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Autore: cranium    10/06/2012    5 recensioni
[Finnick/Annie] riguardante il periodo prima, durante e forse dopo gli Hunger Games della ragazza.
Annie e la sua famiglia si occupano di coralli, la loro situazione economica è stabile, ma non tra le migliori, è una ragazza non particolarmente bella e affasciante.
Finnick è un Vincitore e lui di bellezza e fascino ne ha da vendere, ha dovuto barattare il suo corpo con la sicurezza per lui e per la sua famiglia, vorrebbe scappare, farsi una vita chissà dove, ma è tenuto stretto da sottili catene d'oro forgiate appositamente da Capitol City.
L'incontro con questa ragazza gli cambierà la vita, ma cosa succederà quando il suo nome verrà estratto per i 70esimi Hunger Games?
Riuscirà lui a superare la cosa?
Riuscirà lei a rimanere viva e vegeta in quel delirio?
Se vi ho incuriosito leggete e possa la fortuna essere sempre a vostro favore.
Possibile, ma non certo, spoiler "La Ragazza di Fuoco" e "Il Canto della Rivolta".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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We ’re just two lost souls
swimming in a fish bowl.

“And did they get you trade your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees? Hot air for a cool breeze?
Cold comfort for change? And did you exchange
a walk on part in the war for a lead role in a cage?”
Pink Floyd

Le sensazioni sono soggettive.
Dipendono, come ben si sa, da dove siamo stati cresciuti e da come siamo stati educati.
Per lui il vento che tirava leggero dalla costa, l’odore del pane salato e l’afa e l’umido che si legavano ai capelli rendendoli crespi, sapevano di casa e di pace.
Il sole che gli riscaldava la pelle abbronzata, gli sguardi intensi e pieni di tutta la forza del mare in burrasca della sua gente, e quel modo di camminare lento e strascicato degli abitanti del Distretto 4 lo facevano sentire tranquillo come non lo era da molto tempo.
Erano sensazioni buone, di quelle che ti scaldano il cuore e la pelle, di quelle che speri non ti scivolino via dalla dita, di quelle che vuoi che si esauriscano con te.
Ma le sensazioni buone, si sa, sono sempre accompagnate da quelle negative.
Si sentiva sporco, si sentiva marchiato come un manzo pronto per il macello.
Ogni notte passata tra lenzuola, volti e profumi diversi, ma che gli sembravano tutti uguali, a Capitol City ripensava a casa sua prima degli Hunger Games, alla loro staccionata marcia, alla porta che non si apriva, alle imposte scure sempre chiuse, alla camera dove dormiva sotto quelle lenzuola grezze, ma soprattutto quanto lo rendevano felice le piccole cose, come il sorriso di sua madre, un bacio sulla testa prima di addormentarsi.
Pensava a sua madre che lo aspettava ogni volta, e che quando sarebbe tornato a casa lo avrebbe costretto a mangiare doppia razione di tutto per fargli mettere su qualche chiletto, pensava a suo padre che una notte era partito per pescare e non era più ritornato, pensava alla barca che era l’unica cosa che era stata trovata dagli altri pescatori e pensava a se stesso, che ormai era solo un involucro vuoto, una marionetta nelle mani di chi era più potente di lui, un giocattolo per chi lo desiderava ardentemente.
Aveva bisogno di riempirsi di tutte le sensazioni positive che riusciva ad immagazzinare per sopravvivere a Capitol City; ecco perché era tornato nel suo Distretto 4, per questo e perché si stava avvicinando il suo diciannovesimo compleanno.
Il Presidente Snow aveva organizzato, per lui e per gli altri abitanti del Distretto, un’enorme festa: per quel giorno i pescatori avrebbero abbandonato le reti e avrebbero dedicato la loro attenzione a Finnick Odair, il bel vincitore sei Sessantacinquesimi Hunger Games.
Che la fortuna possa essere a mio favore” pensava mentre raggiungeva il Villaggio dei Vincitori dalla stazione adiacente il Palazzo di Giustizia “
ancora una volta.a
Non aveva infatti voglia di sentire la gente che lo idolatrava e che lo toccava come per rubare un po’ di lui, perché ormai non aveva niente ne per se ne per gli altri.
Non aveva sorrisi finti da dispensare o frasi poco intelligenti da dire, voleva solo raccogliere i brandelli di quello che era per poi farsi distruggere e ricominciare da capo.
Così era la sua vita, un domino infinito, un pezzo faceva cadere tutti gli altri inesorabilmente, mentre lui tentava di tirarli di nuovo su qualcuno li faceva crollare di nuovo.
Di nuovo e ancora.

Arrivò a casa e fece per salire le scale per andare in camera sua.
-Finnick.-
-Mamma sono stanco.- le rispose mentre lei si avvicinava per sistemargli i capelli sulla fronte.
La sua bella mamma, con i capelli del color del bronzo come i suoi, con i suoi occhi scuri dai quali sembrava che ogni singola gioia fosse stata strappata via con la forza, sua mamma che lo vedeva esattamente come era, non come volevano gli altri, non come lo vedevano gli altri.
-Dopodomani è il tuo compleanno.-
-È anche la festa del mare- disse -ma nessuno sembra ricordarsene.-
-Forse perché il tuo compleanno è importante.-
-Sembra che importi più agli altri che a me.-
-Vuoi qualcosa di speciale per la tua festa?-
-Portami via da qua.- rispose appoggiando la testa sulla spalla della madre che iniziò ad accarezzargli i capelli.
Inspirò il profumo dalla pelle del collo della madre: sapeva di mare, sapeva di sale, sapeva di tutti quegli odori che lui aveva perso, sapeva di tutto quello che lui sarebbe voluto essere.
-Lo sai che non posso, ma ti prometto che ti divertirai.-

Un fenomeno da baraccone ecco cos’era, vestito come se gli importasse qualcosa del pensiero di quelli che lo fissavano nei suoi vestiti costosi, con gli occhi truccati come la più infima tra le prostitute di basso borgo e un sorriso finto stampato su quelle labbra false e perfette allo stesso tempo, un tripudio di volgarità, ecco come lo avevano trasformato due ore e mezzo con i suoi “collaboratori”, che poi quelli di collaborare non ne avevano proprio l’intenzione.
Gli aveva chiesto qualcosa di semplice e loro non lo erano stati a sentire:
-Dobbiamo seguire gli ordini del Presidente Snow- gli aveva detto una donna grassottella dalla pelle dalla tinta verdognola che gli ricordava tanto i ragazzi con il mal di mare dopo la loro prima volta su un peschereccio con gli adulti, che gli saltellava attorno con matite e ombretti –vedrà che il lavoro quando sarà finito le piacerà un sacco.-
Di questo era certo, un sacco se lo sarebbe messo in testa molto, ma molto volentieri, ma lo sapeva, il Presidente voleva fargli solo capire quale era e quale sarebbe stato il suo posto, quello della prostituta, dello schiavo dei piaceri di Capitol City, bello, certo, dannatamente bello e affascinante, ma sempre uno schiavo, uno stupido uccellino chiuso in una gabbia dorata per sempre, tra il becchime migliore, i vestiti più alla moda, a volare in eterno sotto una cupola invalicabile come quella dell’Arena.
I Giochi per me non avranno mai fine” pensava amaro mentre stringeva la mano a tutti quelli che gli si paravano davanti spinto da dietro da sua madre che tentava di fargli conoscere più persone possibili, gli prendeva la manica della giacca e lo tirava dall’altra parte della Piazza gremita di tutti quelli che erano venuti per festeggiare il suo compleanno.
Benvenuti alla celebrazione di questo essere imperfetto!” avrebbe voluto gridare, ma si astenette.
Tutti lo credevano un eroe, era uno dei più giovani Vincitori dei Giochi della Fame, un mito, una leggenda, ma lui sapeva di non esserlo.
Ad un tratto nessuno sembrava avere più occhi per lui: in mezzo alla Piazza quattro Pacificatori stavano trasportando una grossa torta, quel dolce era stato preparato appositamente per lui dai quattro migliori pasticceri di tutta Panem, e dalle dimensioni si intuiva che doveva esserci voluto parecchio tempo per prepararla e decorarla.
Naturalmente nessuno, o quasi, aveva mai visto una cosa del genere, e tutti erano rimasti veramente colpiti, prelibatezze del genere non erano facilmente reperibili se non in circostanze veramente speciali.
Finnick approfittò dell’occasione per lasciarsi alle spalle la Piazza.

Le onde basse si rifrangevano sugli scogli modellati da anni e anni di erosione, nella spiaggia adiacente al molo dove erano attraccati i pescherecci dei pescatori non c’era nessuno, era vuota.
Solo una ragazza stava seduta rigidamente sulla sabbia calda, mentre lasciava che le onde le lambissero i piedi piccoli e scalzi, e si rigirava tra le mani un piccola ghirlanda di fiori bianchi e gialli.
La conosceva di vista.
Aveva due anni in meno di lui e avevano frequentato la stessa scuola.
Non gli era mai piaciuto studiare, ma sua madre aveva insistito tanto perché finisse gli studi anche dopo aver vinto gli Hunger Games.
Infondo non era così male, tutti i ragazzi lo volevano come vicino di banco e tutte le ragazze volevano un suo bacio e lui raramente rifiutava.
Il problema erano i professori che gli chiedevano spesso di raccontare la sua vita nell’Arena, e lui non voleva ricordare tutto quel sangue che lui stesso aveva contribuito a far scorrere, tutti quegli occhi che lo guardavano impotenti e supplicanti mentre lui gli piantava il tridente nella viscere, perché i Giochi della Fame sono così, o uccidi o vieni ucciso, o sei predatore o per forza sei preda, ne sopravvive solo uno, e per essere quello non bisogna risparmiarsi nulla.
Un giorno era seduto sul muretto del cortile e osservava  una strana ragazzina scalza, che indossava un leggero vestitino a scacchi blu e verde scuro, che frugava con le mani sotto i sassi, tra l’erba più alta, sui rami degli alberi, poi lo vide e gli si avvicinò saltellando.
-Ciao, hai preso tu le mie scarpe?- chiese sorridendo.
Non era poi quella gran bellezza vista da vicino, con quei capelli crespi tenuti giù da un semplice cerchietto, magrolina e piuttosto bassa e le labbra fini screpolate, ma gli occhi erano i più belli che lui avesse mai visto, blu come il mare, ma non di quel colore reso terroso dalla sabbia smossa dai piedi vicino alla riva, ma di quel colore del mare dove scommetti con gli amici su chi toccherà per primo il fondo dopo un tuffo, dove si gettano le reti e si porta sul peschereccio il pesce abbondante.
-Vuoi un bacio?- le chiese mentre tentava di non affogare nel suo sguardo.
-In verità io volevo solo le mie scarpe.-
-Non le ho io le tue scarpe!- rispose un po’ infastidito.
-Peccato.- e se ne andò salutando con la mano e tornando a cercare.
Peccato veramente” si ritrovò a pensare.




-Nda-
La mia prima storia per il fandom di Huger Games, è una Finnick/Annie ambientata prima e durante i Giochi della Fame della ragazza, e forse –dico forse- anche dopo.
Non supererà i dieci capitoli al massimo, anzi prevedo che saranno molti di meno.
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto.
Il titolo “We’re just two lost souls swimming in a fish bowl” è preso dalla canzone “Wish you were here” dei Pink Floyd come la citazione iniziale e significa  “Siamo solo due anime perse che nuotano in una boccia di pesci”.

Un bacio
cranium
  
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