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Autore: My Pride    17/04/2012    5 recensioni
Forse lo scopo della nostra vita è il viaggio stesso, non la destinazione. Qualunque risposta mi attenda, oggi è l’inizio del mio viaggio.
La mia storia comincia qui.

Quell’occhiata avrebbe dovuto mettermi soggezione, probabilmente, ma in quel momento ero troppo preso dalla foga di quella che sperai sarebbe stata la mia prima avventura.
Di una cosa, però, ero sicuramente certo: non sapevo in che guaio mi ero cacciato.
[ Prima classificata al «Pirates Contest!» indetto da visbs88 ]
[ Vincitrice del Premio Coppia più originale al «Chi è normale non ha molta fantasia» indetto da Butterphil ]
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Curse of the sea'
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Oceani_10 ATTO X: ISOLA DI SAN ANDRES, VILLAGGIO › MAR DEI CARAIBI, 1768
DAVY JONES’ LOCKER
[1]

    Non riuscivo ancora a credere a ciò che i miei occhi mi stavano mostrando. A bocca aperta avevo cominciato a guardarmi intorno sin dal momento in cui avevamo attraccato ed eravamo sbarcati, con le braccia distese lungo i fianchi e le gambe che mi tremavano a causa della bizzarra emozione che mi aveva investito.
    Avevo saputo la verità sulle mie origini da non molto tempo, e, sebbene non ricordassi niente dei momenti passati in quel posto, nell’osservare la vasta distesa verde che avevo dinanzi mi sentivo stranamente nostalgico. Cespugli e rovi sorgevano in ogni dove, e gli alberi, i cui rami ormai spogli oscillavano piano al vento che si era innalzato, apparivano simili a tante sinistre sentinelle poste a protezione di quel luogo senza tempo.
    «San Andres», esordì d’un tratto Gale, lo sguardo puntato a sua volta dritto davanti a sé. «Il luogo dove siamo cresciuti entrambi». Non abbassò gli occhi per guardarmi in viso, però sorrise quasi tristemente. «Bentornato a casa, Jim».
    Mi umettai le labbra, portando la mia attenzione verso le costruzioni in rovina che scorgevo in lontananza. «Casa», ripetei in un soffio, facendo fatica a deglutire. Era davvero casa mia, quella?
    «Stai cominciando a ricordare qualcosa?»
    Scossi il capo, cercando al tempo stesso di fare mente locale. Di quel giorno lontano ricordavo solo le alte fiamme che avevano avvolto il villaggio, il fetore del grasso umano che bruciava e il viaggio che avevo compiuto in seguito in mare a bordo di quella nave pirata; tutto ciò che era avvenuto prima, però, era ancora tutto avvolto da una nebbia che non riuscivo a dissipare, una terribile incognita che sembrava farsi più fitta mano a mano che avanzavo.
    Gale mi diede una pacca su una spalla. «Con il tempo ci riuscirai, vedrai».
    «E gli conviene anche farlo in fretta». Cid, che dopo essersi avvicinato a noi si era intromesso nel nostro discorso, mi lanciò uno sguardo eloquente, riportando poi la propria attenzione sul viso del Capitano. «E’ ormai tempo di andare, Gale», gli disse semplicemente, senza aggiungere nient’altro ma sfiorandosi il petto con due dita, esattamente nel punto in cui era stato ferito.
    Ricevette una rapida occhiata da Gale, che sospirò sconsolato prima di annuire. «Aye, ti raggiungo subito», replicò, passandomi un braccio dietro alle spalle senza che io mi opponessi. Lo shock che mi aveva provocato il ritrovarmi lì era stato grande, e ancora faticavo a credere che quella fosse realmente la mia isola natale. Per anni avevo sognato di riacquistare la memoria e di ricordare così chi fossi e dove avessi vissuto prima di giungere a Porto Rico, ma mai mi sarei sognato di credere che provenissi da una stirpe di pirati. Ma ciò spiegava la sete di avventura che avevo provato sin dalla prima volta che avevo udito i racconti della clientela che stanziava nella locanda, e non mi era più così difficile comprendere perché mi ribollisse ogni qual volta il sangue nelle vene. Viaggiando con Gale e Cid, però, avevo appurato che la vita in mezzo all’oceano non faceva affatto per me: ero goffo, poco attento, non sapevo maneggiare un’arma né tanto meno sapevo governare un vascello... come pirata ero un fallimento, e niente avrebbe potuto cambiare le cose. Forse se fossi cresciuto lì, in quel villaggio di cui adesso stavo osservando le macerie, le cose sarebbero state diverse.
    Seguii Gale fra le erbacce che erano cresciute intorno ai blocchi di pietra crollati a causa delle cannonate, scavalcando travi di legno logorate e annerite dal fuoco; ovunque mi guardassi vedevo oggetti di uso quotidiano sparsi in ogni dove, da cocci rotti a bambole di pezza macchiate di sangue, appartenute molto probabilmente a qualche bambina del villaggio. Alla vista di tutto ciò mi si strinse il cuore: era stata quella la sorte che era toccata a chi non era riuscito a scappare? Vedere i propri cari cadere come mosche prima di venir trucidati a loro volta?
    Strinsi gli occhi con forza, non volendo vedere oltre; ma anche se avessi tenuto le palpebre abbassate per tutto il tragitto non sarebbe servito a niente, giacché la testimonianza di quanto accaduto era proprio lì davanti a me, che lo volessi oppure no. Mi sembrava di sentire il respiro di ogni singola pietra, di ogni filo d’erba o tronco d’albero, persino i sussurri di quel passato che non riuscivo a ricordare con esattezza.
    Cercai dunque di farmi forza e, riaperti gli occhi, continuai a seguire Gale, che mi aveva frattanto lasciato per aumentare da solo il passo; ci fermammo soltanto quando superammo il villaggio e ci ritrovammo nei pressi di una collina erbosa, dove sembrava esserci un cimitero. Il mio sguardo vagò fra quella vasta distesa di lapidi contrassegnate da semplici bastoni legati fra loro a formare una croce, ed erano così marci e scheggiati da darmi l’impressione che potessero collassare su loro stessi in qualsiasi momento. «Quante tombe...» sussurrai, sfiorando la pietra di una di esse e sporcandomi subito dopo le dita. Era umida e imbrattata di terriccio, ed emanava uno strano odore che mi riportò alla mente quello della cenere.
    Il Capitano mi poggiò delicatamente una mano su una spalla. «Appartengono a tutte le persone morte quel giorno», mi spiegò, quasi l’avesse ritenuto necessario. Mi condusse fra la moltitudine di pietre tombali abbandonate a loro stesse e io lo lasciai fare, avvertendo la profonda malinconia che sembrava scaturire dal suo stesso corpo. Avevo davvero vissuto anch’io quella tragedia? Avevo sul serio visto tutte quelle persone morire nel vano tentativo di mandar via i pirati che li avevano così brutalmente attaccati? Non lo ricordavo minimamente e, per quanto Gale mi avesse detto e ripetuto di essere mio fratello per tutto il viaggio e oltre, ancora non riuscivo a rammentare niente di lui o di quanto era accaduto.
    Spronato da Gale, mi chinai verso una delle tombe esterne che avevamo raggiunto, ripulendola dal muschio che la ricopriva con entrambe le mani e ignorando la viscida sensazione che esso mi trasmetteva ogni qual volta le mie dita ne sfioravano la vischiosa consistenza. «Questa... è di nostra madre?» chiesi poi non appena riuscii a leggere il nome inciso sulla pietra, osservandolo quasi con referenziale tristezza. Non ricordavo assolutamente niente di quella donna, e mi sembrava una cosa a dir poco meschina nei suoi confronti, nei confronti di colei che aveva rischiato la propria vita solo per proteggermi.
    Gale annuì appena senza dire una parola, indicando poi la tomba affianco ad essa. Lo osservai e sbattei le palpebre, non riuscendo a capire cosa volesse dire, ma lui mi fece cenno di districare anche quella dal muschio e dalle erbacce che erano cresciute tutt’intorno e che non mi permettevano di leggere il nome, sollevando un sopracciglio quando mi fu finalmente possibile. «Chi era questo Thomas? Porta lo stesso cognome della mamma».
    La risposta che mi diede, con voce così pacata che non sembrò appartenere allo strambo Capitano che avevo imparato a conoscere, mi raggelò seduta stante. «Ero io».
    Sgranai gli occhi e boccheggiai, portandomi una mano fra i capelli come se quel gesto potesse servire a dare un senso a quelle parole. «M-ma... è impossibile», farfugliai, non riuscendo a credere a ciò che le mie orecchie avevano appena sentito. Mi stava forse prendendo in giro? Cosa diavolo voleva intendere? «Questo significherebbe che tu sei...»
    «...morto».
    La cosa stava diventando sempre più strana, specialmente a causa del tono schietto e pacato con cui Gale stava pronunciando quelle parole. Lo vidi persino gettare una rapida occhiata verso Cid, e mi venne spontaneo domandare, «E anche Cid è un...»
    Gale stornò nuovamente lo sguardo su di me, incerto. «Cid?», ripeté, alzando appena un angolo della bocca in un mezzo sorriso. Si lasciò sfuggite uno sbuffo ilare, incrociando subito dopo le braccia al petto. «Och, beh, lui è una sorta di traghettatore, sai», mi confessò, e sebbene il suo tono parve di scherno capii immediatamente che non scherzava. Erano davvero... morti. Erano morti, eppure avevo viaggiato con loro fino a quel momento, avevo vissuto mille avventure, riso, pianto, scherzato... non riuscivo davvero a credere di aver condiviso tutto ciò con due persone che non avrebbero nemmeno dovuto essere lì.
    «Adesso ci credi a quelle vecchie storie di fantasmi che ti raccontavo quand’eri più piccolo, Jim?» mi domandò vagamente spassoso, ma si sentiva benissimo che aveva tentato di usarlo solo per alleggerire la situazione. Mi scompigliò i capelli con fare paterno, ravvivandomeli poi all’indietro prima di chinarsi verso di me. «Stammi bene, ragazzo», soggiunse in un sussurro, raddrizzando la schiena e traendo un sospiro.
    Accennò un altro saluto con il capo, dandomi infine le spalle per cominciare ad incamminarsi nella stessa direzione in cui era già sparito Cid, che aveva deciso di lasciarci soli per concederci un po’ di privacy. Io me ne restai lì ad osservarlo, inerme come una bambola di pezza a cui erano stati appena strappati gli arti, la fronte aggrottata da emozioni che fino a quel momento non avevano mai solcato il mio viso. Non volevo vederlo sparire ancora una volta. Non volevo ritrovarmi di nuovo solo. Perché doveva andare per forza così?
    Sentii le lacrime bruciarmi agli angoli degli occhi. «Non voglio che tu vada, Gale», gracchiai con voce strozzata dal pianto, avvertendo la saliva che mi bloccava la gola. Mi stavo trattenendo per non singhiozzare, però mi fu ancor più difficile farlo quando lui si fermò di botto e si voltò verso di me, osservandomi attento con quei suoi occhi verdi e profondi che esprimevano più di quanto avesse mai potuto dirmi a parole.
    La cosa che mi fece ancora più male fu vedere che sorrideva. Nonostante tutto, nonostante il fatto che dovessimo separarci ancora, lui sorrideva. «Andiamo, ragazzo, cosa sono quei lacrimoni?» mi disse, inclinando un po’ il capo di lato. «Questo non è mica un addio, eh».
    «Lo è, invece», insistetti, passandomi la mano destra su una guancia e tirando su con il naso. Non mi importava niente di star facendo la figura del bambino a cui mancava la madre; avevo bisogno di sfogarmi, di piangere tutte le lacrime che mi ero tenuto dentro in quegli anni, e non riuscivo ancora a capacitarmi del fatto che dovessi lasciar andare una volta per tutte l’unico membro della mia vera famiglia che avevo conosciuto.
    «Affidiamo a te la mappa, Jim», mi disse poi in un mezzo sussurro, prendendomi svelto una mano per far sì che afferrassi saldamente quel pezzo di carta stropicciata che mi stava porgendo con così tanta apprensione. «Fanne buon uso, nascondila oppure distruggila, spetta solo a te decidere il da farsi». Quando alzai gli occhi vidi che sorrideva ancora, e la cosa mi snervò. «Verso ovest c’è una città, dista pochissimo da qui. Alcuni abitanti sono le poche persone sopravvissute all’assalto di sei anni fa, mostra loro il doblone che custodisci e capiranno subito chi sei; ti accoglieranno come un figlio, vedrai».
    Le sue parole, però, anziché rassicurarmi, fecero aumentare il groppo che ormai sentivo in gola. Strinsi la mappa che mi aveva consegnato e abbassai le palpebre talmente forte che sentii la testa scoppiarmi, e dovetti trarre un lungo sospiro per impedirmi di singhiozzare come un moccioso ancora una volta. Ci stavo provando davvero a comportarmi come un uomo degno di tale nome, ma mi sembrava di non esserne all’altezza. Con la coda dell’occhio vidi nuovamente la figura piccola e lontana di Cid, che attendeva nei pressi del vecchio porto con le braccia incrociate al petto; non potevo vederlo con attenzione in viso, ma ero sicuro quasi al cento per cento che la sua espressione fosse impassibile. Tornai dunque a guardare Gale, umettandomi le labbra prima di passarmi di nuovo il dorso della mano sul viso. «Cid ti sta aspettando», ebbi infine il coraggio di mormorare, conscio che se non l’avessi fatto in quel momento non ci sarei più riuscito.
    Lo vidi lanciarsi un’occhiata alle spalle come se volesse controllare la posizione del suo vice, alzando poi un braccio per fare un rapido cenno nella sua direzione. Quando stornò lo sguardo su di me, si tolse il giaccone - quel maledetto giaccone logoro e trasandato di cui non si liberava mai - e me lo poggiò sulle spalle, facendomi sgranare gli occhi, scombussolato. «Ti affido anche questo, ragazzo», esordì con voce lieve. «Vedi di farci attenzione, mi raccomando».
    Guardai lui e poi il giaccone, non riuscendo a capacitarmi del fatto che fosse tremendamente caldo. Mi strinsi dentro di esso, chinando il capo e affondando il viso nella stoffa logora: odorava di tabacco, salsedine e liquore, ma in quel momento mi parve il profumo più bello che avessi mai sentito. «Mi sta grande», pigolai, sforzandomi di fare uscire dal fondo della mia gola una mezza risata, così da alleggerire quella situazione.
    «Ci crescerai dentro, tranquillo», rimbeccò Gale, scompigliandomi ancora una volta i capelli. «Ti porterà fortuna, proprio come il doblone di nostro padre. Ha permesso che ci incontrassimo, no? Custodiscili come farebbe un vero pirata con il proprio tesoro».
    Non gli risposi, però annuii piano, ancora stretto in quel giaccone che odorava di tutte le avventure e scorribande che aveva affrontato insieme al suo precedente possessore. Non ebbi nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo quando sentii Gale salutarmi un’ultima volta prima di allontanarsi, concentrandomi unicamente sul rumore dei suoi passi sul terreno umido e fragrante; udii il richiamo di Cid e li sentii parlottare, e fu solo a quel punto che mi decisi ad alzare la testa, vedendoli gettarmi un ultimo sguardo prima di risalire sulla nave, salpando una volta per tutte da quei lidi a vele spiegate.
    Le labbra mi tremarono ancora una volta e, prima ancora che il mio cervello potesse mandare segnali ai nervi, mi strinsi quel giaccone addosso e corsi, corsi come non avevo mai fatto fino a quel momento, con le gambe che mi dolevano ad ogni falcata; arrivai al porto e seguii la rotta della nave dalla terra ferma, osservandola mentre diveniva sempre più piccola e distante, con quelle vele nere che si gonfiavano ad ogni folata di vento e la chiglia che veniva investita dalle onde del mare. Mi fermai solo quando non ebbi più fiato nei polmoni e non riuscii più a vedere nemmeno uno scorcio del veliero, accasciandomi a mezzobusto con le mani poggiate sulle ginocchia e gli occhi ormai gonfi di lacrime, le orecchie colme dello sciabordio delle onde contro le pareti rocciose.
    Alla fine era andata così. Il mare ci aveva divisi e aveva poi fatto sì che ci incontrassimo ancora una volta dopo anni, separandoci definitivamente in seguito senza che potessimo far niente per impedirlo. Thomas Randall, altresì detto Capitan Gale, era entrato nella mia vita come una tempesta e con la stessa furia se n’era andato, lasciandosi trascinare via dalle onde di quell’oceano in tumulto che stavo osservando. Un oceano in burrasca, proprio come il mio cuore
.




OCEANI IN BURRASCA
FINE
 






 

[1] Espressione che, oltre a significare “Lo scrigno di Davy Jones”, è anche un eufemismo per “il fondo dell’oceano”, inteso come luogo in cui riposano i marinai annegati, ovvero “una tomba in fondo al mare”.
La scelta del titolo sarà chiara mano a mano che si procederà con la lettura del capitolo, o almeno questa è l’intenzione.




PRIMA CLASSIFICATA
OCEANI IN BURRASCA





_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata scritta per il “Pirates Contestindetto da visbs88, e si è classificata Prima per quanto io l'abbia considerata un'assurdità sin dal principio. Ma scriverla è stata un vero piacere, e vedere la posizione mi ha provocato una gioia inimmaginabile.
Siamo comunque finalmente giunti alla fine di questa storia, che ammetto sarebbe dovuta essere molto più lunga di quanto non sia adesso. E’ alquanto diversa da quelle che scrivo di solito, forse perché ho voluto giocare maggiormente la carta dell’avventura e della commedia anziché quella del drammatico...
Mi è piaciuto molto descrivere il rapporto fra Gale e Cid, che sebbene siano compagni non lo dimostrano quasi mai, se non in rarissime situazioni; essendo uomini di mare ho pensato che sarebbe stato assurdo dipingerli come una coppietta felice - e tra l’altro neanche mi piace scrivere storie in cui la coppia in questione è tutta “cicci cicci miao miao”, mi fa davvero venire l’orticaria -, e ho dunque dato al loro rapporto questa tonalità :3
Spendiamo inoltre due parole sull’ultimo capitolo: tutti i piccoli riferimenti che mettevo mano a mano nella storia servivano per arrivare esattamente a questa conclusione, lasciando credere al lettore che Gale si fosse salvato dalla strage avvenuta al suo villaggio e che avesse cominciato a solcare i mari alla ricerca del fratello scomparso. E’ invece morto anche lui e il suo animo non ha trovato pace, vagando come un fantasma corporeo e partendo alla volta di quel vasto oceano, procurandosi persino una ciurma con la quale raggiunge mille e mille luoghi fino all’incontro con Cid, il cui ruolo è anche quello di traghettare le anime. Per farla breve, tutti i precedenti capitoli e tutto ciò che viene raccontato in essi sono stati solo un’avventura fasulla vissuta da un fantasma (Gale) e dal suo Caronte (Cid) fino al raggiungimento del desiderio del fantasma stesso: trovare il fratello e accertarsi che stesse bene, perché in fin dei conti, aye, essere un pirata significa anche inseguire i propri sogni, le proprie ambizioni e i propri ideali *Le sparano perché guarda troppo One Piece*
Ecco anche spiegato il motivo per cui in realtà su quella benedetta nave sono soltanto in tre. Essendo dei fantasmi, beh... la cosa sarebbe risultata alquanto bizzarra. Fino a questo momento non avevo mai scritto una storia di pirati, dunque è stata una bella esperienza; per quanto io abbia visto molti film e letto un paio di libri sull’argomento, avevo un po’ paura a presentare questa storia perché all’inizio non mi convinceva. Però alla fine eccola qui ;)
E’ un po’ incasinata, non lo nego, ma spero comunque che sia stata comprensibile e che, in special modo, sia piaciuta

Alla prossima ♥
_My Pride_



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