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Autore: Terre_del_Nord    16/05/2013    8 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.020 - La Lunga Giornata di Sirius Black

IV.020


Sirius Black

Hogwarts, Highlands - sab. 15 gennaio 1972

(dal capitolo 100)
Appoggiò la testa contro la mia spalla ed io l'abbracciai, un po' impacciato, ma stavolta, in me, non c'erano confusione, imbarazzo, timore, come quando avevo preso il coraggio di baciarla. No, stavolta ero sicuro che starle vicino fosse l'unica cosa da fare, che fosse la mia, solo la mia, la spalla che doveva e poteva darle conforto, prima ancora che mi dicesse qualcosa.
    «Tu hai salvato la mia vita, quella notte... e non solo la mia, è questo ciò che hai fatto... te ne sarò grata per sempre... in questi giorni, invece... ho temuto di aver perduto anche te... che te ne fossi andato anche tu... sono felice di essermi sbagliata... felice... mi sei mancato Sirius... »
La sua voce era un soffio ed io tremavo, perché avevo voglia di dirle che io non volevo andare da nessuna parte, che non sarei mai voluto andare da nessuna parte, perché quando l’avevo vista sparire, avevo capito che… non poteva più esserci felicità vera intorno a me senza… Abbassai gli occhi, sentendo le guance andarmi a fuoco, anche se lei non poteva vedermi, il viso affondato sulla mia spalla: ero così felice per quel suo respiro lieve che mi solleticava, per l'odore della sua pelle, che contenermi non ebbe più importanza...
    «Mi sei mancata anche tu... come nessuno... mai... »
(fine)

Meissa si staccò dal mio abbraccio e mi fissò. Avevo ancora la faccia rossa, per i pensieri che erano diventati parole, per quel sussurrare che avrebbe dovuto essere solo con me stesso, perché a quelli come noi, fin da piccoli, insegnavano che mostrare i propri sentimenti è “roba da deboli”. Di solito, nonostante tutti i miei propositi di ribellione verso mia madre, non riuscivo a essere diverso dalla mia famiglia in quell'ostinato senso del decoro e del pudore, ma in quel momento... Avevo dovuto e voluto e desiderato condividere i miei pensieri con lei. Per questo, nonostante il disagio che mi sentivo addosso, non mi sottrassi al suo sguardo, volevo che vedesse quanto fossi felice e insieme rammaricato. Che sapesse che ero sincero. Glielo dovevo, dopo la vigliaccheria che avevo dimostrato in quei giorni e la sofferenza che aveva patito anche a causa del mio silenzio. Volevo che si fidasse ancora di me, più di ogni altra cosa... Troppo grande era stata la paura di averla perduta, troppo grande era la gioia per averla ritrovata.
Sì, io l'avevo ritrovata: Meissa... lei... mi stava sorridendo. E sorrideva con gli occhi prima ancora che con le labbra. Era smagrita, pallida, diversa dalla solita Mei, eppure era lei: guardandomi, il suo sguardo si era riacceso, all'improvviso, della luce che le conoscevo, quella luce fatta di fiducia che mi aveva mostrato poco per volta a Herrengton e mi parve di risvegliarmi finalmente da un brutto sogno. Eravamo ritornati indietro, via, lontano dall'oscurità... Era tornata da me.
Avrei voluto darle un bacio, dalla felicità. Un bacio infantile e ingenuo, certo, com'erano i nostri, ma fatto di quel sentimento diverso e confuso che avevo sentito farsi largo in me, poco per volta, da quando l'avevo vista sparire nel buio di quella notte maledetta, e che ero riuscito a mettere a fuoco e confidare a lei e a me stesso solo pochi istanti prima. Un bacio dato non per gioco, né per sfida. Un bacio che fosse... una promessa. La promessa che quel silenzio, tra noi, non ci sarebbe stato più. Mi avvicinai di nuovo, le sue lentiggini presero fuoco, forse le mie intenzioni erano impresse sulla mia faccia stralunata, cercai i suoi occhi ma Meissa abbassò lo sguardo e, rossa in faccia addirittura più di me, arretrò di un passo, incespicando nelle sue stesse parole.

    «Dovremmo andare... si sta facendo tardi, Sirius... »

Non m'importava della lezione e, ci avrei scommesso, non importava neppure a lei, non mi preoccupava neppure la prospettiva di una punizione, perché per lei ne sarebbe valsa la pena: non volevo lasciarla andare, desideravo parlarle, sapere… volevo starle vicino e consolarla, se necessario… non era da me, certo, non l'avevo mai fatto, a parte un paio di volte con mio fratello, ma per lei avrei tentato, ispirandomi a come si comportava Remus con me quando ero io a sentirmi triste... Forse vaneggiavo, anzi, ne ero certo, ma ero preso dalla frenesia e dal sollievo di chi, dopo aver rischiato di perdere tutto per i propri stupidi timori, ottiene dal Destino un'insperata, seconda possibilità e sente che sarebbe capace di tutto pur di non sprecarla.
Non riuscii a fare o dire nulla, invece: Meissa mi aveva già afferrato la mano, trascinandomi con sé, in uno svolazzare di mantelli di lana, sotto il porticato di pietra, diretta al ponte. Forse era solo l'imbarazzo del momento o la paura di quelle parole che stavano diventando gesti tangibili o, davvero, non voleva arrivare tardi, ma sembrava che avesse le ali ai piedi. Per me non era importante sapere cosa la spingesse a correre: ciò che contava era la forza con cui stringeva la mia mano, la stessa forza con cui io la tenevo stretta nella mia. Non avrei più lasciato quella mano. Fosse crollato il mondo, non sarebbe più successo, non avrei più permesso che lei... restasse indietro.
Giunti sul ponte, Meissa rallentò e iniziò a camminare, perché stavamo per incrociare Amos Diggory con la sua ragazza, una Gryffindor del sesto anno, lontana cugina di Frank Longbottom, e non volevamo essere ripresi, ancora una volta, dal Caposcuola degli Hufflepuff. Poco dopo averli superati, però, Meissa scoppiò a ridere, con la vitalità e l'aria pestifera che non le vedevo da settimane: la guardai interrogativo e lei, a sorpresa, mi chiese se avessi visto, a Londra, alla partenza del treno per Hogwarts, la madre di Frank e cosa ne pensassi del suo copricapo. Non sapevo di cosa stesse parlando, non sapevo che cosa risponderle, ma la situazione la divertiva parecchio.

    «No, non l'hai vista, altrimenti non faresti quella faccia… Salazar, ti giuro, Sirius, era uno spettacolo: elegante, in nero per il lutto, ma... L'ho guardata tre volte, non volevo crederci: aveva un uccellaccio impagliato in testa!»

La guardai inebetito, incerto se dicesse la verità o mi stesse prendendo in giro, me ne aveva fatti diversi di scherzi del genere, la precedente estate, dandomi poi del credulone, quando però capii che era tutto vero, scoppiammo a ridere all'unisono, mentre uscivamo da un corridoio deserto e riprendevamo a correre dentro un ampio cortile vuoto, il sole nitido che riscaldava appena l'aria frizzantina e la leggera corrente che saliva dal Lago Nero a infiammarci le guance. Eravamo entrambi altrove, in quel momento, anche grazie alla bizzarra e altera mamma di Frank: Meissa ed io eravamo all'interno di altri giardini, sotto altri porticati di pietra, sotto il sole di un'estate scozzese, tanto che a un certo punto alzai lo sguardo sul torrione alla mia destra, quasi aspettandomi di veder uscire Alshain con uno dei suoi sorrisi più incoraggianti. Meissa rise, vicino a me, la sua mano stretta nella mia, anche il suo sguardo luminoso era corso nella stessa direzione, la sua mente ai miei stessi pensieri: eravamo noi, di nuovo noi, nonostante le ombre della malattia e della preoccupazione offuscassero ancora il suo volto, eravamo tornati indietro, ai nostri giorni felici.

    La tua mano non scivolerà più via dalla mia… e farò di tutto perché tu torni a sorridere… penserai a Herrengton e non vedrai più il Male… vedrai di nuovo solo l'affetto dei tuoi, le risate, il colore dei roseti… i nostri giochi. Dimenticherai l'Oscurità, Meissa, la terrò io lontano da te, te lo prometto...

***

Correndo, alla fine, avevamo recuperato tutto il ritardo, tanto che vedemmo nel corridoio, poco più avanti di noi, l'ultimo gruppetto dei suoi pigri compagni di Casa che ridacchiavano dirigendosi a lezione. Meissa si fermò, con la scusa di volersi ricomporre dopo la corsa, si accostò a una colonna per sistemarsi il mantello e m’invitò a fare altrettanto, perché avevo il cravattino sulle ventitré. Quando alzò la mano verso di me, forse per pettinarmi un ciuffo scompigliato dal vento, le sorrisi, lei divenne ancora una volta rosso porpora e si ritrasse, poi iniziò a parlarmi dell'ultima lezione della McGonagall, guardandosi la punta delle scarpe e chiedendomi le mie impressioni su un incantesimo, forse per cambiare discorso e darsi un contegno. Tutti i suoi gesti, però, la tradivano: avevamo corso e non avevamo parlato molto, dopo la battuta sulla madre di Frank, ora invece sembrava non avere più molta fretta, mi aveva preso di nuovo la mano, quasi senza accorgersene, e teneva un passo lento, intervallato da frequenti soste. Immaginai che forse, come me, non voleva dividere quel momento con nessun altro, soprattutto non con quei “soggetti” che ci precedevano e che ci avrebbero infastidito perché “... una vera Slytherin non parla con uno stupido Gryffindor!”... o più probabilmente, ora che stavamo per raggiungere gli altri, si rendeva conto di quante cose dovessimo ancora dirci.
Mi feci coraggio e lasciai da parte i commenti sulle lezioni per chiederle della sua famiglia, era un argomento delicato, lo sapevo, ma Meissa aveva bisogno di qualcuno, fidato, con cui parlare e sfogarsi: a scuola, a parte me e suo fratello, infatti, non aveva la certezza che le sue confidenze non finissero all'orecchio delle persone sbagliate. Quel pensiero mi fece capire, ancora una volta, che stupidaggine avessi commesso, dandomi alla macchia per quasi due settimane.
La situazione a casa Sherton era peggiore di quanto immaginassi: una parte di me s'illudeva ancora che Alshain sapesse qualcosa di utile su Mirzam e che all'ultimo avrebbe giocato una carta con cui dimostrare l'innocenza di suo figlio davanti all’intero Mondo Magico. Invece Alshain... Con voce atona, Meissa mi raccontò come la sua famiglia non sembrasse più la stessa: suo padre aveva detto a tutti loro di considerare Mirzam come morto ed io sapevo quali conseguenze comportasse una frase del genere nelle famiglie come le nostre, perché l’avevo sentita pronunciare il giorno in cui il nome di Andromeda era stato bruciato via dall'Arazzo dei Black. Volevo consolarla, ma avevo anche paura di non riuscire a fingere fino in fondo: ero deluso anch'io da suo fratello, anche per me Mirzam era peggio che morto, perché, con le sue amicizie e le sue scelte, aveva tradito suo padre, un uomo che stimavo e ammiravo e, peggio ancora, aveva messo a rischio la sua famiglia, a cominciare proprio da lei, da Meissa, che pure diceva di amare. Per fortuna riuscii a tenere per me quei pensieri, non volevo farla soffrire ancora di più, dicendole che neppure io avrei mai perdonato suo fratello. Strinsi i pugni, facendo attenzione alle parole, le assicurai che presto tutto si sarebbe chiarito e sistemato: in realtà, se solo avessi avuto Mirzam tra le mani, sarei stato io il primo a...

    A fare che cosa? Che cosa potrebbe mai fare un moccioso contro un uomo così forte e crudele?
    Crudele? Ricordi com'era protettivo Mirzam con te quando Lestrange ha preteso il tuo anello?
    Certo... era protettivo con me... ma solo per non farmi sospettare di lui!

Se Alshain non aveva dubbi sulla colpevolezza di suo figlio, come potevo averne io? Non lo diceva solo James, uno che parlava senza conoscere i fatti... Lo diceva anche Alshain, il mio padrino, l'uomo che aveva tutta la mia stima e la mia fiducia, l’uomo che era nientemeno il padre di quel traditore assassino. Sospirai e sentii ancora più rabbia quando Meissa mi raccontò che Deidra era distrutta e non voleva credere alle verità del marito; Rigel, invece, di solito molto polemico nei confronti del fratello, sembrava cauto nello schierarsi, anche se cercava di convincere la sorella ad aprire gli occhi su Mirzam e a non opporsi al loro padre. Sorpreso, le chiesi che informazioni avesse Rigel per essere così misurato, ma Meissa si limitò ad alzare le spalle, sostenendo che forse non voleva esacerbare ancora di più il pesante clima familiare. Ero perplesso: a Herrengton, avevo notato che Rigel, sotto la facciata da disincantato “combina guai”, nascondeva un'indole attenta e un notevole intuito nei confronti delle persone e delle situazioni, finendo col trovare la soluzione giusta nei momenti più caotici, com'era avvenuto anche il giorno del matrimonio di Mirzam, quando tutti sembravano aver perso la ragione perché non vedevano riemergere la barca. Sospirai: se, nonostante tutto, ci fosse stata una parte di me disposta a credere ancora nell'innocenza di Mirzam, avrebbe tratto spunto dall’intuito di Rigel e non, anche se le volevo bene, sull'amore cieco di Meissa per suo fratello.

    «E voi due come state? Mio padre e tutti noi abbiamo cercato di avere vostre notizie, per giorni, ma... non era possibile venire a farvi visita a Inverness... »

Era un'argomentazione debole, lo sapevo, avevo avuto quasi due settimane a scuola per farle quella domanda, sentii la faccia andarmi a fuoco di nuovo per la vergogna di essere stato tanto vigliacco.

    «Lo so, la mamma è rimasta così sconvolta da quanto accaduto a Herrengton che non ha permesso a nessuno di avvicinarsi; alla fine, però, Moody, l'Auror, ha infastidito mio padre anche in ospedale! I miei non mi hanno detto nulla, certo, io però ho sentito un paio di Guaritori parlarne, ho finto di essere addormentata mentre controllavano la mia cartella... loro erano lì quando è successo... ed è stato quel Crouch... il capo degli Aurors... è stato lui a ordinare a Moody di usare ogni mezzo... »
    «Come? Questo non è giusto! Voglio dire… tuo padre... è lui che è stato attaccato… tutti voi siete… Con quale scusa... »
    «Credi che ci sia qualcosa di giusto nel nostro mondo, Sirius? Io non so se mio fratello è colpevole o innocente, non sono ingenua come mi credono tutti, non ho le stelline davanti agli occhi... e non parlo così di mio fratello solo perché gli voglio bene... Ho iniziato a ragionare... da sola... dimmi, Sirius, se qualcuno ti accusasse e tu fossi innocente, se, a causa del nome che porti, sfruttassero qualsiasi scusa per addossarti ogni colpa... non proveresti a fuggire?»
    «Sì, ma... »
    «Non è stata una grande idea fuggire senza provare a difendersi, lo so, ma se ci avesse provato, sarebbe servito a qualcosa? O sarebbe finito in carcere, in quel luogo orrendo e spaventoso, portandosi dietro pure Sile? Conosco mio fratello... e ho conosciuto Sile... Mirzam la ama, Sirius… non le avrebbe mai fatto un torto simile... se fosse stato veramente un seguace del Signore Oscuro... non avrebbe aspettato il giorno del loro matrimonio per svelare il proprio volto, non avrebbe coinvolto anche lei... no, non lei... e non avrebbe mai fatto del male nemmeno a me o a Rigel!»

Mi parlò della sua teoria, con voce bassa e cospiratoria mi raccontò delle pergamene rubate a Doire, della leggenda della sua antenata, Sheira nic'a Thon fuggita con Habarcat, di come, di nuovo, la Fiamma fosse stata spostata, pur restando ancora dentro le Terre. Aveva sentito suo fratello e altri ragazzi della Confraternita parlarne, dire che la Fiamma era percepibile, che non era stata rubata alla loro gente, che se il Lord non attaccava, era perché Mirzam non l'aveva sottratta per donargliela. Tutti loro, gli amici più stretti di Rigel, erano convinti che Mirzam non fosse scappato dagli Aurors, ma si fosse allontanato per nascondere la Fiamma al Signore Oscuro e proteggere meglio le Terre del Nord. Perché era lui l'Erede di Hifrig... Sentii un brivido lungo la schiena, mi stava dicendo che, all'interno della Confraternita, soprattutto tra i più giovani, c’era chi vedeva nel Signore Oscuro il nemico e in Mirzam una specie di bandiera dell'opposizione? La fissai, non sapevo se crederle e sperare che fosse così, ma annuii promettendole il mio silenzio: forse era solo un'illusoria speranza, certo, ma se quella fosse stata invece la verità...

    «Spero tanto, per te, per lui, per tutti voi che sia così, anche se questo vorrebbe dire... »
    «Mirzam e Sile sarebbero in grave pericolo, se questa fosse la verità, lo so... e mio padre guiderebbe una Confraternita divisa e in parte a noi ostile, se continuasse a porsi contro Mirzam... come se avessimo già pochi problemi... »

Cambiai discorso, per non farla rattristare e preoccupare di nuovo, mi disse che lei e Rigel si stavano riprendendo lentamente, in particolare suo fratello, finito anche quella mattina in infermeria con una spalla malconcia: il resoconto della zuffa con MacNair mi aveva colpito, non immaginavo che tra gli Slytherins qualcuno arrivasse a tanto, era “normale” che “mettessero in difficoltà” i ragazzi delle altre case ma Alshain e zio Alphard raccontavano sempre che nei sotterranei vigeva un certo cameratismo e un “codice d’onore”, le dispute non si risolvevano brutalmente, ma attraverso macchinazioni che miravano a battere l'avversario senza esporsi in prima persona.

    Certo, ma con dei Troll come MacNair, un'azione basata su intelligenza e astuzia sarebbe impensabile...

Rigel non aveva tentato di reagire, forse, visti i precedenti e la situazione a casa, aveva deciso di ingoiare il rospo per non incorrere nell’espulsione paventata e non dare altri dispiaceri a sua madre.

    O forse come dicono alcuni Gryffindors, non è e non sarà più il ragazzo che era un tempo?

Meissa mi parlò anche dell'“alleanza” con Narcissa, nata con l'arrivo di Myrddin, il gatto che mia cugina le aveva regalato, e di come avessero fatto pressione su Lucius perché la faccenda della zuffa non passasse sotto silenzio: Malfoy aveva raccontato quanto era accaduto a Slughorn, che aveva inviato quella stessa mattina una lettera formale al signor MacNair, con cui lo avvertiva di nuove, severe ammonizioni tra le quali, probabilmente, anche l’espulsione del figlio. Quella era, finalmente, una buona notizia: quel gradasso ne aveva combinate di tutti i colori in quei pochi mesi, aveva iniziato a prendere di mira Rigel quando i fratelli Sherton l'avevano accusato davanti al Preside della mia misteriosa aggressione e da allora le cose erano andate sempre peggio.

    «Ecco, il motivo, dunque... Mi pareva strano che parlassi con Malfoy, stamani... »
    «È stata tua cugina a convincermi...  gli ha fatto capire che conveniva anche a lui per... »

Meissa si fermò, io la guardai incuriosito, non capivo perché di colpo fosse così titubante.

    «Non starai diventando così amica di Malfoy da difenderne i segreti? Ahahahahah... Sarebbe la fine del mondo!»
    «Non scherzare, Sirius... lo trovo insopportabile e odioso, lo sai... ma… »
    «Ma? Esiste un ma? Che cosa c'è di diverso? Perché ti fai scrupoli a dire ciò che pensi di quel damerino?»
    «Non lo so... forse... non mi pare carino verso tua cugina dire malignità su quello che sarà suo marito... lei è così… gentile con me... lo è sempre stata... ora poi si adopera anche per aiutarmi... »
    «Chi? Narcissa? Stai scherzando, vero? Andiamo, Mei, Lucius ti ha aiutato per il suo tornaconto, e non illuderti, perché anche mia cugina vorrà di sicuro qualcosa da te!»
    «Di quale tornaconto parli? Quanto a Cissa… è stata una delle poche persone gentili verso di me da quando sono a scuola... e lei… c'era, quando la maggior parte degli altri mi ha abbandonato!»

Le lacrime le salirono agli occhi, mi sentii un verme vedendo le tracce di un’altra ferita inferta dal mio silenzio.

    «Scusami... »
    «Non parlavo di te, Sirius... »
    «No, hai ragione, ti ho fatto star male, anche se non volevo. Desidero rimediare, Mei, per questo ti avverto... Narcissa è una Black, potrebbe avere un preciso interesse a comportarsi così!»
    «Quale interesse? E cosa c'entrano i Black, ora? Vuoi dirmi che anche tu mi parli e mi chiedi scusa per avere qualcosa in cambio? Sbaglio o anche tu sei un Black, Sirius?»
    «Certo che no... cioè... voglio dire... certo, vorrei che mi considerassi ancora tuo amico, ma... non pretendo nulla... cioè… è solo che... Salazar! Senti... Walburga Black è mia madre ed è anche sua zia, Meissa! Ed è la peggior intrigante che io conosca... e che conosci anche tu... e... lo sai di cosa ho paura... »
    «Tua madre può intrigare quanto vuole, Sirius, mio padre mantiene sempre le sue promesse, lo farà anche con le promesse che ha fatto a me... e mi lascerà libera di scegliere la vita che voglio!»
    «Appunto... »

Tacqui. Ciò che all'improvviso temevo era che un'amica gentile, generosa, prodiga di consigli fosse proprio l’arma scelta da mia madre per manipolare Meissa e portarla a desiderare ciò che progettava lei... conoscendone la caparbietà, però, se avessi detto a Meissa che cosa pensavo, l'avrei fatta arrabbiare ancora di più. Meissa mi fissò interrogativa poi, visto che mi ostinavo a restare zitto, cambiò discorso ed io sospirai, sollevato.

    «Che notizie ci sono da Grimmauld Place? Come sta Regulus?»

Le raccontai che mio padre era rimasto turbato dagli ultimi avvenimenti, il che era normale visto quanto era rimasto coinvolto, lui, un uomo che metteva nel “disimpegnarsi sempre e comunque” ogni sua energia. Per alleggerire un po' i discorsi le raccontai che Regulus mi aveva scritto pochi giorni prima, la sua lettera era nascosta nel pacco di vestiti nuovi che avevo ricevuto da Londra in settimana: il moccioso era tutto eccitato al pensiero del compleanno ormai prossimo, sognava la sua prima bacchetta e la lettera, contava ormai i giorni, ma soprattutto era felice perché sembrava che nostro padre gli avesse promesso di accompagnarlo a Diagon Alley e che avesse spostato la maggior parte dei suoi impegni solo per “esserci”. Lo dissi a Meissa cercando di celare la gelosia che provavo verso mio fratello, perché, un anno prima, l’indomani del mio compleanno, quando eravamo andati da Ollivander, mio padre mi aveva seguito controvoglia, l’uscita era stata frettolosa e tornati a casa, papà era uscito di nuovo tutto il giorno, senza dedicare un po' di tempo a parlare con me, per occuparsi dei suoi affari.

    «Dovremmo comprargli un regalo, non trovi? Undici anni non si compiono tutti i giorni!»
    «Purtroppo tuo fratello è in punizione, quindi non possiamo chiedergli di comprare un regalo a Hogsmeade per conto nostro, e i grandi di Gryffindor sono tutti nella stessa situazione... »
    «Narcissa, però, può uscire: andrà fuori con le amiche anche domani... potremmo chiederle un suggerimento, darle i soldi e affidarci a lei... Stravede per tuo fratello, non si tirerà indietro... »

L'idea di avvicinare mia cugina e vederle in faccia tutto il suo altezzoso disprezzo, mi fece salire alla gola una delle solite battutine che innervosivano “sua maestà la principessa di ghiaccio”, e un ghignetto che ebbi difficoltà a celare a Meissa, rimediando un'occhiataccia. D'altra parte, avendo visto quanto Narcissa fosse già riuscita a infilarsi nella sua vita in quelle poche settimane, mentre io mi comportavo da idiota, dovevo fare molta attenzione o mi sarei rovinato con le mie mani, dimostrandole che Cissa aveva ragione se, o meglio, quando mi dava dello stupido...

    Puoi metterci la mano sul fuoco, Sirius, l’ha mandata mammina cara per screditarti agli occhi di Meissa, magari proprio a favore di Regulus…

    «L'idea di parlare con mia cugina non mi esalta, lo sai, ma devo e voglio mandare qualcosa di speciale a quella piattola, e poiché mia madre potrebbe farlo sparire come a Natale... »
    «… nasconderai il tuo regalo nel mio pacco, Sirius, così tua madre non potrà buttarlo via e tuo fratello saprà quanto lo pensi e quanto tieni a lui... »
    «Questo non è vero... quel moccioso è solo un'inutile piattola, per me e... »
    «Certo...  per questo non hai premura che il regalo gli arrivi sano e salvo, vero? Anch'io ho dei fratelli, Sirius, so cosa si prova a star loro lontano... ho avuto nostalgia di Rigel, quando è partito per Hogwarts, anche se litighiamo in continuazione, appena siamo insieme... so come si sente Regulus, da solo a casa... e ora che sono io a scuola e i bambini sono a casa… so anche come ti senti ora tu... »

Mi strinse forte la mano, io cercai di obiettare, ma... Era vero, con lei non potevo fingere, le sorrisi e lei fece una battuta in gaelico che non compresi, ma ne intuii il senso dalla sua aria divertita.
Poco dopo entrammo nel cortile in cui si svolgeva la lezione: la Hooch aveva accolto gli studenti con il solito fischietto in mano ma senza gli Elfi con la cassa delle scope al seguito, i nostri compagni si erano già disposti in doppia fila ordinata davanti a lei, incuriositi ma soprattutto intimoriti all'idea di passare anche quella mattinata di sole chiusi in un'aula ammuffita a sorbirci dettagli inutili sui Legni e sulla produzione delle Scope Volanti.

    «Pigro e ritardatario come sempre, signor Black! E lei, signorina Sherton? Sta cercando di adeguarsi e vuol abbassare la sua media? Cinque punti in meno a testa, e ora in fila, muoversi!»

Diventammo color porpora, mentre la Professoressa ci fissava con consueto sguardo impenetrabile e ci ripassava con le sue osservazioni pungenti, vidi Meissa mordersi un labbro per l'irritazione al pensiero di un voto basso e la riprovazione dei compagni di Casa per i punti persi, io cercai di far finta di nulla, nonostante le risatine di James e qualche battuta nervosa di alcuni miei compagni.

    «Ora vi metterete in marcia... e guai a chi di voi rallenterà la fila o mi farà perdere tempo non rispettando gli ordini... oggi parleremo di Quidditch e lo faremo in maniera attiva, vedrete com’è fatto il Campo di Volo, proverete l'ebbrezza di entrare in uno stadio dalla parte dei giocatori e misurerete con le vostre gambe le reali dimensioni del terreno di gioco... »

Ci guardò tutti, uno per uno, trattenendo a stento il ghignetto soddisfatto nel vedere le nostre espressioni confuse e incredule che via via diventavano euforiche ed entusiaste.

    «Comportatevi come si deve e vi lascerò liberi di sperimentarlo in sella alle vostre scope! Alt! Non più di cinque per volta e all'altezza che stabilirò io... sono stata chiara, signor Potter?»

Remus diede una gomitata a James, intento a far gestacci a Yaxley, gli stava mimando che lui, James Potter, il dio del Quidditch di Gryffindor, avrebbe raggiunto e doppiato la punta della Torre di Astronomia, mentre ancora quel pallone gonfiato di uno Slytherin era impegnato a convincere la scopa a staccarsi da terra. Potter guardò storto Lupin, poi capì che la Hooch lo stava fissando e cercò di calmarsi. C’eravamo messi in marcia, in doppia fila ordinata e silenziosa, simili a una colonna di soldatini, che rispondevano a una voce sola agli ordini dati a suon di fischietto dalla Professoressa: mi sarebbe piaciuto fare anche quell'ultimo pezzo di strada con Meissa, parlare di qualcosa di lieve e piacevole, finalmente, ma dovevamo restare divisi per Casa. James, in compenso, come sempre, rese movimentata quella “trasferta” attraverso il bosco.

    «Vedrai, Black... vedrai se non ho la stoffa del vero Cercatore!»
    «Smettila, Potter, la Hooch ha detto che ci farà salire sulle scope, non ha detto che giocheremo a Quidditch... »
    «Sei noioso Black... pigro, noioso, privo di fantasia... “disentusiasmante”... si dice “disentusiasmante”, Remus?»
    «No... questa è un'altra delle stupidaggini che inventi tu, James... »
    «Non importa... e pure coniglio, Black, sì...  pure coniglio... ammettilo che speri che non ci faccia giocare, perché hai paura di confrontarti con me... »
    «Io? Figurati se ho paura di te, porcospino!»
    «Ora basta! Basta con questo chiacchiericcio! Potter, Black, smettetela immediatamente o vi rimando indietro, dal Preside, entrambi, all'istante! Sono stata chiara?»

Tacemmo subito, non prima di aver sibilato a James “Hai visto, sei contento?” e riprendemmo a camminare... per sicurezza, però, visto che Potter non faceva che voltarsi verso Remus e Peter per ottenere l'attenzione che io non gli rivolgevo più, la Hooch percorse la fila e arrivò davanti a noi, prese per un braccio James e lo portò avanti, accanto a Lily Evans, rimasta spaiata dopo che Snivellus era stato rispedito tra i suoi compagni di Casa. Accanto a me fece scorrere invece Frank Longbottom, sicura che, con accanto “mister perfettino”, sarei stato zitto e buono.
Guardai avanti, vidi Potter voltarsi più volte, tutto soddisfatto, verso di me, facendomi capire chi dei due ci aveva guadagnato nello scambio, poi però risi io, perché James, sottovoce, cercò di attaccar bottone con la Evans, la quale s’impuntò, soffiò contro di lui come un gatto selvatico, poi alzò la mano per richiamare l'attenzione della Professoressa, fermando la fila, e disse che Potter la infastidiva. La Hooch prese di nuovo James per un braccio e stavolta se lo portò a capofila, con sé, davanti agli Slytherins che guairono dalle risate e lo indicarono, sbeffeggiandolo.
Da quel momento, al fianco della Hooch, James non si voltò più e fu un vero peccato, avrei voluto che mi guardasse e vedesse quanto, ormai, stavo ridendo io.

    Non lo sai, James? Ride bene chi ride ultimo...
    Merlino, allora è vero… ti devo proprio insegnare tutto...

***

    «Bravi, complimenti! Un'altra punizione... dal ritorno a scuola questa sarebbe la numero...?»

James ed io camminavamo a capo chino, di ritorno dalle oltre tre ore passate al campo di Quidditch. Alla fine di quella lunga mattinata c’era stato… come dire… oltre a tutto il resto… un piccolissimo… contrattempo... Nulla di che a dire il vero, ma... Fissai James, James fissò me, scoppiammo a ridere, mentre Peter ci guardava, incredulo che prendessimo così la prospettiva di un’altra settimana agli arresti, e Remus si nascondeva la faccia tra i palmi, esasperato.

    «Voi due siete... non ci sono parole per voi... no... non ci sono... Quando capirete che questa è una scuola!»
    «Suvvia, Remus, cosa vuoi che sia? James ed io vogliamo diventare i migliori “lustra-argenteria” di Hogwarts, occorre che Mastro Filch ci dia l'opportunità di esercitarci, ahahahahah... »
    «Lustra-cosa? Merlino! Tua madre sarà entusiasta quando saprà tutto questo, Black!»
    «Ahahahah... »
    «Ahahah... »
    «Pazzi... irresponsabili... è questo che siete... tutti e due... due... pazzi!»
    «Hai visto che faccia, Sirius? Ahahahah... »
    «Sì, però… Remus ha ragione... pure tu... dovevi andarti a incastrare proprio in quel modo?»
    «Il Quidditch è il Quidditch, Black... ed era la prima volta che entravo in un vero campo... »
    «Ma se ci sei entrato ormai non so quante volte!»
    «Vero! L'ho fatto sempre e solo da spettatore, però... Oggi invece... »
    «Salazar! È solo il campo della scuola, James!»
    «E allora? Oggi è il campo della scuola, domani saranno i più grandi stadi del mondo! Ottimismo, Black, ottimismo! Bisogna sempre pensare in grande, molto, molto in grande... »

Mi diede una pacca sulle spalle e ci superò tutti, con quell'andatura un po' stramba con cui, diceva, era facile farsi notare dalle femmine ma che a me sembrava solo la camminata di un cretino. Eravamo diretti in Sala Comune ed eravamo gli ultimi, avremmo fatto tardi pure per il pranzo, dopo la ramanzina presa al momento di cambiarci negli spogliatoi: James, infatti, dopo le intemperanze del tragitto d'andata, era stato fin troppo calmo e buono, anche perché la Hooch l'aveva minacciato di non farlo volare se avesse continuato a sghignazzare e a “infastidire la signorina Evans”. Poi, però, a fine lezione, Potter aveva recuperato il tempo perduto. In realtà, l'avevamo sottovalutato tutti, ogni azione del porcospino, fin dall’inizio, faceva parte di un piano. Un piano al quale quello sbruffone ridente lavorava da un sacco di tempo. Lo fissai e sghignazzai.

    Che valore hanno le conseguenze, quando hai James Potter come compagno di scorribande?

*

Una volta raggiunto il campo, James si era trasformato nel ragazzino più buono e tranquillo che avessi mai visto, addirittura più innocuo e ubbidiente di quella mammoletta di mio fratello. All'inizio avevo pensato facesse così per paura che la Professoressa lo punisse, che per questo restasse impalato all'ingresso, senza correre come un forsennato in giro per il campo come facevano pressoché tutti gli altri, per lo meno quelli non terrorizzati all'idea di dover volare di lì a poco, poi avevo capito che era stato colto da una tale emozione da non essere più capace di spiccicare una sola parola. Era accaduta una cosa simile anche a Regulus e persino a me, l'estate precedente, ma almeno noi eravamo stati invitati a un vero allenamento del Puddlemere United, non stavamo solo entrando in un campo nel quale avevamo visto partite e allenamenti già una decina di volte.
Quando gli ero passato vicino, gli avevo messo una mano sulla spalla e, divertito, gli avevo gracchiato a un orecchio “Allora esiste un modo di farti stare zitto, porcospino!” si era momentaneamente ripreso, si era reso conto che stava facendo la figura del babbeo e, con l'andatura scombinata che lo caratterizzava, si era deciso a muovere prima un passo poi un altro dentro il campo, dopo di che non ci aveva più degnato di un solo sguardo perché era andato in esplorazione del suo “habitat”, come lo chiamava lui, intrufolandosi fin nei punti più reconditi e impraticabili della struttura. Un paio di volte la Professoressa Hooch era andata a riprenderlo mentre se ne stava alla base di uno dei pali degli anelli, fissandolo con il naso all’insù, in una specie di contemplazione mistica.

    «Che cosa sta facendo signor Potter? Le ho detto di prendere confidenza con le misure del Campo di Volo, non di fare... qualsiasi cosa lei stia facendo in questo momento!»

Noi amici lo guardavamo sempre più preoccupati, mentre gli Slytherins sghignazzavano e Yaxley addirittura faceva il tipico gesto di chi ha perso qualche rotella. La maggior parte delle femmine, per sua fortuna, era troppo spaventata all'idea di doversi alzare fino all'altezza di un anello per curarsi di lui, e, almeno di quello, James doveva essere grato agli dei, perché sarebbe stato molto umiliante se la Evans l’avesse guardato mentre stava dando chiari cenni di pazzia.
Remus era corso in suo soccorso, per assicurarsi che andasse tutto bene, ma James non era stato in grado di spiccicare parola. Da parte mia, io non avevo potuto fare molto per lui, tutto impegnato com'ero a rassicurare Peter che tremava come una foglia: mancavano solo tre turni prima che toccasse a lui salire sulla scopa, fare un giro lungo il perimetro del campo infine raggiungere uno dei pali per alzarsi all'altezza dell'anello, e sembrava sul punto di svenire, terrorizzato com’era. In effetti, poi, quando toccò a lui, passò tutto il tempo su una specie di scopa indemoniata e ingovernabile, con la Professoressa che gli intimava di ricordarsi gli incantesimi appresi, di smetterla di fare il bambino mentre il legno ostinatamente si alzava e si riabbassava cercando di disarcionarlo, un minuto sì e l'altro pure. Alla fine, reso viola dalla nausea, era pure caduto, per fortuna a pochi centimetri da terra, e la Hooch, spazientita, l'aveva esonerato dal salire fino all'anello.
Nel frattempo, quando Potter era tornato indietro con Lupin, ci aveva fissato con uno sguardo strano, dietro gli spessi occhiali da vista: non sapevo cosa avesse ma i suoi occhi nocciola sembravano accesi da una luce di follia, sembrava addirittura spiritato, come dicevano Remus e Peter, ancora preda della nausea.

    «Non c'è alcuna luce strana, nei miei occhi, Black, a parte quella del Campione, che finalmente inizia a comprendere e realizzare il proprio Destino... »

Gli avevo dato uno scappellotto su quella massa di rovi incolti tuonando “Sgasati, pallone gonfiato!” poi ero salito sulla mia scopa perché toccava a me: volevo fare il mio giro del campo, leggiadro ed elegante, non che m’importasse qualcosa di quella lezione, certo, ma era anche il turno di Meissa ed io non volevo che fosse sola mentre le ronzavano attorno dei cascamorti della risma di Yaxley.
   
    «Black… Vedi di non farla cadere, la tua principessina, imbranato come sei! Ahahahah... »

Gli avevo risposto con una battutaccia che mi aveva insegnato Rigel, sapevo che, da bravo scozzese, James avrebbe capito e, infatti, mi sillabò la risposta, che ancora non conoscevo, ma che mi sarei fatto spiegare da Sherton alla prima occasione. Con tanto di risposta adeguata all'insulto, naturalmente.
Presi subito velocità e mi affiancai a Meissa, senza trovare particolari problemi, il tempo trascorso a Herrengton ci aveva visto impegnati in esercizi molto più difficili e sentivo che non avrei mai ringraziato a sufficienza Alshain, soprattutto quando vedevo il livello d'imbranataggine della maggior parte dei miei compagni. Dopo quasi cinque mesi di tentativi, quasi tutti stavamo più o meno saldamente sulla scopa da fermi, ma quando si trattava di staccarsi da terra si assistevano ancora a vere e proprie tragedie, solo una piccola parte di noi Gryffindors montava in sella con una parvenza di sicurezza e pochissimi, quelli già abituati al volo prima di entrare a scuola, riuscivano a destreggiarsi abilmente: di noi quattro, Peter al solito era quello più indietro, mentre Remus aveva fatto notevoli progressi, pur non essendo mai salito su una scopa prima di arrivare a Hogwarts. Quanto a James, nonostante tutte le mie prese in giro e, forse, una punta d'invidia, era nato per stare sulla Scopa e non perdeva occasione per dimostrarlo. Sapeva che da febbraio i ragazzi della Squadra di Quidditch avrebbero bazzicato le nostre lezioni di volo per studiarci e farsi un'idea di quali elementi sarebbero stati loro utili per il campionato dell'anno seguente e James aveva un sogno, essere il Cercatore dei Gryffindors, un sogno che lo seguiva fin da bambino e che ora, un po' ridendo e scherzando, un po' seriamente, gli sarebbe stato utile anche per farsi notare e forse apprezzare da una certa ragazzina scontrosa con cui battibeccava sempre ma che iniziavo a sospettare gli piacesse molto più delle altre.

    «Facciamo a chi arriva in alto per primo?»

Meissa, accanto a me, mi sorrise ma fece di no con la testa, era meno veloce di me e soprattutto di James, ma aveva un modo di stare sulla scopa che tutti, a partire dalla Hooch, definivano “elegante”: dopo la lezione in cui era stata salvata da James, la Scopa faceva sempre e soltanto quello che voleva lei e spesso, quando James la sbeffeggiava, sostenendo che fosse troppo lenta, sospettavo che Meissa in realtà celasse le sue capacità, seguendo il famoso suggerimento di Alshain:

    Mostrate le vostre vere capacità solo quando siete sul campo, mai in allenamento, o l'avversario avrà modo di conoscervi e mettervi nei guai...

Per un po' volammo in cerchio attorno al campo di gioco, come ci diceva di fare la Hooch, distanziammo Yaxley e gli altri due Slytherin che avevano spiccato il volo con noi, poi seguii Meissa mentre volava intorno al perimetro, controllava i punti in cui gli sbalzi delle gradinate e delle torri potevano celare pericoli per i giocatori, e rientrava in pieno campo per considerare le distanze dei pali. Anche se facevamo parte di due Case diverse, la Hooch non ci riprese, nemmeno se stavamo parlando e ci mettevamo una vita, anzi ci guardava soddisfatta perché, anche senza bisogno delle sue indicazioni, Meissa mi segnalava tutti i punti pericolosi di uno stadio, da degna figlia di un vero giocatore di Quidditch. Mentre i suoi compagni erano già scesi e altri tre ragazzi si preparavano a salire in sella alla scopa, ci avvicinammo alle aste per raggiungere la cima degli anelli: mi appiattii sul legno, come mi aveva insegnato Alshain, per prendere velocità, volevo farle vedere che stavo migliorando anch'io rispetto all'estate e che, nonostante la mia indubbia pigrizia, non fossi neanch’io tanto male, mi voltai a guardarla, lei mi sorrise, aveva capito che stavo per farlo solo per lei, presi velocità, mi protesi ancora di più e allungai la mano pregustando il momento in cui avrei toccato il cerchio in cima alla pertica, e avrei gridato, ridendo, di aver fatto punto; all’improvviso, però, sentii un fruscio vicino alla mia testa, mi voltai a sinistra e non vidi nulla, alzai la testa e vidi solo la coda della Scopa di James Potter che sfrecciava davanti a me e raggiungeva la cima dell'asta quando io ero ancora a metà della salita.

    «Buona la polvere? Siamo troppo lenti per stare su una Scopa da Quidditch! Ahahahah... »

James mimò uno che dorme sulla scopa poi ridiscese, arrivato accanto a me fece un occhiolino malizioso: io ero già pronto a insultarlo, quando compresi che smorfia e parole non erano per me, mi voltai e vidi Meissa, al mio fianco, che lo fissava con sguardo omicida. Mi superò ed io finsi che le parole fossero per me, risposi a tono a James, deciso a dargli una lezione appena fossi tornato a terra.

*

Dopo quasi tre ore di esplorazione e salite, la Hooch ci aveva lasciati un po' liberi di muoverci come volevamo con le Scope: quelli più terrorizzati ottennero il permesso di salire sugli spalti e guardare gli altri, dopo aver fatto ancora un po' di esercizio di controllo dei Legni, gli altri provarono a sollevarsi a piccole altezze e a fare cerchi via via più ampi, per provare le velocità e gli scatti. Volevo approfittare del momento per parlare ancora con Meissa, ma non ci riuscii più, tutta impegnata com’era a far vedere a quel pomposo di Snivellus e alla sua amichetta dai capelli rossi come acchiappare la Scopa e ridurla subito alla propria volontà, evitando così brutte sorprese. Non avevo notato com'era andato il primo giro di Lily Evans intorno al campo, quel giorno, ma ricordavo, prima di Natale, una mocciosa terrorizzata dall'altezza e con una sorta di timore sacro per le Scope: evidentemente, però, i suggerimenti di Meissa le erano stati utili, perché per il resto della mattinata vidi lei e il suo amichetto borioso che giravano a media altezza senza troppi problemi, un po’ lenti, certo, ma con una sicurezza sufficiente a evitare scossoni e capottamenti.

    La prossima settimana convincerò Meissa ad aiutarmi con Peter, terrorizzato com’è, ci vorrà tutta la mattina per metterlo sulla Scopa ed io potrò stare tutto il tempo che voglio con lei!

Ghignai, deciso a sfruttare la situazione a mio vantaggio, e tornai da Remus e Peter; James mi stava debitamente alla larga, impegnato a chiedere non capivo cosa alla Hooch: temeva che appena mi fosse capitato a tiro la mia vendetta sarebbe stata implacabile così si teneva al sicuro, non potevo fargli nulla mentre ronzava intorno alla Professoressa. D'altra parte, la mia idea iniziale di fargli uno scherzo memorabile si stava dissolvendo, perché aveva fatto più lui con le sue battutine irridenti, per far tornare Meissa in sé, che io con tutti i miei tentativi di essere galante. Guardai Meissa, l'aria smunta che aveva al mattino aveva lasciato il posto a un'attenzione spasmodica nei confronti della sua vittima, sghignazzando ricordai quanto terribili fossero gli scherzi che i fratelli Sherton si scambiavano a Herrengton e ghignai pensando che James non avesse idea dei guai in cui si era cacciato stavolta.

    «Non stai progettando un’altra delle tue follie, vero Sirius?»
    «Chi? Io?  Che cosa vorresti dire, Lupin?»
    «Nulla… di solito però, quando fai quella faccia, non c’è da spettarsi nulla di buono… »
    «Ahahahah... No, no… non temere, Remus, stavolta a noi toccherà solo il ruolo di spettatori, fidati!»
    «Sarà… Noi andiamo, Peter, lasciamo che si mettano nei guai per conto loro… »

Quando fu tempo di tornare al castello, la Hooch ci invitò a depositare le scope nelle casse ai suoi piedi e a ritirarci negli spogliatoi per toglierci la divisa da volo e riprendere i nostri abiti abituali e i nostri mantelli. Ci fu un poco di trambusto tra gli Slytherin, non compresi subito cosa fosse successo, qualcuno poi disse che era scoppiato un sacchetto di “Polvere Urticante” all’ingresso dello spogliatoio maschile al passaggio di Yaxley, capofila degli Slytherin. Dopo un attimo di sorpresa e molti dubbi, non ebbi problemi a capire chi fosse il responsabile, perché in quel preciso istante, James Potter, facendo finta di nulla, approfittò della confusione per sgattaiolare via dal corridoio che portava agli spogliatoi e intrufolarsi nel camminamento che portava sotto gli spalti.
Sotto lo sguardo allibito di Remus, che tentò invano di fermarmi, decisi di andare a vedere cosa stesse complottando, così, appena la Hooch disse a Mastro Filch di occuparsi di noi e riportarci al castello, mentre lei accompagnava quello sbruffone di Yaxley in infermeria, vittima di un attacco di Orticaria Gnaulante, raggiunsi il camminamento e iniziai a percorrerlo, facendo attenzione a dove mettevo i piedi e rallentando la mia andatura a causa degli ostacoli e dell’oscurità che incontravo.

    Possibile che Potter abbia progettato tutto, che non stia solo approfittando della situazione?

    «James, dove ti sei cacciato?»

Sentii un rumore stridulo e non vidi niente, estrassi la bacchetta che tenevo alla cintola e la puntai cercando di fare luce, ma là, sotto gli spalti di solito occupati dagli Hufflepuff, non si vedeva niente.

    «James! James!»
    «Zitto, Black! Vuoi farci scoprire? Piuttosto sbrigati, che mi sono incastrato… »
    «Se è un altro dei tuoi scherzi Potter, giuro che… »
    «Quale scherzo? Mi sono incastrato davvero, aiutami!»

Avanzai tentoni, all’inizio non vedevo nulla, nulla di distinguibile almeno, c’era una confusione di travi intrecciate per sorreggere tutta la struttura sovrastante, di foglie che si erano incastrate e pure altri oggetti strappati dal vento e spinti là sotto provenienti da chissà dove. Non sapevo dove fosse Potter, non ne riconoscevo nemmeno un capello. Seguendo il bisbiglio, però, alla fine, raggiunsi la fila più bassa degli spalti, e lì trovai James, in una posa a dir poco comica, in ginocchio, un braccio teso sotto lo spalto, la faccia a terra e gli occhiali di traverso sul naso, nel vano tentativo di far forza e liberarsi.

    «Esci di lì, James! Tra poco capiranno che non siamo con gli altri… »
    «Non ci riesco Black… dai… vieni qua! Aiutami… Mi si è incastrato il gomito, per davvero… non riesco a tirarlo via... e non riesco nemmeno a prendermi la bacchetta dalla tasca… »
    «E cosa diavolo ci fai lì? Come hai fatto a finire in quel modo?»

Cercai di tirarlo via ma non ci riuscivo, lo presi per le spalle e tirai, James mugolò indolenzito, mi chinai accanto a lui, cercai di inserire la mano e disincastrarlo, ma per poco non rimasi pure io bloccato là sotto, doveva esserci un travetto mobile, che se toccato ruotava e incastrava, feci Lumos e andai alla ricerca di qualcosa con cui far leva, era pieno di listelli, doveva esserci per forza qualcosa di utile. All’improvviso, però, restai pietrificato, perché dall’oscurità dietro di noi percepii un rumore strano, passi soffici che si muovevano nella polvere e nel silenzio, all’inizio era indefinibile, poi compresi che era il passo felpato di un gatto, un gatto che si stava avvicinando.

    «Godric, no… fai che non sia quell’impicciona della gatta di Filch! Black… »
    «Stai zitto, James!»
    «Sono qui? Uhm… Sono qui quei delinquenti, mia dolce Missy?»
    «Sta arrivando, Black, aiutami!»

Mi avventai su James, lo abbracciai per i fianchi e cercai di tirarlo via, feci così forte che Potter si sbloccò, scivolò all’indietro e cademmo uno addosso all’altro, in mezzo alle foglie e altre porcherie, io iniziai a tossire piano, James, che già mugolava dal dolore, respirò così tanta polvere che quasi si strozzò tossendo, i capelli sparati per aria addobbati di tante foglie secche, da sembrare un cervo appena uscito dal sottobosco. Fu però quando vidi che cosa reggeva nella mano rimasta incastrata, che gli occhi mi uscirono dalle orbite.

    «Come diavolo hai fatto, Potter? Cosa ci faceva la tua Scopa qui dentro?»

James sorrise, con la sua migliore aria malandrina, come se non fossimo in una situazione d’emergenza, io lo tirai per un braccio cercando di portarlo in un punto più nascosto, pregando che ci fosse da qualche parte qualcosa abbastanza grande in cui infilarci e aspettare.

    «Siamo fregati, Black, ci ha beccato, non possiamo andarcene senza essere visti... cioè… potremmo, ma poi tutti capirebbero che ho usato un... trucco speciale… Filch sa che sono qui… »
    «E allora? Che intenzioni hai?»
    «Questa Scopa non DEVE trovarmela addosso, Black… forse non sa che ci sei anche tu, qui, perciò prendi il mantello che tengo in tasca e nasconditi… e qualsiasi cosa accada, sii Gryffindor, e proteggi la mia Scopa, fosse pure a costo della tua vita!»

Mi ritrovai con la preziosa scopa da Quidditch di James in mano, con il suo prodigioso mantello nell'altra, consapevole che il mio amico fosse fuori più di un balcone. Non feci in tempo a buttarmelo e soprattutto buttarcelo addosso, l'unica cosa che riuscii a fare, fu avvolgere la Scopa col mantello e attendere inerme che Mastro Filch ci tirasse fuori di lì con sua somma, arcigna, perversa, soddisfazione.

*

    «Il tuo folle piano alla fine qual era, James? Librarti sul campo da Quidditch deserto, in sella alla tua Scopa, mentre tutti noi eravamo già a pranzo?»
    «No, no… a che scopo, Remus? No... Sapevo che la squadra di Quidditch dei Gryffindors ha allenamento dopo la nostra lezione, la mia intenzione era ritornare al castello in sella alla Scopa e salutarli dall'alto mentre sfilavano lungo il sentiero... nessuno si sarebbe accorto della mia scomparsa, sarei arrivato al castello prima di voi... Avevo pure adocchiato l’angolino giusto vicino al Cortile della Torre dell'Orologio... per atterrare senza essere visto… »
    «Santi Numi, James? E se fossi caduto? Se ti fosse successo qualcosa?»
    «Andiamo Remus, cosa poteva mai succedermi? Io sono nato sulla Scopa! Non cadrò mai!»
    «Ha ragione, Lupin, non poteva accadergli nulla! A James non accade mai nulla, nemmeno di restare solo, incastrato, al freddo e al buio, in un sottoscala deserto! Che scena! Ahahah… »
    «Godric! Tu ci ridi, Sirius? Con questo incosciente? E se non l’avessi seguito? Come si sarebbe tirato fuori da solo?»
    «Naaa… se l’ho fatto è solo perché sapevo di poter contare su di voi... uno di voi sarebbe venuto a cercarmi e a salvarmi, ne ero certo... altrimenti che Malandrini saremmo? Ahahahah… »
    «Ah no… io non mi presterò certo a… »
    «Basta, su... Filch ci farà punire per un'altra settimana buona, non c'è bisogno di infierire, Remus... »

Mi bastò un’occhiata per capire che Remus era al limite, così cercai di buttarla in risate prima che iniziassero ad azzuffarsi seriamente.

    «Una domanda però è lecita, direi... »
    «Quale domanda, Peter?»
    «Che fine ha fatto ora la tua Scopa?»

James ed io ci fissammo e subito, di nuovo, scoppiammo a ridere.

    «No, ditemi che non è vero! NO!»
    «Naturalmente sì, Remus! È ESATTAMENTE dove l’ho lasciata l'altra volta... Che cosa credete? Che basti questa disavventura a fermarmi? Sabato c'è un altro allenamento dei Gryffindors, no? E stavolta ci riuscirò!»

Scoppiai a ridere, mi bastava ripensare alla faccia angelica di James quando Mastro Filch ci aveva pizzicati là sotto e aveva iniziato a blaterare delle pene corporali che generosamente il preside Phineas Nigellus Black, mio esimio antenato, infliggeva abitualmente ai delinquenti della mia risma, invece di cercare di capire che cosa stessimo facendo. E ridevo ancora di più al pensiero di quello che avremmo combinato il sabato successivo perché, ora che conoscevo il segreto di James e che sapevo com’era riuscito a sistemare la sua Scopa là sotto, senza che nessuno se ne accorgesse, addirittura durante uno dei tanti allenamenti cui avevamo assistito, immaginavo e ideavo che cos'altro avremmo potuto fare con quel suo Mantello dell'Invisibilità.

    «Ragazzi, non so se il viaggio sulla Scopa sia fattibile, ma di sicuro è ormai tempo di unire le nostre forze e le nostre abilità per iniziare a perlustrare il castello e dare il via alla sua conquista… »

Sorrisi, lasciando scivolare la mano in tasca e accarezzando il tessuto magico che ero riuscito a riprendermi mentre Mastro Filch era impegnato a pavoneggiarsi per la nostra cattura. Catturai con un’occhiata l’attenzione di James e ne approfittai per renderglielo, James annuì con un sorriso, anche lui desiderava come me mettersi all’opera quanto prima. Peter e Remus continuavano a camminare dietro di noi e facevano battute su quanto fossimo due irresponsabili, guardai James alla mia sinistra, era felice come una Pasqua, anche se avevamo rimediato un'altra settimana da passare lucidando pentolame e arnesi vari con Mastro Filch. Pensai a me stesso, alla bella mattinata di sole appena trascorsa e, mentre raggiungevamo il cortile dell’atrio principale, mi caddero gli occhi sul punto in cui Meissa ed io c’eravamo fermati a parlare, dopo un silenzio fin troppo lungo.
Poco prima di entrare, con la coda dell’occhio, all’improvviso, vidi James che si chinava e raccoglieva una manciata di neve e, mentre Remus già gli mugolava contro di fermarsi, di corsa mi superava, si piazzava sugli scalini e con la sua mira migliore me la lanciava addosso: non ebbi il tempo di chinarmi, presi il colpo in piena faccia, addirittura inghiottii della neve, avendomi centrato mentre stavo parlando.

    «Sveglia Black! Sveglia! Basta pensare alle principesse! Ahahahaha… »

Non ci vidi più, mi chinai a mia volta, appallottolai la neve e gliela lanciai addosso, James fece la finta, si chinò, riuscii solo a dire un “NO”, seccato, mentre la palla di neve gli superava la testa, raggiungeva la porta che si apriva in quel momento, e prendeva in pieno petto una figura avvolta nel mantello.
I nostri occhi s’incrociarono un solo istante, avevo ancora la mano alzata con la seconda palla di neve pronta da tirare, vidi la neve sfatta che scivolava sul mantello e percorreva con una scia umida tutta la figura arcigna della McGonagall, ritta di fronte a noi. Come al solito, non si sprecò in troppe parole.

    «Signor Black, signor Potter, seguitemi nel mio ufficio… »

***

    «... Faranno la fila per avermi nella squadra... m’imploreranno... e per te e per tutti quelli come te, stupido “risottero”, non ci sarà mezza ragazza in tutta la scuola, perché avranno tutte occhi solo per me... a cominciare da quella musona della Evans! E chissà chi altri... Hai capito Black? Chissà. Chi. Altri... Questa è una promessa!»

A ogni parola, per sottolineare meglio il concetto, James Potter mi puntava contro la sua piuma, senza rendersi conto che, a ogni colpetto, l'inchiostro schizzava sulle nostre pergamene ancora tragicamente in bianco.

    ... E sono già le sei della sera... è sicuramente questo il significato delle occhiatacce con cui ci sta fulminando di sottecchi da almeno mezzora quello sgobbone di Lupin...

Rischiai di soffocarmi, per non ridere addosso a James, quando un paio di quegli schizzi finì sulle sue dita: già pregustavo il momento in cui si sarebbe inzaccherato mezza faccia, se non addirittura tutta.

    … Proprio come i capi degli Inchiani, o Ondiani, o come Merlino si chiamano, quei buffi Babbani mezzi nudi che vivono di là del mare, che si mettono un copricapo di penne e si tingono la faccia, e cavalcano per praterie sconfinate e sparano con i “fughiri”... Remus deve ancora avere da qualche parte uno di quei suoi pupazzetti dei capi Tiux...

Peter, alla mia destra, assisteva impotente ai duelli verbali tra me e James, cercando di farsi piccolo fino a sparire e guardandosi intorno, circospetto: forse cercava una via di fuga per salvarsi dall'uragano che presto si sarebbe abbattuto nella stanza, perché era matematico che sarebbe accaduto, l'unica incognita era “quando” si sarebbe scatenato.

    … Inutile caro Peter, James ed io abbiamo occupato i posti più vicini alla porta, e siamo molto più veloci di te... appena ti alzerai, ti prenderemo come fanno i gatti col topo... e allora sì che comincerà la festa! Non vedo l'ora!

Ghignai. James mi guardò, dovette accorgersi della luce malandrina nel mio sguardo e s’inalberò ancora di più, pensando di essere l'oggetto del mio scherno.

    «Vedrai, vedrai... sfotti pure, Black... Io sarò il più grande Cercatore della storia dei Gryffindors... e grazie a me la nostra squadra vincerà per i prossimi sei anni... non ci credi? Quanti galeoni vogliamo scommettere? Allora? Paura di perdere, Black?»

Remus, seduto a gambe incrociate nel baldacchino, tra le coperte e i suoi tomi, assomigliava a un membro del Wizengamot abbarbicato sul suo scranno di fronte agli imputati; a quell'ultima, ennesima manifestazione di “modestia” da parte di James, si abbandonò all'indietro sul letto, simulando un mancamento, si portò dietro il libro di Pozioni e ci nascose dentro la faccia, tanto era stremato dal nostro chiacchiericcio: durante quelle ore di “studio” ci aveva sibilato contro non so quante volte di stare zitti e di pensare ai compiti, ci aveva ammoniti, ci aveva ricordato che non ci avrebbe aiutato, ci aveva dato il titolo di “sbruffoni”, “comari pettegole”, “folli” “disgraziati” finché si era arreso, aveva lasciato il suo posto intorno al tavolo insieme con noi e si era ritirato dentro il baldacchino, aveva costruito quella specie di “fortino di libri” sul letto, per non vederci, e ci si era sotterrato dietro, infilandosi persino i lembi delle lenzuola nelle orecchie e cercando di far finta di nulla, qualsiasi cosa vedesse o sentisse, per non essere travolto nel delirio di risate e sghignazzate di quel pomeriggio.

    … Hai ragione, tu hai sempre ragione, Lupin... il compito di Pozioni, lunedì, sarà spaventoso e terribile, ma io sono troppo felice, anzi no, euforico rende meglio l'idea, per pensare a certe quisquilie come il test concordato da Slughorn e dalla Sprut per verificare quanto sappiamo cogliere i collegamenti tra le due materie... o le punizioni che si son accumulate sul mio groppone e su quello di James in meno di quattro ore... Nulla... nulla può cambiare la sensazione di benessere che ho sottopelle da stamattina... perché lei mi ha parlato di nuovo ed io non ho detto stupidaggini che rovinassero tutto... e Potter... beh... quello sbruffone di James Potter è la persona giusta da stuzzicare e strapazzare per mantenere alto il buonumore... e sfogare la mia felicità...

    «È naturale che abbiano tutte occhi per te, Potter, un porcospino con gli occhiali che dimena la coda e fa il buffone su una scopa da Quidditch non è spettacolo che si veda tutti i giorni... »
    «Coda? Quale... o Black... Io non mi dimenavo!»
    «Ah no? Da come parli, però, ammetti di essere un porcospino, vedi? È già un progresso... »
    «Te lo do io il porcospino... Vuoi la guerra? Stai attento, Black... I MIEI CAPELLI... NON SONO PIÙ... ARGOMENTO... DI... DISCUSSIONE... CHIARO?»

Mi guardò in tralice, mentre mi si riempivano gli occhi di lacrime, e quasi soffocavo per reprimere le risate, entrambi pur con sentimenti opposti, stavamo ricordando la notte in cui Remus ed io l'avevamo prima reso calvo, poi ridotto a un barboncino. Remus, per non essere coinvolto, scivolò via dal letto e s’immerse tra le sue cose, cercando qualche oggetto immaginario e di colpo indispensabile nel fondo del baule, bofonchiando “Oh no, Merlino, non di nuovo!”, Peter si tuffò a sua volta sotto il tavolo per rafforzare il nodo ai lacci delle sue scarpe o per studiare la geometria delle zampe del tavolo, una nozione del genere doveva essergli diventata all’improvviso essenziale. James ed io, invece restammo a fissarci, simili a due gatti che si studiano a lungo prima di iniziare a soffiarsi e lanciarsi uno sull'altro, la piuma di James che colpiva ritmicamente la pergamena, liberando ancora inchiostro, i miei angoli della bocca si alzavano sempre più a mano a mano che la macchia si espandeva... Io guardavo fisso lui, lui fissava me, i capelli sparati per aria ancora più del solito e soprattutto, ormai, una ditata d’inchiostro nero che campeggiava orgogliosa sulla punta del suo naso, formando uno strano alone a becco.

    «Hai ragione, Potter... lasciamo stare i capelli, in fondo sparati così ti fanno sembrare più alto... e ne hai bisogno... sul naso invece si potrebbe aprire una discussione, tu che ne pensi, Peter?»

Pettigrew ebbe la sciagurata idea di sospendere le sue attività sommerse, sbirciò da sotto il tavolo, vide James, allargò gli occhi e guardò me, implorante, appena si accorse dell'ombra scura che dalla punta, dopo l'ennesimo sfregamento, si estendeva come una macchia di fuliggine su mezza faccia.

    … No, no... questa non è la decorazione di guerra di un capo Tioux, quella è proprio la maschera di un bandito: il nostro soprannome, Marauders, è ogni giorno più azzeccato…

Potter, vedendo Peter osservarlo a bocca aperta, s’innervosì ancora, pensando fosse qualcosa di concordato tra me e il mio complice e perse definitivamente la pazienza.

    «Pensate un po' per voi! Black, come stanno le tue gambette da femminuccia?»
    «Le mie gambe non c'entrano nulla, Potter, sei tu quello ridicolo! Un bambino petulante, tronfio e ridicolo!»
    «Io non sono un bambino... »
    «... Ehm... ma noi siamo ancora tutti bambini, James... la mia mamma lo dice sempre che io sono il suo bambino e... »
    «Ti prego, Peter, non ti ci mettere anche tu, adesso!»
    «Io ti stavo solo dando ragione, Sirius... prendevo le tue difese... e dicevo... »
    «Smettila di maltrattarlo, Black... tu non temere, Peter, ti difendo io, da vero, degno seguace del grande Godric Gryffindor leverò alta verso il cielo la spada della giustizia al servizio dei piccoli e indifesi... e metterò in riga i figli della Serpe e... capito Black?»

Lo guardai, in piedi, lo sguardo fisso sull'orizzonte, non ressi un secondo di più e mi sbracciai sulla sedia ridendo, rischiando pure di cadere all'indietro, anzi mi ripresi solo all'ultimo, per puro miracolo.

    «Ahahahahah… »
    «Hai finito?»
    «Ahahahh... no... Potter, no... come faccio a smettere? Ti senti? Io qua, io là... vedi che ho ragione io, non fai altro che dimostrare che sei solo un pallone gonfiato!»
    «Ha parlato "Sua Maestà Modestissima", il “Principe di Londra delle Gambette Mosce”!»
    «Basssssssssssssssstaaaaaaaaaaaaaaa! Finitela! Tutti e tre! Fareste venire l'esaurimento persino a Pix con tutto il vostro blaterare!»

Ci voltammo tutti e tre, Remus si era piantato con le mani sui fianchi tra il suo baldacchino e il tavolo, rosso in volto, il cipiglio severo che lo faceva sembrare un giovane vecchio, le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti e la cravatta stranamente un po' storta: non riuscii a stare un solo secondo a guardarlo così imbronciato e leggermente fuori posto, lui sempre impeccabile, scoppiai a ridere, seguito subito da James.

    «Finito?»
    «Ahahahahah… »
    «In realtà, no... scusa, Remus... ma dovresti vederti... sei troppo divertente! Ahahahah… »
    «Ahahahah… »
    «Ha parlato quello che a quasi dodici anni ancora si sporca la faccia d’inchiostro, come un poppante, vero Potter? E tu... tu... bell'amico sei, Black... invece di avvertirlo, hai lasciato che inzaccherasse prima tutte le pergamene... e ora pure la faccia e la camicia... »
    «Io? Che colpa ne ho se quando s’infervora non ascolta più niente e nessuno... ahahahah… »
    «Che cos'hai detto che ho alla faccia?»
    «Fermo, James... non toccare nulla con quelle mani, o lascerai impronte da pulire in tutto il dormitorio, e ci metteremo giorni, a farlo a mani nude, con la bella punizione che avete rimediato!»

James allarmato era già corso in bagno, lo sentii urlare con la sua vocetta da marmocchio, poi squittire parole incomprensibili, infine uscì di nuovo come una furia, agitato, cercò di acchiapparmi, intendeva vendicarsi strofinando le sue mani sudice d’inchiostro sulla mia faccia e sui miei vestiti, così saltai sul baldacchino di Peter e iniziò l'inevitabile, rituale, inseguimento.

    «O no, non di nuovo... Godric, ma che cosa avete, oggi, vi ha morso una tarantola?»
    «Spostati Lupin! Black, sei un... Merlino, guarda! La camicia... era quella nuova... »

Il cuscino mi prese di sbieco ma riuscii a fare una finta in tempo e gli risi in faccia.

    «Al tuo posto, Potter, invece di perdere tempo così, dietro a me, mi procurerei del sapone o cercherei il modo di aggirare la punizione e corrompere qualche Elfo... ahahahah... ahia... »

Il cuscino mi arrivò sulle gambe e inciampai, caddi di pancia dal baldacchino di Remus portandomi dietro un po' dei libri che c'erano sopra, due secondi dopo, James Potter mi piombò addosso, m'insaccò tra le immancabile lenzuola e coperte, spalmandomi la faccia con quelle manacce nere, mi spettinava e stirava i capelli, io tiravo pugni all'aria, a casaccio, incoerente per il solletico e le risate, lui per chiudermi la bocca e rendermi inoffensivo mi metteva le mani sulla faccia.

    «Che cosa c'è, Black, ora non ridi più?»
    «E smettila! Smettila! Nooooo… »
    «Altrimenti? Che cosa dicevi degli Elfi? Ora magari avrai un incentivo a... come dire… trovare anche tu, con me, del sapone... o a corrompere un Elfo... ma non credo tu ne sia capace, giusto? Sei buono solo a chiacchierare... ma stavolta l'alternativa è dire a mammina cara che la camicia se l'è mangiata il gatto, no? Sarà molto contenta di sapere che ne hai combinata un'altra delle tue... quindi forse è il caso che tu muova le tue chiappette pallide da damerino inglese!»
    «James! »
    «Non t'impicciare, Remus! Ride bene chi ride ultimo, vero Black? Questa ne è la prova!»

A terra tutti e due, tra scappellotti, “smanate”, solletico, cercavo di difendermi senza riuscirci, sembrava che oltre ai capelli di Medusa, James avesse anche tante braccia quante erano i tentacoli della Piovra Gigante del Lago Nero e colpiva a ripetizione, senza che riuscissi mai a deviare un colpo. Alla fine, sfinito dalla lotta, dal solletico, dalle risate e impiastrato in faccia, di nuovo, peggio del viaggio di ritorno in treno, James si alzò in piedi e soddisfatto fece il segno di vittoria.

    «… la vendetta è un piatto che va servito freddo, Black e tu che sei cresciuto tra gli Slytherin, dovresti saperlo meglio di me... bene... oggi hai imparato che non ti conviene farmi di questi scherzi... e che questo sia di lezione a tutti voi... quando io faccio una promessa, la mantengo... oggi ho letteralmente “fatto nero” il signor Black, bene, tempo un anno e sarò io il nuovo Cercatore dei Gryffindors!»
    «Godric! Non ci posso credere! Per il Quidditch... tutto questo disastro, James, solo per il Quidditch? Non ti basta quello che è già successo stamani al campo? Io non ho parole, ci metteremo tre giorni a risistemare tutto e... »
    «Ci sono questioni che hanno più importanza, Remus, di un po' d’inchiostro sulla faccia, e sulle pareti, e sui vestiti... e sì, va bene, ovunque! Dovevo dimostrare il valore della mia parola, Io!»
    «Smettila Potter... ma quale parola? Guarda che casino! L'hai sentita la McGonagall, oggi? Niente uso della bacchetta fuori dall'orario di lezione! Ci metteremo una settimana a pulire tutto... »
    «Inoltre, non voglio rovinare i tuoi sogni gloriosi, James, ma la nostra squadra ha già un valido Cercatore... »
    «Lo so, Peter, lo so... ma Jarvis Brent lascerà la scuola e la squadra a giugno, perciò ci sarà un posto libero, il prossimo autunno... IL MIO POSTO DA CERCATORE...»
    «Hanno già iniziato a far allenare Simon Templeton: anche se è NatoBabbano pare abbia il Quidditch nel sangue, e resterà per un sacco di tempo visto che fa il terzo anno... resterai deluso se non ti deciderai ad aprire gli occhi, James! A meno che tu non stia pensando a qualche trucchetto... »
    «I trucchetti li lascio a quelli come te, Black, e ai tuoi amici... noi Gryffindors non usiamo mezzucci... quando mi vedranno giocare si ricrederanno e sarà Simon stesso a cedermi il posto di Cercatore, per il bene della squadra e della Casa... sarò io a farli vincere per sei anni di seguito e... »
    «… James... vincere è una questione di squadra, non c'è solo il Cercatore... »
    «Ha ragione Peter, James… per fortuna non c'è solo il Cercatore, perché, anche se da Gryffindor non dovrei dirlo, ho gli occhi e vedo che Rigel Sherton è molto più forte di Brent che ha tre anni di esperienza in più... figuriamoci se si confrontasse con un novellino del secondo anno! Si dovrà puntare su una squadra tutta forte, non solo su un valido Cercatore, James, almeno finché gli Slytherin potranno contare su di lui e il nuovo Cercatore Gryffindor non avrà fatto esperienza… »
    «Lascia perdere, Remus, ci sbatterà il muso da solo... se non fosse così esaltato, “sua maestà quanto son bravo a sparar balle” capirebbe da sé che vincere non è facile come aprire bocca... »
    «Tu sei solo invidioso, Black…persino oggi hai dimostrato che sei una vera schiappa… »
    «O no, nessuna invidia, anzi… io spero davvero che tu possa diventare Cercatore, Potter… anche perché non credo potrò mai vedere qualcosa di più divertente di te e mio fratello che ve le date, alla ricerca del medesimo boccino... ahahahaha... »
    «Che cosa vorresti insinuare, ora? Che dovrebbe mettermi paura quel mocciosetto che tu per primo chiami “inutile piattola”? Non farmi ridere Black! Se è “messo bene” come te… avrò preso il boccino, bendato, mentre ancora “quello” starà cercando di capire come si sale su una Scopa!»
    «Se lo dici tu, Potter… Non so chi dei due riuscirà a battere l'altro su una Scopa, ma di certo sarà divertente vedervi combattere per conquistare la “Coppa del fanfarone dell'anno”, ahahaha... »

James si limitò a chinarsi, riprese il cuscino, scattò pronto a colpirmi di nuovo, io riuscii a sfuggirgli, scansai Peter che stava in mezzo, acchiappai una coperta dal letto di Lupin e cercai di difendermi lanciandogliela addosso. Remus afferrò per un braccio Pettigrew prima che finisse in mezzo alla nostra nuova baruffa, raggiunse la porta e da lì ci minacciò di chiuderci dentro, lasciandoci non più di cinque minuti per finirla, dopodiché, testualmente “sarò io a occuparmi di voi”.
James ed io lo guardammo a lungo, il cuscino e la coperta che penzolavano inerti tra le nostre mani, poi scoppiammo a ridere, osservandolo così minaccioso e agguerrito.

    «Ehm, Remus... Ti rendi conto, vero, che dicendo queste parole invece di farci desistere rischi di fomentarci ancora di più? Ahahahah… »
    «Sirius ha ragione, Remus... Chi ti assicura che lui ed io non faremmo fronte comune mentre tu sei via e non ti tenderemmo un agguato appena dovessi rientrare? Io ci farei un pensierino, Black, tu no?»
    «Anche se sei un porcospino fanfarone, Potter, credo che questo sarebbe un modo piacevole e divertente per completare la giornata, anche perché, voglio dire... non possiamo mica fare sempre tutto noi due!»
    «Giusto... Dovete dare anche voi il vostro contributo alla causa, ragazzi, la buona nomea di questa banda di Marauders non può reggersi solo sulle mie abilità nel Volo e su “Sua Maestà, il Principino delle Gambette Mosce”... ahahahahah… »
    «Basta, non resterò un secondo di più... Io scendo di sotto a studiare in Sala Comune, tu vieni con me, Peter?»

Peter ci guardò, mentre James ed io ci piegavamo in due dalle risate di fronte al povero Lupin tutto offeso e impettito, attorno a noi la catastrofe, su di noi i segni di quel pomeriggio a dir poco folle. All'improvviso, però, muto e tranquillo, Pettigrew si chinò, raccolse alcuni libri e sotto i nostri occhi esterrefatti, iniziò a fare ordine nella stanza.

*

Nell'ora successiva avevamo sentito parecchio caos fuori della nostra stanza, ma non ci eravamo affacciati a vedere cosa fosse successo, decisi a rendere la stanza di nuovo praticabile dopo tutto lo sconvolgimento di quel pomeriggio. Alla fine, quasi per miracolo, osservando Peter che silenziosamente faceva l’unica cosa giusta, eravamo stati colti tutti da responsabile Illuminazione e sebbene non si potesse dire che la stanza ora fosse proprio in ordine, per lo meno appariva come una normale stanza “vissuta” da quattro preadolescenti un po' confusionari, non più il devastante scenario della Guerra dei Cent'Anni.
Peter era un ragazzino che, alla fine, con la sua calma e la sua normalità, riusciva sempre a sorprendermi: stava spesso in silenzio e sembrava più che altro subire ciò che gli accadeva intorno, addirittura, il più delle volte, quando parlava, quasi non lo ascoltavamo e questo non per cattiveria, ma perché lui si limitava sempre ad annuire e a sostenere le opinioni dell'uno o l'altro di noi, senza mai mostrare una netta opinione personale. Non sapevo come facesse, ma trovava sempre del buono e del giusto in quello che ascoltava da noi e a volte, proprio mettendo insieme i pezzi, riusciva a mostrare la soluzione migliore con la sua semplicità, proprio come faceva Remus con la sua saggezza. Le rare volte che aveva detto qualcosa di diverso da tutti noi, invece, James ed io avevamo sghignazzato dandogli del “mocciosetto” e anche questo, non lo facevo con cattiveria, certo, ma perché parlare con lui mi faceva  sentire grande ed esperto, Peter, infatti, proprio non riusciva o non voleva mascherare in nessun modo la sua ingenuità. Solo Remus, che aveva la particolare capacità di far sentire chiunque a proprio agio, si era adoperato per farlo sentire parte del gioco e al livello di tutti noi, sia a James sia a me, invece, piaceva il ruolo che aveva finito con l’assumere, quello del piccolo, da coccolare, guidare, in un certo senso proteggere, appunto perché con la sua venerazione e la sua ingenuità ci faceva sentire grandi e importanti. Poi però capitavano quei giorni in cui, se non fosse stato per lui, saremmo stati ancora in un mare di guai. E noi ne restavamo sempre senza parole.

    «Grazie Peter, per averci riportato un po' di sale in zucca… anzi… scusate, tutti e due, se oggi vi abbiamo reso la vita difficile… »
    «Godric, non ci posso credere, Sua Maestà è colta da un improvviso attacco di umiltà, scusate, corro alla finestra in attesa di vedere anche un asino volante, ahahahah… »
    «Molto spiritoso, Potter…»
    «Io oggi mi sono divertito... tu no Remus? E voi? »

Mi morsi la lingua prima di dire una delle mie solite battute stupide, guardai James, lui guardò me, entrambi guardammo Remus, completando il cerchio, poi lasciai che James facesse il bravo Gryffindor anche in quell'occasione, preferendo non intervenire, per non sbagliare.

    «Sì, hai ragione, Peter, è stato divertente… perché è sempre divertente mettere sotto il “figlio delle Serpi”, ahahahah… gridi come una femmina, Black, te ne rendi conto? Ahahahah… »
    «Sì, però ora non ricominciamo, ok? E sia chiaro, d'ora in poi niente inchiostro nei nostri giochi, non voglio più pensare a pulire e strofinare almeno fino al nostro ultimo anno a Hogwarts!»
    «Ahahahaha… Remus, ti abbiamo scioccato oggi con quell’inchiostro, ahahahah… »
    «Ahahahaha… è vero, pensa che attacco di nervi gli prenderà quando si accorgerà di avere ancora un orecchio tutto nero, ahahahaha… »
    «Che cosa? Dove? »
    «Ahahahah… »

Mentre James guaiva e derideva Remus che era corso in bagno, io passai un braccio attorno alle spalle di Peter e, con l'altra mano, gli scompigliai i capelli, lui mi guardò sorpreso, credo fosse la prima volta che mi comportavo così con lui e potevo capire se mi guardasse come fossi impazzito.

    «Stavo pensando, Pettigrew... Sabato… a lezione di volo, chiediamo a Meissa di aiutarti con quella dannata Scopa? Grazie al suo aiuto ho visto che quella schiappa di Snivellus non ha più problemi con i Legni... tu ci metterai sicuramente molto meno di quello là…che ne dici? Ci stai?

James provò ad aprire bocca per contestarmi, ma dopo un’occhiataccia di Remus, appena uscito dal bagno, preferì tacere; Peter divenne rosso come un pomodoro, provò a schernirsi, finché incoraggiato da Lupin, che mi aveva guardato con ammirazione, borbottò qualcosa del tipo “Se a lei non dispiace troppo…” e riuscii a convincerlo.

*

Finalmente ci chiudemmo la porta alle spalle e ci ritrovammo sul pianerottolo: si sentiva un gran vociare di sotto e tutti e quattro ci affrettammo ad affacciarci dalle scale e scendere per vedere che cosa fosse successo. Quando fummo a tre gradini dalla Sala, Gedeon Prewett entrò nei dormitori urlando come uno scalmanato, una copia del Daily Prophet stretta in mano.

    «Godric! Voi... Non avete idea... Di che cosa... È successo... Oggi... A Londra!»
           
Peter mi guardò un solo istante, interrogativo, non capiva da dove arrivasse quel giornale, perché Gedeon, come il fratello Fabian e molti altri Gryffindors degli ultimi anni, era in punizione dai tempi della rissa nei sotterranei e non poteva andare a Hogsmeade. Con gli occhi e le orecchie allenati ai pettegolezzi dai discorsi di madre, zie e cugine, però, mi ero accorto che, dal ritorno dalle vacanze, Prewett faceva coppia fissa con una Ravenclaw del sesto, era perciò facile supporre che la copia del giornale gliel'avesse procurata lei. James finì di scendere le scale e si avvicinò per sentire le ultime novità, io, titubante, restai fermo al mio posto, rasente il muro, il cuore che all'improvviso mi si stringeva nel petto, preda di una repentina voglia di scappare: ci voleva poca fantasia per capire di cosa parlasse il giornale. Anche se avevo fatto di tutto, quel giorno, per non pensarci, anche se avevo riso con i miei amici e fatta pace con Meissa, anche se mi ero sentito leggero e felice perché avevo stretto la sua mano e stavo quasi, di nuovo, per baciarla... Quello era e restava il giorno del processo a Mirzam Sherton ed io ero infine davanti al momento della verità, una verità che temevo da settimane.
Un pensiero terrorizzato corse subito a Meissa, immaginai che anche lei, in quel preciso momento, stesse leggendo la notizia su un'altra copia di quel giornale, mi rattristò immaginare che al contrario di quanto promesso, io non fossi al suo fianco, sperai per lei che nel frattempo fosse giunto a scuola suo padre, per darle di persona la notizia, una notizia che non sarebbe stata positiva. Non poteva esserlo. Conoscendola, nessun altro, a parte suo padre, sarebbe stato in grado di consolarla, nessun altro poteva e doveva essere al suo fianco a parte lui, perché solo lui poteva dirle che, nonostante tutte le sue speranze, nonostante tutti i dubbi di Rigel, nonostante tutte le teorie dei giovani della Confraternita, Mirzam, il suo adorato fratello maggiore Mirzam, era colpevole. Non poteva che essere colpevole.
Chi, al contrario, fremeva di eccitazione, in quel frangente, era James: si era avvicinato rapido e speranzoso agli altri, aveva chiesto e ottenuto il giornale per primo, nonostante la ressa, perché aveva quella faccia simpatica con cui riusciva a ottenere sempre ciò che voleva da chiunque, e perché era ormai noto a tutti in quanti guai si era cacciato quel giorno e tutti, soprattutto i Prewett, sghignazzavano e brindavano ai giovani figli di Godric che avevano osato tirare una pallata di neve addosso alla McGonagall, addirittura centrandola in pieno. E, soprattutto, perché tutti sapevano che suo padre, l’Auror Charlus Potter, quel giorno, aveva deposto davanti al Wizengamot, cambiando così la vita di molte persone. James non vedeva l'ora di leggere il nome di Sherton con accanto la parola “condannato”, perché nulla gli avrebbe mai tolto dalla testa l'idea che il fratello di Meissa avesse ucciso Alfred Podmore e attaccato suo padre.
Remus scese un gradino e mi fu accanto, mi diede una pacca sulla spalla e trattenne la mano lì per incoraggiarmi: mi bastò una sua occhiata per capire, mi ricordava cosa avevo promesso a Meissa quella mattina, che qualsiasi cosa fosse successa non sarei scappato né da lei, né dalla realtà, che le sarei stato vicino e, per quanto fosse nelle mie forze e capacità, l'avrei protetta. Strinsi i pugni e scesi gli ultimi gradini, mentre già James tornava indietro, il giornale stropicciato in mano, altre copie che iniziavano a girare tra i capannelli di studenti e le prime esclamazioni, fatte di turbamento e terrore. Sentii qualcuno bisbigliare “tutti morti”, guardarmi e rapidamente abbassare gli occhi e tacere. Fissai James, come in tutti gli altri, nemmeno sul suo viso c'era gioia, anzi nel suo sguardo c'era terrore puro.
Io non capivo. Come un soffio, quando mi fu abbastanza vicino, dalle sue labbra esangui, uscirono poche, incerte parole che non riuscii neppure a sentire, tesi la mano e gli strappai via il giornale con malagrazia, se doveva dirmi che Mirzam era colpevole e sapevo che ne era felice, a cosa serviva tutta quella messinscena? Poi vidi il titolo, scritto a caratteri cubitali, vidi un'orrenda immagine al centro, un serpente che si librava feroce nel cielo di Londra, dalla bocca di un teschio. Leggevo e non capivo.
Non capivo.

    «Mi dispiace Sirius… mi dispiace tanto... Mi dispiace veramente... »

Sentii la mano di Remus, che era rimasto a sbirciare dietro di me, e di nuovo sentii la sua forza sulla mia spalla, poi anche James fu al mio fianco, mentre Peter squittiva “Merlino santissimo!”. Uno degli altri mi tirò via il giornale dalle mani, io non capivo nulla, vedevo tutto scuro, mi accorsi solo che il giornale era bagnato. E che qualcosa di salato mi era scivolato lungo le guance fino alle labbra.

    «No, non puoi essere morto... Non puoi essere morto... »

*

Non so come, mi ritrovai fuori dalla Sala Comune, non capivo più nulla, sentivo solo le mie gambe muoversi in automatico, scollegate dalla mia volontà, dagli impulsi del mio cervello. All'improvviso nulla pareva avere più un senso, era tutto assurdo, impossibile, come quando, sognando, ti rendi conto che, appunto, è solo un sogno. Quando mi guardai intorno, infine, quando mi resi conto di ciò che mi circondava, ero di nuovo nella mia stanza, stavo seduto con le mani immerse nei capelli, sul mio letto e avevo ancora le guance umide di lacrime e le labbra tirare in un singhiozzo muto.
James era in piedi davanti  a me e borbottava animato con Remus e Peter, parlavano tutti piano, come se non volessero essere sentiti, come se non volessero disturbare il mio dolore, io ci misi parecchio a capire quale fosse l'argomento della loro discussione, tanto era il caos che avevo in testa.

    «Non puoi andare di sotto... Non puoi James! Immagina se ti beccassero di nuovo… »
    «Certo che andrò, devo essere con lui... E lui deve andare... Deve vederla! La deve vedere... E le deve parlare... »
    «James... »
    «Non ci succederà nulla, Remus... Ci scommetto...  Nemmeno se ci beccassero...la cosa è troppo grande... Tutti sanno che sono amici... Tutti lo sanno... Nessuno di loro può mettere la disciplina di fronte a una cosa enorme come questa...  Capiranno... devono capire… »
    «Sì, hai ragione... Lui lo capirebbero, ma tu? Ci vado io, con lui, James... Io non sono in punizione come te... Io non sono stato beccato da Mastro Filch e non ho tirato palle di neve alla McGonagall... »
    «No, tu e Peter dovete restare qui e farci da palo, Lupin... Se lo facessi io, ti pare che mi crederebbero? A te invece crederanno di sicuro, tu sei un angelo... Sirius ed io scenderemo di sotto con il mantello... E quando saremo... »
    «James... ti ricordo che non c'è modo di entrare nei sotterranei degli Slytherin… »
    «E allora? Se andassi tu invece riusciresti a entrare? Andiamo, Remus! Hai sentito cos'ha detto Gedeon? Hai sentito cos’è successo a Rigel? È in infermeria, dove pensi sarà lei, adesso, se le hanno fatto leggere il giornale? Andrò in infermeria con Sirius, anche Meissa è lì, è sicuro, dove altro potrebbe essere dopo quello che le è successo oggi?»
    «Io non so... Non mi sembra una buona idea, James… »
    «No, è perfetto, invece…ascolta il mio piano... Sirius ed io scenderemo con il Mantello fino in infermeria... Lì, io farò da palo mentre lui entrerà e parlerà con Meissa... Voi due resterete qui... Se qualcuno venisse a controllare, direte che ci stiamo preparando per la cena... che siamo in bagno… »
    «In due? In bagno? No James, no... Scenderò di sotto io con Sirius: io uscirò allo scoperto e lui si nasconderà con il mantello... Se qualcuno mi chiedesse qualcosa, “sto scendendo in Sala Grande per avere informazioni”. Tu e Peter resterete qui e se qualcuno busserà, direte che Sirius, solo Sirius, è in bagno… così va bene, James. Una volta di sotto, Sirius si toglierà il mantello e dirà che cercava di raggiungere il Preside per avere il permesso di chiamare e parlare con suo padre... Alshain Sherton era il suo padrino, questa notizia riguarda anche lui. Faremo così... se a Black sta bene... »

 Io ascoltai tutto, senza in realtà capire, poi vidi James che si avvicinava a me, tirava fuori il mantello dalla tasca e me lo porgeva.

    «Sirius, coraggio, devi farlo… so che sarà difficile, ma devi andare di sotto con Remus… »

Guardai ancora James, vidi la sua determinazione, vidi che tendeva la mano verso di me... Sentii il calore della sua mano sulla mia spalla, vidi che apriva il mantello e iniziava a sistemarmelo addosso... io non ero capace di muovermi, né di spiccicare una parola.

    «Perché?»
    «Come perché? Non vorrai mica prenderti un'altra settimana di punizione da solo! »
    «Perché lo fai? Lei non ti piace... Nessuno di loro ti piace... nessuno, James…»

James mi fissò, i suoi occhi nocciola erano di nuovo illuminati da una luce particolare, ma non c’era nulla dell’esaltazione mistica di quella mattina nel campo di Volo. Anche se quasi non riuscivo a crederci, era dolore, i suoi occhi erano umidi di lacrime, proprio come i miei.

    «Tu sei mio amico, Sirius Black, tu le vuoi bene, e lei ha bisogno di te… se ti sono amico come dico sempre di essere, se sono Gryffindor come dico sempre di essere, offrirti questo mantello è la cosa giusta da fare… non vedo occasione più nobile e giusta per servirmi del dono di mio padre… »
    «James, io… »
    «Spero mi perdonerai, Sirius… parlo tanto di amicizia, ma io non sono stato un buon amico con te… ti ho reso la vita difficile, mi sono ostinato a fare lo stupido, quasi volessi costringerti a scegliere tra me e lei… E non è certo questo che fa un vero amico… Mi dispiace, Sirius… So che non basta… non può bastare… ma ora prendi questo mantello e va da lei… VAI!»



*continua*



NdA:
Ciao a tutti, comincio con il ringraziare quanti hanno letto, commentato e aggiunto alle varie liste. Il capitolo si ricollega al capitolo 99, l’ultimo in cui avevo trattato i Marauders, e al capitolo 109, di cui costituisce l’altra faccia della medaglia.
Qui come avete visto James è il protagonista incontrastato, benché a narrare sia Sirius. La "maturità sentimentale" di Sirius, secondo me, non è eccessiva, perché i due protagonisti non stanno provando amore, ma sono amici e sono scossi dalle vicende che li stanno coinvolgendo, quando perciò Sirius parla di come si sente al pensiero di aver perduto e ritrovato Meissa, non prendetela come una dichiarazione d’amore fatta tra adulti (che sarebbe fuori luogo) ma ripensatevi adolescenti, a come vi sareste sentiti se qualcosa vi avesse separati dal vostro amico del cuore. La maturità di James al contrario è indotta dall’intervento di Remus "il saggio". Bon, ci leggiamo prossimamente, un bacio e a presto.
Valeria



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