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Autore: My Pride    03/02/2012    7 recensioni
Ho veduto più di quanto io stesso abbia mai voluto vedere.
Desideri, sogni, promesse ed incubi: per quanto apparisse orribile, tutto ciò era meraviglioso.

Sorrise e si accucciò contro il bancone di legno del bar, apparendo ai miei occhi come un grosso felino compiaciuto. E quegli occhi che possedeva accentuarono quel paragone. «Piuttosto, ti piacerebbe riuscire a dar vita a ciò che immagini, scrittore?» mi domandò, lasciando cadere le formalità iniziali.
Non fu quello ad accigliarmi, bensì le sue parole. Sbattei dunque le palpebre, incredulo. «Ti sembra forse che io abbia scritto fesso in faccia, amico?»
[ Prima classificata al contest «Origami di carta» indetto da Fe85 ]
[ Vincitrice del Premio grammatica al contest «Voglie estive di gustose letture» indetto da aturiel ]
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Tschuess_5
ATTO V: CHICAGO › LUGLIO 2010
EPILOGO INASPETTATO
 
    Il filo di fumo azzurrognolo che si levava dalla sigaretta che reggevo con due dita mi dava una certa soddisfazione. Accanto al mio portatile, avevo abbandonato un bicchiere di bourbon e un piatto contenente uva e pesche, e avrei consumato il tutto non appena finito di fumare per festeggiare la notizia ricevuta poche ore addietro. Il mio racconto, terminato non più di due mesi prima, era stato scelto per apparire in una raccolta di storie stese da vari scrittori esordienti, e la cosa non avrebbe potuto rendermi più felice. Era dai miei quindici anni che aspettavo un avvenimento simile, e adesso, a ventiquattro anni compiuti, quasi non riuscivo a crederci. Era... inverosimile, accidenti. Un sogno diventato realtà.
    Gettai un’occhiata veloce verso la cesta della mia gatta, posta esattamente sotto la finestra per far sì che stesse al fresco; acciambellata pigramente al suo interno, si muoveva di tanto in tanto per cambiare posizione, sbadigliando sonoramente. Lei sì che non aveva preoccupazioni, però era anche un piacere vederla così tranquilla, dovevo ammetterlo.
    Trassi un’altra lunga boccata e sorrisi, reclinandomi all’indietro; stando attento che non cascassi dalla sedia sulla quale ero accomodato, picchiettai ritmicamente con le dita sul bordo della scrivania. Chissà cosa avrebbe detto Josh non appena gliene avessi parlato. Mi aveva seguito per tutta la durata di quella storia in cui mi ero gettato, facendomi da critico ed eliminando lui stesso gli errori di battitura che commettevo nel trascrivere al computer. Io e quello stupido pezzo di ferraglia non eravamo mai andati molto d’accordo - a stento sapevo cosa fosse quello che veniva chiamato “processore grafico”, dannazione -, e l’aiuto di Josh era stato una vera e propria manna dal cielo. Gli avevo sì fatto passare continue notti in bianco - e il poco dormire non c’entrava per niente, dovevo ammetterlo - per quasi tre settimane, ma non si era mai lamentato, sapendo quanto contasse per me riuscire a raggiungere quell’obiettivo che mi ero prefissato anni addietro. E adesso che ci ero riuscito volevo festeggiare in sua compagnia quella mia personale vittoria... magari con spicchi d’arancia e champagne a letto, perché no. In fin dei conti ce lo meritavamo entrambi.
    Non passò molto tempo prima che sentissi la porta dell’appartamento aprirsi, e subito dopo fece la sua comparsa in soggiorno Josh, completamente sudato nel suo vestito elegante. Per il troppo caldo si era tolto la giacca pesante e allentato la cravatta, che adesso pendeva come un serpente finto intorno al suo collo. Faceva l’avvocato, e quell’abbigliamento era praticamente d’obbligo. Poco importava morire di caldo, a quanto sembrava. «È un fottutissimo forno, là fuori». Mi salutò così, senza tanti preamboli né normali “Ciao”. Però ormai non mi stupivo più, anzi, sarebbe stato strano se avesse cominciato a salutarmi con frasi stucchevoli da coppia sdolcinata.
    Mi limitai ad alzare di poco lo sguardo al soffitto, tirando un’altra boccata nociva. «Tra poco ti rinfrescherai come si deve, credimi», ironizzai, riuscendo però a catturare la sua più completa attenzione.
    Si passò una mano fra i corti capelli castani e arraffò un fazzoletto, tamponandosi la fronte  prima di avviarsi verso il divano; con ben poca accortezza, scansò i fumetti di Spiderman e i manga che avevo lasciato proprio lì qualche ora addietro - per lui erano poco più che cartastraccia e non capiva perché sperperassi i miei soldi in quel modo -, lasciandosi cadere pesantemente a sedere. «A meno che tu non riesca a far apparire magicamente un iceberg, c’è davvero poco che possa rinfrescarmi, adesso». Guardò la cesta con la coda dell’occhio, sbuffando prima di arraffare distrattamente una rivista sportiva che era capitata nel mucchio chissà come. «Persino quella palla di pelo sta meglio di me».
    Beh, su quello gli davo ragione. La mia Robin
 [1] stava sicuramente più fresca di noi due messi insieme, sotto quella finestra. Con il tiraggio che c’era, sarebbe stato strano il contrario. «Neanche una doccia con me potrebbe rinfrescarti?» gli domandai sarcastico, gettandogli un’occhiata birichina per valutare la sua espressione. Dapprima scettico e confuso, l’aria stravolta che gli si era stampata in viso lasciò ben presto spazio ad un sorriso malizioso.
    «Oh, Robert, una doccia con te farebbe l’effetto opposto», rispose ammiccando. Poi aggrottò le sopracciglia, come se si fosse appena ricordato di qualcosa. «Dov’è la fregatura?» chiese difatti in tono guardingo. «E’ quasi un mese che non mi proponi cose del genere».
    Mi ritrovai a ridacchiare. «Di’ addio alle notti in bianco, Josh», lo presi in giro. «Da oggi hai davanti a te uno dei dieci scrittori esordienti selezionati per la raccolta “Desideri proibiti e sogni infranti”».
    La sua bocca spalancata in una o muta fu una vera soddisfazione. Sembrava quasi che faticasse a credere a quel che aveva appena udito con le sue orecchie, e come dargli torto? Quella notizia, per quanto fosse felice di quella vittoria che avevo ottenuto con fatica e sudore - e letteralmente, visto il caldo che aveva investito la città negli ultimi mesi -, per lui significava innanzitutto niente più notti d’astinenza e più sesso. Che pervertito di merda.
    Diede libero sfogo alla sua gioia, lanciando in aria la cravatta prima di venire verso di me per afferrarmi, quasi rischiando di farmi cadere con tutta la sedia e di farmi ingoiare quel poco di sigaretta che mi era rimasta. «Ma è meraviglioso!» esclamò raggiante, prendendo la cicca con due dita per spegnerla lui stesso nel posacenere. Il suo grido disturbò Robin, che aprì gli occhi e, soffiandoci contro con ben poco garbo, miagolò, tornando però ben presto ad acciambellarsi senza più prestarci attenzione, decidendo di lasciare noi poveri esseri umani alle nostre faccende.
    Josh l’aveva appena degnata di una rapida occhiata, ignorandola immediatamente per guardare me negli occhi. «E tu che credevi che non sarebbe piaciuto a nessuno!» Già, gli avevo riempito la testa di preoccupazioni per timore della critica, giacché non ero mai stato pienamente convinto delle mie capacità. E non lo ero tuttora, per quanto fosse stato solo per merito di Josh se ero andato avanti nella stesura, altrimenti non avrei mai completato il racconto. Il suo incoraggiamento era servito davvero allo scopo. «Come hai deciso di chiamarlo?»
    A quella sua domanda, sorrisi radioso e mi sporsi per sfiorargli le labbra con le mie, così che potesse assaporare l’aroma della sigaretta, per quanto lo detestasse. Gli cinsi poi i fianchi con entrambe le braccia prima di sussurrare al suo orecchio, con tono provocante e vagamente malizioso: «Tschüss, Faust».




TSCHÜSS, FAUST
FINE
 
  


   

[1] Piccolo omaggio - egoisticamente voluto - a Nico Robin, personaggio facente parte del manga “One Piece” di Eiichiro Oda.
Non viene tra l’altro accennato nella storia da nessuna parte, ma è anche uno dei manga gettati nel mucchio insieme ai fumetti della Marvel.





_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata scritta per il contest “Origami di cartaindetto da Fe85, e si è classificata Prima su quattordici storie, il che è una vera soddisfazione, visto che non me lo sarei mai aspettata.
È stato un vero piacere scriverla, sul serio. I luoghi presenti nella storia, comunque, non sono inventati proprio perché ci tenevo ad essere il più precisa possibile su una città realmente esistente. Bar, pub, caffetterie e ospedali, dunque, sono frutto di parecchio tempo speso nel cercarli.
Mi auguro comunque che si sia capita la fine, anche se per non rischiare la spiego lo stesso, visto che in questo periodo sono un tantino confusionaria. Allora, in parole povere la storia raccontata nei precedenti quattro capitoli - ed ambientata a St. Louis - altro non era che un racconto scritto da Robert, il reale protagonista e scrittore. Ma credo che si fosse capito anche senza spiegazione, no? Comunque sia, Jacob era l’unico a poter vedere Connor, in quanto frutto della sua immaginazione per quanto fosse in realtà una sorta di demonio con cui, inconsapevolmente, aveva stretto un accordo. E alla fine quel patto gli è costato per l’appunto la vita.
Spero comunque che la storia sia in qualche modo piaciuta, e ne approfitto per fare pubblicità alle storie Oceani in burrasca e Karyūkai: il mondo del fiore e del salice
Alla prossima. ♥





_My Pride_




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