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Autore: LadyArtemis    05/05/2012    1 recensioni
Caccia. Prendi uno, perdi un altro. Questo è il debito da saldare
Vendetta. Sottile come la lama di un coltello che trapassa la carne del maledetto. La ricompensa? Il suo sporco sangue.
Orgoglio. Trovare una ragione per vivere ad un’unica condizione: la solitudine.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aaron Hotchner, Derek Morgan, Emily Prentiss, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4

Stazione di Polizia – Sala riunione
Boston, Massachusetts


Tutti si diressero, guidati dall’agente West, verso la sala riunione. Rimasero indietro solo Arwen e Bourne. Voleva assolutamente discutere con lei riguardo a quello che è accaduto sulla scena del crimine.
“Devine non accetto un simile comportamento! Ho sempre apprezzato il tuo brillante operato, ma adesso voglio che tu collabori anche con i profilers”.
“Certo, magari dopo il caso li invito a casa mia per un tè con i pasticcini e diventiamo anche amici! No, Bourne: questo è il mio lavoro e il lavoro è me stessa”.
“Ma potresti almeno fidar..” – Arwen lo bloccò immediatamente.
“No! Cazzo ti hanno fritto il cervello per caso? Sono ancora dell’opinione che potevamo cavarcela benissimo da soli, senza loro”.
“Abbiamo bisogno del loro aiuto per questo caso, Devine”.
“Mi vuoi spiegare che cosa ha diverso questo fottuto caso?” – chiese adirata Arwen in cerca di una risposta a tutti i suoi dubbi, ma fu delusa dal silenzio di Bourne. C’era qualcosa che nascondeva. Ma non badava ai suoi segreti in questo momento; era più che mai determinata a portare a termine il suo lavoro.
“Comunque non perdiamo tempo con queste stronzate. Abbiamo un bastardo a piede libero” – rispose lei lasciandolo da solo ed entrò nella sala.
"Troverà mai la forza di spegnere la sua rabbia e mettere fine alla sua condanna? Credi che sia arrivato il momento di dirle la verità, Jeff?” – pensò Bourne mentre fissava la foto di un agente, affissa sul muro, e raggiunse gli altri.

“Reid, cosa dicono i risultati dell’autopsia?” – chiese Hotch.
“Sul corpo di Victoria Watts sono presenti ustioni di secondo grado, dovuto all’incendio, e fratture multiple, per l’impatto. Non sono state riscontrate segni di violenza sessuale. Mentre invece su quello di Oliver Scott, il fuoco ha degradato la superficie cutanea e ha reso impossibile la ricerca di eventuali ferite. Però c’è un particolare molto interessante: la presenza di un piccolo foro, dietro al collo, provocato da un ago. E’ da lì che poi l’ S.I. ha iniettato la morfina sulla vittima ” – spiegò Reid.
“L’S.I., dopo che ha preso il controllo della situazione, ha trascinato la vittima sulla sua macchina; una volta arrivato sul luogo, ha spinto la macchina giù per la scarpata e infine ha inferto il suo colpo di grazia” – concluse Rossi.
“Ma quando l’assassino ha portato Oliver Scott dentro la sua macchina, qualcuno lo avrà notato, dato che abitava in un quartiere non molto isolato” – notò Bourne.
“Ha improvvisato: avrà detto a qualche vicino che il signor Scott stava male o troppo ubriaco per guidare e lui, gentilmente, si è offerto di aiutarlo” – teorizzò Rossi.
“Infatti aveva un tasso alcolico elevato sul suo sangue” – intervenne Reid.
“Quindi conosceva le sue vittime?” – chiese Bourne.
“Esatto e credo anche che le vittime lo conoscessero. Nell’abitazione della prima vittima, non abbiamo trovato segni di effrazioni, però lo studio era in disordine e abbiamo trovato questa agenda con alcune pagine strappate” – disse Emily mostrandola.
“Può essere possibile per la prima, ma non per la seconda vittima: Victoria Watts non ha aperto all’S.I., ma lui stesso si è infiltrato in casa sua. Ciò è stato fatto probabilmente dopo che la vittima si è allontanata da casa. Per quanto riguarda le pagine strappate, evidentemente dovrebbero contenere delle informazioni sulle sue prossime vittime, tra cui c’è proprio la Watts” – disse Arwen appoggiata sul muro con le mani in tasca. Emily non smise per un solo momento di fissarla. Fu sbalordita dal duro temperamento della detective. Sarà dura duellare con te, ma non mi arrenderò. Sono forte anche io.
“Abbiamo elementi sufficienti per tracciare il profilo dell’S.I.” – rammentò Hotch.
“Profilo?” – chiese confusa Arwen.
“E’ il nostro strumento per risolvere i casi: attraverso il profilo, riduciamo il numero dei sospettati, senza andare alla cieca e fidarci solamente dell’istinto. Cerchiamo di dare il meglio attraverso la razionalità psicologica” – rispose alla domanda Morgan mentre si avvicinò con uno sguardo deciso e fiero verso lei. Voleva dimostrare il suo orgoglio e il suo valore nell’indagine. Lei lo doveva capire.
“Non avevo dubbi, agente Morgan” – rispose Arwen. “Questo imbecille vuole proprio mettermi i bastoni tra le ruote! Il suo bel discorso se lo poteva risparmiare, tirando fuori le palle e non buttando il suo fiato da sbruffone”.
Solo un paio di centimetri dividevano la sua bocca rossa da quella di Morgan. I loro sguardi rimasero immobili, come se si stessero studiando per prepararsi a sferrare il prossimo attacco. Ma quella tensione fu interrotta dall’arrivo di JJ.
“Hotch, sono appena tornata dall’ufficio stampa e abbiamo un problema: questo è l’articolo che uscirà domani e guarda il titolo”.
Il vendicatore di Cambridge Street” – lesse ad alta voce Hotch.
“Cambridge Street? Perché non di Boston a questo punto?” – rise sarcasticamente Arwen.
“Trovi divertente questo articolo? Quel figlio di puttana domani riderà più di te quando leggerà questo articolo!” – esclamò adirato Morgan.
“Trovo divertente pensando che siamo diventati l’ispirazione dei giornalisti, perdendo tempo a psicanalizzare questo bastardo invece di mandarlo all’inferno. Inoltre non riderà per queste quattro parole. Ha già avuto il divertimento facendo fuori due persone” – rispose Arwen.
“Sono d’accordo con lei, detective Devine, su questo punto. Ma queste frasi così enfatiche alimentano il desiderio di vendetta dell’S.I., sentendo l’appoggio della comunità” – disse Rossi prendendo l’articolo dalle mani di Hotch.
“Non c’è bisogno di un appoggio di fronte alla resa dei conti. E’ una partita che va giocata da soli”
“Una voce di fronte alla tempesta è debole. Migliaia di voci di fronte a un uragano è la vera forza”. Le parole di Rossi frenarono l’impulsività di Arwen. Erano riuscite a domare il fuoco che aveva dentro di sé per un attimo. “Possibile che anche lui ha già provato una sensazione simile alla mia? Cosa può cambiare un uomo che prima si fidava solamente delle proprie parole? Io non potrò mai capire perché non voglio”.
“Agente Bourne, la pregherei di chiamare tutti i suoi uomini per offrire loro il nostro profilo per accelerare le indagini” – disse Hotch.
“Subito, agente” – rispose Bourne ed eseguì la sua richiesta, facendosi aiutare dall’agente West.
“Nel frattempo, porto i fascicoli che c’erano a casa della Watts alla vostra collega…” – Arwen non ricordava il suo nome.
“Penelope Garcia!” – esclamò con tono duro Morgan. Lei non volle risponderlo questa volta e uscì dalla sala. “Bastardo di un profiler, hai scavato la tua fottuta fossa qui a Boston!”
JJ vide Emily soprappensiero e si avvicinò.
“Emily, tutto ok?”
“Si, JJ” – rispose lei con un sorriso, ma era soltanto una maschera.
“C’è qualcosa che non va?”
“No, stavo pensando solo che sarà dura lavorare con la detective Devine”.
“Più per Morgan che per noi. Credi che potrebbe nascere un’intesa?” – ridacchiò la bionda agente.
“Vado pazza per i colpi di scena! Dobbiamo soltanto aspettare!” – disse Emily mentre si aggiustava la sua frangetta.

“Hotch, posso parlare un attimo con te?” – chiese Morgan e Rossi capì subito che doveva trattarsi di una conversazione privata e lui era di troppo.
“Vado ad aiutare Reid a sistemare le lavagne” – disse e andò incontro al suo giovane collega intento nella sua grande impresa.
“Dimmi, Morgan”.
“Voglio parlarti seriamente della detective Devine: sta interferendo troppo sul nostro lavoro. Sembra che siamo di troppo; sarebbe meglio che lasciassimo a loro il caso”.
“Morgan abbiamo ricevuto una segnalazione dall’agente Bourne e il caso è più complicato di quanto ci aspettassimo e sappiamo benissimo che lui potrebbe da un momento all’altro colpire di nuovo. Non possiamo abbandonare il caso per il temperamento egocentrico di Devine. La sua collaborazione ci aiuterà molto per catturarlo”.
“Collaborazione? Oddio l’hai vista come ha risposto a Prentiss?”
“Non mi importa! Abbiamo un caso e lo porteremo a termine come tutti gli altri” – il tono di Hotch divenne sempre più duro.
“Non è come tutti gli altri, Hotch”.
“Lo so, Morgan. L’agente Bourne nasconde qualcosa che sarà successo in passato e avrà segnato terribilmente la vita di Devine. Altrimenti non ci avrebbe mai chiamato” – ipotizzò Hotch.
“Vedo che hai fiducia in lei”.
“La comprendo perché anche io ero così”.
“E non pensi a Jack? Lui non sopporterebbe la tua lunga assenza”.
“Lui l’ha superato nel tempo, invece io me ne sto rendendo conto adesso quanto mi manca. Però lui non vorrebbe che si sentisse responsabile della mia inefficienza lavorativa, anzi mi ha detto che devo sconfiggere i cattivi e raccontargli tutto al mio ritorno. Dice che sono il suo eroe”. Morgan sorrise e ripensava a quei pochi ricordi che aveva su suo padre, morto eroicamente. Anche lui, come Jack, considerava suo padre meglio di Capitan America; voleva essere come lui. Ma poi quando lo lasciò in tenera età, si sentì smarrito e arrivò a tal punto da odiarlo perché non aveva trascorso molto tempo con lui ed era egoista nei suoi confronti perché pensava solo al bene del prossimo.
Come si sentirebbe Jack se perdesse anche suo padre? Quale sarà la sua vita? Un uomo solitario, nell’eterna ricerca di risposte per trovare la felicità. Come me. Ma quando sarà trovata, sarà passata un’intera vita. Questa è la realtà”.
“E’ molto fortunato ad averti come padre”. Hotch notò lo sguardo cupo di Morgan. Sapeva che qualcosa stava cambiando in lui e preferiva non condividere con gli altri della squadra i suoi conflitti interiori per non dare preoccupazioni. Lui era bravo ad ascoltare gli altri e a sostenerli, ma quando si trattava di essere ascoltato, si allontanava. Per non soffrire.
“Ne vuoi parlare?”
“Va tutto bene. Sai, Hotch, sono contento che tu non sia cambiato. Avevo paura di dire addio al capo rompiscatole che sei. Ma prima di essere il mio capo, sei un amico”.
“Grazie” – rispose Hotch, comprendendo subito le parole del suo collega. Anche lui temeva di perdere se stesso, a causa di Foyet. Ma la sua forza d’animo non aveva mai abbandonato il suo corpo. Ma c’era ancora una questione che aveva in sospeso: l’amore.

Garcia, intenta nelle sue ricerche, sentì bussare la porta.
“Entra nel mio regno, dolcezza mia. Ho bisogno di sentire qualcosa di sexy dalla tua bocca!” – esclamò, convinta che fosse il suo compagno di giochi Morgan. Quando si girò, capì subito di aver fatto un’enorme figuraccia.
“De…detective Devine…”.
“Non ho sentito nulla, agente Garcia” – rispose Arwen trattenendo una grossa risata.
“Credo che fosse…”.
“L’agente Morgan?”.
“Si…” – rispose timidamente Garcia. “Le serve qualcosa, detective?”
“Sono venuta a portarle questi fascicoli che abbiamo trovato a casa di Victoria Watts” – rispose Arwen appoggiandoli sulla scrivania.
“La ringrazio, mi metterò a lavoro per trovare qualcosa di più sul caso”.
Arwen notò che lei era diversa dalla sua squadra. “Anche lei è una profiler?”
“Oh no, agente. Sono soltanto un tecnico informatico. Prima rimanevo nella mia postazione a Quantico, ma il mio capo, l’agente Hotch, decise che anche io dovevo partecipare direttamente sul luogo dei crimini per aver maggior contatto con i casi. Se le devo confessare un segreto, odio tremendamente i profiler! Però loro sono diventati la mia famiglia”.
“Come mai ha deciso di fare tutto questo?”.
“Per aiutare il prossimo, detective. Sebbene io scavo nel passato delle menti più diaboliche, io credo che in un mondo tutto nero, ci sia sempre la speranza di trovare qualche sfumatura di bianco. Anche se il mio colore preferito è il viola”. Arwen accennò un piccolo sorriso, lasciandosi per un attimo trascinare dalla contagiosa risata della bizzarra agente.
“Ora dovrei andare. Credo di averle dato tutto” – disse Arwen mentre si diresse verso la porta.
“Aspetti un attimo, detective. Questi sono tutti i contatti che avevano le vittime: serviranno molto per il profilo” – spiegò Garcia mentre le diede la cartella.
“Grazie, agente Garcia, le vado a portare subito agli altri colleghi”.
“Un’altra cosa ci sarebbe detective…”. Arwen vide la donna seria, come se dovesse dire qualcosa d’importante. Sarà riguardo l’agente Morgan?
“Mi dica”.
“Ecco…mi piacerebbe che non ci fossero formalismi tra noi, dato che collaboreremo insieme”.
Arwen rimase spiazzata. Si aspettava un’altra ramanzina per il suo comportamento. Invece lei voleva semplicemente che le desse del tu.
“Certo, Garcia. A presto allora” – disse e si allontanò dalla stanza.
“Che tizia strana, però mi piace. Avrà visto troppa sofferenza se decora così eccessivamente la sua scrivania. Certo che è strano considerare una famiglia quei strizzacervelli”

Dopo un’ora iniziò la riunione e i profiler erano pronti a trasmettere agli agenti di polizia il profilo dell’S.I.. Prima che Hotch parlasse, fu interrotto da Arwen.
“Hotch, questi te li manda Garcia per il profilo”.
“Grazie, Arwen” – rispose Hotch mentre prese la cartella.
“Ragazzi ora aprite bene le orecchie” – ordinò Bourne ai suoi uomini.
“L’S.I., ovvero l’assassino che stiamo cercando, è un uomo di età compresa tra i 25 e 45 anni. Conosceva la prima vittima, dove ha ricavato informazioni sulla seconda tramite un’agenda. Cosa importante: erano entrambi avvocati; quindi il movente è un regolamento di conti oppure per concorrenza. Ecco perchè il fuoco è la sua firma” – espose il profilo Hotch.
“Mi scusi, agente, ma mi viene da ridere perché ha descritto il mio desiderio nascosto: allora sono un potenziale assassino perché mi verrebbe voglia di arrostire l’agente West al barbecue perché ha avuto la promozione in un solo mese, mentre io l’aspetto da cinque anni!” – intervenne uno dei poliziotti suscitando le risate dei suoi colleghi.
“Chiudi quella bocca, imbecille!” – rispose l’agente West.
“Ehi ragazzino, stai parlando con me?”
“Pitt fuori dalle palle, subito!” – intervenne Bourne infuriato.
“Ma capo, che ho fatto? Ho detto semplicemente la verità” – si giustificò.
“Allora sei sordo: fuori di qui!” – e l’agente Pitt si ritrovò costretto ad abbandonare la sala e mentre uscì incrociò Arwen che stava appoggiata sullo stipite della porta.
“Ehi baby! Bourne sta andando di matto e mi sto annoiando da morire con questi tizi, che ne dici di andare a bere qualcosa?”.
Arwen si avvicinò al suo orecchio lentamente.
“Pitt, ti devo ricordare due cose. La prima: ho una Glock 17 e il mio desiderio nascosto è quello di bucarti il culo come un colapasta, se provi di nuovo a chiamarmi ‘baby’. Seconda: il tuo caffè non sarà mai all’altezza di quello che ho assaporato questa mattina. Quindi levati dai coglioni!”. Lo lasciò senza parole e, perso il suo orgoglio da maschio alfa, si allontanò. Morgan osservò tutta la scena da lontano.“Che sta combinando? Cazzo perché me ne dovrei importare?”
“Mi dispiace per questo spiacevole incidente, agente Hotch, continui pure” – disse Bourne.
“Reputiamo che sia di Boston in quanto conosce molto bene i quartieri delle vittime e in modo particolare il luogo degli omicidi. E’ estremamente meticoloso e paziente: per quanto sia spinto dalla rabbia, ha pianificato perfettamente gli omicidi. Questo può essere provato dal fatto che ha usato la morfina su Oliver Scott”.
“Perché avrebbe usato la morfina sulla prima vittima e non sulla seconda?” – chiese un agente.
“Perché il signor Scott, considerando il suo aspetto fisico, era molto atletico, probabilmente avrà fatto karate o arti marziali. L’S.I. sapeva che se avesse fallito, la vittima poteva avere la meglio” – rispose Reid.
“L’assassino ha voluto avere il controllo su di lui, diversamente dalla Watts. Non c’era segni di violenza sessuale, quindi avrà provato rimorso. Ecco perché ci sono due modus operandi diversi”. Morgan riaffermò di nuovo la sua teoria e Arwen non condivideva affatto e decise di rispondere.
“Mi scusi, agente Morgan, come già avevamo discusso sulla scena del crimine, questo assassino non prova sentimenti di rimorso o compassione. Lui è spinto, nel vostro linguaggio, da un “impulso ossessivo” e ciò è sottolineato dal fuoco. Se fosse andata come lei dice, l’avrebbe fatta fuori con un solo colpo e avrebbe nascosto le tracce. Ma purtroppo i fatti non le danno ragione”.
“Infatti nell’auto della Watts era presente un foro nel serbatoio della benzina. L’S.I. sembra che voglia coprire le sue tracce e far apparire i suoi crimini come dei tragici incidenti, ma in realtà lui è controllato da questo desiderio di vendetta e di odio, simboleggiato dal fuoco. E’ questo il movente per il 56% dei piromani” – disse Reid.
“Vedi anche il suo collega, il dottor ‘Cardigan Blu’, sostiene la mia tesi!” – esclamò fiera Arwen, facendo ridere tutti.
“Dopo questo simpatico siparietto, il vostro compito è quello di prendere informazioni dai vicini e dalle persone che hanno avuto contatti con le due vittime per stilare la lista dei sospettati, basandovi sul nostro profilo” – rammentò Rossi.
“Ultima cosa: lui non è sposato e vive da solo. Gli serve tempo per elaborare e studiare le sue vittime e, considerando che agisce di notte, è probabile che anche lui sia un avvocato o lavori a un tribunale” – concluse Hotch.

La riunione si concluse e gli uomini di Bourne uscirono dalla sala.
“Agenti, dato che si è fatto tardi e vi vedo anche stanchi, andate a riposare. Continuiamo domani con le indagini” – consigliò Bourne.
“Seguirò senz’altro il suo consiglio, agente. Ho la testa che mi scoppia e ci vorrebbe proprio un po’ di relax” – esclamò Emily grattandosi la testa.
“Ora vi devo proprio lasciare perchè mi aspettano a casa. Ah un’altra cosa: possiamo iniziare a darci del tu” – propose Bourne e gli agenti acconsentirono. Bourne notò il silenzio dissente di Arwen. “Sei d’accordo anche tu, Devine?”.
Rimase titubante e questo era proprio un colpo basso per lei.
“Certo…”.
“Perfetto! Vi auguro una buona serata”. Bourne prima di uscire si avvicinò ad Arwen.
“A domani, Devine” – le disse sorridendo.
“Sei contento ora, papino” – rispose irata Arwen mentre sistemava gli archivi.
“Non chiamarmi papino!”.
“Preferisci che ti chiami stronzo?”.
“E’ un buon inizio. Divertiti stasera”.
“Che tu sia maledetto!” – rispose ma lui si era già allontanato e non sentì le sue parole.

Garcia raggiunse gli altri.
“Ragazzi dove andiamo a cena questa sera?”
“Stavo pensando al ristorante giapponese. E’ da un po’ che non ci andiamo” – propose JJ.
“Ottima idea, ne avevo proprio voglia!” – rispose entusiasta Emily.
“Io preferisco la cucina italiana, ma se proprio insiste…” – si lamentò Rossi.
“Io voglio le forchette!” – tuonò Reid.
“Oh Spence, ma devi imparare! Certo che è davvero buffo che uno come te che ha tre lauree non riesce a tenere in mano due bastoncini di legno!” – scherzò JJ.
“E a rimorchiare!” – rise Morgan, scompigliando i capelli del giovane dottore.

Hotch, mentre i suoi colleghi parlavano, era intento a guardare Arwen. Rimase stregato dal colore dei suoi occhi. Quegli occhi così misteriosi e coinvolgenti. I suoi lunghi capelli neri incorniciavano il suo candido viso. Una simile bellezza non si vedeva tutti i giorni. Decise di andarle vicino. Lei lo notò.
“Ehi…” – iniziò lui.
“Ehi!”.
“Ti serve una mano?”
“No, grazie! Ho quasi finito. Io e gli archivi siamo diventati amici da un bel po’, anche se diventano ogni giorno sempre più pesanti!”.
“Lavori sempre fino a tarda ora?”.
“Si e non credo che sia la sola vero?” – rise Arwen.
“Saresti un’ottima profiler”.
“E’ un’offerta allettante, ma preferisco stare nei miei panni! Tu saresti un ottimo detective…”
“Preferisco stare nei miei panni” – sorrisero entrambi.
La loro conversazione fu interrotta da Rossi.
“Aaron, noi stiamo andando, vieni?”
“Si, arrivo subito, Dave. Sicura che non hai bisogno di una mano?”.
“Hotch, non voglio che tu scopra il mio lato peggiore” – minacciò. Hotch si arrese e la salutò, raggiungendo Rossi.

“Dolcezza, perché rimani lì come uno stoccafisso?” – chiese Garcia.
“Bambolina, inizia ad avviarti, devo fare un attimo una cosa” – rispose Morgan, baciando la nuca della sua Garcia e corse indietro verso la sala.
Arwen sentì dei passi.
“West, se cerchi le chiavi stanno sulla scrivania. Sei la solita testa di cazzo!”. Ma quando si girò, ebbe una brutta sorpresa. “Che ci fai tu qui?”.
“Voglio chiarire le cose” – rispose Morgan con sguardo deciso mentre avanzava il passo verso lei.
“Quali cose? Non c’è niente che dobbiamo chiarire” – disse mentre gli voltò le spalle, tenendo in mano dei fogli. Morgan non riusciva più a reggere i suoi affronti. Prese il suo braccio e la sbatté contro il muro, facendole cadere tutti i fogli per terra. La bloccò con le sue lunghe braccia, affinché lei lo continuasse a guardare e non potesse più sfuggire.
“Che cazzo vuoi da me?”.
“Io non me ne andrò che ti piaccia o no! Non credo che sia una strada giusta quella che stai prendendo” – rispose Morgan, mentre cercava di controllare i suoi violenti battiti.
“Fai quello che credi, a me non interessa la tua presenza. Ma se cerchi di farmi cambiare idea, stai perdendo tempo!”.
“Ma non stamattina, altrimenti non ti saresti mai avvicinata a me. Provi odio per una cosa tanto effimera?”.
“Credi di aver trovato tutte le risposte con quella tua aria da bravo agente, ma in realtà sei solo un idiota. Credi di conoscere gli altri e aiutarli, quando non sai un cazzo di te. Nemmeno a te piace collaborare, non ti fidi di nessuno e vorresti insegnarmi tu cosa sia giusto o sbagliato? Sei patetico!”. Arwen si sentì mancare il respiro, ma ne aveva ancora nella sua gola. Lui si avvicinò sempre di più, mancava poco che le loro labbra si incontrassero. Lei fu paralizzata dai suoi occhi profondi, come i suoi; da lì vide la sua immagine. Le mani di Arwen iniziarono a diventare fredde, ma non tremavano. Le braccia di Morgan erano impregnate di sudore, ma rimasero ferme. Il silenzio era la loro difesa. Ma poi tutto questo finì a causa dell’agente West.
“Devine dove sei? Hai visto le mie chiavi?”.
Arwen spinse violentemente Morgan per allontanarlo dai suoi occhi.
“Quando ritorno, voglio che tu te ne vada!” – disse Arwen, stando sulla soglia della porta.
“Non finisce qui…” – rispose Morgan, mentre usciva, sfiorando duramente la sua spalla.
Arwen per la rabbia, diede un colpo sulla porta.
“Ti distruggerò. Prenderò il tuo cuore. Lo stringerò così forte per appagare la mia sublime vendetta. Ma perché non riesco a togliermi dalla mia fottuta testa i tuoi occhi?”
  

 

  
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