Storie originali > Noir
Segui la storia  |       
Autore: Sylphs    30/03/2012    4 recensioni
Questa è una storia di mia invenzione che si ispira a grandi linee ad uno dei miei romanzi preferiti, "Il Fantasma dell'Opera". Irene, ragazza distratta e persa nel suo mondo, si trasferisce insieme al padre nella sperduta Heather Ville, una residenza recentemente ristrutturata a seguito di un misterioso incendio. Nel corso del suo soggiorno in quell'oscuro palazzo, si rende lentamente conto di avvertire una presenza intorno a sè che una notte, all'improvviso, decide di manifestarsi a lei...attratta dalla magia e dal romanticismo della situazione, la giovane si farà trascinare suo malgrado in una spirale di follia, di morte e di pericolo, per lei e per tutti coloro che ama. Spero che qualcuno leggerà, sarebbe importante per me!
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Amore di sangue'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

PROPOSITI DI FIDANZAMENTO

 
 
 
 
 
 
Il sole gentile del mattino, sbirciando curioso tra le nubi bianche, batteva dolcemente sulla città che si risvegliava, illuminando i tetti che si riempivano di riverberi dorati e il viso di qualche passante che si aggirava per le strade in cerca di acquisti, andando al lavoro o a scuola. Nei quartieri alti v’erano eleganti villini con balconi marmorei e ampi giardini, le case popolari invece erano palazzine di cemento scrostato con mille finestre, panni appesi ad asciugare e un caos di automobili e di camioncini.
Stephan era chino su un’Opel bianca aperta a mostrare il cofano, seduto su uno sgabellino all’interno della piccola officina di suo padre che l’aveva preso a lavorare da lui a tempo pieno, poiché non era abbastanza colto da permettersi l’università e aveva fretta di farsi una posizione, benché avesse solo vent’anni. Con i pantaloni troppo larghi e le maniche della camicia tirate su, sudato e sporco, le mani coperte da guanti intrisi di nera sporcizia, il giovane stava ruotando una rotella servendosi di una pinza metallica ed eseguiva tutto con grande attenzione e abilità. Sapeva che solo col duro lavoro avrebbe ottenuto quello che voleva.
Aveva un bel viso, dai lineamenti decisi, una chioma di arruffati riccioli castani e grandi occhi marroni molto timidi e burberi, che raramente mostravano quello che provava. Stephan non si sentiva mai bene come quando era al lavoro: farlo lo faceva sentire veramente utile e sapeva di stare per perseguire uno scopo, scopo che non aveva mai avuto prima, dato che era sempre stato un ragazzo introverso e con le idee abbastanza nebulose. Ragazzo che però, quando si metteva in testa una cosa, era capace di sgobbare come un mulo pur di ottenerla. Era stata una faticaccia finire i cinque anni della scuola superiore, ma non era stato vigliacco e non se n’era andato a sedici anni come avrebbe potuto: sarebbe stata una sconfitta. Era andato avanti a stento, con enorme fatica, e aveva strappato appena la sufficienza all’esame.
“Fermati un attimo, ragazzo, o ti sfinirai!” disse sorniona la voce di suo padre. Stephan interruppe il lavoro, sorrise e si girò verso il suo vecchio, detergendosi il sudore dalla fronte con la mano lurida: “Papà, come faccio a fermarmi con una macchina simile? Ma come l’hanno ridotta? Non è oliata da anni!”
“È per questo che l’ho affidata a te” replicò suo padre strizzandogli scherzosamente l’occhio: “Non c’è meccanico migliore in tutta la città”.
Stephan, che raramente riceveva complimenti e che quindi si imbarazzava sempre, arrossì e abbassò gli occhi: “Grazie” mormorò soltanto. Non era abituato ad essere stimato da suo padre. Era una bella sensazione. Lui, fin da bambino, aveva sempre avuto una vera e propria passione per lui e per il suo lavoro. Ricordava di aggirarsi curioso nell’officina facendo domande su questo e su quello e capendo tutto con straordinaria facilità, quando a scuola a volte impiegava mesi a comprendere il concetto più semplice. Ma lui era sempre stato più un tipo fisico che un tipo cervellotico. Un tipo che sapeva usare le mani e non la bocca, che non sapeva mai cosa dire e si limitava a fare.
“Finirai domani. Ora voglio che mangi qualcosa” disse suo padre premuroso: “Da quant’è che non metti qualcosa sotto ai denti?”
“Uhm” Stephan ci pensò un po’ su, accarezzandosi le labbra ben disegnate con la punta dell’indice: “Non saprei”.
L’altro rise e gli allungò due banconote e qualche moneta: “Tieni, te li sei meritati. Corri al ristorante a farti un bel piatto di carne!”
“Grazie, pà” replicò il giovane prendendo i soldi e infilandoli nei pantaloni trasandati: “Ma credo che mi preparerò un panino a casa”.
Suo padre alzò gli occhi al cielo: “Tu e la tua mania di risparmiare!”
Stephan alzò le spalle con un sorriso come a dire che tanto era fatto così, si alzò con un movimento rapido, prese un grosso telo blu di plastica e con mosse rapide ed abili coprì l’automobile su cui stava lavorando. Dopo averla sistemata con cura, soddisfatto, si tirò dietro le orecchie i folti riccioli e inforcò la scala che portava alla piccola residenza dove abitavano, che comunicava direttamente con l’officina. Era piccola, spartana, arredata con lo stretto indispensabile, ma Stephan non avrebbe potuto sognare di abitare in un posto migliore: lui e quella casa andavano proprio d’accordo, perché gli andava bene il minimo indispensabile e odiava l’esagerazione e lo sfarzo eccessivo. Qualcosa di semplice, ma soddisfacente.
Entrò in camera sua, un bugigattolo luminoso con un letto sfatto e un grosso armadio di legno, e sospirò di sollievo, liberandosi con due calci degli scomodi scarponi. Gli ci voleva proprio una bella doccia e una dormita, poi si sarebbe potuto rimettere a lavoro. Non concepiva né l’ozio né ogni genere di intrattenimento.
Prima, però, aprì l’armadio, ma non per prendere uno dei pochi vestiti impilati dentro, bensì per contemplare, orgoglioso, le scatole di latta ammucchiate in perfetto ordine sul fondo del mobile, precedute da un’etichetta con su scritto: risparmi per la casa. Erano ormai due anni che le riempiva una ad una di preziose banconote, all’inseguimento di un sogno non più così lontano come gli era sembrato all’inizio. Prese la scatola più vicina, la aprì e vi lasciò cadere lo stipendio di quel giorno. Sorrise mentre la richiudeva e la ripose al suo posto con un senso di orgoglio.
“Ci siamo, Irene” sussurrò: “Presto avrò il denaro necessario a comprarmi la casa e potrò dichiararmi”.
Il cuore prese a battergli più forte. Diavolo. Ci era davvero vicino. Qualche altro mese di lavoro concentrato e avrebbe raggiunto la cifra necessaria. L’eccitazione gli arrossò leggermente il bel volto. Quanto tempo si era detto che era solo un’ambizione lontana, che non ci sarebbe mai arrivato! Ma la forza dell’amore e l’amor proprio avevano fatto avverare l’impossibile.
Irene. La ragazza di cui era innamorato ormai da tempo, forse l’unica ragazza che aveva mai amato. Era per lei che lavorava così tanto, per lei che faceva doppi turni e non si concedeva nulla pur di risparmiare. Desiderava avere una casa propria, per garantirle un futuro nel caso la loro relazione si fosse evoluta. E questo non certo perché aveva sfiducia nelle capacità di lei, anzi, aveva sempre saputo che era molto più intelligente, acuta e di ceto più alto di lui, ma voleva offrirle una posizione sicura mentre faceva i suoi studi. Nell’attesa che guadagnasse da sola.
Perché Stephan aveva già aspettato abbastanza e ormai provava il bisogno sempre più forte di chiarirle i propri sentimenti, sentimenti che aveva tenuto nascosti fino ad ora, un po’ per pudore, un po’ per la situazione precaria in cui era. Gli restava ancora un assurdo timore, una paura strisciante: che lei non ricambiasse quello che provava per lei, che tutti gli sforzi che stava facendo si sarebbero dimostrati inutili. Se ciò fosse accaduto, avrebbe avuto un crollo psicologico terribile.
Si era chiesto molto spesso cosa provasse Irene per lui, e non aveva mai saputo darsi risposta. A volte, mentre passeggiavano per il parco, lei si era mostrata dolce e felice, gli aveva preso la mano e parlato di tante cose che lui non capiva ma che ascoltava estasiato, ma altre, come quando gli aveva annunciato del trasferimento ad Heather Ville, era stata fredda e infastidita e l’aveva guardato quasi con compatimento. Era una ragazza volubile, questo Stephan lo sapeva, ma era proprio per questo che si era fatto avanti così poco. Aveva paura, così paura che quel bel sogno potesse infrangersi con un no secco da parte di lei, con un rifiuto.
Stephan non si era mai interessato molto al mondo femminile. Sì, le donne lo trovavano bello ed erano attratte da lui, ma lui non si sentiva attratto da nessuna di loro, anzi, gli ispiravano solo freddezza. Ma Irene no. Da quando l’aveva vista, alla fiera di Natale, che si aggirava da sola per le bancarelle, senza nessun’amica, e tuttavia senza mostrarsi a disagio, gli era entrata dentro e non era uscita più. Si era detto che una ragazza così bella, così ricca e così colta non avrebbe mai guardato uno come lui. E lei, invece, non solo l’aveva guardato, ma era anche uscita con lui! Era stato da allora che Stephan aveva cominciato a risparmiare, col sogno un giorno di potersi fidanzare ufficialmente con lei e di poterla stringere e baciare come non aveva mai osato fare…sempre che lei l’avesse accettato al suo fianco.
Vederla partire era stata la sofferenza peggiore. Saperla lontana, in una sperduta residenza in campagna, era orribile almeno quanto temere un suo rifiuto. Stephan non vedeva l’ora di trovare un giorno libero in cui andare a farle visita per poterla vedere di nuovo, prenderle le mani e dirle tutto quello che le aveva sempre taciuto. Era certo che la lontananza non aveva smorzato quello che c’era stato tra loro. Quando le aveva regalato l’anello, Irene se l’era messo al dito con gli occhi azzurri che le brillavano, come se fosse davvero emozionata.
E ora che aveva quasi raggiunto la cifra necessaria a procurarsi la casa, il suo sogno d’amore con lei era sul punto di realizzarsi! Non lo impauriva la personalità lunatica e imprevedibile di Irene, sapeva di essere un tipo molto razionale e di non poterle offrire l’inventiva e l’avventura che bramava, ma non l’avrebbe mai messa in gabbia, l’avrebbe sempre lasciata libera di fare quel che voleva. Sì, era certo che la loro sarebbe stata una storia riuscita. Lui avrebbe fatto da freno alla fantasia di Irene, mentre Irene l’avrebbe un po’ sbloccato dalle sue solide convinzioni.
Con un sorriso sicuro sulle labbra, Stephan si buttò a peso morto sul letto, ancora tutto vestito e zuppo di sudore, e crollò addormentato.
 
Più tardi seppe che il domestico di Irene e di suo padre, Tommaso, era tornato in città e che si sarebbe trattenuto qualche giorno. Quale migliore opportunità per avere notizie della fanciulla?
Stephan ricordava che il domestico soleva, ad una certa ora del mattino, andare a comprare il pane al panificio proprio davanti all’officina, così il giorno dopo, dopo aver lavorato alla macchina, si piazzò sulla soglia per scrutare quelli che passavano ed individuare Tommaso. Era avido di sapere come se la passava Irene in una casa così lugubre. Da quando ne aveva parlato con Giorgio Lancaster, un adorabile vecchio signore che l’aveva preso in simpatia, sapeva solo che sembrava che lei se la passasse bene. Pensava a lui, di tanto in tanto? Provava nostalgia? Da parte sua, Stephan fremeva ancora al ricordo di quel timido bacio che era riuscito infine a posarle sulla guancia morbida, ed aveva avuto la sensazione di stare violando una sacra reliquia.
Non appena avvistò il domestico che usciva dal panificio recando tra le braccia una grossa busta carica di pagnotte, si fece avanti di gran carriera e lo raggiunse prima che potesse dileguarsi: “Signor Tommaso! Che piacere rivederla in città!”
Tommaso si girò di scatto, lo fissò sospettoso per qualche istante, poi si decise a ricambiare il saluto: “Salve, Stephan. Ti trovo in forma. Sì, starò qui per qualche giorno, giusto il tempo di tenere in ordine la casa del signore”.
Stephan fece un gran sorriso e gli tolse rapidamente la busta dalle mani: “Lasci che lo porti io, signore. Mi piace rendermi utile. Che ne dice, facciamo la strada insieme?”
“Sei gentile, ma questa premura improvvisa non è dovuta forse solo al desiderio di avere notizie della signorina Irene?” lo aggredì l’altro. Stephan arrossì, sentendosi scoperto, ma non si tolse il sorriso dalla faccia: “Mi ha proprio scoperto! Ebbene, lo confesso: vorrei sapere come sta Irene”.
Tommaso fece una strana smorfia come se dovesse confessare qualcosa di sgradevole. Si guardò rapidamente intorno, poi si tese su di lui con fare confidenziale: “Temo che la signorina risenta del clima di Heather Ville”.
“Cosa vuole dire?” chiese Stephan preoccupato: “Sta forse male?”
“Oh, no, al contrario” ribatté il domestico: “Ma è spesso persa nel suo mondo, immagina strane cose e, me ne sono ben accorto, s’è liberata di me non appena l’ho accusata di parlare da sola la notte. Non dico certo che arrivi a tanto, ma pronunciare frasi ad alta voce in una camera vuota non è propriamente un sintomo di piena sanità mentale”.
“Pronunciare frasi ad alta voce?” gli fece eco Stephan con le sopracciglia aggrottate: “Non credo assolutamente che Irene sarebbe capace di una cosa simile!”
Tommaso assunse un’aria offesa e contegnosa come se fosse stato ritenuto un bugiardo: “Io mi faccio i fatti miei, sono un domestico fedele e laborioso. Ma non posso sempre ignorare quello che mi capita di sentire. A meno che ci fosse qualcuno che parlava con la signorina Irene quella notte, ma ne dubito poiché ad Heather Ville siamo solo in tre, la sua voce si rivolgeva al nulla”.
“Non ha pensato all’eventualità che possa aver parlato nel sonno?”
“È quello che mi ha detto anche lei…ma il mio vecchio intuito mi suggerisce di non fidarmi troppo di questo” ribatté compunto Tommaso. Stephan rifletté intensamente su quanto appreso, confuso e stupito. Non riusciva davvero ad immaginare Irene che parlava da sola. Dall’espressione del domestico, tuttavia, ne deduceva che non s’era trattato solo d’un’impressione di quest’ultimo. Ma allora, se era vero che l’aveva sentita parlare, quale spiegazione ne potevano trarre? Forse aveva ragione nel ritenere che Heather Ville le facesse male.
E questo non faceva che spingerlo ad affrettare la visita che aveva in mente di fare alla residenza desolata. Per scoprire, una volta per tutte, cos’era quel mistero. Lui conosceva Irene meglio di chiunque altro, era sicuro che gli sarebbe bastato vederla per comprendere ogni cosa. Sì, l’avrebbe vista, le avrebbe parlato e l’avrebbe portata via una volta per tutte dal luogo inquietante in cui era stata condotta dal padre, riportandola nella confortevole e rassicurante città che avrebbe fatto da teatro alla loro storia d’amore. Strappandola alle ombre che l’avevano rapita.
“Giovanotto…” mormorò Tommaso. Stephan gli prestò nuovamente attenzione: “Sì?”
“Ti prego, và in quella maledetta casa” disse il domestico col viso stravolto dall’apprensione: “Io sono stato allontanato, ma forse tu, che hai un posto nel cuore della signorina Irene…tu puoi. In quella casa c’è qualcosa di malvagio. Malato. Orribile. Non permettere che faccia del male alla signorina Irene! Aiutala, te ne prego. Arriva dove io ho fallito. Falla tornare in sé, lei è sempre stata affascinata da quelle cose, probabilmente non si rende conto del pericolo…se le vuoi bene, parti al più presto!”
Stephan provò una morsa di gelido terrore. Non immaginava che la situazione fosse a tal punto grave. Doveva partire subito. Doveva salvare Irene, da qualsiasi cosa si nascondesse in Heather Ville!
“Non tema” disse deciso al domestico: “Porterò via io Irene da lì”.
 
 
Ebbene sì, capitolo su Stephan, ma cercherò di postare in fretta il prossimo e sarà più movimentato, dovevo pur presentarlo il nostro ragazzo in qualche modo, un grazie speciale a Niglia per aver recensito l’ultimo chapter, un bacione da Elly ;) 

 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Noir / Vai alla pagina dell'autore: Sylphs