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Autore: Evilcassy    15/12/2009    6 recensioni
Tre colpi alla porta. La maniglia che scattava. Tre passi sulla moquette. Il rumore dei suoi tacchi – vertiginosi, come al solito, lo sapeva – giungeva ovattato alle sue orecchie. Un piccolo sorriso si faceva largo dalle sue labbra. Si voltò con studiata lentezza verso di lei. “Buonasera, splendida signorina Williams.” “Buonasera a lei, Mr Chaolan.” Anna, Lee. Un'affinità particolare, un gioco pericoloso.
Genere: Romantico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anna Williams, Lee Chaolan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giochi Pericolosi.

 

 

5- Breathe no More.crossed the Rubiconcrossed the Rubicon

 

So, so you think you can tell Heaven from Hell,
blue skies from pain.
Can you tell a green field from a cold steel rail? A smile from a veil?
Do you think you can tell?


L’orologio segnava mezzanotte e tre quarti.

“Arriva” mormorò Lee, come una nervosa preghiera.

Aveva rotto il silenzio pesante ed inquietante di quella stanza in penombra con la musica soffusa dello stereo.

La radio sembrava conoscere la sua situazione, a giudicare dalla canzone, quella ballata classica, che stava passando ora sulle frequenze.


And did they get you trade your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees? Hot air for a cool breeze?
Cold comfort for change? And did you exchange
a walk on part in the war for a lead role in a cage?

 

Era tardi e lui iniziava ad avere freddo, nonostante la temperatura della camera.

Minuscole gocce gelate, preludio della neve che sarebbe arrivata da li a poco, graffiavano il vetro della finestra, e le luci della città entravano dal vetro, decorando le pareti e l’arredamento con le ombre sottili della pioggia, così simili a pennellate minute di un pittore nervoso.

Come era lui in quel momento. Incrociò le braccia al petto, gettando ancora uno sguardo all’orologio. “Ti prego, arrivasussurrò di nuovo.

How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here.

Quello non era il ritardo più clamoroso di Anna, ma di certo era quello che lo innervosiva maggiormente. Perché l’attendeva senza sapere se lei avrebbe davvero varcato quella portaconcedendogli la sua fiducia, sciogliendosi tra le sue braccia.

Se solo l’avesse cercata meglio, quella sera di sei giorni prima, probabilmente ora sarebbero già stati insieme, lontani da Tokio e dai suoi sotterfugi, da quell’insulsa lotta fratricida, da quel gelo prepotente che inghiottiva le strade in quel momento.

Anna amava i posti caldi. Il sole, il mare, il calore sulla sua pelle abbronzata.

E lui non vedeva l’ora di regalargli tutto questo. “Arriva, arriva, arriva arriva...”

L’avrebbe attesa tutta la notte, se fosse stato necessario. Si concesse uno scotch, prima di sedersi su una poltroncina senza togliere lo sguardo dalla finestra.

Chiuse gli occhi.

 

Leggera, come se fosse stata una farfalla, senza fare il minimo rumore era scivolata nella stanza.

I piedi nudi sfioravano la moquette grigia in passi inconsistenti. E le sue mani fresche si erano sciolte in una carezza sul suo volto.

Aveva spalancato gli occhi, incredulo di trovarsela davanti,

Era anche più bella del solito, quasi eterea nel suo pallore, senza il pesante trucco gli occhi sembravano brillare di luce propria, riflettendo la neve che cadeva copiosa al di là del vetro.

Si sentì rinfrancato, rasserenato dal vederla sorridere appena. “Allora sei venuta.” Bisbigliò. Le sue dita scorrevano tra i capelli argentati, come se stesse accarezzando un cucciolo che le ispirava tenerezza, mentre annuiva.

“Non vedevo l’ora. Io…

L’indice di Anna premette le sue labbra. Il suo gesto usuale, quello di zittirlo con quel modo dolce e deciso insieme.

Le labbra della donna si unirono alle sue. Un bacio leggero, sincero: un bacio che Anna non gli aveva mai concesso.

“Hai deciso di stare con me?”

Di nuovo, Anna lo zittì, prima di baciarlo nuovamente. C’era qualcosa di malinconico e impalpabile nei suoi gesti, nelle sue carezze, nel suo sapore. Qualcosa che sfiorava Lee senza rimanerne realmente impresso.

 

La maniglia della porta che scattava, aprendosi, lo fece trasalire.

Riaprì gli occhi, alzandosi in piedi.

“Anna?”

Il vetro era rigato ancora dalla pioggerellina gelida.

…Un sogno ?

Si diede dell’idiota, prima di accendere la luce velocemente.

La porta si aprì appena, con una lentezza esasperante. Una figura femminile avvolta in un cappotto nero, lungo sino ai piedi, il cappuccio alzato a coprire la testa e il volto, varcò la soglia, chiudendo la porta alle sue spalle.

“Anna?”

Il cappuccio bagnato scivolò via dalla testa, rivelando gli stessi occhi azzurri e gelidi che stava attendendo sotto una cascata di capelli dorati. Il cuore di Lee mancò di un battito, mentre tentava di mantenere la calma, appoggiandosi con la schiena ad un mobile, incrociando le braccia al petto. Gli ci volle un istante, un sospiro, prima di riuscire a parlare senza che gli tremasse la voce.

Perché trovarsi la Williams sbagliata davanti non era di certo un buon segno. Affatto.

“Oh, Nina, mi sorprendi. Non ti aspettavo. In giro con questo tempaccio?”

 

Nina Williams non si mosse di un millimetro, se non fosse stato per le gocce che cadevano dal suo cappotto si sarebbe potuta scambiare per una statua di ghiaccio dallo sguardo penetrante.

“Stavo aspettando Anna.” Incalzò l’uomo. “Hai… hai qualcosa da parte sua?”

Le labbra diafane di Nina si schiusero in un sussurro. “Dovrei uccideti.”

“Cosa vuoi dire?”Se non fosse stato per il mobile a cui era appoggiato, le gambe di Lee l’avrebbero abbandonato a terra.

“Sapevi quello che stava rischiando, sapevi che Kazuya non gliel’avrebbe fatta passare liscia, se l’avesse scoperta. Ma a te cosa importava…” I passi di Nina verso di lui lasciavano impronte dure nella moquette. “… tu avevi la tua nottata di sesso sfrenato, e per te non c’erano altri problemi.”

Le parole dure di Nina lo ferivano. Erano il preludio a qualcosa che non voleva sapere, che non poteva sentire. “Non è vero…” bisbigliò. Era così, era vero!

Se gli occhi della donna fossero stati letali come le sue mani, allora lui sarebbe già stato ridotto in cenere. “Non gli sei stato lontano, fottuto vigliacco che non sei altro.” Sibilò con odio.

“Non è così. Te lo può confermare anche tua sorella.”

Nina emise uno sbuffo freddamente ironico. “Confermare? Anna è morta.”

 

Il neon del corridoio era la luce più gelida che potesse illuminare quel luogo. Irrorava qualsiasi cosa di bianco, rendendola asettica e spettrale.

Nina stessa, che camminava di fronte a lui, pareva ancora più algida di quanto già non fosse naturalmente.

Farebbe qualsiasi cosa per danneggiare sua sorella. Continuava a ripetersi come un mantra Lee, da quando l’aveva seguita, fuori da quell’hotel, sino agli ex-laboratori sotterranei della Mishima Zaibatsu. Si aggrappava a quella flebile speranza disperatamente.  Non le credere, non le credere. Lei ODIA Anna, ti sta facendo cadere in trappola per farle un dispetto crudele.

La brusca curva del corridoio segnò una svolta anche nei pensieri di Lee. E’ un trucco per fartela incontrare di nascosto. Si, sicuramente. Al di là della porta ci sarà Anna –viva, sana e salva- che riderà di questo scherzo idiota e ti dirà che è stato un piano geniale.

La donna compose il codice segreto con le dita tremanti sulla tastiera numerica posta di fianco alla porta, che si aprì con un lieve sibilìo.

Lee conosceva quella stanza. Era il laboratorio personale di Bosconovitch. Tra quelle quattro mura erano state tenute criogenicamente congelate per vent’anni, era stato il loro limbo, la loro casa. La temperatura di quel laboratorio rasentava lo zero come allora, con la differenza delle pareti spoglie dai fogli di calcoli dello scienziato e dai suoi macchinari per gli esperimenti.

Vi era solo il tavolo d’acciaio e qualcosa, coperto da un lenzuolo bianco, vi era appoggiato sopra, mentre un uomo in camice bianco compilava un foglio appoggiato alla parete.

“Miss Williams.” Salutò con voce grave, accennando ad un lieve inchino, scuro in volto. Appoggiò il foglio e la matita sull’unica sedia presente nella sala, indossando un paio di guanti di lattice, per poi avvicinarsi al tavolo.

Lee si accorse di trattenere il respiro e di sentire dolorosamente i battiti del proprio cuore.

L’uomo alzò appena il lenzuolo, piegandolo sotto il livido collo da cigno, sfregiato da solchi di artigli.

Lee sentì le gambe tremare, mentre si premeva la mano sulla bocca, ipnotizzato da quello che aveva davanti agli occhi.

La sua pelle – la stessa che si arrossava nei momenti di passione, era dello stesso colore del lenzuolo. Gli occhi chiusi, senza nessuna traccia di trucco.

I capelli erano bagnati e tirati indietro, lasciando il volto scoperto.  Le labbra – delineate dal rossetto che rimaneva sul bordo del bicchiere, avevano assunto un colore azzurrognolo.

E poi il collo, così deturpato.

 

“Avevamo appuntamento per questa sera. Dovevo fornirle documenti falsi per scappare all’estero” spiegò la donna. “Ma non si è presentata. Il suo cellulare era spento, ma sono riuscita a rintracciare il segnale.” La voce di Nina stentava a restare ferma. “L’ho trovata sulla riva del fiume, avvolta in un cellophan.” Deglutì con fatica. “Aveva ancora il cellulare con sé. È stato fatto apposta per farla ritrovare” Nina alzò un lembo del tessuto, facendo scivolare una mano della sorella fuori. La alzò, mostrandola a Lee. Le unghie erano spezzate e un dito sembrava storto. “Si è difesa” spiegò Nina. “Nonostante sapesse che contro Kazuya non ci sarebbe stato nulla da fare, Anna si è difesa.”

 

Anna che rideva sguaiatamente.

Anna che si leccava le labbra, facendole schioccare bramosa.

Anna che sorrideva ammiccante.

Anna che faceva grandi progetti per i suoi viaggi.

Anna nei suoi abiti firmati ed eccentrici, provocanti.

Anna che scivolava tra le sue braccia, lo avvolgeva e lo baciava come se lui potesse donarle linfa vitale.

Anna che urlava il suo nome e lo graffiava.

Anna che sorrideva beata, appoggiando la testa sul suo petto ansante.

Anna che dormiva, l’espressione sfinita ed abbandonata.

Anna che si ritoccava il trucco nervosamente.

Anna con gli occhi lucidi che ricordava di quando l’aveva sorpreso con la sua segretaria.

Anna che si guardava allo specchio, non completamente soddisfatta del suo aspetto.

Anna e le sue tre sottili cicatrici sul polso destro. E la sua risposta vaga quando le aveva domandato come se le fosse procurata.

Anna e la sua inquietudine. Quando aveva ammesso, aprendo uno spiraglio su di sé, di non ricordare l’ultima volta che si era sentita serena.

Anna piena di rabbia repressa, di frustrazione e di amarezza. Che agiva guidata dall’istinto di vendetta, dall’impulso irrazionale di rivalsa. Per cercare una vittoria che sentiva di meritare.

Anna che aveva combattuto fino alla morte, sino a spezzarsi le dita, per sopravvivere.

Per tornare da lui.

Ed infine, a ribadire il concetto di quanto la vita fosse amara e crudele, Anna stesa sul tavolo di quell’obitorio improvvisato.

Nina varcò stancamente la soglia del locale, notando che l’uomo era già seduto al bancone, due bicchieri pieni davanti a sé

 

Nina varcò stancamente la soglia del locale, notando che l’uomo era già seduto al bancone, due bicchieri pieni davanti a sé. Riuscì solo a provare un po’ di sorpresa nel vederlo, ma nessun’altra sensazione, né di gioia né di fastidio.

Si sedette sullo sgabello a suo fianco senza guardarlo, senza dire nulla. Lui fece scivolare uno dei bicchieri sul bancone verso di lei, che lo prese distrattamente tra le dita. Guardò il liquido chiaro tra i ghiaccioli, li fece tentennare. “Sai già quello che è successo?”

Con la coda dell’occhio lo vide annuire e bere un sorso. Si era voltato appena verso di lei, forse per studiarne le reazioni.

“Lo immaginavo. Non scappa nulla a voi russi.” Giocherellò ancora con il bicchiere, sospirando. “Hai fratelli o sorelle?”

Questa volta l’uomo scosse la testa.

“Io l’ho odiata per tutta la vita. O, almeno, credo di averlo fatto. Ora non lo so più.” Si gettò il contenuto del bicchiere in bocca, con il risultato che gli occhi le pizzicarono non appena la gola percepì il bruciore del liquore. Si appoggiò il bicchiere alla testa, come se dovessere rinfrescarsi le idee, strizzando gli occhi. “Non so cosa provare nè cosa pensare.” Appoggiò il bicchiere al bancone, alzandosi. “Offri tu?” domandò, aggiustandosi la giacca, facendo per uscire dalla porta.

Sentì le dita dell’uomo chiudersi sul suo polso, decise ma non strette. Finì anche lui il suo bicchiere, gettò un paio di banconote sul tavolo e poi si alzò, guardandola.

“Vuoi venire con me?” domandò la donna con uno accenno di sarcasmo nella voce. “Non so se sarò di grande compagnia questa notte, Sergei.”

Lui alzò una spalla, quasi noncurante. Fece scivolare la mano dal polso alle sue spalle, ed uscirono insieme dal locale.

 

 

Per il tuo ultimo viaggio ti abbiamo vestito con il qipao rosso che adoravi.

Ti donava incredibilmente anche in quel momento, sembravi la Bella Addormentata, mentre ti dicevamo addio, mentre ti baciavo per l’ultima volta, quasi sperando che sbattessi le ciglia e ti svegliassi.

La rabbia che provavo mentre chiudevano il coperchio della bara non è descrivibile.

Io e Nina abbiamo pensato che avresti preferito essere cremata. Una sola vampata –rossa, il tuo colore preferito – per poterti poi librare nell’aria.

No, non avresti sopportato essere mangiata dai vermi.

Ma ora sei sul mare, sei nel vento. Potrai viaggiare liberamente, visitare tutti i luoghi esotici che ti mancavano all’appello. Un po’ ti invidio sai?

Quante poche cose sapevo di te, che sorpresa trovare tra la tua roba tanti piccoli cimeli dell’Irlanda. Ne è rimasta impressionata anche Nina. Non avremmo mai pensato facessi la collezione di gadgets che raffiguravano trifogli.

 

Ho lasciato che la rabbia sorda mi consumasse per giorni, affogando i sensi di colpa e la tua mancanza nel vino rosso che amavi così tanto.

Poi ho chiamato Lars. E gli ho chiesto un favore.

Non sono abbastanza forte da poter sconfiggere un demone da solo, ma che io sia dannato se non accadrà, il colpo di grazia a Kazuya lo darò io stesso.

 

Bene, tutti a tagliarsi le vene, presto!!!!!

 

Era da un po’ di tempo che volevo scrivere una Ff con il BAD ENDING. Il mio sadismo esigeva questo piccolo tributo.

Ok, ok. Lungi dall’essere un capolavoro, pazienza.

Grazie intanto a Miss Trent (sono tutt’ora schockata dalla scoperta di tu-sai-cosa) AngelTexasRanger, (troppo buona nei miei confronti.), LiliRochefort (mi inchino profondamente commossa dalle tue parole) e Nefari (che ora mi detesterà per aver fatto fuori Anna, ma tant’è)

PS: la canzone in apertura è Wish you were Here dei Pink Floyd.

 

Grazie, Grazie, Grazie, Grazie, Grazie!!!!!

EC

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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