We’re just two lost souls
swimming in a fish
bowl.
"È
sufficiente guardare le mani
per capire cosa
è
una persona."
Antonio Castronuovo
Il coraggio
è una virtù che non tutti possono vantare di
possedere.
Magari
davanti alla più grande delle avversità
l’adrenalina ci scuote e ci fa combattere
contro tutto e tutti, ma di fronte a una semplice ragazza le gambe si
fanno
tremanti e non riusciamo ad avvicinarci per parlarle o anche solo per
guardarla
meglio.
Il coraggio
ci manca, e allora le gambe non ci sorreggono più, la gola
diventa secca, le
budella si attorcigliano, il sangue sembra fluire più
lentamente nelle vene, e
la testa diventa più confusa del solito; non tutti sono
preparati e abituati a
queste sensazioni negative, soprattutto quelli che vengono considerati
dei cuor
di leone, degli idoli, degli esempi da seguire, e allora la terra nuda
sotto i
nostri piedi diventa scivolosa e non ci resta che strisciare per andare
avanti.
Strisciare ci
porta a contatto con la terra che ci ha generati e a molti questo non
piace,
perché sono abituati a essere innalzati al cielo, a essere
portati in trionfo o
sul palmo della mano di altri e perciò si sentono
vulnerabili.
I vermi sono
coloro che strisciano a terra, i morti di fame, i Perdenti e altri
insetti, non
i Vincitori, non le autorità, non i privilegiati, non quelli
che sembrano
portare il mondo sulle loro spalle possenti, ma poi camminano sulle
teste degli
altri schiacciandole come limoni, e quindi per imparare e per
convincersi a
strisciare bisogna scendere a compromessi con noi stessi, con il nostro
ego
smisurato e con tutto ciò che esso comporta su di noi e per
noi.
Quante volte
era stato costretto-aveva dovuto scendere a compromessi lui?
Quando aveva
barattato la sua integrità morale con una manciata di
polvere di celebrità.
Quando aveva
scambiato il suo corpo per la salvezza della sua famiglia e dei suoi
cari.
Ma quella
volta gli era sembrato tutto così facile.
Gli sembrava
che le gambe lo stessero trasportando da sole senza essere legate al
suo
cervello, probabilmente la curiosità la stava avendo meglio
sulla sua già poca
razionalità, perché quella ragazza era
lì? Perché non era con tutti gli altri a
festeggiarlo?
E
soprattutto perché non c’era lui?
Perché
era
venuto in spiaggia?
Perché
si
stava dirigendo verso quella ragazza?
Strisciò
perché non vi era altra soluzione.
Strisciò
perché era l’unica cosa giusta da fare.
Si
avvicinò
cautamente, ma lei sembrava non averlo neppure sentito,
continuò a camminare e
a ogni passo si sentiva più leggero, come se tutto quel peso
che lo opprimeva
da dentro stesse
evaporato, come se la
sabbia calda che gli entrava nelle scarpe invece di infastidirlo lo
stesse
tranquillizzando.
<< Non
hai ancora trovato le tue scarpe? >> disse
tentando di fare lo spiritoso
accennando ai piedi scalzi della ragazza.
Lei non si
scompose e rimase in silenzio, poi azzardò con un
sussurrò:
<<
Auguri.
>>
<<
Grazie.
>>
<<
Mi
dispiace di non essere potuta venire alla tua festa, ma sai oggi
è la Festa del
mare e sapevo che nessuno sarebbe venuto, sai la gente pretende sempre
senza
mai dare nulla in cambio, e allora ho pensato di venire per darGli la
mia
ghirlanda, magari non si arrabbia. >> e
così lanciò i fiori tra le onde.
Si sedette
accanto a lei.
<<
Ti
sei truccato? >> chiese un po’
ingenua.
<<
Mi
hanno truccato? >> rispose sulla difensiva.
<<
Sai
chi mi ricordi? Quel clown che era venuto per il tuo quindicesimo
compleanno.
>>
Se lo
ricordava quell’uomo, con quei vestiti sgargianti e colorati,
nessuno aveva mai
visto una cosa simile al Distretto, era sceso dal treno vicino al
Palazzo di
Giustizia e si era diretto in fretta e furia, seminando brillantini
ovunque,
alla scuola dicendo a tutti che era venuto per festeggiare il signorino
Odair.
Tutti ne
erano rimasti affascinati, non si parlava d’altro che di lui,
del suo buffo
naso, dei suoi occhi truccati a tutti era piaciuto tanto, ma una
piccola ragazzina,
dagli occhioni blu e un vestitino color pesca, era scappata via appena
lui le
aveva chiesto in che classe si trovasse il festeggiato.
<<
Ti
faccio paura anche io? >>
<<
No,tu sei più buffo. >> rispose
toccandogli le palpebre socchiuse con i
polpastrelli per poi sdraiarsi e iniziare a giocare con la sabbia e con
i
capelli.
Non sapeva
da quanto tempo fossero lì, se qualcuno lo stesse cercando,
era lì in silenzio
a guardare il mare, era da tantissimo che non si sentiva
così.. libero.
Era una
sensazione che non provava da tanto quella della libertà,
come un bruco che
recide il suo bozzolo sicuro e prova l’ebbrezza del primo
volo, da farfalla,
che sfoggia i suoi migliori colori al vento e che passa di fiore in
fiore per
far si che le sfumature dei petali sembrino poco brillanti, che
l’erba
rabbrividisca al solo sentire l’aria smossa dalle sue forti e
belle ali.
La
libertà è
come la farfalla: ha vita molto breve, ma intensa.
La
libertà è
una sensazione effimera, ma troppo piacevole per non essere goduta fino
in
fondo, troppo vera perché non valga la pena di essere
assaporata dolcemente.
Lei era
libera, lo vedeva.
In quegli
occhi che avevano tutta l’intensità del mare.
In quei
capelli ribelli.
In quelle
gambe magre che sembravano nate per correre.
In quelle
dita lunghe, ancora sporche del suo ombretto blu, callose, da donna che
ha
imparato che il pane non si porta a casa con le parole, anche se
così giovane,
con le unghie rovinate e i polpastrelli cotti dall’acqua e
dal sale.
Guardò
le
sue di mani, così curate, profumate, idratate, le unghie
finte e laccate e
provò vergogna, un’immensa vergogna e
provò a nasconderle sotto la sabbia per
non fargliele notare.
<<
Le
mani possono farci capire molto di una persona lo sai?- disse lei
mentre lui
imprecava mentalmente –non dovresti nasconderle, possono
dirci quanti anni
abbiamo, da che Distretto proveniamo, che lavoro facciamo.
>>
<<
Ho
diciannove anni, vengo dal Distretto 4, anche se non sembra, faccio il
mantenuto di Capitol City, tu?>>
<<Diciasette
anni, vengo dal Distretto 4, la mia famiglia si occupa di coralli e
anche io.
>>
<<Non
so neppure come ti chiami.. >>
Lei si
voltò
di scatto, gli porse la mano e sorridendo disse:
<<
Annie Cresta, e qualcosa mi dice che tu sei Finnick Odair!>>
<<
Ma
come hai fatto a indovinare? >>
<<
Semplice intuizione. >>
gli sorrise.
La
libertà è
come una farfalla.
Annie
è
libertà.
Annie
è una
farfalla.
Si
alzò e si
scrollò la sabbia di dosso, aprì le braccia e
fece una lenta giravolta si se
stessa, prese un lembo del vestitino bianco che indossava e se lo
sfilò.
Per un
attimo rimase senza parole, cosa stava cercando di fare quella ragazza?
<< Non
vieni a fare un bagno? >>
Dopo aver
assaporato
la libertà, anche solo per poco, il peso delle catene si fa
più opprimente.
Sembrano
voler recidere la pelle per farti capire qual è il tuo
posto, tra le loro spire
che si attorcigliano al corpo come tanti serpenti che ti iniettano il
loro
veleno.
Meglio
negarsi ogni gioia o soffrire appena torniamo alla normalità?
NdA
Questo
capitolo a me piace molto.
Ormai
si
iniziano a definire i personaggi principali, il loro carattere e il
loro modo
di affrontare le cose.
Spero
che
sia piaciuto anche a voi.
Il
titolo è
preso dalla bellissima canzone dei Pink
Floyd
“Wish
you were here.”
Grazie
a chi
ha messo la storia tra le seguite e naturalmente a chi ha recensito, mi
ha
fatto molto piacere sapere che la storia vi sia piaciuta.
Spero
continuerete a seguire la storia.
Prima
di
dimenticarmene: voi come rispondereste all’ultima domanda?
Negarsi
ogni
gioia o soffrire ogni volta che torniamo alla normalità?
Un
bacio.
cranium