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Autore: Delirious Rose    08/01/2007    1 recensioni
La vita di Severus Snape in tre storie.

Questi racconti sono stati scritti prima della pubblicazione di HBP.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Document sans nom

L’orsacchiotto è seduto su uno scaffale, in uno spazio sgombro da libri polverosi. Il pelo è lungo, di un bel marrone caldo; la bocca ricamata è atteggiata ad un sorriso vivace e birichino; gli occhi a bottone paiono vivi e attorno al collo ha un nastro di tartan azzurro e verde pallido.
Accanto all’orsacchiotto, c’è una cornice di legno dorato, con gli angoli decorati da festoni floreali, con un passe-partout color crema con un ovale al centro. E nella foto, ci siamo tutti e due, o meglio, tutti e tre. Sono inginocchiato davanti a te, nelle mani stringo l’orsacchiotto, sorridendo a te e a tua madre, che sta scattando la fotografia. Tu sei seduta sulla sedia a dondolo, ora ridi, ora t’imbronci, ora ti sistemi lo scialle sulle spalle. Lui è lì, nascosto dalla veste che copre la dolce curvatura appena accennata del tuo grembo.
Questo è tutto quello che mi rimane di noi.

La prima volta che ti vidi eri seduta su una seggiola, la luce bianca di un meriggio di gennaio pioveva dalla finestra, illuminando di un alone infuocato i tuoi capelli rossi e fra le mani stringevi una bambola, dondolando le gambe che non toccavano il pavimento.
“Ciao! Io mi chiamo Tia, e tu come ti chiami?”
“Dov’è la mia mamma?”
Facesti spallucce, sporgendo le labbra in avanti. “È nella stanza della nonna, sta dormendo.”
Ti fissai per qualche istante, ammutolito. “Allora portami lì così la sveglio e torniamo a casa.”
“Ma la mia mamma ha detto che dobbiamo stare qui, e che tu devi restare nel letto perché altrimenti ti viene di nuovo la febbre alta alta e il dottore deve farti la puntura.”
Io mi alzai lo stesso dal letto, anche se non riuscivo a stare in piedi: non ricordo come riuscii ad arrivare in quella stanza, però ricordo le candele che fluttuavano attorno al letto, degli adulti di cui non riuscivo a vedere il volto, quello strano silenzio che mi faceva paura. Mia madre era stesa sul baldacchino ed indossava un vestito che non le avevo mai visto addosso: aveva un colorito strano, come se fosse fatta di cera opaca, ed era gonfia come non era mai stata.
“Mamma? Mamma, voglio tornare a casa,” dissi piano. “Mamma, mammina, svegliati!”
La mano di mia madre era così fredda che mi spaventai: ripresi chiamarla, a scuoterla. Svegliati mamma, e torniamo a casa, le ripetevo, ma nel profondo sapevo che mia madre non avrebbe più aperto gli occhi, che non avrei mai più visto il suo sorriso. Era tutto perduto, i suoi abbracci, le sue carezze, i suoi rimproveri. La vita di Lilike Snape era rimasta nel Brue, ed in quel fiume maledetto io avevo perso la cosa più importante.
Degli adulti senza volto e senza nome mi riportarono nella stanza in cui mi ero svegliato, e qualche anno più tardi seppi di come nessuno dei miei parenti si era presentato al funerale di mia madre, di come i tuoi genitori mi avessero avuto in affidamento quando né mio padre né i miei nonni o mio zio vollero prendersi un bastardo in casa.

Fu a Hogwarts che seppi la verità su mio padre, durante il mio primo banchetto in quella scuola. Avevamo appena iniziato a mangiare e Lucius Ares Malfoy, l’Headboy, si stava informando circa i natali dei nuovi Slytherin: chiedeva delle loro famiglie, dei loro antenati, ed io mi sentivo in imbarazzo perché di mio padre sapevo solo… beh, che era mio padre. Non sapevo neanche quale fosse il suo nome di battesimo, perché quelle due parole erano un tabù per me. Così, quando egli posò lo sguardo su di me e disse altero “E tu saresti… ?”
“S-Snape, signore, Severus Snape,” fui capace di mormorare con un fil di voce.
“Ah, sì, il figlio di quella puttana di Lilike Snape,” rispose egli con voce annoiata, e poi increspò le labbra, più simile ad un ghigno cattivo che ad un sorriso. “Sai, sono curioso di sapere che si prova nel guardare il figlio legittimo,” aggiunse facendo cenno verso il tavolo Gryffindor. E fu odio a prima vista.
Te lo dissi il giorno dopo, alla prima lezione che noi Slytherin avevamo con gli Hufflepuff. Mi dicesti di non lasciarmi andare in inutili vendette o ritorsioni. “Ecco, se dimostri d’essere più bravo di lui a scuola, penso che tuo padre ti rivaluterà, Sev,” fu il tuo consiglio, sussurrato nella serra mentre concimavamo le piante.

Scuoto la testa. Non voglio pensare a lui, a quello stupido idiota. A che pro dovrei dedicare un solo pensiero a lui? Avrebbe potuto fare di meglio nella vita se solo avesse sfruttato un po’ di più quel neurone che più o meno gli funzionava! Mi verso un bicchiere di liquore, il sapore amaro ed erbaceo mi brucia la lingua, ma non m’importa perché non mi fa pensare. Ma a quanto pare la mia mente è di tutt’altro avviso, e mani curiose aprono i tiretti dei miei ricordi.

Fu durante le vacanze di Natale del nostro quinto anno che la nostra vita prese quella strada che mi ha portato fin qui, la guerra diventava ogni giorno più furiosa e noi camminavamo sulla lama di un rasoio. Sin da quando eravamo tornati a casa, il comportamento dei tuoi genitori ci parve strano, come se avessero qualcosa in mente e volessero tastare il terreno per sincerarsi che tu ed io avremmo… non so, compreso? Condiviso?
Fatto sta, che l’ultimo giorno delle vacanze si decisero: tuo padre iniziò un discorso su com’ero diventato parte della vostra famiglia e che già da tempo mi considerava quel figlio che il Fato o gli dei non gli avevano concesso. Tirò in ballo il fatto che mia madre non mi aveva lasciato molto e che di certo non avrei avuto nulla una volta che i miei nonni fossero morti; quanto a mio padre, era come se per lui non esistessi. Ci guardammo in faccia, chiedendoci dove tuo padre volesse andare a parare. Tua madre prese in pugno la situazione, e con la sua voce pacata c’espose la conclusione cui erano giunti: data la non idilliaca condizione, poiché nessuna strega rispettabile avrebbe accettato di sposare un… illegittimo, così come nessuna famiglia Pureblood avrebbe accettato una nuora priva di dote –gli Weasley, non erano stati neanche enumerati- la soluzione ideale era che tu ed io ci sposassimo, se lo avessimo voluto anche noi.
Come facemmo a non scoppiare a ridere, non lo so: eravamo come fratello e sorella e stare insieme ci sembrava quasi un incesto! E che dire poi del fatto che ognuno di noi aveva rivolto altrove i propri interessi romantici, anche se entrambi sapevamo di non aver speranza. La cosa che ci dava respiro, era proprio il fatto che non ci volessero obbligare.

I mesi che seguirono, ci videro parlare spesso di quell’argomento e quando avevo saputo che la ragazza che amavo aveva accettato le profferte del ragazzo che odiavo, mi parve che il mondo mi fosse crollato addosso.
“Sev, dovresti pensare alla tua povera fidanzatina, che dovrei essere io, invece che a quella.
“Vedi il lato positivo: noi ci conosciamo da sempre, pensa a Black che la sua futura sposa non l’ha mai vista neanche in fotografia e dubito seriamente che ne sappia il nome!” dicesti quelle parole allegramente, senza alcuna traccia di serietà, giusto per tirarmi su di morale.
“Ma senti da che pulpito viene la predica! Tu che sei completamente persa dietro a quel cerebroleso del mio fratellastro!”
Eri l’unica persona che riuscisse a farmi ridere in quel modo, come se la gioia e la luce facessero parte della mia vita.
Non era così, già dalla metà del nostro sesto anno mi ero pian piano avvicinato all’Oscuro Signore: ne condividevo in parte gli ideali, perché non accettavo il fatto che noi maghi dovevamo vivere nascosti e lasciare che i Muggles facessero il bello ed il cattivo tempo. Le loro stupide guerre, il modo in cui trattavano e ancora trattano questo mondo non possiamo ignorarlo, perché la sostanza stessa di cui è intessuta la magia dipende da cose che per loro non hanno importanza. E poi volevo dimostrare a mio padre d’essere migliore di quello scavezzacollo del mio fratellastro: io ero il suo erede, non quell’idiota che riusciva a passare un esame solo per la sua bella faccia e grazie all’occhio di riguardo che il preside ha per i suoi piccoli ed innocenti Gryffindor. Innocenti un corno.
Mi ricordo benissimo tutti gli scherzi innocenti che mi hanno fatto, ed una volta mancò poco che fossi sbranato da quel maledetto Licantropo. Ah, ma sapevo ben difendermi, io, ero riuscito a trovare ed inventare maledizioni ed incantesimi che mi permettevano di avere delle vendette coi controfiocchi. E questo parve interessare l’Oscuro Signore: tu non approvavi questa mia scelta, Tia, ma nonostante questo non mi esponesti al preside. Sapevi, forse meglio di me, perché avevo deciso di diventare un Death Eater.

Verso la fine del nostro settimo anno, decidemmo di seguire il suggerimento dei tuoi genitori e di sposarci: in fondo l’unica cosa che sarebbe cambiata, era il fatto di dover dormire nello stesso letto. Optammo per la soluzione più economica, in fondo un matrimonio in grande stile era troppo oltre le nostre possibilità.

Severus Gareth Snape Hipatia Pelagia Panayiotopoulos

I nostri nomi sul contratto di nozze mi fanno uno strano effetto, anche se sono passati tutti questi anni.
E come avevamo previsto, c’erano poche differenze fra la nostra vita prima e dopo il matrimonio: tu eri impiegata nel negozio di tuo padre, uno di quei posti troppo Oscuri per Diagon Alley e al tempo stesso inadatti a Knockturn Alley, mentre io avevo trovato un lavoro come Assistente Pozionista allo Jigger Institute, una copertura perfetta per la mia attività di Death Eater. Non potevamo lamentarci, anche se definire la nostra vita perfetta era un’inutile esagerazione.
E tu, con le tue idee così diverse dalle mie, cercavi di convincermi a tirarmi indietro prima che fosse troppo tardi, mentre lavavi dal mio mantello le macchie di sangue. “Sev, credi che in questo modo tu possa dimostrare a tuo padre d’essere migliore del tuo fratellastro? Credi davvero che uccidere sia il modo per metterti in luce ai suoi occhi?”
Non sapevo cosa risponderti, sapevo che il mio fratellastro avesse fatto una scelta opposta alla mia: nostro padre lo approvava, oppure avrebbe preferito che si fosse schierato con l’Oscuro Signore? Non lo sapevo e non potevo neanche andare da lui a chiedere: Tia, Tia, Tia, sei sempre stata così brava a farmi dubitare di me stesso, anche se lo facevi a fin di bene.

Prendo l’orsacchiotto e lo rigiro fra le mani, un sorriso amaro m’increspa le labbra mentre una nuova ondata di ricordi riaffiora nella mia mente.
Mi ero infilato in quel negozio di giocattoli Muggle per far perdere le mie tracce agli Auror: osservavo gli scaffali, come chi cerca un regalo adatto per un bambino, cercando di sembrare il più naturale possibile, fu allora che lo vidi, in mezzo a tanti altri orsacchiotti di pezza. Tu eri rimasta incinta qualche mese prima, e la vista di quell’orsacchiotto col fiocco di tartan celeste e verde pallido mi fece pensare al bambino che sarebbe nato: sarò ancora capace di uccidere, dopo che sarà nato? Mi chiedevo mentre lo stringevo fra le mani.
Tu fosti sorpresa per quel regalo fatto con largo anticipo, e scoppiasti a ridere quando ti dissi dove lo avevo comprato, non potevi credere alle tue orecchie. Presi l’abitudine di sedermi accanto a te, la sera, e di giocare con l’orsacchiotto e con quel bambino che stava crescendo dentro di te: ammetto che era un comportamento stupido e lo sapevo anche allora, ma era un momento di felicità, un attimo di luce che illuminava l’oscurità crescente in cui era piombata la mia vita.

L’Oscuro Signore stava assegnando i compiti ad i vari gruppi di Death Eater: dovevamo far separare gli Auror, in modo da indebolire le difese del Ministero, e se l’attacco fosse riuscito, il potere del Ministro della Magia sarebbe stato irrimediabilmente destabilizzato. Ad un tratto Egli fu interrotto da un elfo domestico, non potevamo udire le parole della creatura, ma doveva essere qualcosa di grave: mille pensieri affollarono la mente d’ogni Death Eater in quel momento, e ci si chiedeva con voci bassissime cosa fosse accaduto. Egli si alzò, camminando verso di noi, poi si fermò davanti a me (mi chiesi cosa potessi aver fatto per scatenare la sua ira) e si chinò, mormorando con voce così bassa che solo io riuscii a capire quello che disse.
“Torna a casa, lei ha più bisogno di te di quanto possa averne io.”
Ero letteralmente basito, eppure quelle parole mi diedero una brutta sensazione.
Tornai a casa di corsa, e lì trovai tuo padre, sconvolto. “Tia s’è sentita male, Eleni l’ha portata a San Mungo. Io ho preferito aspettarti.”
Mi sentii come se qualcosa si fosse rotto dentro di me.
Quando arrivammo a San Mungo, trovammo tua madre piangere in corridoio. “Hippolytus, hanno detto che… che T-Tia ha avuto un distacco della placenta!” singhiozzò ella, nascondendo il viso nel petto di tuo padre, e balbettò frasi sconnesse in greco, la vostra lingua madre.
Io fissavo la porta della stanza, pregando e supplicando ogni divinità conosciuta che i medimaghi potessero aiutare te e il nostro bambino. Poi la porta si aprì, il medimago aveva un’espressione fredda e indecifrabile, non riuscivo a capire quello che provava.
“Mi dispiace, signori, ma per il bambino era già troppo tardi.” Che cosa prova una persona quando viene colpita da un Avada Kedavra? “Quanto alla madre, abbiamo fatto il possibile, ma non le rimane molto da vivere, per cui-” Che cosa prova una persona quando sta per morire?
“Che vuol dire non le rimane molto da vivere?!” urlai, afferrandolo per la collottola. “Esistono pozioni capaci di-”
“Signor Snape, crede che se ci fosse stato un modo per salvare sua moglie, non lo avrei fatto?” mi rispose il medimago con voce pacata liberandosi dalla mia stretta.
Eppure, Tia, i modi c’erano, eccome! Quante pozioni avevo studiato con gli altri dietro ordine dell’Oscuro Signore! Pozioni capaci di riportare alla vita chi era ad un attimo dalla morte! Certo, pozioni oscure e illegali, pozioni che richiedevano ingredienti terribili. Pozioni che non avevamo ancora sperimentato sugli esseri umani. In un primo momento, provai l’impulso di andare nei laboratori e prenderne alcuni campioni: non m’importava di quello che avrebbero detto, non mi importava che Egli mi reputasse un traditore.
“Può parlarle, signor Snape, ma ricordi che sua moglie deve morire tranquilla.”
Avrei fatto in tempo ad andare e tornare con le pozioni? Non lo saprò mai.
Nella stanza aleggiava l’odore del sangue, un odore che conoscevo bene e cui ero abituato, ma che in quel momento mi diede la nausea.
“Sev, guarda, è un maschio,” mi dicesti con una voce sottile sottile mentre stringevi un fagotto. “Sai, ho dovuto insistere per poterlo tenere in braccio almeno una volta, non me lo volevano lasciare.”
Mi sentii un groppo alla gola, mi sembrò d’essere tornato indietro di quindici anni, a quel meriggio di gennaio in cui avevo visto il corpo senza vita di mia madre. La tua pelle era diventata come la sua, i tuoi occhi verdi erano vuoti e spenti, la vita scivolava via da te.
“Certo che sono proprio un’incapace come moglie, non è vero Sev? Non sono neanche capace di avere un bambino…”
“Ce ne saranno altri, Tia,” mentii, e lo sapevamo entrambi.
Non mi rispondesti, ma quando l’infermiera fece per prenderti il bambino, lo stringesti con rinnovata forza. “No, non ancora! Voglio guardarlo ancora un po’…”
Stavo di nuovo per perdere la persona più importante della mia vita, ancora una volta sarei rimasto solo e disperato.
“Sev, vorrei tanto che tu… lasciassi…”
“Sssh… non ti sforzare Tia.”
“Promettimelo, non voglio che… tu sia in… pericolo…”
“Te lo prometto, te lo prometto…”

Dei giorni seguenti ho solo dei ricordi confusi, un vortice di suoni e colori senza senso, come un sogno che non si sa d’aver fatto o meno. Il primo ricordo netto, ero di fronte alle vostre tombe, la primavera attorno a me era insopportabilmente viva e prorompente: ripensavo alla promessa che ti avevo fatto, di voltare le spalle ai Death Eater e tradire l’Oscuro Signore. Egli aveva sempre perseguito i traditori, e Regulus Black ne era la prova. Se lo tradisco, egli mi ucciderà, mi dissi, così avrò mantenuto la promessa che ti ho fatto e potrò raggiungere te ed Eleutherios. Quella sera stessa mandai un gufo ad Albus Dumbledore, la sua risposta non si fece attendere: non mi rimaneva che aspettare la punizione del mio ex padrone.
Perché sono ancora vivo, Tia? Perché sono ancora da questa parte?

Sai Tia, la moglie di un mio collega ha avuto una bambina: non l’ho ancora vista, non voglio vederla, eppure… eppure penso che sia tempo per quest’orsacchiotto di pezza d’avere un compagno di giochi.

   
 
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