacchiò di gusto al pensiero che ogni sforzo della ragazza si sarebbe rivelato vano: nulla gli avrebbe impedito di ottenere ciò che voleva.
Si avvicinò nuovamente a lei accarezzando le gambe…
La porta della stanza si spalancò.
“Anche lei, no. Stai. Lontano. Da. Mia. Sorella.” Ruggì Jace, scagliandosi contro Sebastian.
“Oh, andiamo ‘fratellino’.  Non puoi averle entrambe” lo schernì lui, schivando il suo colpo.
Hermione era diventata molto pallida, aveva perso troppo sangue; la testa le girava e si sentiva debole.
“Jace..” sussurrò di sollievo.
“Come sei arrivato, fin qui?” domandò Sebastian.
“Andiamo. Non avrai mica pensato sul serio che mia sorella sarebbe venuta qui senza mettere in conto una sua possibile cattura. Non ti facevo così stupido” lo schernì Jace, affondando la lama nel braccio dell’avversario.
Sebastian ringhiò e si scagliò contro lui, facendogli urtare il capo allo spigolo del comodino con tanta forza, che svenne.
Si rialzò e staccò le catene che legavano Hermione; la tirò su e la strattonò fino ad una stanza enorme, con un grosso pentagono disegnato al centro del pavimento.
“Sai, avevo pensato di salvarti la vita. Ora ho cambiato idea” sussurrò Sebastian all’orecchio della ragazza.
 
“Alec siamo circondati!” urlò Isabelle al fratello, che stava per lanciarsi in quella che si potrebbe definire una ‘missione suicida’.
Decine di vampiri, licantropi e demoni, si stagliavano attorno ai Cacciatori, ai semidei e ai maghi e non sembravano esserci vie di fuga.
“Dobbiamo raggirarli! Dobbiamo raggiungere quella porta!” esclamò Magnus.
“Avverto magia oscura provenire da lì!”
“Come fa ad avvertirla?” sbottò Chris, in ansia per lo spettacolo che gli si parava davanti.
“Perché la magia, e in particolare quella oscura lascia sempre traccia!” gli rispose Harry, ricordando le parole che Silente gli aveva detto nella caverna, mentre erano alla ricerca del medaglione-horcrux.
“E poi, perché mettere tutti quei cosi di guardia, se fosse una stanza qualsiasi?”
“Ho un’idea!” annunciò Annabeth, rivolgendo lo sguardo a Leo e Percy: avevano già capito cosa fare; dovevano attirare i mostri dall’altro lato, in modo da creare una barriera di fiamme che gli avrebbe consentito via libera alla stanza del rituale.
Si lanciarono nella mischia: Clarisse, più agguerrita che mai, motivata dall’eccitazione che una battaglia può dare solo alla figlia di Ares, cominciò a recidere il capo a parecchi Nascosti, mentre Annabeth si scagliò direttamente sui demoni, accompagnata da Isabelle e Alec. Chris, che era stato disarmato, era impegnato in un corpo a corpo con un lupo mannaro grosso e forzuto.
Gli zombie di Nico cercavano di atterrare il più possibile degli avversari, mentre lui combatteva egregiamente con un vampiro molto anziano e pertanto più forte e veloce degli altri.
I maghi, le streghe e Magnus, cercavano di creare barriere protettive attorno ai loro compagni o di schiantare il più possibile delle creature; Neville, in particolare, ne fece fuori parecchie, facendo germogliare un tranello del diavolo su un pezzetto del pavimento: era decisamente stata una buona idea, portarne qualche radice con sé.
“Percy! Leo! Ora!” ordinò la figlia di Atena e i due cominciarono a concentrarsi sugli elementi che rispettivamente potevano controllare: il figlio di Poseidone creò una sfera d’acqua enorme che accerchiò i Nascosti una sottospecie di bolla, che si infranse sul suolo, lasciando interdette le creature; successivamente, Leo cominciò a mandare palle di fuoco contro di loro, e incendiò una linea che li divise completamente dai nemici.
“Non so se reggerà a lungo!” avvertì i compagni.
“Come la troviamo quella dannata porta?” sbottò Ron, ansioso di recuperare Hermione.
“Ci penso io! Non abbiamo bisogno di alcuna porta!” esclamò Clary.
“Magnus!”
L’urlo di Alec risuonò all’improvviso nelle loro orecchie.
Isabelle si era accasciata a terra, tenendosi stretta il braccio destro con la mano sinistra.
“Sto bene!” biascicò “andate!”
“L’ha morsa un lupo!” spiegò Alec, in preda al panico.
“Devo portarla all’Istituto” disse lo stregone, prendendo tra le braccia la Cacciatrice.
Proprio in quel momento, un vampiro che credevano morto, saltò addosso a Draco, e gli dilaniò un pezzo del braccio.
Il mago lo pietrificò e poi fece esplodere la ‘statua’, ma perdeva troppo sangue e cadde presto a terra.
“Posso portarli entrambi. Mi occuperò io di loro” li rassicurò Magnus, afferrando i due feriti e scomparendo alla vista dei presenti.
Nel frattempo, Clary aveva tracciato un’enorme runa su un muro, che esplose, rivelando dinanzi a loro un’enorme stanza circondata dal fuoco, nel cui mezzo, al centro di un pentagono, vi era Hermione, in piedi sopra un piedistallo, e alle sue spalle, c’era Sebastian.
 
Nel vedere tutto quell’affluire di gente, Jonathan si affrettò a versare il suo sangue in una bacinella e a cominciare a pronunciare la formula del rituale.
Clary era affaccendata nel tentativo di contrastare il fratello, disegnando rune destinate a bloccarlo, o rallentarlo, dappertutto.
Il tratto di terreno segnato dal pentagono, cominciò a prendere fuoco, surriscaldando le lame che vi erano state posizionate attorno.
Hermione si sentì mancare: stava morendo.
Il sangue le colava dalle ferite proprio nel centro della stella dipinta all’interno della figura geometrica.
Si chiese quanto gliene rimanesse in corpo; doveva agire in fretta.
Doveva elaborare un piano.
Dalla porta dov’erano entrati lei e Sebastian, comparve Jace, appena in tempo per vedere la sorella sfilare cautamente una spada molto lunga dalla cintura di Jonathan, troppo impegnato a cercare di contrastare Clary, per accorgersi dei movimenti di Hermione, che aveva dato già per morta.
Jace sorrise tronfio quando vide la lama trapassare il cuore di Sebastian, e il suo corpo cadere inerte sul pavimento.
Il fuoco si spense e Clary cadde per terra, sudando e tremando a più non posso: aveva usato troppo il suo potere e non era abituata a farlo.
Indeciso se andare da lei o verso la sorella, Jace ci mise un attimo a realizzare che era Hermione ad avere più bisogno di lui: si sentì crollare il mondo addosso, quando vide che dalla schiena della ragazza, spuntava la lama della spada che aveva posto fine alla vita di Sebastian.
Le corse incontro, appena in tempo per afferrarla quando si era lasciata cadere per terra.
Aveva gli occhi socchiusi, che esprimevano dolore e sofferenza: si era trapassata lo stomaco con la spada, trafiggendo contemporaneamente il cuore del Nephilim e il suo stesso corpo.
“Hermione” sussurrò Jace, con le lacrime agli occhi.
“Hermione resisti!” la incoraggiò, ma lei si limitò a sorridere e a dirgli:
“è tutto a posto, J.C..” poi voltò lo sguardo verso Clary e aggiunse “non fartela scappare un’altra volta”.
Nel frattempo, era giunto accanto a loro anche Percy, seguito a ruota da tutti gli altri.
“Percy, Harry, Ron..” furono le ultime parole di Hermione, prima che gli occhi le si chiudessero definitivamente.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20
 
 
 
 
“NO!” urlò di dolore Jace.
“Hermione, ti prego, apri gli occhi. Devi restare sveglia!”
Ma la ragazza non dava alcun cenno di vita.
Il Nephilim estrasse la lama dal suo corpo inerme, e fu in quel momento che la notò: una macchia d’inchiostro che svaniva… un’iratze.
“Magnus! MAGNUS!” cominciò a gridare, consapevole che la runa stesse facendo il suo effetto, che per Hermione ci fosse una possibilità di sopravvivere.
“È all’Istituto, Jace. Isabelle e Draco erano feriti” lo informò Alec, con lo sguardo triste.
Gli occhi di Jace si spensero all’improvviso.
“Posso materializzarmi lì” propose Harry. “Posso portare te ed Hermione da Magnus”
“Puoi farlo?”
Il mago annuì.
Jace si voltò a guardare Alec, che annuì.
“Vai, fratello. Ci pensiamo noi, a sistemare quello che resta, qui” gli assicurò il suo parabatai.
Mentre il Nephilm si preparava a sorreggere la sorella, la voce di Nico risuonò nella stanza.
“È troppo tardi, lo sento”.
Il silenzio che seguì quelle parole fu lacerante, come se stesse dilaniando il corpo di tutti i presenti.
Percy incrociò lo sguardo di Nico, implorandolo di fare qualcosa.
Il semidio si precipitò su Hermione.
“Il cuore non batte più” annunciò.
Poi invocò l’aiuto del padre dentro di sè, e cominciò a parlottare sottovoce in greco antico.
Rimasero così per circa dieci minuti, quando all’improvviso la ragazza spalancò gli occhi, esalando un respiro roco, e poi ricadde nel sonno più profondo.
Sangue colava dal naso di Nico, che disse “ora serve Magnus”, poi svenne.
 
“Magnus!” urlò Jace non appena raggiunsero l’Istituto.
Trovarono lo stregone intento a borbottare incantesimi su Draco, il quale, una volta terminato il rituale e aver bevuto una pozione ricostituente, tornò perfettamente in forma.
Isabelle, stesa sul letto vicino, si rifiutava di proferire parola.
Non era ancora sicura di non essere stata contagiata dal morso del licantropo, avrebbe dovuto attendere la successiva luna piena per scoprirlo.
Magnus prese tra le braccia il corpo di Hermione e trascorse tre ore con lei, chiuso a chiave in una stanza, rifiutandosi di farvi entrare terze persone.
Poi, finalmente, uscì.
“È stabile” annunciò “ma non so se si riprenderà tanto facilmente. Per qualche secondo è morta. Credo che sia in stato.. com’è che lo chiamano i mondani? Di coma?”
Harry sobbalzò; ovviamente solo lui, Percy ed Annabeth sapevano di cosa stesse parlando.
“Se volete vederla, entrate uno alla volta.”
 
“Mag!”
Alec rincorse il suo compagno per tutto il corridoio.
“Alexander, perdonami ma ho bisogno di riposare” lo respinse questi.
“Non ti ruberò molto tempo, magari ne riparleremo meglio domani” lo esortò il Nephilim.
“E va bene, dimmi pure” acconsentì Magnus, accennando un sorriso.
“Innanzitutto ti vorrei ringraziare per quello che hai fatto per tutti noi, te ne sono veramente grato.. e inoltre, volevo restituirti questo” disse Alec, porgendogli lo scatolone che lo stregone gli aveva consegnato tempo prima.
“Avrei voluto ridartelo subito, non l’ho nemmeno aperto, lo giuro. Quando vorrai parlarmi del tuo passato, ti ascolterò, ma desidero che tu lo faccia di tua spontanea volontà e non per mia costrizione.” Spiegò lo Shadowhunter.
Magnus sorrise e poi sussurrò:
“Ti ringrazio, Alexander”
“Si, ma non chiamarmi così, va bene?” lo riprese lui, ma lo stregone lo interruppe, posando le labbra sulle sue.
 
 
3 mesi dopo
 
“Jace?!”
La timida voce di Clary rimbombò nelle mura della stanza di Hermione.
“Sono qui” rispose apatico il Nephilim.
“È sempre nelle solite condizioni?” chiese cautamente la ragazza, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla.
Jace annuì.
Erano tre mesi che Hermione non batteva ciglio: non si era svegliata nemmeno una volta, né aveva dato segni di vita.
L’unica cosa che indicava che non era morta, era il respiro irregolare e il lieve battito del suo cuore, la cui sequenza Jace l’aveva ormai imparata a memoria.
“Non ne posso più, Clary” confessò, poggiando il capo sul petto della ragazza.
“Andrà tutto bene, si sveglierà, tranquillo” cercò di consolarlo lei.
Di fargli forza.
“Jace…”
“Ti sto ascoltando, Clary, è solo che…” cominciò il Nephilim.
“No, non ho parlato io!” esclamò Clary.
Si voltarono di scatto: Hermione era sveglia.
“Oh mio dio!”
Il fratello le fu subito accanto e le strinse la mano.
“Sei cosciente… non posso crederci, ti sei ripresa finalmente!” biascicò tra le lacrime.
La strega si sforzò di sorridere.
Si sentiva come se fosse stata intrappolata in una bolla per giorni, mesi forse; come se avesse vissuto in un sogno.
“Il paradiso è un mondo parallelo al nostro?”chiese ironicamente, schiarendosi la gola con un colpo di tosse.
“È strano che tu lo chieda, visto che sai perfettamente cosa c’è dopo la morte” rispose Jace, abbozzando un sorriso.
“Come mai sono ancora viva?” domandò ancora la ragazza.
“È una lunga storia, Herm, e te la racconterò.. ma prima voglio che Magnus ti visiti”.
 
“Percy?”
Annabeth lo stava cercando da ore: da quando Hermione si era ripresa, non facevano altro che stare insieme, nascosti in qualche parte sperduta dell’Istituto.
I due, da parte loro, si divertivano da matti a far impazzire i propri compagni.
“Percy Jackson! Kingsley vuole vederci, venite subito fuori!!”
Urlò nuovamente la figlia di Atena, questa volta riscuotendo successo.
“Ma dove diavolo vi cacciate, ogni volta?!” esclamò indignata.
“Se te lo dicessimo, dopo dovremmo ucciderti” rispose il semidio, sogghignando.
“Sì, vorrei proprio vederti..” borbottò l’amica.
Raggiunsero la biblioteca in un lampo.
Quando aprirono la porta, videro il Ministro della Magia seduto dietro la grande scrivania, e tutti gli altri disposti attorno a lui.
“Ministro” lo salutarono i ragazzi.
“Oh, accomodatevi, accomodatevi, miei eroi!” gli accolse Kingsley, esibendo un radioso sorriso.
“Signorina Granger, è una vera gioia vederla in salute!”
“La ringrazio, Ministro” rispose lei, con un altrettanto entusiasta sorriso stampato sul volto.
“La missione è stata portata a termine con successo, miei cari ragazzi. Il che vuol dire, che alcuni di voi, torneranno a casa domani stesso” iniziò lui.
“Mi scusi, alcuni?” domandò, inarcando le sopracciglia, Draco.
“Sì, signor Malfoy. Alcuni. L’Istituto di Manhattan, vedete, non può restare abbandonato, quindi, una parte di voi e precisamente cinque di voi, rimarranno qui.” chiarì Kingsley.
“Signorina Granger vorrei offrirle il ruolo di gestore di quest’Istituto”
“Cosa?!” boccheggiò Hermione, stupefatta.
“Mi farebbe un immenso piacere saperla a capo dell’Istituto di Manhattan, non credo ci sia qualcuno più adatto di lei. Quanto agli altri quattro, potrete scegliere da voi chi far restare e chi no. Ora scusatemi, miei cari ragazzi, ma siccome i guai non vengono mai da soli, ho una rivolta di vampiri da placare a Manchester. Potrete comunicarmi le vostre decisioni via gufo entro le undici di questa sera. Una passaporta condurrà gli altri a Londra domattina alle 9 in punto. Oh, a proposito, è il vaso di porcellana vicino all’ingresso”
Detto questo, il Ministro face un occhiolino e poi sparì davanti ai loro occhi, lasciando i ragazzi ad osservarsi basiti.

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


Epilogo
 
 
 
 
Cari mamma e papà,
so che probabilmente non sarà facile per voi accettare la mia decisione, ma spero che almeno ne capiate i motivi.
Il Ministro della Magia mi ha offerto quest’incarico perché ha la massima fiducia in me e perché crede che io sia la persona più adatta a ricoprirlo, e tutto questo mi rende fiera del lavoro che ho svolto fino a questo momento, ma anche desiderosa di non deludere le aspettative altrui, soprattutto quelle dell’intera comunità magica.
E poi c’è Jace.
Lui è qui e ha bisogno di me; siamo stati lontani per tutto questo tempo, credo che ora abbiamo il diritto di avvicinarci e stare insieme.
Di essere fratelli.
Vorrei che lo conosceste, è una persona fantastica, nonostante abbiamo già avuto i nostri alti e bassi; ha il coraggio di pochi, credo che se fosse venuto ad Hogwarts con me sarebbe stato anche lui tra i Grifondoro.
Buon sangue non mente, non è così che si dice?
Restano anche Percy, Ron, Harry ed Annabeth, sapete?
L’unanimità della Squadra ha scelto loro, perché hanno tutti un qualche legame qui:
Ron ha Isabelle, che per fortuna non è stata contagiata dal morso di quel lupo; Annabeth ha i suoi parenti qui, così come Percy… e per quanto riguarda Harry, non credo ci sia bisogno di spiegare alcuna ragione.
So che siete preoccupati per quello che mi è successo, ma sto bene, fidatevi di me.
D’ora in poi, credo che andrà tutto per il meglio.
Cercherò di venire a trovarvi il più presto possibile, vi voglio bene.
 
Un bacio,
la vostra Hermione.
 
 
Sigillò la lettera e la spedì.
Nessuno di loro aveva più usato un gufo per questioni personali dalla morte di Edvige, che era una parte stessa di Harry, ma questa era un’eccezione.
Non le capitava spesso di pensare a quanto aveva perso negli ultimi anni, ma quando succedeva, si sentiva tremendamente sbagliata, vuota, rotta.
Per questo voleva fare del bene, aiutare le persone, salvare le vite.
Per questo doveva restare.
Si guardò allo specchio.
“Chi sono io?” disse ad alta voce. Poi sorrise.
“Hermione Jean Granger Herondale.
Shadowhunter.
Strega.
Mezzosangue.”
Rispose da sola.
E ancor di più, - e anche lei lo sapeva -, era una guerriera.
Forse anche la più valida al mondo.
 
 
 
 
La neve cadeva fitta, il Natale era ormai alle porte.
Già nelle Chiese si potevano udire i canti natalizi, le vetrine dei negozi e le case erano addobbate con luci e adornamenti tipici di questa festività.
Il cimitero non era mai stato così freddo e solitario.
Le nere lapidi spiccavano nella notte grazie al candore conferitogli dai bianchi fiocchi di neve depositativi sopra.
La tomba di Jonathan Christopher Morgenstern era la più isolata dalle altre.
Il Conclave, i Fratelli Silenti e le Sorelle di Ferro si erano rifiutati di dargli la sepoltura degna di un Nephilim, sebbene il suo funerale sia stato nella norma; non meritava di servire i Cacciatori dopo la morte, perché in vita aveva cercato di distruggerli a favore delle creature che da sempre gli Shadowhunters erano stati destinati a combattere.
Le campane della Chiesa situata a pochi metri di distanza scandirono le loro note allo scoccare della mezzanotte, facendo vibrare anche la più piccola cosa nei dintorni.
In profondità, dall’Inferno stesso, le anime la percepirono.

La natura ha il suo equilibrio; quando qualcuno viene riportato in vita in nome della Luce, anche una seconda anime deve tornare sulla Terra, in nome delle Tenebre: è questa la regola.
 
Il terreno fu percorso da un’intensa scossa.
E Sebastian aprì gli occhi.




***************Angolo Dell'Autrice*************

Salve a tutti! Siamo finalmente giunti all'ultimo capitolo della mia FF.
Cosa dire, ringrazio tutti coloro che l'hanno seguita dall'inizio alla fine, coloro che hanno recensito, messo tra le preferite, le ricordate o le seguite la storia.
Un ringraziamento particolare a Fyamma e Dubhe01 che mi hanno spesso riferito la loro opinione sui capitoli. 
Spero che la FF sia stata di vostro gradimento e che il finale non vi abbia un pò delusi; ho voluto lasciare aperta la possibilità di scriverne un seguito, sebbene sia ancora molto indecisa al riguardo.
Vi ringrazio ancora una volta,
a presto,
Bell.



Di seguito, i link delle altre mie FF:

Sezione Divergent:
- In Time: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2216527&i=1
- In Peter's Mind: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2223135&i=1
- Real Or Not Real: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2228913&i=1
- Feel Again: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2247933&i=1
- We Are Lost, But Together: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2220133&i=1
- Without Inhibitions: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2214123&i=1

Shadowhunters:
- L'Ombra Del Passato: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2211190&i=1

Cross-Over:
- Do Or Die (Divergent, Shadowhunters): 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2261500&i=1
- Halfblood (Harry Potter, Percy Jackson): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2076898&i=1

Attori:
- Life is a series of moments called now (Divergent Cast): 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2234819&i=1

 

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