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Autore: Haruakira    05/05/2013    2 recensioni
Questa è una storia semplice, introspettiva. In questa storia due infelicità si incontrano.
E' veramente così semplice eppure... mi chiedo se resteranno per sempre infelici, se si separeranno o se resteranno insieme. E in questo caso riusciranno a sorridersi?
Storia di come un incontro può cambiare la nostra vita.
O forse no.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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3 il sentiero
Con la punta delle dita toccava un nastro multicolore, un velo fatto di tempere chiare e di sostanza irrisoria, quasi impalpabile. Di sè vedeva solo le mani che si protendevano e lambivano quel velo che si muoveva come se fosse agitato dal vento.
Non aveva freddo, non aveva caldo.
Non sentiva sensazioni sulla pelle.
Vedeva solo quel velo e null' altro.
Voleva assolutamente strapparlo con forza. Vedere cosa c' era oltre. Nutrirsi di verità celate.
Divorarle.
Ucciderle.
In qualche modo violarle.
Sapeva che oltre il velo c' era solo il Nero. Un buio che non era buio, che era pesante, potente.
Era afissiante come una scatola chiusa.
Appiccicoso come la pece. Poteva catturarlo e sporcarlo.
Poteva morirci dentro.
Eppure.
C' era qualcosa.
La sveglia suonò sul comodino, Hayato si girò a spegnerla con un gesto secco. Aprì gli occhi a fatica e gli sembava di non avere dormito un attimo.
I veli, i veli.
Doveva andare a scuola anche se non voleva.
Si alzò, si lavò e si vestì lentamente saltando la colazione e uscendo di casa senza vedere nessuno.
Certe volte si chiedeva se fosse abitata.
Forse se lo domandava anche la gente che passava davanti a casa sua, la villetta solitaria alla fine di una breve salita.
Attraversò il parco di corsa e poi un lungo sentiero cosparso di foglie secche che scricchiolavano ad ogni passo.
Un po' come la sua vita, no?
Era un sentiero lungo, sembrava senza fine, sembrava rubato ad un quadro e appiccicato alla bell e meglio alla realtà fisica.
Un quado fantastico e irreale.
Quella strada era diversa da tutto il resto. Le foglie secche coprivano il sentiero come un lungo tappetto uniforme e senza buchi. Se ci si guardava indietro ci si trovava di fronte vie strette e delicate, brevi, costeggiate da rari alberi di ogni genere e tipo e da bassi cespugli. Quel sentiero infinito e omogeneo invece sembrava un mondo altro, un a parte separato dalla realtà.
Era come mettere i piedi oltre una linea di demarcazione che separava il mondo fisico da quell' altro.
Fantasia?
Pensiero?
Coscienza?
O forse era semplice paura?
Semplice vuoto che era tale perchè dentro c' era un tutto indistinto che si muoveva e si mescolava senza requie mascherandosi sotto i silenzi di quel luogo, sotto lo scricchiolare delle foglie, sotto quel nulla apparente fatto di quiete.
Il vuoto non è mai vuoto, è sempre dannatamente pieno solo che noi non lo sappiamo.
Non possiamo saperlo.
Dobbiamo fracassare il vuoto per renderci conto che è tale solo quando ci perdiamo nei nostri pensieri che si inseguono e si attorcigliano tra di loro creando masse intricate di una confusione che è nera, che è notte e che ci atterrisce.
Non capiamo più niente in quell' indistinto, non troviamo più niente, perdiamo la strada e siamo talmente confusi da credere di non possedere più nulla, a tal punto da esserci scordati persino ciò che cercavamo. E non riusciamo a trovare quel qualcosa in quell' indistinto. Quel qualcosa che c' è, che è lì da qualche parte.
Ma dove?
E che diavolo stiamo cercando?
Non lo sappiamo.
Non lo sappiamo e allora c' è solo il nulla, il vuoto sui cui confini vagare.
E' come se ci muovessimo terrorizzati sui bordi di una voragine nera. Non siamo così stupidi da buttarci.
Siamo angosciati e ci domandiamo perchè c' è solo un niente che fa paura, perchè sentiamo quell' oppressione che ci pende sulla testa come una spada di Damocle, perchè c' è quel senso di... vuoto persino nel cuore.
Ci manca qualcosa che dovrebbe esserci e qualcos' altro che non dovrebbe esserci invece c' è.
Siamo forse pazzi?
Hayato attraversò il sentiero di corsa fingendo di essere in ritardo.
Urtò una spalla e quando si girò per chiedere scusa riconobbe una faccia conosciuta.
Un sorriso comparve sulle labbra di Takeshi mentre si toglieva le cuffie.
Era raro trovare gente a quell' ora.
-Yo- lo salutò
-Ehi- biascicò Hayato- scusa per prima- e voleva girarsi e andare via.
-Aspetta
-Che vuoi?
-Siamo nella stessa classe.
-Embè?
-Mi aiuti?- Takeshi indicò la gamba e la stampella.
Hayato sghignazzò:- Ti sei fatto pestare per bene.- mosse un paio di passi verso l' altro- che devo dare?- chiese quasi con rabbia
Takeshi sorrise:- Niente, solo farmi compagnia.
E Hayato sgranò gli occhi. Forse dopo tutto non era una cattiva idea.
Ci fu un momento di silenzio, poi Takeshi parlò:- Ti piace questa strada?
Hayato si voltò di scatto verso di lui. Che domanda era?
-Sinceramente- puntualizzò il moro.
L' italiano ci pensò su:-Vuoi la verità- ponderò
-E' strano?
-Non ti puoi accontentare di una conversazione superficiale come fa la gente normale?
-Credi che la gente faccia così?
-Di solito- tacque- spesso- rettificò.
-Lo fa quando non ha nulla da dirsi, quando è in imbarazzo- spiegò Takeshi sorridendo.
-O se ti vuole impressionare- aggiunse Hayato- cioè spesso. Quando conosci una persona cerchi sempre di fare una buona impressione. Di sembrare speciale, magari se quella persona ti attira veramente. Si finisce per strafare e quindi per fingere. E si mettono su conversazioni idiote.
-Le prime conversazioni tra due persone che si conoscono appena non possono certo essere... intime, diciamo, no?
-Credo di sì. E allora tu che diavolo vuoi?
Takeshi rise:- Voglio rompere questa specie di regola non scritta. Quella delle conversazioni idiote come le hai chiamate tu!
-Ah.- Hayato si concesse un mezzo sorriso- saltare le tappe, eh?
Takeshi si fermò al' improvviso, Hayato fece altrettanto girandosi verso di lui. Il giapponese disse:
-Credi di poterlo fare? Ti sentiresti pronto a saltare i convenevoli e buttarti in discorsi più profondi? A svelarmi qualcosa di te, a svelare quello che si cela dietro i tuoi occhi, nel tuo cervello?
-Ti facevo sinceramente più stupido- fece Hayato- e comunque la risposta e no. Dalle mie parti si dice: "fatti i fatti tuoi e campa cent' anni", ecco, fatti i cazzi tuoi.
Gli voltò le spalle infilandosi le mani nelle tasche e muovendo i primi passi.
-Sbrigati, idiota, o ti lascio qui- scosse la testa contrariato soffocando le sue parole in un borbottio sconnesso- che razza di discorsi. Di primo mattino poi.
Takeshi lo seguì sorridendo. Lo sapeva, in qualche modo quel ragazzo era come lui.
-E tanto per chiarire- aggiunse l' italiano- di te non mi fido.
E Takeshi in quel momento pensò che sarebbe stata dura con quello lì, che c' era molto da lavorare visto che il suo nuovo amico era certamente testardo come un mulo.

Alla fine delle lezioni Hayato sbirciò di sottecchi il moro. Lo vide alzarsi faticosamente dalla sedia mentre parlottava con un paio di ragazzi. L' italiano prese la tracolla e si alzò a sua volta dirigendosi verso la porta, lentamente.
-Ohi Gokudera!- quando si girò vide Takeshi zoppicare verso di lui- aspettami.
Hayato sbuffò tuttavia si fermò ugualmente.
-Facciamo la strada insieme, ti va?
-Se andiamo nella stessa direzione tanto vale...- concesse l' altro.
Takeshi sorrise:-Se ti va possiamo fare la strada insieme ogni giorno. La mattina ci possiamo vedere da qualche parte e andare a scuola assieme che dici?
-Dico che ti stai prendendo troppe confidenze.
Il tragitto fu stranamente silenzioso, a differenza della mattina, poi si fermarono solo una volta superati i cancelli del parco.
-Qui ci separiamo- disse Takeshi.
Hayato grugnì qualcosa accendendosi la seconda sigaretta del percorso.
-Domani ti aspetto qui- gli urlò l' altro allontanandosi e sventolando la mano in aria.
-Come se avessi detto che ci sarò- borbottò l' italiano.

L' indomani Hayato uscì dalla villa di fretta, con una certa agitazione nel corpo. Fremeva.
Chissà se... pensò.
Più si avvicinava ai cancelli del parco e più affrettava il passo. Eppure faceva di tutto per non pensarci, non si aspettava certo niente da quell' idiota, non si aspettava niente da nessuno, figurarsi da un tipo simile appena conosciuto.
Andava bene fare la strada da solo. Anzi, era anche meglio.
Era anche...
Si fermò al centro della strada non appena vide Takeshi appoggiato pigramente ad un muretto.
C' era, si disse.







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Ciao a tutti, capitolo confusionario, mi rendo conto, ma questa storia è talmente introspettiva da essere sfuggente, i pensieri non si toccano, assumono contorni definiti o sfumature, forme, immagini, colori o addirittura diventano il niente assoluto e qui è proprio questo che ho cercato di riprodurre anche se goffamente. Forse è difficile da seguire a volte ma non voletemene, sto sperimentando, come sempre ultimamente. Spero non sia sempre così ^^"
Scusate per gli errori ma non ho avuto tempo di ricontrollare bene.
   
 
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