Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Dernier Orage    02/07/2012    5 recensioni
Parigi, Marzo 1997. Due amanti si rincontrano dopo quattordici anni: Ismaël ha una piccola libreria a Parigi, Stéphane è diventato uno scrittore, ha due figlie e tifa l'Arsenal. Storia di una ricostruzione.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'No Human Can Drown '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
















Per le vacanze natalizie arrivarono Egon ed Immanuel, portando doni e collanine per le bambine, tintura di mirra come disinfettante naturale e bisogno di interpreti sia per Egon che parlava tedesco e un po’ di olandese, che per Ismaël che parlava francese, russo, un po’ di inglese e ebraico, qualcosa di spagnolo. I giorni precedenti li avevano trascorsi a Brest, con entrambe le famiglie, tra pranzi pantagruelici, nonni che viziavano i nipotini, code in autostrada e la certezza di prendere il treno la volta successiva; Michelle aveva giocato tutto il tempo con il cugino Sebastien, con le spade di legno dall’elsa dipinta e dei cuscini come scudi.
Immanuel ed Egon dormivano nel divano letto e la televisione accesa alle quattro di notte trasmetteva repliche di live della fine degli anni Ottanta de La nouvelle Affiche su France3. Stéphane si aspettava da parte di Ismaël cortesia e gentilezza formale, non rispetto per quel che Egon era, un folle, un visionario, una persona che comprendeva mille anime che contemporaneamente riaffioravano tra i toni della sua cromatica musiva, variando la luminosità, la morbidezza, la lucentezza o l’opacità delle iridi; eppure capendosi a gesti sembravano rimandare nella casa riflessi di intimità sincronizzata, di comprensione assoluta.
A Stéphane faceva piacere vedere Immanuel ed Egon ed era felice di presentarli ad Ismaël, di farglieli conoscere, di mostrargli quel legame che durava da quasi vent’anni. E voleva mostrare loro la visione lomografica che aveva preso la sua vita, i contorni chiari, le contaminazioni di colori accesi.
- Michelle sta dormendo – Louise informò il padre e si avvolse nella sciarpa viola come in uno scialle.
- Vado a svegliarla – disse Stéphane rientrando in casa e scorgendo il profilo della bambina sotto le coperte del divano; - Michelle? Shell, piccola, ci sono i fuochi d’artificio, non vuoi vederli? –
Michelle mugugnò qualcosa di indefinito e si aggrappò a Stéphane quando lui la prese in braccio, per poi chinare il volto contro la spalla del padre, per coprire gli occhi dalla luce seppur soffusa della sala. La terrazza era fredda ed animata dalle luci calde e brillanti dei fuochi d’artificio contro il cielo nero, il tavolino circolare e le sedie in ferro battuto tirate fuori dal disimpegno per l’occasione, panini al latte ripieni di piccole frittate con menta e spinaci, lenticchie, champagne e birra tedesca. 
Forse mancavano le fughe da giovani o le cene ufficiali con i colleghi dei padri, le televisioni accese sui capodanni esteri e tropicali, l’inusuale ed il consueto, i primi doni, gemelli di corda verde bottiglia e blue navy, le telefonate a numeri limougeauds per fare gli auguri e ridere dell’accento. Una leggerezza che arrancava e con sofferenza cercava di essere spensierata, non ragionata, istintiva; nell’età adulta, dove i particolari rimbombavano e le situazioni generali apparivano sfocate, aveva perso la disperazione ed il cipiglio fiero. Stéphane strinse la figlioletta avvolta tra le coperte, troppo piccola e assonnata per stare in piedi da sola.
- Rosso – mormorò Michelle indicando i petali infuocati che si infrangevano contro il cielo.
- Blu e, guarda quello, sembra d’oro - Stéphane indicò dei fuochi sopra la tour Montparnasse.
Nella progressione di sinfonie di botti, fontane d’argento, petardi e girandole arcobaleno, le luci e i conti alla rovescia, il mondo faceva qualche passo ebbro verso il nastro del millenovecentonovantotto, rallentava e tratteneva il respiro, dilatava prima i minuti e poi i secondi; esplodeva sommessamente nello stappare una bottiglia di champagne, il gesto di Ismaël si propagava nell’aria, nell’atmosfera, come i cerchi nell’acqua dipinti ad acquerello e acrilico, ripassati con la spatola e i colori ad olio, incisi o modellati, graffiati o tamponati. Vividi o sbiaditi.

Stéphane sonnecchiava chinato contro il legno della scrivania, con la testa appoggiata alle braccia incrociate sopra i fogli spiegazzati. Giorni prima avevano portato il tavolo in corridoio, tra la porta della sala e un armadio, incastrato nel tentativo di fare più spazio, una sistemazione provvisoria. 
Un’idea fresca e metallica l’aveva svegliato e obbligato a trascinarsi fino al computer per annotarla e tentare di modellarla, limarla in attesa di altri arricchimenti, dialoghi e colori; per una mezzora era riuscito a tenere gli occhi aperti e la mente a briglia sciolta, per poi crollare vinto dal sonno e la spossatezza da antibiotici per curare la sinusite.
Immanuel si era destato e alla ricerca di un bicchiere d’acqua si era alzato dal divano letto, l’orologio in cucina segnava le sei e quarantatré e la luce del frigo emetteva un sibilìo persistente. In corridoio aveva scavalcato lo sgabello di Stéphane e poi si era inginocchiato appoggiandosi al bordo della scrivania per occhieggiare gli ultimi appunti scarabocchiati su un quaderno a righe e quelli lasciati sul desktop dell’ordinateur.
- Stéphane, Stef? - cercò di svegliarlo scuotendolo. Vide lo scrittore boccheggiare e sbuffare contrariato e si giustificò; - ottimo modo per farsi venire male alla schiena, dormire sulla scrivania -
- Vado a letto per un paio di orette, hai letto? - domandò Stéphane con la voce impastata e gli occhi gonfi.
- Sì; ma pensavo, a volte, il reagire porta ad ammazzarsi - mormorò bruscamente Immanuel e colpì con le nocche i fogli, producendo uno schiocco sul legno; - è un discorso che abbiamo fatto tutti e c’è sempre stato chi ammutoliva, chi faceva finta di niente, chi ti diceva che comunque vivere era bello e gli piaceva, anche se non significa niente –
- L’ho scritto alle cinque della mattina del primo dell’anno, non ha ancora un senso - si giustificò distratto Stéphane spegnendo il computer.
- È suggestivo il riferimento al moto delle alghe, immagino quelle trascinate dalle carene delle navi - aggiunse Immanuel rialzandosi e ricontrollando i fogli. Stéphane sottolineò un paio di frasi e fece un cenno di ringraziamento.
- Dormire, un paio di ore - borbottò Stéphane alzandosi ed appoggiandosi alla parete; - buonanotte -
Nella camera i lembi delle tende della finestra e quelle dell’abbaino si sovrapponevano variando la tonalità di grigio perla; le lenzuola nere avvolsero Stéphane e la pelle chiara di Ismaël emanava un tepore che scaldava le fibre dell’anima, un profumo che riconosceva come proprio, familiare.
- Lavorato? - sussurrò Ismaël, il tono prima affievolito e filtrato dalle coperte, poi per le labbra premute contro il collo di Stéphane.
- Fino a sfinirmi - rispose Stéphane con ironia. Ritrovò e percorse con lo sguardo i punti piacevoli nel corpo di Ismaël, la curva maschile, netta ma sensibile dei fianchi, la nuca, l’interno dei gomiti, il petto, e lasciò bruciare la punta delle dita. Mesmerico, seducente ed ammaliante in ogni secondo dei duecentottantatré giorni insieme, in ogni respiro ed in ogni onda dei capelli impigliati tra le dita; - ti amo, ti amo immensamente -
Certe parole andavano dette con gli occhi socchiusi, per non farsi aggredire dalla luce della persona amata. 
La persona che rendeva ogni cosa possibile.

- Ma devono proprio andare via? - Louise nuotava nella vasca da bagno, avanti ed indietro, facendo oltrepassare il bordo all’acqua, allagando il pavimento e rendendolo scivoloso per il sapone; - non voglio che gli zii vadano via, mi mancheranno –
- Torneranno presto - Stéphane lasciò lo spazzolino dentro il bicchiere in bilico sul lavandino, il dentifricio verde e bianco sul bordo e sul manico. 
- Presto quanto? - sospirò la bambina immergendosi fino alle labbra.
- Per il tuo compleanno - Stéphane si voltò per guardarla, i capelli troppo lunghi le coprivano gli occhi ed arrivavano alle spalle, la scomodità di doverli asciugare accuratamente dopo i pomeriggi in piscina. Louise riemerse e ricominciò a scivolare da una parte all’altra della vasca; - stai ferma che stai combinando un disastro -
- È troppo tempo - brontolò Louise guardandosi i polpastrelli arricciati e le bolle azzurrine; - voglio che restino, lo pretendo –
Stéphane la tirò fuori dall’acqua e l’avvolse in un asciugamano bianco; - ti manca Amburgo? –
- No! Mi mancano gli zii e devono venire a vivere con noi - Louise non permise al padre di asciugarla e pettinarla, si pose davanti allo specchio e con una spazzola cercò di strappare i nodi.
- Louise, prova a capirmi, gli zii vivono lontano e lavorano, hanno dei genitori, delle sorelle. Verranno spesso e quando sarai più grande andrai tu da loro - Stéphane lasciò perdere e si appoggiò alla porta.
L’umidità appannava i rubinetti e lo specchio, rivelando nomi scritti con la punta delle dita, disegni di stelle e mappe del tesoro.
- Da sola? – domandò Louise dopo qualche secondo. Stéphane desiderò ardentemente che qualcuno gli spiegasse in modo completo Lorenz perché non era pensabile che la figlia avesse assimilato da Ismaël dei difetti di vent’anni prima.
- Se vorrai - rispose vago il padre avvicinandosi per asciugarle i capelli con il fohn.
- Non voglio - borbottò la bambina, contrariata alzò gli occhi al cielo e si alzò sulle punte dei piedi per dargli un bacio sulla guancia; - pizzichi –
 
Parigi, marzo 1998

Dopo un anno lo scrittore, sceneggiatore e giornalista Stéphane Alunir aveva ancora bisogno di consultare uno stradario per muoversi con l’automobile a Parigi. Era la primavera del 1998, aveva trentatré anni, tre libri pubblicati, tre lingue parlate correttamente e correntemente, sei cambi di casa, un divorzio ed una famiglia. Il suo colore preferito era ancora il blu elettrico, da agosto a maggio canticchiava sotto la doccia gli inni dell’Arsenal, odiava ancora tantissime cose ma invece che imprecare provava a cambiarle. Non riusciva a decidersi tra il trovare appropriato o scorretto l’aggettivo iconoclasta riferito al suo nome di piuma, Stéphane Marchand. 
Abitava al civico 9 di rue Deparcieux, nel quartiere di Montparnasse, XIV arrondissement, in un appartamento che chiamava attico nelle mezze stagioni e soffitta nelle estati afose e negli inverni gelidi.
Aveva due figlie, di quasi-sette e quasi-cinque anni, di tre nomi a testa: Maelice-Louise-June e Michelle-Leila-May; chiamate principalmente Louise e Michelle, Loo e Shell. Aveva una persona speciale che trovava varie definizioni, come convivente, partner, compagno, amore, e sulla carta d’identità rispondeva al nome di Ismaël Chalm. 
Si alternava tra giornate no e giornate sì, cambi d’umore, allineamenti dei pianeti e lune di traverso ma la sera, prima di addormentarsi, lasciava correre lo sguardo sulla persona amata ed il pensiero fino a più di vent'anni prima, quando, da bambino, tra le coperte e l’insonnia, sperava in qualcosa se non uguale, molto simile.









Fine. 







*













-Allô?-
- Parlo con Ferenc Lefèvre? Sono Eloy Castro-Duval della casa editrice Picard. Ha un momento?-

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Dernier Orage