7°
Capitolo
Stiles cominciò a trafficare molto presto,
il suo corpo gli suggeriva di aver riposato abbastanza e l’impegno a mettersi davanti
ai fornelli urlava molto forte. Si muoveva dentro quella cucina come se fosse
la propria e il troppo tempo che passava con Derek dentro quelle mura e le
abitudini che si era preso, conoscendo l’esatto posizionamento di ogni oggetto
e come funzionassero pentole e padelle, erano piuttosto evidenti. Non sapeva
bene come dovesse classificarlo, ma in realtà non era per nulla preoccupato.
Derek lo raggiunse più tardi, l’evidenza
di quelle poche volte in cui l’umano riusciva a svegliarsi prima del padrone di
casa e non per via della conseguenza del suo sonnambulismo in cui il mannaro
doveva corrergli dietro.
Il lupo lo guardò per qualche attimo, la
familiarità nei movimenti, che oltre a indicare quanto Stiles sapesse usare
bene i suoi fornelli, c’era anche l’esperienza che si portava dietro da una
vita in cui aveva dovuto imparare ad occuparsi di se stesso e del proprio padre
troppo anticipatamente. «Non dovevi cucinare».
Stiles lo ignorò, perseverando nel suo
buono proposito e nel soddisfare lo stomaco di entrambi. «Non puoi sempre
occupartene tu».
«È casa mia» gli fece ben presente, come
se fosse stato in grado di dimenticarlo.
«Questo non vuol dire che devo stare
costantemente a guardarti, anch’io voglio fare la mia parte» ci passava fin
troppo tempo lì dentro, non voleva essere un ospite scroccone e basta, era una
cosa che detestava.
Derek rimase immobile per una manciata di
secondi e Stiles sentiva i suoi occhi su di sé, evidentemente propenso ad
aggiungere qualcosa e a comunicarle, ma non fiatò e tornò indietro a prendere
il borsone degli allenamenti, per poi giungere nuovamente in cucina e dirigersi
verso la lavanderia. Stiles lo sentì trafficare con gli indumenti, l’oblò che
veniva aperto e la biancheria interessata inserita all’interno
dell’elettrodomestico. «Devi aggiungere niente?» gli domandò la creatura della
notte, il flacone del detersivo già pronto per essere afferrato ed utilizzato.
«Sì, aspetta» abbassò la fiamma al minimo
e si inoltrò nella zona notte, acchiappando una manciata di abiti che aveva
utilizzato nei giorni precedenti e che corrispondessero alla lavata scura che
Derek aveva selezionato ‒ generalmente in quella colorata c’erano quasi
sempre esclusivamente capi di Stiles ‒; li dimenticava spesso nel
monolocale e ad entrambi veniva automatico usare la stessa lavatrice.
Glieli passò con cura e si direzionò
subito al lavello, sciacquandosi le mani, controllando la cottura delle sue
uova strapazzate e spegnendo il fornello. Si precipitò a servire tutto su due
piatti, il bacon croccante che ancora sfrigolava in mancanza di una fiamma
attiva e disponendo tutto sulla tavola che aveva precedentemente apparecchiato;
successivamente tornò nell’ala lavanderia, nell’attimo in cui Derek aveva già
azionato la lavatrice e si era spostato per lavarsi le mani, preparare ed
avviare la macchinetta del caffè, per poi sedersi davanti alla colazione ancora
fumante.
«Amo il tuo ammorbidente» dichiarò Stiles
innamorato nel momento in cui alzò il coperchio dell’asciugatrice e ne estrasse
una delle felpe variopinte che si strofinò sul viso per assaporarne la
sensazione e che aveva inserito la sera precedente, insieme ad altri componenti
del loro armadio. «Rende tutto così morbido».
«Questo spiega perché ne usi quintali» lo
sbeffeggiò Derek senza una vera intenzione, la forchetta che affondava nelle
uova.
«Non è vero» si imbronciò il figlio dello
sceriffo, massaggiando la felpa e sistemandola sopra una delle spalliere
libere, lontana da qualsiasi pietanza ci fosse disposta sul tavolo. «Derek, sei
davvero noioso».
Derek sorrise sotto i baffi, continuando a
svuotare il piatto e Stiles lo imitò senza tentennamenti. «Probabilmente farò
tardi anche oggi» lo informò il licantropo, sorseggiando la sua bevanda di
caffeina e caramello salato.
«Va bene» afferrò l’umano, la striscetta
di bacon che quasi si scioglieva in bocca. Amava anche la qualità superiore che
Derek riusciva a trovare in ogni venditore della zona. «Mi organizzerò di
conseguenza» il capitano della squadra si basket era stato piuttosto chiaro nei
due giorni precedenti su ciò che si aspettava da lui.
Stiles proseguì bevendo il suo caffè, ma
si alzò per aprire l’anta del frigo e afferrare il cartone che conteneva il
succo d’ananas, prendendo un nuovo bicchiere dalla credenza e ritornando comodo
al suo posto. Si ritrovò a fissare le pareti che lo circondavano assorto. «Hai
sempre vissuto in questo appartamento?».
Derek svuotò quasi del tutto il suo piatto
e lo guardò per qualche momento a decriptare cosa avesse sollecitato quella
curiosità. «Sì, ho firmato un contratto di quattro anni».
La matricola lo fissò sbalordito, gli
occhi grandi. «Piuttosto sicuro di te» non che augurasse un fallimento al
licantropo, ma poteva anche cambiare idea, sull’università, sui corsi da
seguire e su come avrebbe voluto vivere.
«Non volevo che qualcun altro gli mettesse
gli occhi addosso» Derek sapeva quello che voleva e si muoveva sempre per
riuscire ad ottenerla. «Quindi l’ho bloccato».
«Perché è il più luminoso?» doveva davvero
sorprendersi che il lupo si impegnasse così tanto?
«Sì» confermò Derek senza reticenze,
accompagnato dall’ultimo boccone della sua colazione.
Le labbra di Stiles si arricciarono verso
l’alto e non poteva negare quanto fosse folgorato ed intenerito da quella
particolarità che lo rendeva così Derek come pochi potevano conoscerlo.
«Ma immagino che il prossimo anno dovrò
rinnovarlo» aggiunse successivamente il licantropo sovrappensiero, come se
quella nota messa momentaneamente di lato fosse tornata a brillare e pretendere
la sua attenzione.
«Rinnovarlo? Il contratto?» Stiles era un
po’ confuso, possibile che avesse sbagliato i calcoli così platealmente?
«Perché?».
«Voglio prendere un master» elargì il lupo
mannaro, svelando un mistero che a lui appariva piuttosto scontato. «Quindi
dovrò prorogarlo di altri due anni».
«Un master» gli fece eco Stiles, un
sorriso intrigato ed incantato che si disegnava su ogni tratto. Aveva
cominciato a sorridere e ridere di più da quando c’era Derek nella sua vita, in
quella sorta di gioco in cui si appuntava ogni occasione in cui accadeva; era
elettrizzante e lo faceva sentire importante, apprezzato ed era troppo in
sintonia con il mannaro di quanto non lo fosse mai stato con qualcun altro.
«Hai già idea di quale?».
«Qualcuna» fu vago, la testa che oscillava
impercettibilmente. «Sicuramente qualcosa che si occupa di traduzioni».
«Perché sei bilingue?» sia Derek che Laura
avevano una conoscenza e padronanza dello spagnolo come se parlassero soltanto
quello tutto il giorno e Stiles poteva ascoltarli ininterrottamente passare da
una lingua all’altra come se niente fosse.
«Quello aiuta, sì» era un’eredità che
nessuno avrebbe mai potuto togliergli. «Ci sono molti testi che andrebbero
tradotti e vorrei farlo con la mia voce».
Stiles si sciolse completamente, infatuato
totalmente delle continue scoperte di cui entrava in possesso della personalità
inimmaginabile di Derek. «Già, il lupo taciturno che conosce e ama il reale
potenziale delle parole».
Stiles si sorprese molto quando si ritrovò
Derek davanti l’uscita del College of Social Science. Era la prima volta che accadeva, generalmente era
lui a raggiungere o passare dal suo dipartimento. «Ehy, Der» lo salutò,
fiondandosi verso di lui senza essere troppo frettoloso o preoccupato per
quella visita inaspettata.
«Stiles» lo accolse impassibile il lupo
completo, la figura statuaria.
Ci fu un mormorio distinto dietro di lui,
Stiles avrebbe voluto voltarsi ed individuare chi fosse l’artefice, a parte
tutti quelli che lo avevano anticipato e seguito in quella uscita dall’edificio
per il corso concluso. Riusciva a percepire con la coda dell’occhio gruppetti
parlottare tra loro e guardarli spudoratamente, qualcuno anche indicarli senza
nascondersi troppo; Stiles non individuava particolarmente la ragione, capiva
che non tutti fossero abituati ad avere a che fare con una celebrità come Derek
Hale, ma era poco lusinghiero essere etichettato come qualcuno che non si
sarebbe mai potuto avvicinare a lui. «Hai delle scarpe da rendermi?».
Stiles ammiccò spudoratamente e Derek si
limitò a roteare parzialmente gli occhi, ignorandolo. «È tuo».
Il figlio dello sceriffo dovette impiegare
diversi secondi per processare la scena che gli si parava dinnanzi, Derek che
lasciava dondolare delle dita un mazzo di chiavi, composto da soli due elementi
più il cerchietto metallico a spirale che li teneva insieme, impedendo che si
perdessero. Gli occhi di Stiles si ingigantirono, l’ambrato che brillava e le
pupille ridotte ad un punto di spillo per via dell’Astro di Apollo che
splendeva incontrastato nel cielo. «Sono le chiavi di casa tua?».
«Sì, le ho appena fatte fare» confermò
senza tentennamenti, afferrando la chiave più piccola. «Questa è per aprire il
portone principale e questa la porta» indicò la più lunga, i denti complessi di
ferro che si mostravano.
La matricola non sapeva bene dove
guardare. «Perché?».
«Stiles, devi essere autonomo» dichiarò
spicciolo Derek, spiccicando poche parole perché le riteneva superflue. «Non
devi aspettarmi o avere il timore di disturbarmi, puoi passare quando lo
ritieni più opportuno».
Stiles era incredulo, era una premura
enorme e la manifestazione di quanto Derek si fidasse di lui. «Sei sicuro? Io
non ho problemi a rispettare i tuoi orari».
«Nemmeno io ho problemi con questo»
avvicinò il mazzo maggiormente all’umano, chiaro segno che dovesse accettarlo.
Lo studente di criminologia lo guardò
ancora per qualche momento, sentiva ridondare dentro di sé l’importanza di quel
gesto, del simbolo che Derek gli stava donando. «Sai che è illegale fare le
copie delle chiavi di una proprietà privata?».
La bocca dell’umano era distesa in un
ghigno saputo e Derek lo fissò oblungo, giudicandolo. «Parli proprio tu di
illegalità di copie di chiavi? Avevi tutte quelle della città».
«Non esattamente tutte» mitigò il figlio
dello sceriffo, la malizia su ogni tratto facciale. Poi si concentrò nuovamente
sul giocatore, l’intensità del momento era palpabile e Stiles doveva soltanto
accettarlo. «Derek, grazie» afferrò le chiavi con mani tremanti, a formare una
coppa che le contenesse e che impedisse che potessero dispendersi. «Non potrai
più disfarti di me, Sourwolf».
Derek scosse le spalle, come se la
questione non lo toccasse minimamente. «Sono già pentito».
Stiles gli regalò uno dei suoi sorrisi più
belli, felice e malandrino, l’orma dell’astuzia della volpe rossa. «Pranziamo
insieme?».
«Sì» rispose affermativo la creatura della
notte, privo di alcun tentennamento.
Stiles strinse il nuovo mazzo di chiavi tra
le falangi, assaporandone la consistenza e il calore che sprigionavano,
cominciando a dirigersi verso la strada interna che conduceva nella parte del
campus più trafficata, lì dove si affollavano i locali e trascinandosi dietro
il mutaforma. «Offro io».
Derek non lo corresse né gli intimò di
lasciar perdere, era un gesto che difficilmente Stiles compieva e si poteva
permettere; aveva un valore molto più radicato. «Portami nel tuo locale
preferito».
Il figlio dello sceriffo voltò il capo
nella sua direzione, il passo che rallentava ma non si fermava, cercando di
comprendere se avesse udito correttamente. «È una caffetteria, non proprio il
luogo ideale».
«Non importa» lo tranquillizzò Derek, per
nulla turbato dalla specifica. «Andiamo lì».
La curva allietata sulle labbra di Stiles
si ripresentò, speciale come poche altre, e non tergiversò più per condurlo
esattamente nel luogo che aveva scelto.
Stiles rincasò molto tardi rispetto alle
sue abitudini e alla storia del proprio mazzo di chiavi non si era abituato, ma
Derek non gli aveva ancora aperto la porta e non aveva mai suonato al
campanello in cui figurava la scritta Hale; quindi decretò che il
capitano della squadra di basket non fosse ancora tornato e inserì la chiave
nella serratura, facendola scattare una sola volta, segno che in realtà il
padrone di casa fosse al suo interno. «Scusa, Derek, il gruppo di studio mi ha
preso più tempo del previsto» cosa che cominciava ad accadere più spesso,
indipendentemente dall’orario che sceglievano.
Quando Stiles entrò, non vide nessuno al
suo interno e dove l’occhio riusciva a percepire vi erano solo punti luce,
strategici, che si intravedevano per tutto il monolocale; la matricola non
riusciva proprio a capire. «Derek».
Proseguì di un passo indeciso se andare
avanti o tornare indietro, lasciare quella sorta di privacy al mannaro o se
dovesse cominciare a preoccuparsi, ma ad un certo punto sentì dei passi
ammortizzati, la durezza delle unghie che sbatteva contro le piastrelle del
pavimento ed un’accoglienza che proprio non si aspettava. «Chi abbiamo qui».
Derek era nella sua forma completa,
percorreva il corridoio andandogli incontro, un manto di inchiostro che
proseguiva nella penombra dell’appartamento e le iridi blu e rosse che lo
guardavano in attesa, spiccando nella parziale oscurità. «Ciao» gli disse
Stiles innamorato, un sorriso dipinto sul viso con lo stesso sentimento.
Chiuse la porta a doppia mandata e posò il
mazzo di chiavi in uno dei ripiani interni della scaffalatura all’ingresso, nel
punto in cui Derek aveva sistemato le sue cose ogni singolo giorno, in una
piccola ciotola di metallo aranciata e si diresse verso la zona notte
abbandonando la borsa e la tracolla sulla scrivania, mentre il lupo seguiva i
suoi passi in religioso silenzio.
Lanciandogli un’occhiata interrogativa
Stiles si avvicinò alla finestra e scrutò il cielo in cerca di una conferma: la
luna era soltanto a metà, il plenilunio era troppo lontano per avere un effetto
su Derek. Si ritrovò ad accarezzargli la testa con leggerezza di istinto, senza
nemmeno pensarci e ponderare se al lupo fosse stato indigesto, invogliato a
mordergli la mano per l’affronto, nota che Derek avrebbe sicuramente apprezzato
in molti contesti, ma il quadrupede non si lamentò né si scostò e Stiles proseguì
verso la cucina, a prendere il suo consueto bicchiere di acqua fresca ed
osservare in che condizioni fosse. «Hai mangiato?» era immacolata, non vi era
nulla fuori posto, se non il bicchiere che sicuramente il padrone di casa aveva
usato riposto vicino al lavandino. A Stiles venne il dubbio su cosa Derek
potesse aver fatto o non fatto. «Ti serve qualcosa?» ma Derek lo guardò
soltanto con quei bellissimi occhi del mare e del fuoco e si defilò, sparendo
completamente dalla visuale del figlio dello sceriffo.
Stiles rimase per qualche attimo immobile
e poi lavò il bicchiere di vetro di Derek, mentre il proprio lo abbandonava in
un angolo, un coperchio sopra per evitare che la polvere gli cadesse e potesse
usarlo in qualsiasi altro momento per il corso della notata.
Tornò nella frazione da camera da letto e
trovò il lupo disteso sul pavimento, vicinissimo al letto, il muso tra le
zampe, gli occhi che seguivano pigramente i suoi movimenti. «È così che ci
sentiamo questa sera?» domandò retoricamente con tono dolce, gli angoli della
bocca arricciati per la tenerezza incontrastata che gli suscitava, qualcosa di
anomalo da provare per uno dei predatori alla vetta della catena alimentare, ma
Stiles non ne poteva affatto farne a meno.
Derek lo ignorò, socchiudendo gli occhi ed
estraniandosi completamente e Stiles non ne risentì, afferrò soltanto la sua
tracolla da studio ed estrasse un paio di libri, insieme al raccoglitore in cui
erano contenuti tutti i suoi appunti ed osservazioni, il lungo lavoro che aveva
apportato nelle ore precedenti con il suo gruppo di studio. Si sistemò sul
parquet freddo, accanto al lupo, le spalle poggiate contro il letto a reggergli
la schiena e Derek spostò leggermente la testa verso la sua direzione, guardandolo
con dubbio. «Ho ancora qualcosa da studiare» si giustificò Stiles strizzandogli
un occhio di complicità, una penna alla mano e un astuccio in cui conteneva
tutti i suoi evidenziatori colorati.
Il lupo lo fissò, il tempo non sembrava
avanzare e Stiles gli dedicò un sorriso completamente infatuato di lui, la mano
occupata a tenere uno dei libri aperto che affondava nel folto manto
inchiostrato, facendo attenzione ed accarezzandolo con cura. «Cosa c’è?» ma
Derek non fiatò, né un latrato né un sibilo, ritornò con il muso tra le zampe e
non si mosse più.
Stiles non smise di accarezzarlo, le
falangi completamente risucchiate della pelliccia nera, scivolavano e
risalivano, nella morbidezza e nella confortanza che quei gesti e silenzio
pacifico riuscivano a creare. Perseverò per quasi un’ora, senza mai rallentare
o avvertire la stanchezza, continuando a scribacchiare e voltare pagine,
evidenziando qua e là frasi o parole che necessitavano della sua attenzione,
con Derek che respirava sotto le sue dita sereno, il pelo che si alzava ed
abbassava e Stiles sapeva che stava bene.
Nella beatitudine il lupo si alzò sulle
quattro zampe e gli si sedette davanti a scrutarlo con i suoi occhi unici.
«Vuoi dirmi qualcosa?» gli chiese l’umano, la testa rivola lievemente nella sua
direzione, mentre un occhio continuava a leggere il libro e la mano destra
impegnata a trascrivere.
Il predatore si avvicinò e cominciò a
muovere il naso ovunque, prima lentamente e poi sempre più velocemente, a
seguire qualcosa che riusciva a sentire soltanto lui sui vestiti e sulla pelle
del figlio dello sceriffo. «Derek, vacci piano» ma il lupo non lo fece e Stiles
si sentiva travolto dalla sua insistenza, il muso premuto contro la clavicola,
ad un passo dal collo. «Ho un odore che non ti piace?» si vide costretto a
chiedere, prendendogli la testa tra le mani per allontanarlo e non lasciarsi
sovrastare dall’animale evidentemente disturbato da qualcosa che non riusciva
più a sopportare.
Derek soffiò in risposta, un rumore minimo
e secco, le iridi di rubino e zaffiro che non demordevano. «Okay, d’accordo»
proferì la matricola, le dita che gli massaggiavano la congiunzione delle
orecchie per tranquillizzarlo. «Vado a farmi una doccia» aveva l’odore di
troppe persone su di sé? Qualcuno tra questi lo disturbava più degli altri?
Aveva resistito più che poteva a non comunicargli il suo fastidio?
Stiles si alzò spettinandogli la
pelliccia, posò i libri e il raccoglitore sulla scrivania, insieme alla
cancelleria e trafficò con l’armadio del padrone di casa, nell’ala in cui erano
state riposte alcune delle proprie cose e si diresse verso il bagno, chiudendosi
la porta dietro di lui.
Si prese il suo tempo e con i denti dal
retrogusto di menta, ritornò sui suoi passi, trovando il lupo disteso sul
letto, sistemato nella sua direzione ad attenderlo. «Sei troppo sensibile,
Sourwolf» gli disse privo di accusa, tamponandosi i capelli umidi con un
asciugamano, avvicinandosi a lui con adagio, ma Derek lo scrutò giudicandolo,
distorcendo l’espressione e Stiles non faticò a riconoscerla. «Mi sembra il
vestiario giusto» indicò il suo pigiama colorato, la stampa della volpe
giocherellona che faceva da protagonista, l’evidenza di aver rubato dal
vestiario del capitano della squadra di basket. «Tu lupo e io volpe».
Derek non sembrava minimamente entusiasta
della scelta e Stiles ridacchiò leggero, sistemando l’asciugamano sullo
schienale della sedia per permettergli di asciugarsi e si diresse completamente
verso il quadrupede, prendendogli il muso tra le mani e adagiandogli un bacio
tra le orecchie. «Ehy, va bene. A me piace» lo spelacchiò per bene, ridendo
sommessamente e si dedicò a spegnere quelle poche luci lasciate accese,
sistemandosi nel suo lato del letto, dove il muro limitava le sue movenze
incontrollate della notte. Si distese sotto le coperte, abbracciando il cuscino
e osservando Derek decidere cosa fare. Lo vide sistemarsi vicino a lui,
ispezionarlo con l’olfatto e incastrare il naso umido sotto il suo collo. «Sei
più contento adesso?» rise divertito, accarezzandogli la testa e non smettendo
di far sparire la curva lieta sulle labbra. «È complicato vivere con un lupo
mannaro. Scott non è così fiscale» nemmeno il segugio infernale con cui aveva
passato l’estate dei suoi diciassette a rotolarsi su ogni superficie a cui
avevano accesso.
Il lupo sbuffò offeso contro di lui, come
se gli avesse fatto il peggiore degli insulti e Stiles non riusciva a smettere
di essere incantato dal modo in cui Derek risultasse essere se stesso perfino
in quella forma. «Lui non è attento come te» gli confidò senza riserve, le dita
che giocherellavano con un orecchio peloso. «Tu sei connesso con tutto quello
che ti circonda, Scott invece è molto distratto».
Derek non commento in alcun modo, si
limitò a guardarlo, per poi accucciarsi meglio contro di lui e assaporare le
attenzioni delicate che Stiles aveva nei suoi riguardi, socchiudendo le
palpebre come se per quella giornata il sipario fosse calato.
L’umano lo seguì solo per qualche secondo,
senza smettere di accarezzarlo, sorpreso come non mai che Derek non foste
infastidito dal suo continuo toccarlo. Stiles non aveva avuto problemi in
quelle nove settimane a riceverlo dal licantropo, ma non era sicuro potesse
essere una cosa ricambiata; a parte rare eccezioni, non si era mai sbilanciato,
ma averlo nella sua forma completa lo portava ad agire in modo diverso ed era
qualcosa di irrinunciabile e avrebbe voluto capire cosa ne pensasse Derek.
Gli grattò un orecchio e ne assaggiò la
consistenza con i polpastrelli, il pezzo di lembo più delicato, la pelliccia
più morbida, finché il lupo aprì gli occhi a mostrare quel connubio di blu e
rosso, l’attenzione tutta rivolta verso Stiles. «Una volta mi hai definito una
volpe astuta dal manto infuocato» pronunciò lo studente di criminologia,
le parole che metteva con calma una dietro l’altra, come se avessero un certo
peso per lui. «È stato prima di tutto, prima dell’oscurità. Ci ho pensato
qualche volta, cercando di capire cosa volessi dire» rallentò, le dita invece
si intrecciavano alla pelliccia inchiostrata. «Quando il Nogitsune è arrivato
ho pensato ecco, Derek aveva ragione. Una perfetta previsione del
futuro, ma tu non l’avevi inteso come un fattore negativo e non sono riuscito a
capire cosa intendessi. Forse per te aveva un significato, ma io…» tentennò, la
difficoltà di trovare le parole giuste. «Non sono stato in grado di
attribuirglielo».
Il lupo si protese e senza che Stiles se
l’aspettasse, gli leccò il viso, scatenandogli di riflesso una risata sorpresa.
«Questo per cos’è?» gli domandò di conseguenza, un pio sorriso sulle labbra di
felicità e una mano che lo tratteneva sul muso. «Mi stai confortando o vuoi che
smetta di parlare?».
Derek in risposta oltrepassò le barriere e
affondò completamente la testa nel collo dell’umano, il naso bagnato
completamente a contatto con la pelle. Stiles ridacchiò ancora, totalmente
assuefatto e lo abbracciò di slancio, godendosi tutta la morbidezza e il calore
che era in grado di generare. «Ho pensato anche ad una cosa stupida» proferì
quasi sottovoce, allontanandosi quel tanto che bastava per poter incontrare i
suoi occhi bicolore. «Infuocato, era stata una strana scelta di parole,
infelice, ma allo stesso tempo precisa. Ho pensato e se lo stessi bruciando?
Ma non aveva alcun senso, che potere avevo io su di te?» nascose parzialmente
il viso sul cuscino, ma Derek lo sospinse e lo liberò, costringendolo ad
affrontarlo. «Anche adesso? Derek, ti sto bruciando?» l’aveva imprigionato con
quella storia di doverlo tenere sempre sotto controllo nella notte, quelle
paranoie si erano ramificate ed ampliate e quel senso Stiles l’aveva trovato.
Derek si alzò sulle zampe anteriori e
scosse le coperte contro le proteste della matricola, scoprendolo e
costringendolo a stendersi di schiena, adagiando un arto sopra la stampa della
volpe pastello. «Che vuoi dire?» Stiles era confuso, la comunicazione con Derek
non era stata mai tra le migliori, ma in versione lupo completo era ancora più
difficile da decifrare.
Il lupo si acciambellò all’altezza della
volpe felice con i suoi palloncini volanti e poggiò la testa proprio su di
essa, tranquillo e pacifico, l’inconfutabilità nelle iridi di rubino e zaffiro.
Stiles invece ebbe bisogno di più tempo per comprendere le sue certezze.
«Comincio a credere che le volpi ti piacciano davvero tanto» gli disse lo
studente del primo anno con tono soave, il sorriso di complicità che gli nacque
nell’immediato.
La creatura della notte lo ignorò, ma non
si scosse dalla sua posizione, intenzionata a soggiornarvi e il figlio dello
sceriffo la accarezzò innamorato perso, godendosi la sensazione della pelliccia
confortante sotto i polpastrelli. «Dovrai dirmelo, Der. Se ti sto bruciando. Se
ti sto ferendo».
Non fu aggiunto nient’altro e si
addormentarono così, con il lupo sul suo stomaco e Stiles per metà sprovvisto
di coperte, ma Derek era bollente e compensava la mancanza, non sentiva il
bisogno di scacciarlo via per arrotolarsi tra le lenzuola.
La mattina successiva si risvegliò
abbracciato al lupo, il viso immerso nell’inchiostro di pelo, la posizione
totalmente alterata rispetto a come si erano presentati al regno di Morfeo. Si
chiese se si fossero semplicemente mossi nella notte o se Derek fosse stato
costretto a riportarlo su quel materasso.
Dopo l’ennesimo gruppo di studio,
finalmente ebbe l’occasione di rimanere da solo con Theo, momento che aspettava
fremente da quando l’aveva incontrato quel secondo giorno da matricola grazie a
Jiang. Era consapevole di quanto anche Theo stesse attendendo che si
concretizzasse, ma era un evento che stranamente non raccoglieva favori dalla
casualità.
Jiang non avrebbe approvato, dopo
l’episodio spiacevole con Donovan che l’aveva portato ad evitarlo evidentemente e il continuo
flirtare con Theo, più la presenza di Derek Hale che considerava sospetta, il
suo coinquilino vedeva sempre meno di buon occhio quel suo girare attorno ai
suoi amici.
Stiles non poteva evitare di essere attratto dal
ragazzo dalle iridi azzurre, che lo incuriosiva e lo metteva sulle spine come
poche volte gli era capitato, molto diverso dal pericolo che aveva avvertito
con Donovan. E Theo non smetteva di mangiarselo con gli occhi.
Finirono nella camera dello studente di scienze
politiche, che aveva la fortuna di possedere una singola, e cominciarono a
sperimentare e fare conoscenza con il corpo dell’altro. Theo era possessivo ed
esperto, ma non lo fece mai sentire a disagio e godette piacevolmente, tutto il
contrario di come si era sentito con l’altro.
Era consapevole che gli stesse cospargendo il corpo di
succhiotti e morsi, ma Stiles non se ne preoccupò affatto, considerando che
stava agendo nella medesima maniera.
Andarono avanti per un po’, tra gemiti e orgasmi di
vario genere, le bocche che non riuscivano a staccarsi l’una dall’altra,
tuttavia ad un certo punto crollarono appagati e Stiles si vide costretto a
controllare l’orario sul cellulare. «Devo andare» gli disse, le tenaglie della
notte che si ergevano con la loro forza premendo, ricordandogli che non poteva
permettersi atteggiamenti stupidi.
Nell’affanno che tentava di riprendere fiato, Theo lo
guardò nella penombra, affascinato dal corpo di cui non era ancora sazio. «Puoi rimanere
qui, non crei disturbo a nessuno» gli fece ben presente, una panoramica
evidente sulla stanza privata. «E ho ancora voglia di te».
Stiles non se lo fece ripetere, le sue
energie erano impossibili da scaricare e possedeva ancora gli ormoni di un
adolescente che aveva appena compreso la sessualità. Ricominciarono a rotolarsi
tra le coperte numerose volte, una più soddisfacente dell’altra, i preservativi
usati che si accumulavano, ed ogni volta che pensava che fosse arrivata
l’ultima loro ricominciavano e la spossatezza e la sonnolenza lo esigevano.
«Devo davvero andare» proferì Stiles con
la voce roca, il fiatone che lentamente rallentava e gli dava tregua, ma la
luna alta nel cielo non era dello stesso avviso.
«Mi sembra che ti piaccia» obbiettò
confuso il suo amante, scostandogli i capelli dagli occhi, arruffati in ogni
direzione per via dell’inteso movimento che avevano affrontato. «Possiamo
continuare per tutta la notte e ricominciare domattina».
Il figlio dello sceriffo si tirò indietro,
cominciando a cercare per tutta la camera i propri vestiti ed indossandoli il
più velocemente possibile. «Per qualcuno potrebbe essere una prospettiva
interessante» per Stiles non lo era per niente. Piacevole o meno, aveva dei
limiti che non voleva oltrepassare con nessuno. «La notte non è mia amica» e
una parte di lui agiva in tal senso, come se dovesse scoraggiarlo. «È stato
divertente, grazie» niente alla prossima, niente ci vediamo,
Stiles si limitò a regalargli un ultimo bacio coinvolto sulla bocca arrossata e
gonfia, defilandosi subito dopo nel momento in cui chiuse la porta dietro di sé
e non permettendo a Theo di catturarlo per una nuova sessione o estendere
l’invito al futuro.
Vagabondò in giro per un po’, senza
contabilizzarlo e soltanto successivamente si diresse verso il proprio
dormitorio, usufruendo della doccia comune e togliendo ogni residuo e fluido
che lui e Theo avevano creato. Tergiversò ancora quando ebbe concluso,
indossando abiti comodi e gettandosi sul letto con tutto il peso; Jiang non era
ancora tornato, sperava che avesse avuto una serata positiva come la sua,
magari non sarebbe rincasato affatto. Stiles non sapeva nemmeno se fosse una
cosa abituale o tipica di lui, le volte in cui si era risvegliato nel proprio
letto si contavano appena sulle dita di una mano e nelle ultime settimane non
vi aveva messo piede, se non per studiare o prendere l’occorrente che gli
serviva per trascorrere la notte da Derek; era un pessimo coinquilino.
Tra le mani teneva il telefono, lo schermo
acceso ad indicare l’ora tarda, la sveglia già inserita; era consapevole di
quanto stesse tergiversando. Fece partire la chiamata, la scritta Sourwolf
che lampeggiava e il vivavoce inserito mentre lo ascoltava squillare. «Oggi non
verrò» gli disse quando lo sentì rispondere, anticipando qualsiasi sua domanda
e udendo appena il suo respiro che echeggiava dall’altoparlante.
Derek rimase per qualche secondo in
silenzio, probabilmente non aspettandosi quell’uscita. «Perché?».
«Potrò anche scegliere cosa fare» non
voleva risuonare irritato, ma è quello che avvenne.
«Ci stai ripensando?» gli domandò il
licantropo, il tono che ponderava la possibilità.
Derek gli risultava anormalmente calmo.
«No, è qualcosa che sto accettando».
Il mannaro respirò più intensamente tra le
interferenze, scuotendole. «Allora, quel è il problema?».
«Non è un vero problema» Stiles era in
difficoltà, si passò una mano sul viso a scacciare la tensione, mentre l’altra
teneva lo smartphone fermo. «Sono andato a letto con qualcuno».
«A cosa mi serve questa informazione?» la voce
del capitano della squadra di basket era immutabile, ma una nota perplessa si
prodigò.
Era già imbarazzante doverlo ammettere, ma
che dovesse anche spiegarsi era umiliante. «Sentirai il suo odore».
«Fatti una doccia» la semplificò ovvio
Derek, risuonando risentito da quella perdita di tempo.
«L’ho già fatta!» Stiles avrebbe
seriamente voluto sbattergli qualcosa in testa di massiccio, in grado di
fracassargliela. «Ma tu lo sentiresti ugualmente, non è vero? Non basta».
«Non fare il bambino» lo apostrofò la
creatura della notte, imponendosi. «Raggiungimi».
«Non sono un bambino e nemmeno il
ragazzino che hai lasciato» desiderava ardentemente chiudergli in faccia il
telefono e fregarsene totalmente della sua sensibilità olfattiva.
«Stai dimostrando l’esatto contrario» lo
ribeccò il lupo completo, sbeffeggiandosi con pacatezza di lui.
«Derek» brontolò e protestò Stiles,
odiando essere trattato in quel modo.
«Smuoviti» Stiles udì come l’ordine
suonasse come uno imposto da un Alpha. «Non è un aspetto di cui devi
preoccuparti».
L’umano con orrore assistette alla
chiamata che veniva interrotta, lo schermo luminoso che si spegneva in
automatico. Era tentato di richiamarlo per urlargliene di ogni, ma era sicuro
che il mutaforma non avrebbe risposto.
Sbuffando e sospirando si prodigò a
prendere quel poco che conteneva la borsa precedentemente preparata e il suo
armadio ormai offriva, rendendosi conto di quanto i suoi averi si fossero
magicamente trasferiti da Derek. Era un aspetto inevitabile in quel continuo
andare e tornare da una sponda all’altra, ma non poteva negare di risultarne
sorpreso.
Inizialmente aveva preso l’abitudine di
riportarsi tutto indietro, ma poi si era ritagliato un angolo dell’armadio del
lupo, approcciandosi ad occupandolo soltanto con i pigiami e successivamente
aveva cominciato a riempire la cesta con i panni sporchi, a mischiare tutto
insieme nella stessa lavatrice ed a lasciare ogni cosa esattamente dov’era per
comodità. I loro limiti si stavano assottigliando completamente.
Raggiunse il 1855 Place procedendo con adagio, non aveva
alcuna fretta di affrontare Derek, il campus era stranamente frequentato per
l’ora che indicava l’orologio e il palazzo sembrava buio. Tutti in festa?
Non attese che il mannaro gli aprisse attraverso il
citofono il portone principale che veniva dimenticato fin troppo spesso aperto
e di cui Derek si lamentava in continuazione, utilizzò direttamente la sua
chiave e si arrampicò per affrontare la scalinata. Derek lo stava già
attendendo con la porta aperta, giudicando severamente le sue azioni, anche se
Stiles non sapeva individuare esattamente quali; più che incitarlo ad entrare,
lo esortava a filare via e dubitava che quello fosse il suo intento, al contrario
se lo ritrovava ad accoglierlo perché voleva evitare un dietrofront.
«Sono qui» disse a sottolineare l’ovvietà,
il mazzo di chiavi ancora stretto tra le dita, la tracolla con i libri su una
spalla e l’altra che conteneva la borsa ormai semivuota. Nella sua camera al Mayo
Hall erano rimasti soltanto gli abiti leggeri, che dubitava avrebbe toccato
per mesi.
Derek lo fece entrare senza tergiversare e
Stiles abbandonò come di consueto tutto il suo bagaglio sulla scrivania, in cui
erano visibili dei libri aperti su cui era evidente il licantropo stesse
studiando. «Devo farmi un’altra doccia?» domandò con il sospiro trattenuto in
gola, l’agitazione che cresceva.
Derek lo guardò senza capire, arcuando le
sopracciglia. «Mi spieghi questa paranoia».
Non era una richiesta né un tentativo, il
capitano era visibilmente incuriosito e anche turbato dalla sua presa di
pozione. «Lo so che riesci a sentirlo. Tutto quello che ho addosso, a
prescindere da quanto mi lavi. Soprattutto quando si tratta di sesso».
«Non vedo il problema» lo liquidò il
padrone di casa, per niente turbato da quell’osservazione.
Stiles capì subito che non stava affatto
negando, il che gli scatenava dei malesseri vari. «Non lo trovo giusto».
Derek aggrottò la fronte, le iridi verdi
che lo scandivano strato dopo strato. «Continuo a non seguirti».
Stiles sospirò ancora una volta, era
frustrato. Lui e Derek in forma di lupo completo potevano conversare quasi
senza fraintendimenti, ma a voce non riuscivano seriamente a capirsi? «Dormo
accanto a te, non puoi evitare di percepire gli odori».
«Nessuno ti sta chiedendo di trattenerti o
limitarti, Stiles» argomentò Derek, avvicinandosi passivamente nella sua
direzione. «Puoi fare quello che vuoi, puoi andare a letto con tutte le persone
che desideri. Non ci sono dei divieti».
Le iridi ambrate erano giganti e turbate,
non riuscivano ad accettare l’indifferenza di Derek, ben sapendo che Stiles non
avesse dimostrato alcun rispetto per lui in quel frangente. «Come facciamo con
il tuo olfatto? Non voglio darti fastidi» più di quanto gliene desse già.
«Vuoi sapere se lo sento?» gli chiese con
profondità pericolosa, ricevendo un cenno vigile di assenso dall’umano. «Cosa
sento?» le dita affondarono tra le ciocche sbarazzine castane, entrando nel suo
spazio personale e sfiorandole con la punta del naso, ispirando rumorosamente e
scatenando dei brividi visibili nella matricola. «I tuoi capelli trattengono
ogni scia, ogni odore prodotto. Ti basterà lavare sempre anche quelli».
Stiles si scosse da lui e ne trattenne
qualche filo tra le falangi, individuandoli come traditori. «Davvero?
Basterà?».
«Sì» confermò la creatura della notte,
disegnandogli i contorni del padiglione auricolare con riverenza. «Basterà.
Finché non subentreranno i sentimenti».
Le pupille nere si rimpicciolirono, come se
una luce le avesse stuzzicate e vi era soltanto quell’oceano del nettare degli
dei. «Sentimenti?» a Stiles sembrava di ritrovarsi faccia a faccia con un
alieno.
«Sentimenti d’amore» chiarì il lupo
mannaro, il polpastrello più grande che premeva lievemente sull’orecchio.
«Ah» Stiles non apprezzò la parola e si
allontanò dal padrone di casa, prendendo velocemente il pigiama utilizzato la
scorsa notte. «L’amore non fa per me, puoi stare tranquillo» detto ciò si
precipitò verso il bagno.
«Cosa stai combinando?» Derek lo
intercettò prima che si chiudesse oltre l’uscio, l’affermazione certa di Stiles
gli risuonava ancora nei timpani.
«Mi lavo i capelli» dichiarò con ovvietà
il figlio dello sceriffo, posando il pigiama sul mobile del lavello e scostando
la tenda doccia. «Utilizzerò il tuo shampoo, ho finito il mio e non avevo in
programma di comprarlo oggi».
«Non è necessario» lo placò Derek,
intenzionato a mitigare le azioni avventate del suo ospite.
«Lo è, lascia fare» gli sbatté la porta in
faccia, chiudendo con due giri non necessari di serratura ‒ la cui chiave
era magicamente comparsa, probabilmente perché il lupo voleva istillargli una
parvenza di privacy in una casa in cui era impossibile averla ‒; non era
una barriera inviolabile per Derek, ma dubitava che l’avrebbe buttata giù
soltanto per una presa di posizione sul farsi uno shampoo di troppo o meno.
Stiles uscì diverso tempo dopo, i capelli
ancora umidi anche se si era avvalso del fon che tendeva più che altro a
prendere polvere. Sistemò i vestiti sullo schienale della sedia, rimandando di
piegarli al giorno seguente e incontrando Derek seduto sul letto, la schiena
poggiata al muro e un libro di letteratura tra le meni; non era propriamente
concentrato sulla lettura, ma era evidente che la sua attenzione fosse rivolta
alla matricola, un sopracciglio folto e scuro innalzato in una forma di
giudizio. «Sono bello pulito» disse Stiles con voce allegra, mostrando la sua
perfetta dentatura e non lasciandosi influenzare dalla negatività del
licantropo.
«Ti avevo detto che non era necessario» lo
riprese Derek, un mezzo rimprovero che non sapeva bene dove scemare.
Stiles non smorzò il suo sorriso, risalì
sul letto e si avvicinò a lui gattonando, portandosi in direzione del suo
olfatto. «Odorami».
«Stiles» ruggì a denti stretti il padrone
di casa, l’intolleranza che cresceva.
«Avanti» lo esortò il figlio dello
sceriffo, cadendogli quasi in braccio. «Sono come piaccio a te».
Era evidente che Derek avrebbe preferirlo
sbranarlo che dargliela vinta, ma con l’insistenza di Stiles c’era poco da
avere la supremazia e sbuffando sonoramente per far sentire il suo dissenso il
lupo si avvicinò leggermente, le dita che si inoltravano parzialmente nella
chioma castana e il naso che affondava completamente tra le ciocche, ispirando
a pieni polmoni tutta l’essenza dell’umano e facendo vibrare quest’ultimo. «Sì.
Sei tu. Hai il tuo odore».
«Con un po’ di te» Stiles era trionfante,
luminoso, la sua presenza era impossibile da ignorare.
«Sì» si allontanò e separò da lui con una
lentezza mai sperimentata, ma Stiles non sembrò notarlo.
«Ora sei più felice» Stiles mostrava quel
sorriso intramontabile, i cui degni erano davvero molto pochi e nelle ultime
tre settimane non lo tratteneva più.
«Sei davvero
avventato» proferì Derek con un groppo in gola, gli occhi seri che non
riuscivano a distogliersi da lui.
«Pensavo facesse parte del mio fascino»
ammiccò spudoratamente il figlio dello sceriffo, inclinando leggermente il viso
per avere un accesso diverso a quello del mannaro e cogliere la nota stonata
che in un primo momento non aveva categorizzato. «Lo dici per qualcosa in
particolare? Mi stai rimproverando?».
Derek negò con un singolo movimento del
capo, le dita che ancora trattenevano le punte dei capelli della matricola.
«No, era solo un pensiero a voce alta».
«Un pensiero a voce alta» gli fece eco lo
studente di criminologia, ancora troppo vicino al corpo del licantropo.
«Qualcosa che non fai mai».
«Me ne ricorderò per il futuro» lo schernì
Derek, i denti serrati in mostra.
«Dovresti farlo più spesso, invece»
ribatté Stiles, gli occhi spensierati. «Mi piace parlare con te, è stimolante».
Derek lo guardò in un primo attimo senza
parola, la profondità senza fine che seguì subito dopo. «Stimolante».
«Sì» convenne l’essere umano, il sorriso
malizioso a far da padrone.
Non smetteva mai di essere la volpe che
credeva fosse. «Questi li vuoi cancellati?» dirottò completamente
l’argomentazione Derek, sfiorando con il pollice che ancora lo vezzeggiava uno
dei succhiotti che spiccavano notevolmente sulla pelle diafana, accompagnati
dallo stampo preciso di una dentatura.
L’organismo dell’umano fu attraversato da
una scossa, il punto toccato da Derek prendeva quasi consistenza e gli occhi si
direzionarono su quel punto, a identificare cosa avesse catturato l’interesse
dell’altro. «Mh…» Theo era stato molto più cauto rispetto a Donovan, ma era
sicuro che ci fosse ogni traccia del suo passaggio su tutto il corpo, anche nei
posti più nascosti, in cui gli aveva permesso arrivare e dove l’aveva
ricambiato allo stesso modo. Non gli dispiaceva averli, gli avevano dato
sollievo in ogni modo possibile, ma era anche vero che non voleva marchi
prolungati su di sé, che lo legassero a qualcuno in modo evidente. «Sì,
cancellali».
Derek non perse tempo, non tardò nemmeno,
con le vene che si tinsero di nero ed assorbirono ogni ematoma dell’umano e
Stiles lo premiò con un nuovo sorriso luminoso, uno tutto per lui. «Ti fa
male?» gli chiese di seguito, la curiosità affamata.
«No» rispose con tranquillità il mannaro,
la pelle fresca di doccia sotto le sue dita. «È qualcosa di troppo effimero».
«Meglio così» proferì Stiles con il cuore
più leggero. «Mi sento meno in colpa. Lo fai ogni volta».
«È successo soltanto un paio volte» lo
corresse Derek, facendogli notare quanto fosse esagerato.
«Beh, sì, ma non saranno le uniche» lo
liquidò Stiles con leggerezza, come se non fosse nulla di che. «A questo
proposito, dovremmo avere delle regole».
«Regole?» Derek lo fissò come se fosse un
alieno.
«Su questa casa» fu più esaustivo il
figlio dello sceriffo, alzando un braccio in alto e mimando un arco che
racchiudesse lo spazio che li raggruppava. «Cosa bisogna fare quando si tocca
la sfera sessuale».
Derek arcuò un sopracciglio, ancora
convito di avere a che fare con un extraterrestre. «Mi pare ne avessimo già
istaurata una» era appena passato un minuto. «E non devi portare nessuno qui».
«Quella è compresa nel pacchetto, non
porterei mai qualcuno qui, non saprei come far sparire le tracce» Stiles rise e
Derek gli schioccò due dita sulla fronte, a punirlo e beccarlo. «Ma devi darmi
altre regole, indicazioni su cosa fare quando sarai tu nella situazione in cui
vorrai intrattenerti con qualcuno e ti servirà che io non sia qui a guastare la
festa».
«Qui non entra nessuno» disse tassativo il
lupo mannaro, divenendo serio e lapidario.
Stiles assistette immobile a tutto
l’assetto di Derek che cambiò, divenendo statuario e implacabile; gli sembrava
quasi di parlare con il vecchio Derek scontroso, non che quell’aspetto fosse
sparito, ma con lui era più morbido, più propenso verso la sua direzione.
«Okay. Allora sei tu che vai da loro» capiva quanto Derek fosse territoriale e
odiasse avere troppi odori in giro, magari affrontare situazioni spiacevoli in
una posizione che in realtà avrebbe dovuto essere comoda; se Stiles avesse
avuto una casa propria o una camera singola l’avrebbe ben utilizzata per quegli
scopi. «Non dovresti sentirti in dovere di tornare per forza a farmi da balia o
comunque possiamo trovare un compromesso».
«Non vado da nessuna parte» fu chiaro il
lupo, si stava anche irritando vistosamente e si adombrò tutto insieme.
«Io… sono confuso» le iridi caramellate
furono stuzzicate, le pupille si allargavano nella semioscurità strategica.
«Che significa?».
«Quello che hai capito» tagliò corto Derek
irritato, l’insistenza premente di Stiles non era ancora qualcosa a cui
riusciva ad essere indifferente.
«Perché?» Stiles non riusciva proprio a
capire, Derek gli era sempre sembrato interessato alla sfera sessuale,
irradiava sesso da ogni poro. «Sono piuttosto sicuro ci sia una fila
chilometrica di ragazze che smaniano per te» le aveva viste sospirare dietro a
Derek, sperare di essere notate anche solo per un secondo, ma Derek guardava
solo davanti a sé, non si lasciava incantare o catturare da figure meno o più
formose che ammiccavano indecentemente, promettendogli piaceri incalcolabili.
Stiles pensava fosse una facciata, ma a quel punto non ne era più molto certo.
«E altri generi di file».
«E con questo?» domandò retoricamente il
mutaforma, i tratti facciali che divenivano taglienti. «Non è
un’autorizzazione. E io non sono costretto a fare niente anche se c’è
disponibilità».
«Non intendevo…» ma invece forse lo
intendeva eccome. Era presuntuoso ed infantile dedurre cosa Derek volesse avere
oltre a quello che aveva già, quali fossero i suoi interessi, chi attirava la
sua attenzione, quali fossero i suoi gusti. Gli aveva detto non ho abitudini
e Stiles aveva creduto che variassero di volta in volta, di letto in letto,
invece era in tremendo errore. «Sei bloccato?» Derek il sesso l’aveva scoperto
soltanto a quindici anni, precocemente probabilmente e devastante; non credeva
fosse mai stato sano, bello come avrebbe dovuto essere. Era stato adescato e
raggirato, era stato usato come arma contro di lui e Stiles poteva essere molto
in sintonia con quell’aspetto, ma non aveva idea di come fosse stato dopo, se
si fosse riscoperto, se fosse riuscito a debellare l’impurità da cui era stato
avvelenato. «Per via di Kate».
«Stiles, non sono bloccato» strascicò le
parole Derek, gli occhi verdi delle saette.
«Scusa» chinò il capo, la necessità di
allontanarsi da lui, di mettere quanta più distanza dalla sua saccenteria.
Ma Derek non aveva quell’intenzione, al
contrario lo attirò a sé, le dita di nuovo affondate nella chioma sbarazzina
che si stava asciugando lentamente, il corpo di Stiles quasi sopra il suo, le
ginocchia poggiate sulle gambe del licantropo, la fronte a lambire la tempia di
Derek più vicina a lui. «Non sono bloccato, è una mia scelta».
Stiles annuì contro di lui, la testa che
si poggiava su quella di Derek; si sentiva in pace, anche se non avrebbe dovuto
esserlo.
Il trascorrere del tempo si dilatò, erano
inflessibili su un punto fisso e non andavano oltre, a Stiles andava bene, si
rilassava anche se in realtà non si sentiva ancora stanco, bisognoso di
ricaricare le energie, perfino dopo la lunga giornata che l’aveva visto
protagonista, con le ore passate sul letto di Theo.
«Cos’è questa storia, invece, di non
essere fatto per l’amore?» Derek lo chiese fin troppo in ritardo, avrebbe
esteso quella domanda nel momento in cui Stiles aveva tirato fuori l’argomento,
ma si era defilato con strategia.
«Ah, speravo ignorassi il mio commento»
l’umano soffiò contro di lui, arreso e latente, scostandosi dal capitano e
scivolando più lontano, a separarli completamente e indicare che non volesse
sbilanciarsi oltre. «È solo un dato di fatto».
Derek lo fissò con la fronte aggrottata
mentre la matricola si sistemava a qualche centimetro da lui, al centro del
materasso e con le gambe incrociate. «Avevi una certa ossessione per la
banshee. Un amore dall’età infantile».
Una risata soffocata prese vita dal figlio
dello sceriffo, vuota. «Forse era solo quello, un’ossessione» Derek lo guardò
in modo strano e Stiles non poteva che dargli ragione. «Mi sono innamorato di
lei all’età di otto anni, uno dei periodi più bui per me» non doveva
ricordargli che cosa fosse successo, quanto sua madre si fosse persa nella sua
mente e non potesse più tornare indietro. Poi era andata via completamente ed
aveva lasciato i due Stilinski da soli a leccarsi le ferite e tentare di essere
l’uno il sostegno dell’altro. «L’ho idealizzata troppo».
«È solo questo il problema?» la creatura
della notte non riusciva a seguire i suoi ragionamenti, il perché fosse così
tassativo su quell’aspetto che un tempo inseguiva con occhi sognanti e
speranzosi.
«Siamo stati insieme, per un po’» rivelò
lo studente di criminologia, andando al nocciolo della questione. «Non ha
funzionato. Lei ci credeva, io no» ammise come se quelle poche parole dovessero
svelare l’arcano. «Sono successe molte cose, io sono cambiato e l’ha fatto
anche lei. Lydia è arrivata ad un punto di autoconsapevolezza, io invece non
riuscivo a tenermi intero e non avevo alcun interesse per lei».
Derek era attento, le orecchie tese, gli
occhi di giada che non volevano scostarsi dall’umano. «Per via del Nogitsune?».
Era una domanda retorica, ma era corretta.
«Per la volpe, per I Dottori del Terrore e per…» si fermò, non aveva avuto
voglia di rivelarlo in passato e non ne aveva nemmeno in quel momento, ma Derek
aveva solo pezzi di puzzle sparsi e doveva metterli al loro posto con molta
fatica e soltanto perché glielo permetteva. «Per La Caccia Selvaggia».
«La Caccia Selvaggia?» Derek impallidì, lì
nel chiarore accennato della camera, con i suoi punti strategici per non dare
fastidio agli occhi.
«I Cavalieri Fantasma mi hanno preso» lo
dichiarò in modo che non ci fossero fraintendimenti, anche se non sapeva se
Derek sapesse cosa significasse, se avesse quella conoscenza. «Sono stato
dimenticato da tutti. Anche da mio padre».
Derek sentì il dolore calare su mio
padre, era qualcosa su cui non poteva sorvolare. «Ti hanno preso» mettere
in fila quelle parole gli arrecava una tortura fisica, il suo lupo stava
ululando a squarciagola dentro di lui, esattamente com’era accaduto un anno
prima quando l’aveva sentito per la prima volta.
«Sì» annuì Stiles, abbracciando le gambe
contro di lui, strette strette al suo petto. «Non so, non ha alcun senso ed è
ingiusto da parte mia, ma sono ancora arrabbiato con tutti loro per aver
permesso che si dimenticassero di me con una tale facilità. Scott, Lydia e mio
padre. Tutti gli altri» non lo faceva stare bene con se stesso, tutta la rabbia
accumulata in quegli anni, con tutte le sue disavventure e la vita che
l’avevano bersagliato, non riusciva più a catalizzarla, prendeva la supremazia
su di lui. «Non era colpa loro, non era colpa di nessuno, non si può battere un
potere come quello se nemmeno sai che esiste. Ma esiste e ha spazzato via tutto
e sono stato sostituito e nessuno sapeva che ero mai esistito» il nulla nel
nulla, eppure Stiles sapeva ancora chi fosse. «Mio padre ha addirittura
ricreato mia madre con il suo dolore, ha fatto tornare in vita qualcosa con il
suo aspetto, tutto pur di non percepire che non ci fossi più e ha combattuto
per lei e non per me» non era qualcosa che lucidamente riusciva a capire,
Stiles aveva sofferto per quella sovrapposizione e ancora di più quando l’aveva
affrontata e lei aveva dato voce a tutto quello che sua madre, annegata nella
malattia, pensava di lui. «Non riusciva a credere a nessuno, non voleva
perderla per un figlio che nemmeno sapeva di avere e Lydia ha insistito e
insistito, ma ci è voluto troppo tempo. Lei riusciva a percepire che qualcosa
non andasse, che le voci si stessero spegnendo in modo anomalo e cercava ogni
indizio ovunque potesse, ma non c’era niente, solo le sue sensazioni» il suo
nome che figurava nella sua mente e che lei tracciava ovunque potesse per
renderlo reale. «E Scott la seguiva, non dubitava mai di lei, al contrario di
come avesse fatto con me» il risentimento passato sfociò, era qualcosa di cui
dubitava si sarebbe mai liberato, Derek riusciva a vederlo. «Mi ha tirato lei
fuori da quella dimensione fantasma e Lydia era arrivata a questa grande
rivelazione in cui capiva finalmente di amarmi e io l’ho solo presa. Non ho
fatto domande, non mi sono interrogato su niente, ho solamente colto
l’occasione pensando finalmente. Mi sono semplicemente fatto trascinare,
come faccio sempre in queste situazioni».
«Non riesco…» Derek non riusciva in fin
troppe cose e l’avere lì Stiles gli faceva rendere conto di quanto fosse vero,
di quante cose si fosse perso e aveva faticato a ritrovare. Di quanto Stiles
avesse pagato il prezzo più alto di tutti. «Sei stato deluso da chi amavi,
posso capire che questo abbia dell’influenza su di te» Derek lo sapeva bene, il
tradimento l’aveva sperimentato sulla sua pelle, anche se erano state di due
entità completamente differenti.
«No, non è questo» dissentì Stiles, il
capo che si muoveva ripetutamente scompigliando i capelli. «È successo anche in
passato. Sono sempre stato convinto di non essere visto da nessuno, soprattutto
da chi attirava il mio interesse, poi è accaduto che persone ne hanno
dimostrato verso di me, persone che non avevo mai visto o con cui avevo parlato
mezza volta. Non mi sono domandato se mi piacessero, ero elettrizzato e
eccitato e chiunque andava bene. Mi sono lasciato trasportare, accoglievo
tutto. È successo anche con…» ma non finì, la voce sfumò.
«Malia» gli diede un nome Derek.
Gli occhi già grandi di Stiles si fecero
giganti e tutto in lui spiccava la sorpresa. «Lo sai?».
«Aveva il tuo odore» semplificò il lupo
mannaro, facendolo risuonare ovvio.
«Aveva ancora il mio odore?» chiese con
sgomento, le iridi ambrate luminose nell’oscurità. «Ma quando l’hai
incontrata?».
«Lei provava dei sentimenti per te, tu no»
chiarì Derek ripetendosi, per lui era inevitabile. «Te l’ho detto, l’amore non
si cancella».
«Io le voglio bene» si parò il figlio
dello sceriffo, non apprezzando il modo in cui Derek sminuiva quello che Stiles
aveva provato per sua cugina.
«Non lo metto in dubbio» scacciò via il
licantropo, imperturbabile. Se non fosse stato vero, Stiles non avrebbe mai
barattato la sua libertà con la prigionia del Nogitsune. «Ma ci sono modi
diversi di voler bene ad una persona».
«Sì» Stiles rallentò, non era sicuro di
quanto in là si potesse spingere né che volesse condividere quella parte di sé.
«Avevo questa stupida idea di dover perdere la verginità a tutti i costi» Derek
si irrigidì, ogni suo tratto era di pietra e Stiles lo allegò a quello che gli
era accaduto con Kate Argent. «Lei era carina, sapeva quello che voleva e io
avevo la testa completamente in confusione, c’era questa presenza dentro di me,
la volpe che sussurrava e io volevo liberarmene, essere normale almeno per qualche
momento. Ma il Nogitsune ha usato quella prima volta contro di me, come se lo
avesse programmato in anticipo e non c’era più modo di tornare indietro» la
vita di Malia era appesa ad un filo, dopo che aveva giaciuto e goduto con lei.
«Dopo la cattura della volpe abbiamo provato a costruire qualcosa, ma sapevo
che non era quello il suo posto, che Peter voleva portarla altrove, da Laura,
da te e l’ho lasciata andare» non era pentito, era la scelta più giusta da fare
e quella più corretta nei suoi confronti. «Ma poi le cose si sono fatte
confuse, non voglio dire che fossi bloccato, ma non avevo un bel ricordo del
sesso, di quello che era venuto dopo ed improvvisamente avevo troppi occhi su
di me e io ero curioso, volevo ricominciare, debellare un’esperienza bella che
la volpe mi aveva sottratto. Ho accettato tutte le avance che mi sono ritrovato
davanti, senza che riuscissi ad inquadrarne una sola. Ho realizzato che agli
occhi degli altri ero sbocciato all’età di diciassette anni».
«Non sei sbocciato a diciassette
anni» gli fece il verso Derek, disgustato dal pensiero errato.
«E tu che ne sai? Nemmeno c’eri» era la
risposta che Stiles si era dato, il motivo per cui improvvisamente era piacente
alle persone che lo corteggiavano senza che lui capisse che cosa si fosse perso
in mezzo. Era rimasto indietro, anche se era andato avanti.
«Non è successo a diciassette anni»
rincarò la dose il licantropo, assottigliando le labbra.
Stiles lo guardò in modo anomalo, non
comprendeva la battaglia di Derek. «Non credo abbia importanza, comunque» non
voleva soffermarsi su quello, non avrebbe nemmeno dovuto esternarlo ad alta
voce. «Quello che voglio dire è che ero inconsapevole, lo sono ancora adesso.
Non capisco quando piaccio a qualcuno, non percepisco il momento del
cambiamento, ma se mi viene detto in faccia lo accetto e basta, perché penso quando
mi ricapiterà?» sospirò esausto, era una rivelazione che aveva tenuto per
sé. «Non è un bel pensiero, non è corretto nei confronti di nessuno, ma a loro
non importa ed a me nemmeno, quindi mi faccio catturare da questo vortice in
cui prendo tutto, ma non do nulla di reale» con i rapporti casuali era facile,
con quelli più concreti molto più difficoltoso. «Con Lydia è accaduto lo
stesso, lei ha capito di amarmi quando io non ero nemmeno lì. Ha raggiunto la
sua illuminazione, ha camminato da sola e me l’ha sbattuta in faccia ed io
credevo di volerlo, che fosse finalmente arrivato il mio momento, che il mio
sogno fanciullesco si fosse finalmente realizzato, ma non era così. Non provavo
niente per lei, non provavo niente di niente» si mosse sul letto, un braccio
che cercava alla cieca dietro di lui, afferrando il suo cuscino speciale e
portandolo davanti a lui, affondandovi il viso e sprofondando. Realizzarlo non
era stato per niente facile. «Tutto di me si era rotto, non riuscivo a tenere i
miei pezzi uniti, non ero in grado di occuparmi di me stesso e ed ero inadatto
ad avere una relazione sentimentale con un’altra persona, chiunque fosse. Non
potevo concentrarmi su di me se buona parte delle mie energie dovevo darle a
lei» ci aveva provato, ma aveva fallito su tutta la linea. «Poi si sono
presentati gli episodi di sonnambulismo e ho capito che non potevo farcela, che
prima degli altri dovevo ritrovare me stesso. Lydia non è riuscita a capirlo,
insisteva e basta».
«Hai un limite anche tu, non è una colpa
se l’hai raggiunto» era impensabile che accadesse ad un tipo in costante
movimento e pieno di energie qual era Stiles, un ciclone inarrestabile, ma ne
aveva subite troppe ed incassate ancora di più, il cilindro si era inclinato e
la vitalità cadeva a gocce piccole e lente, cadendo nel vuoto. «E la banshee lo
capirà a tempo debito, magari quando ti deciderai a chiedere aiuto, invece di
isolarti».
«No, si illuderebbe» processò il figlio
dello sceriffo, negando ogni tentativo e poggiando parte del capo sul guanciale
piumato, liberando il campo visivo. «Non ho niente da offrile».
Derek non lo riconosceva affatto. «I tuoi
sentimenti per lei».
«Hai problemi di udito, Sourwolf?» lo
prese giocosamente in giro l’umano, le labbra che si distendevano sopraffine,
deliziate. «L’amore che avevo per lei non esiste più, siamo persone diverse e
non sono più il bambino ad un passo dal perdere la madre che stravedeva per
lei. Non è più il nostro tempo, forse non c’è mai stato».
Il mannaro tacque prolungatamente, il
silenzio appestava la camera e Stiles era indifeso davanti a lui nel suo
pigiama, tra le proprie coperte, tuttavia era ancora combattivo. «Potrebbe
esserci nel futuro».
«Forse» ponderò Stiles, il sorrisetto
saputello che macchiava le labbra indomite, le gambe che si seppellivano sotto
le lenzuola e la schiena che ricadeva sul materasso, portandosi dietro il
cuscino ed impossessandosene di uno di Derek. «Ma adesso non voglio una
relazione con nessuno, ho bisogno di concentrarmi soltanto su me stesso».
La creatura della notte lo seguì con
adagio, era evidente che Stiles non riusciva più a resistere al richiamo di
Morfeo e Derek decretava che la giornata si fosse estesa fin troppo. «Hai fatto
la scelta più giusta per te».
Le labbra di Stiles si allargarono
ampiamente, le iridi di miele tutte per il suo interlocutore. «Grazie per aver
capito» proferì con riconoscenza, l’attesa che si allungava. «Non avevo
calcolato che in questo percorso accidentato avrei incontrato te».
«Soltanto perché non vuoi dire al mondo
cosa ti accade» proferì Derek come voce della verità.
«Può essere» gli diede minima corda la
matricola, coprendosi con ritardo un mezzo sbadiglio. «Ma nessuno è come te».
Non venne aggiunto altro e Derek si
distese completamente, accanto a lui e su un fianco, nella sua direzione come
accadeva praticamente quotidianamente. «Io non ti ho dimenticato» soffiò nel
buio dopo aver spento l’abatjour sul comodino, il fiato che muoveva le ciocche
indomite dell’umano.
Stiles aveva gli occhi semichiusi, era più
che altro diretto verso il regno del dio greco dei sogni che in quello
terrestre. «Non puoi saperlo, non te ne saresti nemmeno accorto. Un momento
c’ero e quello dopo non più. E viceversa, come un qualsiasi pensiero».
Il mannaro era ad alcuni centimetri dal
cuscino su cui la matricola si era accomodata, riusciva a vedere ogni sfumatura
in lei. «È impossibile per me dimenticarti».
La sonnolenza aveva ancora una presa
ponderante su Stiles, uscire dalla foschia era un’azione inesistente, ma riuscì
a vedere Derek in modo diverso, a scrutarlo e carpire cosa volesse dire, che
cosa volesse comunicargli. Si avvicinò nel buio, strusciò la punta del naso
contro il suo, percorrendogli tutto il setto nasale. «Sarebbe bello se fosse
stato vero» ma era impraticabile, nessuno poteva aggirare il sistema della
Caccia Selvaggia, per quanto si cercasse di evitarlo con tutte le proprie forze
e ne fosse a conoscenza, Derek non aveva alcun motivo per impegnarsi talmente
tanto nei suoi confronti e non avrebbe mai preteso nulla di simile da lui. «Non
provo nessuna forma di rabbia nei tuoi confronti, Derek. Sei l’unico esente».
Il lupo interiore di Derek stava ululando straziato,
incompreso, esattamente come nell’anno precedente.