Recensioni per
Parallel Hearts
di MaikoxMilo
Cara, Giungo a te in cerca di un po’ di refrigerio almeno concettuale, narrativo; e dove cercarlo se non seguendo i travagli della tua famigliola siberiana? |
Ed eccomi qui anche per il secondo capitolo. |
Ed eccomi qui per lo scambio libero del giardino^^. |
Eccomi finalmente giunta anche qui. |
Ed eccomi qui per lo scambio del giardino. |
Eccomi qua a commentare gli ultimi due capitoli...quindi super commento XD |
rieccoci, scusa il ritardo ma solo stasera sono riuscita a leggere tutto il capitolo. Cosa dire, la storia mi ha commosso tanto, la crescita personale di Isaac è un tema delicato che hai saputo ben affrontare. Il maestro Camus che è sempre presente nei momenti difficile mi fa troppo sciogliere dalla dolcezza! |
Qui, giustamente, sviluppi ed articoli le premesse ed una serie di elementi che ci avevi dato, più o meno in nuce, già nel primo capitolo dedicato a Camus. Trovo ancora una volta giustissima la decisione di sviluppare il tutto su due tempi: il presente ed il passato, tempo del sogno e dell’incubo, della memoria. Del resto, cos’altro è una famiglia se non un passato condiviso, in comune con o senza la comunanza del sangue; nell’auspicio di condividere anche un futuro, il resto di una vita? La famiglia, qualunque famiglia, nel bene o nel male, è una linea di continuità. |
Eccomi! |
Eccomi! |
Все счастливые семьи похожи друг на друга, каждая несчастливая семья несчастлива по-своему – diceva Tolstoj, nella sputtanatissima apertura di Anna Karenina. Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Ed è proprio questo che tu stai mettendo in scena, l’infelicità di quella che è a tutti gli effetti una famigliola (che sia quasi russa, è una coincidenza fortunata, ma puramente accidentale): due pargoli, quasi fratelli, ma anche rivali; un padre, che a conti fatti era troppo giovane ed inesperto, un ragazzino a sua volta, per ritrovarsi responsabile della crescita, dell’educazione e dell’addestramento di due marmocchi, senza dimenticare che alla fine della fiera ne avrebbe pure dovuto scegliere uno ed uno soltanto; e, quasi in appendice, una specie di patrigno subentrato che ha avuto poche remore in passato ma è adesso in cerca di redenzione. Aggiungasi di contorno che tutti i soggetti coinvolti hanno innegabili e serissimi disturbi della sfera emotiva, ed ecco che abbiamo in tavola una deliziosissima leccornia, praticamente a priori. Ci sono moltissime cose che mi hanno convinta nell’impostazione che hai deciso di dare a questo tuo lavoro, a cominciare dall’impianto narrativo che alterna tempi passati ed il progredire della narrazione presente. Si tratta di una scelta di articolazione dell’intreccio che a me personalmente piace molto a prescindere, ma credo che in questo caso serva assai bene allo scopo di approfondire l’introspezione sui personaggi guadagnandoci in scorrevolezza e senza sdilinquirsi troppo in piagnistei e fiumi di lacrime – rischio serissimo, con Hyoga in ballo, ché il povero pulcino ha certamente la tendenza al pippone mentale ad a piangersi addosso; non senza ragioni, va aggiunto, giacché tutte le disgrazie capitano a lui ed ai suoi cari, sovente per sua mano, manco fosse il nipote illegittimo della Fletcher. Ma più di tutto credo che mi abbiano inappellabilmente convinta le tue scelte interpretative di contenuto, ovvero il lato esegetico, di chiarificazione sull’opera originale e sulle dinamiche dei personaggi, che ogni fanfic scritta con criterio dovrebbe avere. La resurrezione di massa è un classico intramontabile in questo fandom ed è sacrosanto. Il perché ed il percome del ritorno alla vita in sé e per sé, sono relativamente irrilevanti; quello che è autenticamente interessante è il dopo, la fase di transito ed il riadattarsi ad una nuova vita. Non posso che sottoscrivere in pieno la scelta di esplorare la fatica del tornare ad essere vivi, del riprendere i conti in sospeso, di ritrovare un proprio posto nel mondo: sono tutti aspetti assai più interessanti e ricchi di potenziale rispetto ai risvolti prosaici dell’ “e vissero tutti felici e contenti”. Ben vengano le paturnie di Hyoga; ben vengano il dolore e lo smarrimento di Camus, ben venga la sua rabbia, la sua difficoltà ad esprimere il proprio amore o a parlare di Isaac; ben vengano le riunioni (sì, domineddio, sì, ché il Santuario non è mica un centro villeggiatura!); ben venga anche questo Kanon che ha sete di redenzione ma, come al solito, ha poco tatto. E ben venga anche e soprattutto Milo (bello della zia!), giustamente incazzato, che ne dice quattro al suo amico, senza mezzi termini, dando voce ai miei pensieri più intimi, coltivati da una vita, a proposito dei due terzi delle azioni di Camus, canoniche e non. Perché Camus ha assolutamente la tendenza a sragionare e a farsi guidare dal cuore piuttosto che dalla logica o almeno dal buonsenso – predica bene, ma razzola malissimo, Camus. E chissà che, in fondo, Camus non veda in Hyoga un’immagine riflessa di sé stesso, come un padre rivede il proprio riflesso in un figlio, con gli stessi limiti strutturali, le stesse inclinazioni, e si gonfia dunque d’orgoglio quando il figlio riesce dove lui ha fallito, superando quei limiti, ed anzi facendo di quelle inclinazioni un punto di forza. Personalmente, credo a tutto. Una speciale nota di merito va alla conversazione tra Kanon e Camus. L’ho trovata una sezione non solo godibilissima (sì, lo so, il sorriso irriverente di Kanon mi manda in brodo di giuggiole prima di subito, però facciamo finta che sia ancora in pieno possesso delle mie facoltà mentali, eh?), ma anche fondamentale per fornire i tasselli mancanti e chiudere il cerchio sull’analisi della vicenda di Isaac. Perché sì, nel bene o nel male, Isaac è qualcosa che questi due hanno ed avranno sempre in comune, che piaccia loro o meno. Potrei dilungarmi per pagine e pagine sull’affinità, l’analogia profonda, tra Kanon ed Isaac – gli scarti, gli abbandonati, entrambi con un temperamento estremo e l’inclinazione ad annegare il mondo, chiamandola giustizia, talvolta credendoci. Così come potrei monologare per ore su quanto mi sia piaciuto che Kanon abbia uno sguardo lucido, oserei dire saggio, e dica chiaro e tondo che Camus non ha fallito come maestro né come padre: Isaac è solo cresciuto e crescendo è cambiato; è quello che i figli fanno, è il normalissimo corso della vita. Mi limiterò a dire: sì, sottoscrivo in pieno.
Occhio solo a qualche svista della tastiera – di quelle subdole, che almeno i miei occhietti miopi faticano a scorgere dopo aver fissato lo stesso documento per ore – ma niente di irrimediabile. Esempio: “..Avresti potuto esserci tu, al suo posto, le qualifiche ce le avevi, la forza pure, ben più sviluppata dell’altro ragazzo, ma, quel giorno, scelsi di salvarlo, e lui, per tutta risposta, ha ammazzato, oggi stesso, colui che consideravi sacro più di chiunque altro… devi sentirti proprio uno straccio...” : ho l’impressione che dovrebbe esserci uno “scegliesti” al posto di quello “scelsi”.
Che aggiungere? Posso solo ribadire di aver trovato questo tuo lavoro molto ben concepito e ben strutturato, nonché assai convincete nel taglio esegetico. Nel complesso, è stata una lettura molto godibile che mi ha regalato una piacevolissima serata, per cui sono in dovere di ringraziarti! :) |
Eccomi, in ritardo.. |
Ciao cara! |
Eccomi finalmente per lo scambio! |
Capitolo scritto in maniera assolutamente magistrale, ho adorato la parte del rapporto Isaac- Camus, mi si è sciolto il cuore per la tenerezza. |