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Autore: theGan    01/04/2012    2 recensioni
La vita di Raito Yagami non è perfetta, ma da quando sono entrati in gioco un collega pasticcione, uno zelante pubblico ministero ed un detective misterioso, certamente non può più dirsi noiosa
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: L, Light/Raito, Teru Mikami, Tota Matsuda
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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La porta dello scantinato girò sui cardini con un breve sospiro di aria stantia e dolciastra. Rabbrividì. Sapeva cosa c’era nella stanza. Chiuse e richiuse le mani, le unghie si conficcarono nella tenera carne una, due, tre volte. Entrò.
L’odore colpì in pieno le sue narici insieme al puzzo della sporcizia e dello squallore.
Aveva scelto bene.
Qualcosa incontrò la periferia del suo sguardo, ma si costrinse a non guardare. Non ancora.
Non era il momento giusto.
La cucina era un piccolo caos, piatti sporchi si ammassavano nel lavandino di fianco a scatole di cinese take-away. Qualche zanzara ruotava la sua danza d’amore attorno a resti smangiucchiati.
Piccole caramelle bianche si disintegrarono sotto ai suoi piedi formando una costellazione di satelliti bianchi nello sfitto soggiorno.
Crick crock.
C’era un libro per terra. La copertina era gialla e rosa ai lati, mangiucchiata da piccoli denti di ratto.
Crick crock.
La cosa sul tavolo una volta era stata umana, aveva amato, pianto, riso, letto e poi era morta. Semplicemente.
Si voltò.
Incontrò occhi spalancati, questi non risposero al suo sguardo.
Il tavolo era al centro, freddo, muto e di scadente compensato.
Non sapeva perché aveva voluto sdraiarsi lì e stampare nei suoi occhi l’immagine del soffitto macchiato dalla muffa.
La droga forse lo aveva reso un cielo stellato.
Chiuse i suoi occhi con mano tremante ed uscì dalla stanza.
Quella era sempre stata la sua morte più cara, più personale. Amava la ragazza sdraiata sul tavolo, riversa sul divano, rovesciata nella vasca.  C’era una certa tenerezza in quel volto mollemente abbandonato dalla vita da ispirare una dolce compassione che saliva dal cuore agli occhi.
Amava quella ragazza. Per questo la uccideva ogni volta.
 
 
 
 

0.2      MIKAMI

 
 
 
 
Matsuda aveva starnutito.
Questo era un fatto di per sé banale che poco avrebbe dovuto pesare sul bilancio cosmico.
No. Non era importante il fatto che Matsuda avesse starnutito “di per sé”, bensì “dove” lo avesse fatto.
- Matsuda-san… si ricorda quando le ho detto che avrei rilevato le impronte digitali?
La voce di Raito era più simile ad un sibilo.
-Uh… sicuro Raito-kun!
Il poliziotto più anziano replicò esibendosi nel miglior sorriso ebete del suo repertorio.
Raito sospirò.
-Bene, perché ha appena starnutito sopra l’unica impronta rilevata sulla scena del delitto.
Matsuda sbatté un paio di volte le palpebre
-Oh…
“Già…” pensò tra sé Raito “Oh”.
Il collega ebbe la buona misura di apparire mortificato.
-Ed adesso cosa si fa Raito-kun?
Il ragazzo soppresse un singhiozzo. Non era colpa di Matsuda. Davvero.
Il giovane poliziotto aveva molti altri aspetti positivi.
Bhè… Perlomeno cercava sempre di rendersi utile...
Ah… e non smetteva mai di dare il cento per cento del suo impegno nelle indagini.
A volte Raito si trovava egoisticamente a pensare che se Matsuda si fosse sforzato di meno, la sua ulcera sarebbe stata meglio.
- Si ricomincia da capo…- sospirò, congiungendo i polpastrelli all’attaccatura del naso massaggiando con movimenti circolari -… vediamo se ci è sfuggito qualche cosa.
Matsuda si sbrigò ad annuire entusiasticamente ed a scapicollarsi a recuperare la polvere per il rilevamento delle impronte come un bravo cagnolino. Non sarebbe servito a niente.
Non c’erano altre tracce oltre a quella che l’ingenuo poliziotto aveva provveduto a disintegrare.
Ma un’ulteriore verifica non poteva che essere d’aiuto.
Se non altro per ridurre il successivo ed inevitabile senso di colpa di Matsuda.
 
Non sapeva con precisione quando fosse successo, ma Raito era diventato il ragazzo del caffè.
Non tanto perché, dopo il sovrintendente Yagami, fosse il poliziotto a scolarsene la maggior quantità (sempre nero, ristretto e senza una traccia di zucchero) in un solo giorno, anche se, in effetti, ciò aveva contribuito non poco alla diffusione del nomignolo.
No.
Più precisamente lui i caffè li portava.
Nessuno con un po’ di sale in zucca accuserebbe le forze dell’ordine giapponesi di nonnismo, ma, si sa, l’ambiente chiuso delle Centrali favorisce l’istituzione di solide tradizioni e guai a toccarle.
Tra quelle più antiche e consolidate leggi non scritte veniva stabilito, sulla base di qualche misterioso criterio, che toccasse, per tutta la durata del loro primo anno di servizio, ai cadetti freschi di accademia il ruolo di “ragazzi delle consegne”. E Raito Yagami, nonostante il suo brillante intelletto, le promozioni accumulate, i vasti meriti e l’ingombrante reputazione da primo della classe era pur sempre una matricola.
- Yagami-kun…
Una voce bassa e leggermente nasale richiamò la sua attenzione da sopra il fascicolo, Raito assunse un’espressione accomodantemente perplessa.
- Sì, Aizawa-san?
Il collega pareva leggermente imbarazzato.
A Raito piaceva Aizawa.
Lo aveva conosciuto anni prima, insieme a Matsuda quando suo padre era stato ricoverato d’urgenza in seguito alla sparatoria al porto di Yokohama.
Raito ricordava i giorni che erano seguiti l’incidente con malcelato disagio ed un senso di incertezza che si era protratto fino a quando i medici non avevano annunciato a colleghi e famiglia che il sovrintendente era fuori pericolo.
Persino il direttore Kitamura era passato a mostrare i propri rispetti, ma non si era fermato a lungo, nessun poliziotto lo faceva mai a parte quei cinque.
Ide, Ukita, Mogi, Aizawa e Matsuda. Quelli che erano stati solo dei cognomi in sfuggita nelle rare cene famigliari, avevano acquistato corporeità. Raito era certo di averci rimesso nello scambio.
Matsuda gli aveva fin da subito ispirato quel senso di affettuoso fastidio che di solito riservava ai cuccioli non ammaestrati. Era anche il poliziotto che con la sua prontezza di riflessi aveva salvato la vita a suo padre, quindi ciò lo qualificava come un male necessario. Un po’ come le tasse.
Ide, Ukita e Mogi facevano i doppi turni in Centrale, quindi erano in definitiva più assenti che altro.
Aizawa era l’uomo per cui suo padre si era preso una pallottola in petto.
Nessuno gli aveva spiegato le dinamiche, ma il suo cervello e le sue doti di hacker avevano provveduto a quella reticenza in modo più che soddisfacente.
La polizia, dopo mesi di indagini, era riuscita a ricavare un nome, un luogo ed un giorno.
Il nome era quello della famiglia Inagawa-kai, il luogo era il porto di Yokohama ed il giorno avrebbe risuonato di spari.
Non è prudente mettersi contro la yakuza, specialmente quando le informazioni che si raccolgono si rivelano inesatte ed invece di un magazzino vuoto, si marcia in pieno in una trappola.
Non ci doveva essere il sovrintendente Yagami lì, quel giorno, doveva essere a casa, con la famiglia, a festeggiare i diciotto anni di suo figlio. Un altro agente doveva condurre quell’operazione e non correre all’ospedale ad assistere la moglie durante le complicazioni della sua seconda gravidanza. Ci doveva essere Aizawa con un catetere, gli aghi della flebo a forargli la pelle ed i medici che scrollavano la testa e passavano in stanza ogni mezz’ora.
Raito aveva iniziato a non-dormire in ospedale: sua madre era troppo sotto stress e qualcuno doveva pur prendersi cura di Sayu alle prese con gli esami d’ammissione.
Era stato durante la seconda settimana di coma farmacologico che Aizawa, quando l’arrivo del medico di turno lo aveva risvegliato dal suo dormiveglia, aveva appoggiato una mano sulla sua spalla ed aveva detto: “Non preoccuparti, ci penso io, torna a dormire”.  Non si era mai sentito così grato a qualcuno in vita sua.
Da quel momento in avanti il suo supporto era diventato fondamentale sia che si trattasse di gestire i colleghi in visita sia che si dovesse interrogare i dottori. Aizawa era diventata una presenza fissa al suo fianco.
Quando finalmente le condizioni di suo padre si erano assestate gli aveva chiesto la ragione di quel comportamento che non sapeva di solo senso di colpa. Il cipiglio di Aizawa si era fatto, se possibile, ancora più severo e con voce sincera, che tradiva l’emozione aveva detto: “Ho due figlie piccole a casa, non riesco ad immaginare cosa avrebbero dovuto affrontare se quel proiettile avesse colpito me. E’ il minimo che potessi fare.”
Raito non era d’accordo. Il minimo sarebbe stato fare il suo dovere quel giorno ed esserci lì lui ora, al posto di suo padre, come era giusto che fosse. Tuttavia l’onestà e la tenacia che aveva letto negli occhi di quell’uomo semplice gli erano piaciute.
Forse, se suo padre fosse stato più simile ad Aizawa avrebbe anteposto la sua famiglia ad un’operazione di polizia.
Forse, se lo avesse fatto, lo avrebbe rispettato di meno.
Non era quello né il tempo né il luogo per avventurarsi sui sentieri oscuri del suo cervello.
In parole povere: Aizawa era un uomo buono, laborioso ed onesto ed a Raito piaceva.
Il poliziotto guardava dritto un punto sopra la sua testa, Raito ne dedusse che non volesse incrociare il suo sguardo, le ragioni, però, rimanevano sconosciute. Quando, finalmente, si decise a parlare la voce gli uscì leggermente tartagliante, come a tradire un’esitazione od una grassa risata. Il che, per il severo Aizawa, era praticamente lo stesso.
-Ahem… Yagami-kun il direttore Kitamura ha ordinato caffè e pasticcini per la promozione di Yamamoto…
A Raito, improvvisamente, Aizawa non piaceva più così tanto.
- Lo so.
Guardò fissamente il collega più anziano che incrociò i suoi occhi e non si mosse di un millimetro. Il giovane poliziotto sospirò: purtroppo Aizawa non era Matsuda e la tattica dello “sguardo della morte” poteva funzionare solo con le menti più semplici. Esitò ancora un attimo ed aggiunse:
- Alle sei alla pasticceria all’angolo della vecchia stazione. Sì. Non c’è problema, andrò io.
Bene. Ora sembrava una concessione e non una resa incondizionata.
Aizawa sorrise, stava cercando davvero di trattenersi dal ridere il bastardo.
-Giusto, Yagami-kun. Che ore sono?
Fissò Aizawa leggermente in cagnesco, che cosa diavolo centrava questo adesso… Abbassò lo sguardo sul portatile aperto, il display gli rimandò l’ora con uno sfavillio di luce azzurrognola.
Le sei meno un quarto.
Oh.
-Meglio se ti affretti Yagami-kun.
Dannazione.
Raito chiuse il pc che gli rispose con un rumore secco (aveva salvato i dati? ma certo che aveva salvato i dati), sistemò con calma i fascicoli, riponendoli nel cassetto, ed uscì con la schiena dritta e la testa alta nel corridoio. Uscito dalla Centrale ed assicuratosi che non ci fossero volti noti in vista, cominciò a correre come un pazzo.
Se n’era completamente dimenticato.
Questa ovviamente era tutta colpa di Matsuda.
Se lo sprovveduto collega non avesse mandato a monte settimane di indagini e di giri a vuoto giusto quella mattina, quando tutto era sembrato andare per il meglio, Raito non avrebbe passato altre tre ore in quella cantina, con la schiena piegata a cercare tracce inesistenti. Non avrebbe dovuto correre a casa e buttarsi sotto l’acqua fredda (quella calda no, non gliela avevano ancora attaccata) per liberarsi dal puzzo di sangue e sporcizia, tanto per cominciare.
Non sarebbe tornato in Centrale in ritardo rispetto alla sua bella tabella di marcia, non avrebbe dovuto avere nuovamente a che fare con l’adorazione degli uomini della reception e non sarebbe stato sommerso dalle pratiche irrisolte al punto tale da arrivare a dimenticare di uscire quattro ore in anticipo, rispetto al suo solito, ed andare a recuperare i dannati caffè e pasticcini.
Soddisfatto appieno di quella logica che lo scagionava completamente, Raito, dopo aver percorso le due fermate della metropolitana necessarie e corso per il resto del tragitto, raggiunse la sua destinazione.
Il bar della vecchia stazione aveva ovviamente un nome diverso (Cardinal, tanto per intenderci) ma tutti si ostinavano a chiamarlo così e Raito aveva da tempo imparato a piegare la sua propensione alla precisione, alla necessità di farsi comprendere dalle masse.
Il bar era piuttosto rinomato per il suo caffè e per i suoi dolci e, sebbene fosse piuttosto scomodo da raggiungere, era il preferito in assoluto dai poliziotti di Tokyo. Dopotutto a cosa sarebbero serviti novellini da comandare a bacchetta e gli ottimi termos del Cardinal, altrimenti?
Non appena l’insegna del locale era entrata nella sua linea visiva, aveva rallentato il passo e riassunto un certo contegno. La sua condizione di matricola lo obbligava a recarvisi con una certa frequenza e tanto valeva lasciare di sé un’immagine positiva (nell’ottica di Raito ciò era possibile solo attraverso un pristino decoro). Arrivò al bar camminando con passo lento e sicuro, il volto atteggiato ad una calma compiacente, mentre dentro era un mare in tempesta.
La cameriera, comprensibilmente, arrossì non appena lo vide e con un cenno della testa si affrettò a ritirare il suo ordine dall’indaffarata cucina. Raito si concesse un momento per guardarsi intorno.
Un momento molto rapido, poiché la ragazza ritornò quasi subito, le mani piene di buste dall’alto contenuto di saccarosio, tanto che il detective ebbe appena il tempo di confermare la presenza della strana figura accucciata che da una settimana infestava il locale.
Raito, una volta, aveva incrociato il suo sguardo. Orbite vuote, nere e profonde lo avevano fissato con curiosità. Il detective e lo sconosciuto si erano studiati a vicenda e dopo aver decretato la reciproca ininfluenza erano tornati alle proprie vite.
Raito quel giorno non aveva tempo da perdere in ipotesi, quindi, non appena pagato e ringraziato la commessa con il miglior sorriso del suo repertorio (meglio che si fosse concentrata su quello piuttosto che sul leggero rossore guadagnato come prezzo della corsa), si defilò senza guardarsi indietro. 
Alle sue spalle lo sconosciuto del bar si mordicchiò il pollice ed accese il portatile. Raramente si separava da quel prodigio tecnologico quando era fuori casa. I computer erano diventati col tempo una sua naturale estensione, costringerlo a separarsene era come chiedere a qualcuno di rinunciare ad un occhio od ad un braccio. Ovviamente le circostanze lo avevano spesso portato a compromettere sulle sue preferenze, ma non in quella occasione: il locale era spesso frequentato da uomini d’affari, avvocati, studenti universitari tutti con computer al seguito, quindi, sebbene lo sconosciuto non appartenesse (né sembrasse appartenere vista la sua tenuta) a nessuna delle sopracitate categorie, la vista del suo portatile acceso passava abbastanza inosservata.
Abbastanza. Una persona non poteva mai essere troppo cauta. Specialmente in un locale famoso per essere un raduno di poliziotti.
Sì, di solito si trattava di matricole allo sbaraglio, ma, alle volte, la curiosità delle eccezioni poteva rivelarsi pericolosa. Con un soddisfatto rumore di risucchio estrasse lo sfortunato dito dalla sua bocca ed iniziò a picchiare sui tasti. La cartella coi fascicoli che facevano al caso suo era arrivata giusto un’ora prima. I dati presero a scorrere rapidamente, illuminando l’aria di una luce verdognola; se qualcuno avesse incrociato il suo sguardo in quel momento lo avrebbe definito quasi allegro.
 
Raito non pensava più allo sconosciuto già dalla prima fermata della metropolitana. Non che se ne fosse dimenticato, se qualcuno gli avesse chiesto, per le ragioni più disparate, di fornirgli un identikit preciso, non gli sarebbe occorso che un battito di ciglia per richiamare alla mente i dettagli più insignificanti. I vantaggi di una memoria eidetica stavano anche in questo.
No. Raito stava pensando che il suo orologio segnava già le sei e cinque e che non era mai stato così in ritardo in vita sua.
Lo studente modello e poi poliziotto esemplare, Raito Yagami, non arrivava mai né in ritardo né in anticipo, ma esattamente puntuale. Tranne questa volta a quanto pareva.
Ciò era, ovviamente, inaccettabile, per cui accelerò il passo ed entrò al piccolo trotto nel grigio ascensore della Centrale. Avrebbe fatto meglio ad aspettare il prossimo.
All’interno del ripostiglio semovente c’era Yamamoto.
Dannazione.
Okusai Yamamoto aveva ventisette anni ed era, come lui, una matricola della NPA.
Le somiglianze finivano lì.
Yamamoto, nonostante la giovane età, aveva un principio di calvizie e tentava, con scarso successo, di mascherare la mancanza di capelli sulla sua fronte stempiata. Per il resto sarebbe anche stato un uomo piacevole d’aspetto se non per quel suo sorrisino mellifluo, unico indice esterno della personalità nascosta dietro l’insignificante contenitore.
Yamamoto era un giovane ambizioso ed arrivista, ma se in questo non erano poi così distanti, non si sarebbero potute trovare due personalità più agli antipodi: dove Raito metteva impegno, lavoro e dedizione, Yamamoto metteva conoscenze, raccomandazioni e (e con sommo fastidio di Raito) la fidanzata.  Fidanzata che, guarda caso, coincideva con la figlia del direttore Kitamura.
Forse era per questo che il serpente in questione era anche il secondo poliziotto, dopo di lui, dell’intera Centrale per il più alto grado di riconoscenze ed encomi conquistati negli ultimi mesi.
Gli altri poliziotti ci scherzavano sopra, confondendo una rivalità puerile con un odio profondo e viscerale.
Yamamoto era un verme, era il fango sulle scarpe, era un insulto all’idea stessa di poliziotto ed era lì a due passi da lui a sorridergli malignamente ed a lanciare occhiate eloquenti prima alle borse e poi all’orologio.
-Buongiorno, Yagami-san. Si sente bene? Mi sembra un po’ accaldato.
Lo odiava. Ignorò la stoccata e sorrise.
-Buongiorno a lei, Yamamoto-san, ho già porto i miei sinceri complimenti per la sua promozione al direttore Kitamura.
Erano due cobra in libertà che si studiavano a distanza nell’attesa di divorarsi l’un l’altro.
-Premuroso da parte sua, Yagami-san. Come sta suo padre, invece?
Sorriso, incasso e replica.
-Benissimo grazie, anche se non lo vedo da settimane. Siamo troppo impegnati col lavoro.
-Eh, come la capisco, Yagami-san, come la capisco…
Prepara il terreno.
-… ho sentito che le è stato affidato quel caso d’omicidio irrisolto, una brutta gatta da pelare davvero…
Affila la spada
-Immagino che sia facile, quando si è talmente indaffarati perdere la cognizione del tempo, lei non crede, Yagami-san?
Ed affondo.
Urgh. Lo odiava.
-Il lavoro ed il benessere dei cittadini non vengono forse al primo posto, Yamamoto-san?
Se non poteva parare il colpo lo avrebbe subito con dignità.
Le porte si aprirono e Raito si sbrigò a saltare fuori, mentre l’altro stava replicando qualcosa come:
-Ma certamente, Yagami-san. Sono paste al cocco quelle?
Si sa, la fretta è cattiva consigliera, specialmente per chi, troppo distratto per guardarsi intorno si catapulta dalle porti scorrevoli di un ascensore e finisce per vivere un incontro ravvicinato del terzo tipo con del caffè bollente.
Dall’altra parte della tazza termica in cartone c’era una persona, con gli anni lui e Raito avrebbero finito per parlare di tutto (ma proprio di tutto: dalla loro infanzia, alla marca di biro preferita) ma, mai, mai e rigorosamente mai di quel disastroso primo incontro.
L’esperienza era stata troppo umiliante.
Tanto per cominciare Raito non aveva subito stoicamente lo scontro: l’impatto con un corpo estraneo non l’aveva lasciato imperturbato e rigido sui suoi piedi come un bravo ed autentico samurai giapponese. Era rovinato a terra, sbattendo violentemente il fondoschiena e riuscendo a salvare in qualche miracoloso modo le buste. Il tutto sotto gli occhi della serpe, cioè Yamamoto, che ora lo stava fissando come se avesse appena vinto la lotteria nazionale.
Ragionevolmente, sapeva perfettamente di essere lui quello in torto, ma ciò non gli impedì di lanciare un’occhiata glaciale all’individuo che, dopo aver causato l’onta finale, ora lo stava aiutando a rialzarsi e chiedeva, in tono meticoloso, se si fosse fatto male da qualche parte.
Il caffè era bollente ed anche con lo scudo della camicia (rovinata…urgh.. come se avesse dei soldi da buttare) Raito, all’impatto, aveva visto le stelle. Ciò non significava che avrebbe dato loro la soddisfazione di ammetterlo.
-Oh, che cosa terribile, Yagami-san-  intervenne mellifluamente Yamamoto, lo sconosciuto investitore sussultò leggermente –Ecco, dia pure a me gli acquisti per il party, quelle borse sembrano così pesanti, e si vada a cambiare… non si preoccupi, avviserò io il direttore del motivo del suo ritardo.
Ovviamente. Non aveva dubbi in proposito.
Domani nella migliore delle ipotesi sarebbe stato la barzelletta del giorno, nella peggiore si sarebbe portato la storiella fino al pensionamento.
Respirò e contò mentalmente fino a dieci, poi al contrario ed in greco. Aveva bisogno di rimanere in contatto col suo centro. Nel frattempo sorrise e ringraziò amabilmente il collega per la sua sollecita premura.
-La ringrazio Yamamoto-san, mi dispiace importunarla così, quando oggi dovrebbe essere la sua festa…
-Ma che dice. Non si preoccupi, nessun disturbo.
Figurarsi, quello squalo non avrebbe potuto chiedere di meglio. Non solo Raito avrebbe fatto la figura del maldestro, ma anche del ritardatario ed, ancora peggio, non avrebbe assolto ai suoi doveri riportando le buste con le ordinazioni ai colleghi.
L’unico modo per uscirne era fare il disinvolto.
-Gentilissimo come sempre, Yamamoto-san, ma la prego non vorrei farle perdere altro tempo. Mi saluti il direttore e gli porga le mie scuse. Vi raggiungerò non appena possibile.
E con questo uno scocciatore era andato. Rimaneva l’altro.
Raito lo aveva già squadrato e mentalmente catalogato, quando lo aveva aiutato a rialzarsi dalla sua malaugurata posizione, ma il suo sguardo era stato offuscato da una furia imbarazzata e cieca, quindi si concesse un paio di secondi per esaminare il profilo dell’involontario responsabile della sua totale disfatta.
Era più vecchio di lui, non troppo, probabilmente solo di qualche anno; il suo volto era giovanile, ma severo in netto contrasto con i capelli lasciati, secondo il parere di Raito, troppo lunghi. Due occhiali scuri incorniciavano occhi neri ed attenti che ora lo stavano fissando con curiosità.
-Yagami-san? Raito Yagami-san?
Lo sconosciuto lo conosceva, il che gli conferiva potenziale. Il potenziale di essere un problema.
Per quanto si sforzasse non riusciva a dare un nome al volto dello sconosciuto. Se fosse stato un poliziotto della Centrale sicuramente se ne sarebbe ricordato: poteva trattarsi di un poliziotto venuto da fuori, un giornalista a caccia di scoop, o più probabilmente…
-Teru Mikami. Sono il pubblico ministero assegnato al caso degli omicidi di Harajuku. Mi chiedevo se aveva un attimo.
…un pubblico ministero. Esatto.
 
Gli omicidi di Harajuku erano balzati alla stampa come “il killer delle idol”. Demegawa con la sua dannata Sakura Tv ci aveva dato dentro per settimane, anche dopo che gli omicidi erano cessati e l’assassino era stato catturato. Da lui.
Raito non era particolarmente fiero della risoluzione di quel caso e non solo perché la sua faccia era stata sbattuta in televisione da ogni angolazione e raggio ed ora, per la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica giapponese, era il fidanzato di Misa Amane.
Misa. Ricordava con terrore i giorni in compagnia del suo testimone chiave.
Come si sarebbero in seguito sperticati in dettagli i notiziari, le indagini si erano subito concentrate sulla pista di un presunto stalker, dal momento che le vittime, nelle settimane precedenti al loro omicidio, avevano ricevuto biglietti, messaggi e chiamate da un anonimo ammiratore.
Avevano provato a risalire all’identità da questi, ma o l’assassino era estremamente furbo o decisamente preparato. Raito optava per una combinazione delle due.
Sorprendentemente era stato Matsuda, con una sua uscita, a metterlo sulla strada giusta, quando, studiando le fotografie della terza scena del delitto dall’alto di una ciambella, aveva esclamato:
-Ma non c’è passione!
A Raito si accese come una lampadina.
Se non erano omicidi passionali, come sosteneva Matsuda, allora la pista dello stalker era bella che spazzatura. Aveva ricominciato le indagini da zero, gettando via tutto quello che aveva imparato sulla vita privata delle vittime, per buttarsi a capofitto in quella professionale.
E così aveva incontrato Misa Amane.
Dopo notti insonni di controlli incrociati, trascorse nella placida compagnia del caffè forte e del proprio computer, Raito era riuscito a ridurre la rosa dei sospettati a quindici nomi. Si trattava principalmente di modelle e cantanti, ma comprendeva anche i nomi di agenti e pubblicitari che avrebbero tratto un sicuro beneficio da quelle specifiche morti.
Non erano casuali e sicuramente non il frutto di una mente instabile. C’era un pattern. E quando c’era un pattern, il colpevole non era mai troppo distante.
Dei quindici nomi di partenza, ne scartò altri sette, senza una ragione precisa, ma sulla base del suo istinto. Poi c’era stato un altro omicidio e gli alibi fecero scendere i nomi di altri tre. A questo punto aveva quattro indiziati ed una sola potenziale vittima dalla cui dipartita avrebbero tutti tratto vantaggio.
Fissare un appuntamento con Misa Amane fu più facile del previsto.
Dopo aver hackerato il sistema aziendale dell’agenzia di modelle ed aver scoperto l’ubicazione del più vicino set fotografico, le si era presentato come un semplice fan. Aveva sperato di riuscire a parlarle in privato con discrezione, in modo che nessuna delle gole profonde dell’entourage della Amane venissero a conoscenza che era stata contattata da un poliziotto. Mai rivelare le proprie carte migliori prima dell’inizio della partita.
Non si era aspettato di essere investito da una piccola, urlante, bomba bionda e trascinato dalla stessa al più vicino locale (un certo “Note Blue”)
-Aww… che carino… vuoi un autografo per la tua sorellina, hai detto…. che cosa dolce! Oh anche io ho una sorella, maggiore però, una vera lagna ti dico… ah, ma certo che lo sai! Dopotutto sei un mio fan, no? Che scema che sono…
-Amane-san, sono della polizia ed avrei bisogno della sua collaboraz…
-CHEEE! La polizia? Oddio… credo di aver lasciato l’auto in divieto di sosta un paio di volte accidenti!
Raito detestava essere interrotto, davvero. Lo detestava fin da quando aveva sette anni ed alle elementari il professore lo zittiva a metà dell’interrogazione con un compiacente: “Va benissimo così, grazie Yagami-kun”. Va benissimo così un accidente. Aveva ancora delle cose interessantissime da dire, si era preparato, aveva studiato e quindi quell’individuo avrebbe dovuto perlomeno fare il titanico sforzo di starlo ad ascoltare.
Da adulto non era cambiato molto, ma aveva imparato a mascherare meglio il fastidio e l’impazienza.
-Amane-san, delle multe si occupa la polizia stradale.
-Oh! Giusto!
Raito aveva sospirato, sollevato.
-Esatto, quindi, come le stavo dicendo, io avrei bisogno che…
-Oddio! E’ perché ho scaricato musica illegalmente vero?! Lo sapevo… lo sapevo, non dovevo farlo… ma lo fanno tutti! Perché proprio io, signor poliziotto? Perché io?! E’ perché sono famosa?!
Seguire i cambi d’umore della modella era come fissare troppo a lungo una luce intermittente. Cioè: un gran mal di testa.
Ma c’era qualcosa che non quadrava. Gli occhi della modella per un momento alla menzione della parola “polizia” si erano accesi di una luce calcolatrice. Era durato solo un istante, badate bene, ma c’era stato e Raito non riusciva a smettere di chiedersi se quell’apparente stupidità non fosse solo un convincente specchio per le allodole.
-Lei è in pericolo.
Amane interruppe le sue chiacchiere a quella sparata da film americano di serie Z e quella strana luce si riaccese. Non se l’era immaginata.
La modella si tolse la maschera da bionda sciocca e lo studiò con attenzione.
-Davvero? In pericolo come quando quello stalker ha cercato di uccidermi e poi l’ha fatta franca, in pericolo come quando i miei genitori sono stati uccisi di fronte ai miei occhi ed il loro assassino è uscito dal carcere per uno stupido vizio di forma? Mi dica, Yagami-san, dovrei essere in pericolo per la polizia solo ora che c’è un serial killer di idol e la stampa vi sta col fiato sul collo?
Raito se l’era un po’ aspettato. Aveva letto il fascicolo di Amane prima di contattarla. Per la verità la modella era stata uno dei quindici nomi della sua lista, ma il terzo omicidio le aveva fornito un alibi inattaccabile. Senza contare che per l’astro nascente del cinema giapponese, uccidere per il successo era del tutto superfluo.
Uccidere per vendetta era tutto un altro paio di maniche. E, forse, non sarebbe stato del tutto sbagliato.
Raito fissò la ragazza a lungo negli occhi. Era più vecchia di lui, ma c’era una sorta di vulnerabilità in lei che sarebbe stata fin troppo facile da sfruttare. Misa era sola, triste ed aveva un disperato bisogno di qualcuno in cui credere.
Raito nei mesi e poi negli anni successivi avrebbe sempre guardato a se stesso con orrore. Aveva visto una debolezza, vi si era insinuato e l’aveva sfruttata. In lui c’era anche qualcosa capace di fare questo.
-Sì. Vuole che anche quest’altro la faccia franca, o vuole aiutarmi a prenderlo?
Amane ingoiò le parole che le stavano salendo alla gola, si udì un rumore di risucchio. Lo guardò a lungo con attenzione, come se lo stesse vedendo per la prima volta, cercando nei suoi occhi una non so quale conferma. Poi sorrise, un po’ furba, un po’ ingenua, un po’ civettuola ed aggiunse.
-Che cosa vuoi che faccia?
Col senno di poi avrebbe detto che era stata una pessima idea.
Anche se aveva funzionato.
Era stata una pessima idea utilizzare Amane come esca per intrappolare l’assassino (Kanzami Odagiri, produttore in disgrazia per cui star morte erano più remunerative di star vive).
Mille cose sarebbero potute andare storte.
Aveva messo microfoni e telecamere ed aveva aspettato l’ultimo dannato secondo ad intervenire per fermare l’assassino. Aveva voluto essere sicuro. Sicuro di prenderlo.
La sicurezza di Misa era stato l’ultimo dei suoi pensieri quella notte.
Come aveva potuto? Davvero il suo orgoglio era così ingombrante da minacciare una vita umana per essere appagato? Era quel genere di persona?
Aveva funzionato tutto perfettamente.
Quella notte aveva incontrato lo sguardo luminoso di Amane (senza dubbio ora lo considerava una specie di cavaliere con l’uniforme, senza macchia e senza paura) ed i “se” gli avevano rifilato un gancio allo stomaco. Aveva calcolato tutto perfettamente. Consultato i profili dei sospetti, verificato ogni singola cosa nel minimo dettaglio. Ma gli esseri umani non sono macchine, non sono logici, non agiscono secondo schemi predefiniti. Se Odagiri non si fosse messo a parlare e prendere tempo prima di ucciderla (come aveva previsto), se si fosse fatto prendere dal panico di fronte all’ingresso della polizia, se avesse avuto più sangue freddo ed avesse preso Misa come ostaggio…
Troppi se. Raito li aveva considerati, ma non li aveva ritenuti importanti. La giustizia era più importante dell’eventuale danno collaterale.
No. Quel caso non piaceva a Raito.
Non si sentiva l’eroe che descriveva la stampa.
Quella notte Raito aveva visto un nuovo lato di se stesso e non li era piaciuto. Nemmeno un po’.
Ed ora questo pubblico ministero, questo Teru Mikami, arrivava e marciava in un capitolo chiuso spargendo sale al suo passaggio. E Raito non poteva fare altro che assecondarlo.
-Certamente, Mikami-san. Se vuole seguirmi, i documenti di cui ha bisogno sono nel mio ufficio.
Il pubblico ministero annuì docilmente, ma la sua espressione rimaneva perplessa.
-Non preferisce cambiarsi prima?
Giusto, la camicia era ancora sporca di caffè. Dannazione. Erano le macchie peggiori, dopo il sangue secco. Meno male che per prudenza teneva sempre un cambio completo nel suo armadietto.
Mikami lo stava studiando in silenzio, le sopracciglia leggermente aggrottate.
-Mi perdoni, forse sono arrivato in un momento poco opportuno. Se vuole posso tornare un altro giorno.
Effettivamente sarebbe stata la soluzione più ovvia. Dopotutto l’avvocato non aveva preso nemmeno un appuntamento (Raito avrebbe scoperto più avanti, conversando davanti ad un caffè, che l’aveva fatto. Matsuda si era semplicemente dimenticato di riferirglielo) ed ora lui avrebbe davvero dovuto affrettarsi ad andare a perdere tempo insieme a colleghi insipidi ed a paste troppo dolci per festeggiare una serpe. Il suo sguardo ricadde sconsolato sull’orologio. Le sei e venticinque.
Era mostruosamente in ritardo. Ma a quanto pareva non era l’unico a lavorare fuori orario.
Sul biglietto da visita presentatogli dall’inopportuno investitore aveva riconosciuto il timbro degli uffici legali Sakatsuki. Chiudevano alle sei ed un quarto. Lo sapeva per esperienza personale da quando un certo Kensuke Watanabe gli aveva rifiutato un appuntamento alle nove e trenta con la scusa che non faceva straordinari per parlare coi poliziotti. Raito staccava sempre alle dieci e mezza inoltrate.
Sorrise, non troppo, ma i lati della sua bocca si piegarono leggermente all’insù. Forse questo Mikami non sarebbe stato poi tanto male. Sicuramente meglio di quell’insulso spreco di party che l’aspettava nell’ufficio del direttore. Kitamura si sarebbe arrabbiato, ma ormai si sarebbe arrabbiato comunque.
-Si figuri. Prego mi segua…- si fermò, valutando se fosse il caso di alleggerire quell’atmosfera greve - O preferisce prima prendere un caffè?
Il pubblico ministero parve scettico.
-Con tutto il rispetto, Yagami-san, credevo che ne avesse avuto abbastanza del caffè per oggi
Raito prese a camminare con passi sicuri verso le macchinette. Non era come quello del Cardinal, ma quella poltiglia nerastra era sempre meglio di niente.
-No, se non lo bevo e francamente, mi lasci dire Mikami-san, che è un’ingiustizia che solo la mia camicia se ne sia approfittata.
Mikami sorrise.
Andarono a prendere il caffè e passarono tutto il resto della serata a parlare del caso. Poi del lavoro e poi di altre cose. Il party era finito ormai da un paio di ore, ma a nessuno dei due se ne rese conto.
Forse, non gli importava neanche.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Yep! Finalmente tutto il cast è finalmente riunito.. bhè.. più o meno, ma almeno tutti i personaggi principali sono entrati in scena e a proposito… MISA! Dovevi solo essere menzionata, menzionata! Accidenti a queste prime donne che finiscono per sgomitare e prendere posto.
Ahem.
Spero che vi siate divertiti e lo so che vi starete tutti domandando: ma quando si arriva al sodo?! Quindi spero che non vi stiate annoiando, ma che vi stiate divertendo come la sottoscritta.
 
Un ringraziamento speciale va a Angel666 e Lord_Trancy, le vostre recensioni mi hanno scaldato il cuore e spinta a scrivere anche se sotto esami (quindi se prendo un brutto voto è colpa vostra XD sentitevi responsabili)
  
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