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Autore: LyraWinter    31/05/2012    8 recensioni
Brady mosse qualche passo verso di lei, incerto se compiere quel gesto un tempo così ordinario, ma che ora gli pesava più che la stessa lontananza e totale indifferenza che si erano mostrati l’un l’altra in quegli ultimi anni. Poi, con un inaspettato slancio di coraggio, tese le braccia per stringerla, in un gesto che sembrava volerle dirle -tregua-.
Fu in quel momento che Annie la vide: impercettibile, sottile, quasi invisibile, una fascetta dorata brillava sull’anulare sinistro del suo migliore amico d’infanzia. E allora capì che sì, forse erano i grandi beni che provocavano grandi mali, ma che quelli piccoli, provocavano disastri. E che niente, a Province Town, sarebbe più potuto essere come lo ricordava.
[STORIA SOSPESA MOMENTANEAMENTE PERCHé IN CORSO DI REVISIONE-RIVOLUZIONE]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non lasciarmi'
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(Capitolo revisionato)






Alle serie che continuano ad ispirare 

questa storia, Hart of Dixie innanzi tutto,

oggi per me ufficialmente terminata,

che dopo tanti anni, rimane la prima e costante

fonte di ispirazione (e vaccate).

 





2. MEMORIES THEY'RE FOLLOWING ME LIKE SHADOWS


Gone away are the golden days
Just a page in my diary
So here I am, a utopian citizen
Still convinced there's no such thing as idealism



(canzone del capitolo)



 

 

 

 

 

 

Brady dischiuse la porta di casa quel tanto che bastava per scorgere una massa di boccoli biondi raccolti sulla nuca spuntare dal divano del salotto.

 

Hailey si era addormentata con i piedi scalzi e le gambe appoggiate al bracciolo, lasciate scoperte da un paio di pantaloncini grigi ed una morbida maglietta bianca, scaldata solo da una sua camicia a scacchi che la calzava come una vestaglia. Era bella Hailey, di una bellezza che lasciava senza fiato. Spesso Brady si era ritrovato a stupirsi del fatto che, dopo otto anni passati insieme, il suo volto riuscisse ancora a sorprenderlo come un bambino che osserva con occhi nuovi il volo di una farfalla dai mille colori che si posa sulle foglie smeraldine. Così come quei colori mutano sotto la diversa incidenza dei raggi e non appaiono mai uguali, il volto di sua moglie gli regalava ogni giorno un’immagine nuova, che non smetteva mai di incantarlo.

 

Ogni sera, preparatasi una tazza di camomilla, si immergeva nella lettura di uno dei sei libri che si prefiggeva di terminare ogni mese. Il più delle volte crollava vinta dal sonno e lì rimaneva, finché lui non la sollevava e la portava a letto, oppure la copriva e la lasciava riposare finché le membra intorpidite non la spingevano a trovare rifugio nel suo confortante abbraccio. Nulla avrebbe potuto mutare quell’intima routine che si perpetuava da quando si erano trasferiti nella piccola dependance di casa Sanders, cinque anni prima. Qualunque fosse stato il programma della serata, lei avrebbe sempre indossato il pigiama, si sarebbe coperta con un suo enorme capo di abbigliamento, e sarebbe sprofondata in quel mondo ai limiti fra fantasia e realtà che raggiungeva quando apriva le pagine di un libro. E lui, invece, avrebbe guardato la televisione, letto il giornale, suonato la chitarra, mangiato, dormito o svolto qualunque attività potesse stemperare la frustrazione che lo assaliva nei momenti in cui si fermava a riflettere. Eppure, tutto si poteva dire di Brady Sanders, tranne che fosse una persona abitudinaria. O perlomeno, questo valeva per il ragazzo che era stato fino al giorno in cui, un anno prima, aveva sposato la sua fidanzata di sempre, Hailey Murray.

 

Durante i primi tempi del matrimonio, ancora carico di entusiasmo e di aspettative, si stendeva accanto a lei, ma ormai non lo faceva più da mesi. Aspettava, pazientemente, che fosse lei ad arrivare.

 

L’entusiasmo di una nuova vita insieme era sparito quasi ancora prima di crescere, ma non poteva essere altrimenti, viste le premesse che lo avevano visto nascere: erano passato quasi due anni da quando suo padre gli aveva fatto capire che la scuola di vela stava diventando un peso e che solo non avrebbe mai potuto portarla avanti. I dolori alla schiena si facevano sempre più forti e le sue sorelle stavano crescendo, e avevano bisogno di qualcuno che le inquadrasse. Di venderla non se ne parlava nemmeno: visto il periodo nero, nessuno sarebbe stato disposto a comprare un’attività le cui finanze non erano rosee già da prima dell’improvviso incidente che aveva costretto Neil Sanders a ridurre drasticamente le ore passate al largo ad insegnare ai giovani rampolli delle ricche famiglie in vacanza a Province Town.  E così Brady, architetto neolaureato, aveva presentato le dimissioni al professore di Berkley che lo aveva voluto accanto come assistente, era tornato a casa, dalle barche a vela sulle quali era cresciuto.

 

E da Hailey, ovviamente.

 

Le aveva domandato di sposarlo per sentire che quel ritorno aveva un significato, per illudersi di essere salito su un aereo diretto a Boston con un biglietto di sola andata per qualcosa che sentisse davvero suo, ma la realtà era che venticinque anni, di cui sette passati con una fidanzata che vedeva solo in rare occasioni, erano forse troppo pochi per scegliere la donna con cui passare la propria vita.

 

Brady ed Hailey. La coppia perfetta, con una storia ancora più perfetta.

 

Una perfezione le cui tracce, dopo una manciata di mesi, rimanevano solo nel brillante inchiostro delle firme che siglavano l’atto matrimoniale con cui avevano dato inizio al declino della loro storia. Da mesi trascinavano il loro rapporto, tentando di preservarne intatta almeno la superficie. Era un po’ come quei bicchieri di vetro soffiato che, quando vengono colpiti, si scheggiano incrinandosi in mille pezzi, ma non si rompono. Rimangono lì, per mesi, anni, in muta attesa del momento in cui verrà sollecitato quel minuscolo punto di rottura per frantumarsi in definitivamente.

 

La realtà era che venticinque anni, di cui sei passati con una fidanzata che vedeva solo in rare occasioni, erano sì troppo pochi per scegliere la donna con cui passare la propria vita, ma lo erano ancora meno per avere un divorzio alle spalle. Così aveva preso la sua decisione. Forse quello stralcio di vita non corrispondeva all’immagine di assoluta ed incondizionata felicità che si era costruito in passato. Forse non avrebbe mai nemmeno saputo com’era una vita in cui si era conquistato esattamente ciò che si voleva, nel modo in cui si aveva sperato. Ma quella era la sua, di immagine; indubbiamente non patinata ed idilliaca come le copertine di quei libri che Hailey amava tanto, ma con la quale qualche modo aveva imparato a convivere e a sentirsi vivo nel tentativo di aspirare a quella perfezione solo apparente. E, se c’era qualcosa di buono in tutto ciò, era che questa disperata ricerca almeno lo distraeva dal piattume della vita a Province Town e dalla frustrazione che provava nell’aver rinunciato per sempre alla passione della sua vita: l’architettura.

 

-Hai fatto tardi.

 

Brady sussultò nel sentire la sua voce. Mosse qualche passo e le si sedette accanto, senza guardarla negli occhi, ma fissando oltre la finestra, dove la pioggia torrenziale si abbatteva sull’oceano in agitazione.

 

-Scott aveva delle commissioni da sbrigare a Barnstable e ci siamo fermati a mangiare qualcosa,- spiegò lentamente lui, mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé.

 

Hailey annuì silenziosamente, capendo dal suo sguardo che quella non era una sera come le altre, che quella sarebbe stata un'altra di quelle sere in cui lui le sarebbe stato accanto con il corpo, ma non con il pensiero, perso in chissà quale realtà di cui lei sicuramente non faceva parte.

 

-Stasera è tornata a casa Annie.- esordì Brady, sedendosi accanto a lei.

 

Ecco, dov’ era. Hailey sapeva bene il ruolo che la ragazza, l'amica di una vita, giocava nella vita di suo marito, nonostante fossero passati anni. Tutti in città, lei compresa, sapevano che non esisteva Brady Sanders senza Annie Morgan, la sua amica d’infanzia, la persona con cui era cresciuto, forse la sua esatta metà. Era ben conscia del fatto che fosse solo questione di tempo: prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con la pressante presenza di quella ragazza dal visetto solare, i jeans perennemente strappati sulle ginocchia e gli occhi che sembravano strappati all’oceano nei giorni più soleggiati d’agosto. Solo che non si aspettava che quel fantasma avrebbe preso consistenza proprio nel momento in cui fra lei e Brady si era formata una cortina di ghiaccio che sembrava non volersi sciogliere, nemmeno con le migliori intenzioni da parte di entrambi.

 

-E tu, sei tornato a casa?

 

-Io sono sempre stato qui, Hailey.

 

-Sciocchezze. Tu sei sempre stato ovunque. A Berkley, a San Francisco, forse a Londra con Annie, non lo so. Ma non certo qui.

 

Il ragazzo appoggiò la testa fra le mani, nella vaga speranza di trovare una risposta adeguata in quel mare di pensieri che si attorcigliavano e si accavallavano nella sua testa. Una risposta che potesse dimostrarle che non era così, che potesse assicurare il contrario non solo a lei, ma anche a se stesso. Ma, ovviamente, non riuscì a trovarla. Si limitò dunque a tacere.

 

-Pensi che abbiamo rovinato tutto sposandoci, Brady?

 

-No,- riuscì a rispondere con fermezza. -Ho fatto mille errori in passato, Hailey. Ho gettato via i miei sogni, ho allontanato le persone che mi stavano accanto per inseguirli, ma di una cosa sono certo: se non ti avessi sposato, qui, sarei diventato pazzo.

 

La ragazza si avvicinò e gli accarezzò la guancia liscia, cercando di decifrare il suo sguardo perso nel vuoto. Gli lasciò un bacio delicato per poi allungarsi verso di lui, per trovare rifugio almeno tra quelle braccia ferme e protettive,  dal momento che i suoi occhi, nei quali spesso aveva trovato conforto e sicurezza in passato, le stavano dicendo tutto, tranne quello che era realmente uscito dalla bocca di suo marito.

 

***

 

Scott, lui sì che era un tipo abitudinario, a differenza di Brady.

 

Sua mamma gli aveva sempre raccontato che, quando l’ostetrica che l’aveva fatto nascere venticinque anni prima le aveva depositato fra le braccia un fagottino appena lavato, la prima cosa che l’aveva colpita era stato un ciuffo di capelli castani sparati in aria, come se qualcuno li avesse lavorati strofinandoli con il sapone di Marsiglia. Oltre ovviamente al fatto che, già ad un’ ora di vita, dovesse per forza dire la sua, o urlarla nel caso specifico.

 

Da allora, Scott si svegliava ogni mattina di buon’ora per combattere una guerra già persa in partenza contro quel maledetto ciuffo. Ma, nei dieci minuti esatti che impiegava a trangugiare una tazza di latte scaldato per 30 secondi nel microonde e 45 grammi di cereali, quello lentamente si rialzava, vanificando tutti i pazienti tentativi che l’avevano portato a sorridere soddisfatto alla propria immagine riflessa nello specchio del bagno. Come se non bastasse madre natura, a rendere inutile ogni sforzo si aggiungeva il casco che indossava per raggiungere il lavoro con la sua Vespa, suo chiodo fisso sin da ragazzino.

 

Tutte le mattine, alle sei e un mezza, alzava la serranda del Pheasant Café, locale di famiglia che gestiva da quando i suoi genitori si erano concessi di andare in pensione, accendeva la playlist che aveva accuratamente preparato la sera precedente, per scongiurare il rischio di rimanere senza musica di sottofondo, e si accingeva a preparare i pancakes da servire ai clienti più mattinieri. Alle sette solitamente alzava la testa per accogliere il primo avventore, Keith, il medico della città, abitudinario quanto lui, se non fosse stato per il fatto che ordinava sempre qualcosa di diverso dal menù.

 

Come ogni mattina, parcheggiò la Vespa, buttò distrattamente il casco nel bauletto, tirò fuori il cellulare per controllare gli ultimi aggiornamenti circa la partita dei Celtics della sera prima e, per poco, non travolse una ragazza che sedeva sulla soglia del locale, in paziente attesa dell’apertura. A quanto pareva, anche quella era destinata a diventare un’abitudine.

 

-Dannazione Anderson, non puoi guardare dove vai?

 

Davanti all’entrata, in perfetta tenuta sportiva, i capelli raccolti in un morbido concio ed un tappetino da yoga steso per evitare il contatto diretto con il selciato, stava Nicole, a gambe incrociate e con un’ espressione di palese disappunto sul volto lentigginoso. Scott la fissò qualche secondo, sorpreso di rivederla a quell’ora, visto che non ne erano passate nemmeno quattro da quando l’aveva scaricata davanti al vialetto del lussuoso cottage della famiglia Cooper.

 

-A cosa debbo l’onore?- le domandò sfilandosi dall’orecchio gli auricolari che sparavano musica rock a tutto volume, da cui non si separava mai, nonostante i suoi venticinque anni fossero un po’ tanti per continuare a dare l’immagine dell’eterno ragazzino. Ma, se così fosse stato, Scott non avrebbe indossato ancora quel paio di All stars scolorite e quella felpa grigia con il cappuccio sollevato sulla testa sopra la camicia a quadri che facevano storcere il naso con disappunto all’impeccabile Nicole.

 

-Questo é un Caffé no?- gli domandò lei alzando gli occhi al cielo.

 

-Certo.

 

-Cosa diavolo pensi che ci faccia qui allora?!- replicò secca, iniziando a massaggiarsi freneticamente le tempie, che le pulsavano per l’assenza di sonno.

 

-Vedo che sei mattiniera,- commentò lui, piegandosi sulle ginocchia per sollevare la serranda.

 

-Non ho dormito. I gabbiani davanti a casa facevano versi intollerabili, le tende della mia stanza lasciavano filtrare troppa luce e non trovavo la mascherina per coprire gli occhi nella valigia.

 

-Nelle valigie,- puntualizzò Scott. –E non hai avuto di meglio da fare che andare a fare yoga all’alba per impegnare il tempo?– Ed importunare me ad un orario indecente- avrebbe voluto aggiungere.

 

-Jogging e yoga, Anderson, ma non vedo dove sia il problema, né tantomeno il motivo per qui io dovrei perdere tempo a disquisirne con te.

 

-A New York siete tutti pazzi,- constatò lui scuotendo la testa. -Entra, ti preparo qualcosa. Sempre che tu non preferisca rimanere sulla soglia a farti travolgere dai passanti. Anzi, ora che ci penso: rimani qui sulla strada, potresti renderti utile come acchiappa clienti: entrerebbero a rifugiarsi nel locale, pur di non ascoltare i rimproveri della tua lingua tagliente.

 

Scivolò all’interno, richiudendosi la porta alle spalle e lasciandola stizzita dietro la vetrina, indecisa se andare a cercarsi un altro Caffé dove fare colazione o entrare e rispondergli per le rime. Tuttavia, la scarsa prontezza nel replicare dovuta alle poche ore di sonno le fece deporre momentaneamente l’ascia di guerra; inoltre, pensò che, se proprio doveva impegnarsi nel rimettere al proprio posto quello strambo di Anderson, tanto valeva farlo con un tasso di caffeina nel sangue che le permettesse quantomeno di reggersi in piedi.

 

Sospirò profondamente, si sistemò il ciuffo che le ricadeva sulla fronte dietro l’orecchio e oltrepassò la porta, andandosi a sedere direttamente su uno degli sgabelli posti dinnanzi al bancone.

 

-Il caffè lo bevi sempre con la doppia schiuma di latte e una spruzzata di cacao?- le domandò Scott sfilando la brocca del caffè dalla macchinetta e ripartendone il contenuto nelle due identiche tazze blu che di norma teneva da parte per lui e sua sorella, visto che non era cosa opportuna servire la colazione agli eleganti turisti di Province Town con stoviglie recanti i volti di Pena e Panico.

 

Nicole sgranò gli occhi per quel tanto che le era possibile, punta nel vivo della propria curiosità, domandandosi come facesse, a distanza di anni, a ricordarsi le sue abitudini da adolescente. Notò i disegni sulle tazze, ma preferì glissare su quel particolare, pensando che quel ragazzo, ad una prima occhiata, poteva sembrare un imbecille il cui processo verso la maturità doveva aver avuto qualche interruzione, ma non bisognava farsi ingannare: Scott Anderson era davvero un imbecille il cui processo verso la maturazione aveva avuto qualche interruzione.

 

-Come…?

 

-A me piace osservare,- tagliò corto lui, stroncando la sua domanda sul nascere. -E poi ti ho servito il caffè per tutta l’adolescenza.

 

-Hai il latte di soia?

 

-Nicole, qui siamo a Province Town, non nell’ Upper East Side,- le spiegò pazientemente, afferrando la propria tazza ed ingurgitando qualche sorsata di caffè prima che Nicole gli facesse definitivamente saltare i nervi, facendolo rinunciare definitivamente all’idea di assumere sostanze eccitanti.

 

-Allora prendo un espresso, grazie.

 

-Vuoi qualcosa da mangiare?- le domandò con gentilezza, tentando di auto convincersi della genuinità di quel ringraziamento.

 

Nicole abbassò gli occhi verso il menu che le stava allungando. Passò in rassegna ogni offerta, disperando di potervi trovare qualcosa di adatto all’ultima  dieta che aveva iniziato a seguire qualche settimana prima, in vista della prova costume.

 

-C’é niente il cui ingrediente principale non sia la cellulite condita al colesterolo?

 

-Fammi pensare…- replicò con un lampo di malizia negli occhi, appoggiandole davanti un bicchiere riempito sotto al rubinetto.

 

-Ecco! Vuoi che ci spruzzi dentro del limone o rischio di rovinare la curva metabolica della tua acidità?

 

Se Nicole, in cuor suo, stesse architettando una risposta adeguata a cancellare il ghigno soddisfatto con cui la stava fissando, non gli fu dato sapere. Il rumore secco della porta che si chiudeva catturò la loro attenzione e Scott pensò che quella mattina i fissati del fitness avessero scambiato il Pheseant per la saletta ristoro di una palestra. Infatti, la figura di un uomo alto e snello, anche lui in perfetta tenuta da jogging si delineò contro la vetrina illuminata dai raggi del primo sole del mattino, interrompendo l’amorevole botta e risposta che aveva visto scontrarsi le due lingue sicuramente più mordaci di tutta la classe 1987 di Province Town.

 

Scott seguì l’entrata trionfale di David Campbell, affascinante e ricco rampollo di una delle famiglie di influenti di tutta New York, con le braccia incrociate sul petto, spostando infine lo sguardo corrucciato su Nicole, la cui espressione di sufficienza ostinatamente mantenuta da quando l’aveva travolta sulla strada, si stava gradualmente mutando in quella che lui chiamava “l’aria della triglia nella rete del pescatore”. L’uomo la salutò lasciandole un bacio frettoloso sulle labbra e lanciandosi in una retorica contro le nuvole minacciose che gli impedivano di uscire in barca a vela ed i metereologi che non riuscivano a prevedere un acquazzone.

 

-Un caffè e dei pancakes con lo sciroppo d’acero, per favore,- ordinò distrattamente, prima di dedicare tutta la sua attenzione al suo Iphone ed agli ultimi aggiornamenti da Wall Street.

 

-Anche per me, Anderson,- bofonchiò Nicole, delusa del saluto frettoloso che lui le aveva riservato.

 

-Di questo passo dovrò tornare a New York entro poche ore,- commentò David scuotendo la testa, scoraggiato a quanto pareva dalle notizie circa la chiusura in rosso delle Borse Asiatiche.

 

-Ma sei appena arrivato…- protestò debolmente Nicole, allungando la mano per accarezzargli la nuca, mettendo su quello che a Scott sembrò il broncio della sua nipotina di appena tre anni.

 

-Dolcezza, sono cose importanti, lo riesci a capire?

 

Scott inarcò le sopracciglia perplesso, continuando ad osservare il curioso quadretto mentre asciugava i bicchieri appena tolti dalla lavapiatti. Vedere Nicole Cooper sdilinquirsi per attirare l’attenzione di un uomo, lei che sospettava essere nata con indosso una camicia di carta moschicida , era una scena che attendeva da quando a tre anni, all’asilo, le aveva dichiarato tutto il suo amore donandole la sorpresina che aveva trovato nelle merendine, ma lei gliel’aveva restituita tirandogliela in testa e correndo a giocare ai Power Rangers con Jason Williams ed Owen Jackson, rispettivamente futuro quarterback e capitano della squadra di basket del liceo.

 

Lei però, parve ignorare quella decisamente poco velata critica ed iniziò a sbocconcellare i suoi pancakes con crema e frutti di bosco, sotto lo sguardo di disappunto di David, degnatosi finalmente di alzare la testa dal suo telefono.

 

-Nicky, stasera arriva Landon e i miei danno un cocktail di benvenuto apposta. Non ho intenzione di passare le ore che lo precedono ad ascoltarti piangere perché non riesci a entrare nel Ferretti che hai comprato. Non c’è niente il cui ingrediente principale non sia la cellulite condita al colesterolo?

 

Nicole rimase con la forchetta a mezz’aria e la bocca spalancata. Spostò gli occhi su Scott, ma li riabbassò subito come se si vergognasse di sostenere il suo sguardo.

 

-Lascia perdere. Ti preparo qualche frittella di soli albumi e della frutta, va bene?- le disse lui per rompere quell’ istante carico di imbarazzo. La ragazza annuì silenziosa mentre David, finito l’ultimo sorso di caffè impostava nuovamente il contapassi sull’Iphone, la salutava con un bacio frettoloso e depositava una banconota di fianco alla cassa, per poi andarsene senza degnare il proprietario del caffè di un saluto.

 

Fra i restanti cadde un silenzio irreale, interrotto solo dal picchiettare nervoso delle unghie perfettamente smaltate di Nicole sul bancone. Scott la guardava fissare il piatto pieno di pancakes interdetta, domandandosi dove fosse finita tutta l’acidità che la ragazza gli aveva mostrato prima dell’arrivo di David.

 

-Sai cosa trovo particolarmente gustoso sui pancakes, oltre alla crema e alla frutta?- le disse dopo una pausa studiata.

 

-Cioccolato. Tanto, tantissimo sciroppo di cioccolato.

 

Lei alzò gli occhi rabbuiati, pensando che avrebbe seriamente voluto saltargli al collo. Se poi l’avrebbe fatto per strozzarlo o per abbracciarlo, questo doveva ancora deciderlo.

 

-Dai Nicky! Dopo pranzo prometto di portarti a fare fitness per smaltire in vista della grande soirée. Tu corri, io ti seguo in Vespa, ovviamente.

 

***

 

Fu un profumo familiare a svegliarla quella mattina. Era un aroma misto di caffé e dolci scaldati nel forno che si mesceva al profumo talcato delle lenzuola che le si erano attorcigliate attorno alle gambe. Era essenza di casa. Annie aprì gli occhi smarrita, riconoscendo a fatica la stanza in cui si trovava: dall’anta sinistra dell’armadio le sorridevano Manu Ginobili, Liam Gallagher ed Andrew Roddick, vegliando sul suo sonno. Sul cassettone ricoperto di adesivi, Roger, il suo inseparabile panda amico d’infanzia stava reclinato sulle copie di Parachutes, Bury the hatched, Be here now, Nevermind e di tutti i dischi che avevano segnato la sua adolescenza. Spostò lo sguardo verso la scrivania, accuratamente riordinata, dal portapenne con i volti dei protagonisti di Friends, ai libri del liceo riposti con cura, sopra ai quali pendeva il quadro con le fotografie dei frammenti di vita a Province Town nei quali si era sentita davvero felice: lei ed Abby, sua sorella maggiore, sedute sulla Vespa di Scott, i fratelli Morgan abbracciati nel giorno del quarantesimo compleanno del papà, con Sam che ancora non aveva imparato a camminare in braccio ad un Jamie incredibilmente paffuto, lei e Brady, ovunque.  A diciassette anni, in spiaggia a giocare a beach volley, a tredici, in barca a vela con Neil, sullo skateboard, ad otto, con il cappellino da baseball al contrario e le ginocchia sbucciate. Ogni momento che era valso la pena di essere vissuto a Province Town, era segnato dalla presenza di quel ragazzo con i riccioli biondi distrattamente scomposti, che gli davano l’aria di un bambino troppo cresciuto, il sorriso spontaneo ed ingenuo e le mani eccessivamente grandi. Era bello, lo era sempre stato, sebbene allora Annie non se ne curasse, lasciando che fossero le altre ragazze della scuola a coltivarne il mito. Già a sedici anni, Brady aveva il fascino delle cose pure e semplici che risplendeva in quegli occhi che si confondevano con il mare che bagnava le rive di Cape Cod. Occhi che, in quel momento, si stavano probabilmente posando su un volto che non era il suo, alla luce dei primi raggi del mattino, in una stanza che non era quella dove si trovava lei ora, nella quale si era intrufolato, notte dopo notte, quando erano adolescenti. Annie sorrise al ricordo della prima volta che suo padre li aveva sorpresi addormentati uno accanto all’altro, alla sua reazione indignata, seguita dall’istantanea consapevolezza che dentro quella stanza non si era consumato altro che il coronamento dell’amore eterno di un triangolo noto a tutti da tempo: Brady, Annie ed il cibo spazzatura. Da allora si era messo l’anima in pace: era certo che, fra quei due ragazzini, almeno finché lui avesse continuato a vedere la figlia come l’elemento più piccolo della sua stessa cucciolata, la sola cosa sconveniente che sarebbe mai potuta accadere sarebbe stata senza dubbio l’indigestione che entrambi si sarebbero presi prima o poi a forza di ingurgitare quantità esorbitanti di schifezze davanti ai film horror che divoravano la sera, quando lui si arrampicava fino alla sua finestra. Non era altrettanto sicuro che le numerose fidanzate che Brady collezionava accettassero altrettanto di buon grado il fatto che lui concludesse quasi tutte le sue serate in camera della sua inseparabile amica, ma fortunatamente sua figlia aveva la lingua ed i riflessi sufficientemente allenati per difendersi da ogni tipo di attacco.

 

Annie si sollevò e raccolse le gambe al petto, senza riuscire a staccare lo sguardo da quelle immagini che ora le sembravano appartenere ad un’altra vita e sentì improvvisamente la stessa sensazione di impotenza che aveva avvertito la sera prima, quando suo padre l’aveva stretta a sé. Si sentì, per la prima volta, un’intrusa in camera sua. La musica, i poster, le fotografie, tutto le riportava alla mente il passato da cui aveva desiderato ardentemente fuggire, trovando rifugio nella piovosa capitale inglese, ma al quale ora non avrebbe voluto altro che fare ritorno. Quella profonda dicotomia che si era creata nel suo animo la sera prima la spiazzava, dal momento che tutte le certezze a cui si era aggrappata negli ultimi anni lontani da casa erano improvvisamente crollate nel momento in cui i suoi occhi erano stati catturati dal brillio di quella sottile fascetta dorata che le appariva così inusuale al dito di Brady.

 

-Sei sveglia.

 

La voce di suo padre la distrasse dai suoi pensieri, prima che la soffocante sensazione di delusione che si era scatenata in lei le facesse nuovamente fare qualcosa di estremamente stupido come iniziare a piangere.

 

-Ho incontrato Brady stamattina, giù all’edicola.

 

Annie tacque spostando le gambe per fargli posto accanto a lei nel letto.

 

-Non mi hai detto che lui e Scott vi hanno accompagnato a casa ieri sera.

 

Kenneth tentava disperatamente di incrociare gli occhi di sua figlia, ma questa si ostinava a mantenerli fissi sulle sue ginocchia, come faceva ogni volta che desiderava trattenere le lacrime. Così, rannicchiata sotto le coperte, le sembrava ancora una bambina indifesa e lui non avrebbe voluto altro che allontanare da lei ogni motivo di dispiacere o di sconforto.

 

-Perché non mi hai mai detto di loro?- gli domandò Annie dopo qualche attimo di silenzio.

 

-Sarebbe cambiato qualcosa? Ormai la tua vita era altrove, dall'altra parte dell'Oceano. Avevi una nuova casa, nuovi amici, una carriera universitaria...

 

-Forse no,- ammise lei con tono ragionevole, scuotendo impercettibilmente il capo, -ma avrei desiderato comunque saperlo.

 

Suo padre tacque qualche istante, come se volesse soppesare scrupolosamente l’effetto di quello che stava per dirle.

 

-Annie, c'è una cosa che voglio che tu sappia. Neil mi ha confessato che le cose fra Brady ed Hailey non vanno molto bene.

 

-Non sono interessata a Brady, papà, non in quel senso,- replicò lei con tono così sostenuto da fargli capire che la realtà era ben lungi da quella che stava, invano, tentando di propinargli.

 

-Capisco. È per quello che stanotte hai dormito con la sua maglietta da allenamento del liceo? Per dimostrare che l’hai lasciato andare?

 

Annie abbassò lo sguardo verso il simbolo giallo e nero un po’ stinto dai troppi lavaggi della maglia che Brady le aveva regalato perché a lui stava troppo piccola. La sera precedente l’aveva afferrata dal cassetto senza farci troppo caso, ma ora che ci pensava meglio doveva ammettere che, forse, quella vena di sadica follia che aveva sempre sospettato le circolasse in corpo, doveva averle tirato un brutto scherzo. La realtà era che si era aspettata di tornare a casa e trovare tutto uguale a come quando lo aveva lasciato: la sua vita a Londra era andata a rotoli e lei sentiva il bisogno di rifugiarsi in una realtà che, nonostante l'avesse distrutta al punta da spingerla a scappare, l'aveva sempre protetta. Sperava di tornare a sentirsi leggera come quando aveva quindici anni, il mondo davanti e la sua unica preoccupazione era quella di scegliere se andare a fare surf o in barca a vela. E invece tornare e scoprire che coloro che aveva creduto fossero sempre li ad aspettarla, erano andati avanti senza di lei, le aveva dato un senso di smarrimento più grande di quello che l'aveva spinta a salire, fuori da ogni preavviso, sull'aereo che l'aveva riportata a casa, dopo sette anni.

 

-Lo dico per te, tesoro, non giocare con il fuoco.- le disse suo padre come leggendole nei pensieri. -Le cose sono cambiate molto, da quando sei partita. Non avete più diciotto anni.

 

-Non intendo farmi additare come sfascia famiglie da tutta la città, papà, soprattutto non a venticinque anni, se è questo che intendi. So bene cosa significa, da queste parti, cadere nell’errore di farti marchiare da un’etichetta che non riuscirai mai più a scucirti di dosso, nemmeno con le migliori intenzioni.

 

-Dovresti avere capito da tempo che non mi curo di ciò che pensa la gente. Io mi preoccupo per te.

 

Annie scrutò a lungo il suo volto corrucciato, trovandolo più vecchio di quello che in realtà non fosse. Sapeva bene quanto fosse difficile affrontare questo argomento, per lui che ormai aveva imparato a convivere con le numerose voci che nel passato -e non solo- erano circolate sul suo conto, sulla moglie Elinor e sulla sua famiglia. Lo sapeva perché erano le stesse che avevano segnato la sua adolescenza a tal punto da farle credere che l’unica via per liberarsene altro non fosse che la fuga. Aveva sempre ammirato e amato profondamente suo padre, nel quale riversava tutto l’affetto che un figlio può mostrare ad un genitore, dal momento che con sua madre erano quasi due perfette estranee. Ne invidiava profondamente la quiete che trasmetteva attraverso i gesti e le parole, e la calma di qualcuno che, nonostante tutto, aveva trovato il modo di vivere in pace con se stesso. Si chiedeva se mai avrebbe potuto raggiungere quella maturità tale da accettare la realtà, fare tesoro dei propri fallimenti e ripartire da questi, per trovare il coraggio di affrontare la vita quotidiana a testa alta, esattamente come aveva sempre visto fare a lui anche nei momenti di maggiore sconforto. Sentì la gola contrarsi per il vano sforzo di trattenere nuovamente le lacrime e deglutì a fatica mentre suo padre le passava un pollice sulla guancia, catturando l’impercettibile goccia che si stava lentamente facendo strada verso il mento.

 

-Io credo che di sotto ci sia un certo nipotino che muore dalla voglia di conoscere, finalmente, sua zia. Non vorrai mica presentarti a lui con quella faccia da funerale?- le domandò scompigliandole i capelli, come faceva sempre quando era bambina.

 

-Josh,- sussurrò debolmente Annie, pensando al neo arrivato nella tribù dei Morgan, primogenito di sua sorella Abbey. Sorrise al pensiero di quel fagottino visto per il momento solo in fotografia, realizzando d’improvviso che, fra i tanti cambiamenti a Province Town, qualcosa di buono c’era. Qualcosa che le facesse credere che, nonostante tutto laggiù sembrasse andare alla deriva, un motivo per tornare in fondo, poteva sempre trovarlo.

 

 

 

 

-Ciao, tu!

Come te la passi nei luoghi da cartolina? Qui a Londra è tornato l'inverno da quando sei partita, quindi sappi che ti odio profondamente perché so che in questo momento te la stai spassando in spiaggia, bevendo cocktail ai frutti esotici alla nostra salute (ci sono i frutti esotici, dalle tue parti? Forse no, ma ti odio lo stesso). C'è una questione importante di cui discutere, Annie. É arrivato l'armadio che tu e Ethan avevate comprato per la camera di Highbury. Ethan mi ha detto che non c'è problema per lui, di lasciarlo smontato in camera sua, che se ne occuperà al ritorno, ma di accertarsi prima che tu non voglia tenerlo per sostituire il tuo, visto che ha un'anta sfondata. Se vuoi sbarazzartene, o se preferisci che lo distrugga con un martello, un'ascia, una sega elettrica lo farò, ma prima volevo accertarmene. Magari vuoi distruggerlo tu.

Mi manchi, Nat.

 

-Sai cosa, Nat? Lascialo li. Visto che il trasferimento ad Highbury è saltato, dovrei comunque comprarne uno nuovo a settembre. Se Ethan dice che per lui non c'è problema, lo tengo io. Anche tu mi manchi, torno prestissimo, qui non è tutto idilliaco come sembra, alla lunga le dinamiche di casa mi verranno a noia, già lo so.

Tua, Annie.

 

 

 

Spazio autrice

 

Bu (e due!)

Ecco qui il secondo capitolo. Come già avevo anticipato a chi sta rileggendo questa storia, la vecchia vita di Annie è sempre più coinvolta nel suo ritorno. Vediamo Nat, la coinquilina irlandese, musicista e pazza di Annie, e torniamo ad inciamparci in Ethan, l'ex di Annie che forse, nonostante la rottura, gioca un ruolo ancora molto importante, nella vita della nostra protagonista. D'altronde, come dice V: "La Milla ha la stessa capacità di far saltare furoi personaggi a caso e farli diventare protagonisti degli autori di Hart of Dixie".

Per chi invece è completamente nuovo, mi auguro che staite entrando nella storia e cominciate a conoscere un pochno di più i personaggi: come forse cominciate ad intuire, il mio è un racconto corale, dove ognuno avrà il suo spazio e la sua piccola vicenda, quindi affezionatevi pure a chiunque desideriate, senza timore che non abbia poi l'attenzione che merita. 

 

Arrivata a questo punto...  Grazie nuovamente di aver letto e di essere arrivati fino a qui, spero davvero che questo prologo vi sia piaciuto. Grazie di essere ripassati. 

Se volete rimanere in contatto, per spoiler e tanto tanto tanto disagio, questo è l'indirizzo del mio gruppetto Sing and write for the wind, fear not for tomorrow, che da qualche tempo ospita anche le mie compagne di cervello (uno e trino) Sam e Veronica SidRevohttps://www.facebook.com/groups/342900242472146/

 

 A me, invece, mi trovate QUI e QUI

 

Un abbraccio, Lyra.

 

 

 


   
 
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