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Autore: Iwuvyoubearymuch    06/07/2012    32 recensioni
Ho provato a mettere nero su bianco ciò che può essere accaduto dopo gli eventi dell'ultimo libro.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Un milione di grazie per le recensioni del capitolo scorso. E' sempre bello riceverne, dai vecchi e dai nuovi recensori. Probabilmente 18 non è un numero esagerato per qualcuno, ma per me è come se ne avessi avute molte di più. I complimenti sono sempre ben apprezzati, anche se alcuni li reputo esagerati. Non è per offendervi, o altro. La penso così. Comunque, non mi metto certo a lamentarmi, anche se sembra che lo stia facendo...
Il capitolo seguente porta la relazione di Katniss e Peeta a un livello superiore. Non ero sicura di voler voler affrontare già questo argomento, che è trattato brevemente verso la fine, ma tirarla troppo per le lunghe non mi convinceva e così ecco qui. Ok, so che non avete capito niente, quindi vi lascio alla lettura.
-M


Capitolo Undicesimo
Mi guardo attorno. Non capisco dove sono. Il posto è familiare. Penso di esserci stato altre volte prima, altrimenti non si spiegherebbe perché mi sembra di averlo già visto. Le pareti completamente bianche sono spoglie, le luci mi accecano gli occhi per come sono brillanti, il soffitto è molto alto. Credo di essere al centro della stanza, sdraiato su un lettino come quello degli ospedali, perché la parte superiore è rialzata, permettendomi di guardare davanti a me. C'è un tavolo argentato, con oggetti inquietanti sopra. Scorgo una siringa, delle ampolle con un liquido trasparente dentro, altri tipi di contenitori di forme diverse, fiale. Si, ci sono già stato qui. A giudicare da quella roba, forse è davvero un ospedale. Come ci sono finito? Non ricordo di essermi fatto male in qualche modo o di aver avuto bisogno di cure ospedaliere. Sono solo e non vedo alcun medico in giro. Cerco di alzarmi, ma qualcosa mi trattiene dove sono. C'è una cintura che mi tiene fermo, attaccato al letto, e sia le caviglie che i polsi sono intrappolati in dei semicerchi di metallo. Adesso ricordo perfettamente dove sono. Niente colori, niente rumori o odori, nessuno nei paraggi se non all'orario stabilito, quando verranno da me. Come ci sono finito di nuovo qui? Inizio ad agitarmi. Giro la testa alla mia sinistra, dove ci sarebbe la mia unica via d'uscita. Se non fossi legato. E lo sono perché la prima volta che mi portarono qui tentai di scappare. Riuscirono a prendermi e, prima che potessi anche solo pensare di opporre resistenza alla presa attorno alla mia gola, mi piantarono un ago nel collo e crollai addormentato. Mi risvegliai tre giorni dopo, nello stesso letto, ma con una novità. A bloccarmi c'erano delle cinghie rigide. Quelle che ho adesso. Ma perché sono qui? Quante altre volte ancora mi faranno questo? Fino a che morirò? Be', non penso che ci vorrà molto, se sarà come l'ultima volta.
La porta si apre. Entra una donna, di cui riesco a vedere soltanto gli occhi con dei tatuaggi azzurri tutt'intorno. Non mi guarda nemmeno quando mi passa accanto, quando io la chiamo. Le urlo di lasciarmi andare. Non ce la faccio più. Non ce la farò a sopportare tutto dall'inizio. Ma lei non mi da ascolto. In effetti, sembra che non mi senta nemmeno. So che non dovrei sorprendermi (sono pur sempre in un laboratorio di Capitol City) ma come si fa a rimanere impassibili di fronte a tanta disperazione? Perché sono disperato. Non voglio che la gente abbia compassione di me. La pietà non mi è mai piaciuta, ma in questo momento mi accontenterei di qualsiasi cosa pur di essere portato lontano da qui.
La donna è di spalle, quindi non posso sapere cosa sta facendo. Ma lo so. La siringa deve essere nelle sue mani e la starà riempiendo con quella roba trasparente, che so essere veleno. Mescola il contenuto a qualcosa e poi osserva il tutto con attenzione, rigirandosi la siringa tra le mani. Me l'hanno fatto tante di quelle volte ormai che potrei farlo io stesso. Al di sopra della sua testa, vedo uno zampillo di liquido. Non è un buon segnale, perché vuol dire che la fase della preparazione si è conclusa. Infatti, la donna - è nuova, non l'ho mai vista prima - lascia il tavolo da lavoro e si avvicina a me. La supplico di smetterla, quando mi afferra il braccio e vi lega la parte superiore con un laccio emostatico. Perfino quello adesso mi fa male. Lei non mi ascolta, ma mormora qualcosa e annuisce di tanto in tanto. All'inizio penso che ce l'abbia con me e mi illudo che non mi farà niente. Poi, mi accorgo che ha qualcosa di piccolo e nero infilato nell'orecchio e immagino che qualcuno le stia parlando in quell'affarino invisibile. E allora, ricomincio ad agitarmi. Cerco di sgusciare via dalle fasce che mi bloccano il torace, ma non c'è nulla che possa fare perché non sono mai riuscito a liberarmi. Muovo il braccio più energicamente che posso, perché so che se la donna non troverà una vena non potrà iniettarmi il veleno contenuto nella siringa. E' difficile, però. Il polso è bloccato da quella specie di manette e il laccio emostatico ben stretto rende doloroso ogni movimento che cerco di fare. E' per questo che la donna non si muove, per nulla turbata o infastidita. Sa che prima o poi mi stancherò e allora lei avrà la via libera. E' un copione già sperimentato in precedenza, sebbene sia nuova. Le avranno spiegato qual è la tattica da usare con me. Magari, è stato quel tizio con i capelli rossi e lo sguardo spietato. Di certo, non è stata la ragazza (doveva avere qualche anno più di me) che la prima volta si distrasse al punto da permettermi di fuggire. Da quel giorno non l'ho mai più rivista. Non che mi importasse, a dirla tutta. Avevo altre cose per la testa di cui preoccuparmi. Come l'ago che adesso mi sta bucando la pelle nell'incavo del gomito. Fa male. Tanto. Ma questo è niente in confronto a quello che deve ancora venire. So anche questo. Per tutto il braccio avverto una specie di formicolio, che lentamente punge dall'interno. Sta iniziando, mi dico preparandomi a quello che seguirà. Sono ancora abbastanza lucido, però. O almeno lo sono ancora quel poco che basta per accorgermi che la donna è uscita senza fiatare, richiudendosi la porta alle spalle.
Aspetto. Poi giunge implacabile. Mentre il formicolio si distribuisce un po' ovunque, il liquido sembra surriscaldarsi perché inizio a sentire caldo. Sudo, la mente si annebbia insieme alla vista, la stanza comincia a girare. Serro gli occhi saldamente, per evitare di vomitare. E' anche peggio. Il nero dietro le palpebre sembra vorticarmi nella testa e le luci dall'alto non aiutano ad affievolire la sensazione. Fin troppo in fretta, i pensieri diventano confusi, al punto che per pochi secondi alla volta mi dimentico dove sono. Cerco di non cedere mai a questi vuoti di memoria, perché so quello che giungerà dopo. Così, mi sforzo di resistere, dicendomi che è meglio sopportare tutto questo che quello che accadrà se mi arrendo. E allora, lascio che l'effetto del veleno mi colpisca solo fisicamente. Mi agito, lottando contro le cinture, scuotendo la testa come un forsennato, per eliminare le prime immagini che mi compaiono davanti. La temperatura della stanza precipita in prossimità dello zero in pochi secondi. Il velo di sudore che ricopriva il mio corpo quasi si gela, creando una patina freddissima che mi fa battere i denti. Urlo con quanto fiato ho in gola di finirla qui. Ma tutto ciò che ottengo è eliminare le poche tracce di calore che mi sono rimaste dentro per via del veleno.
Entra ancora la donna. Il rituale - le mie urla, lei che mi ignora completamente, la preparazione della siringa - si ripete. Stavolta, il braccio non riesco nemmeno a muoverlo di un millimetro per come è freddo e indolenzito. Quasi penso che sia diventato un blocco di ghiaccio e il laccio emostatico lo separi dal resto del corpo. Non sento nulla quando l'ago nuovamente preme ancora contro la pelle. Per fortuna, il freddo l'ha reso insensibile. Il veleno agisce anche più velocemente adesso e con un violenza inaspettata. Non avverto nemmeno il calore ora e il freddo non mi fa più nessun effetto. Mi chiedo se abbia funzionato. La risposta affermativa mi giunge immediatamente appena  mi accorgo che ormai non sono più in grado di resistere alla forza del veleno. Ho la sensazione di perdere i sensi un paio di volte, ma mai abbastanza efficacemente da svenire. Magari, svenissi adesso, penso. Mi risparmierei la parte più dolorosa. Ma non ci riesco, perché chi lavora in questo laboratorio ha fatto in modo che io non crolli. Giusto per divertirsi. Come se non mi avessero già fatto abbastanza in questi anni, come se farmi partecipare agli Hunger Games sia stato un onore e non una tragedia.
Le voci che mi risuonano nella testa sono terribili. Sento Annie Cresta urlare, disperata, il nome di Finnick. Darius e Lavinia gemono e il rumore straziante dei loro versi mi da la nausea. Johanna invoca la morte come se fosse una sua cara amica, perché sa che solo quella potrebbe risparmiarle la dose quotidiana di torture. Vorrei prendermi la testa tra le braccia e stringerla tanto da non sentire più nulla. Ma sono legato e l'unica cosa che posso fare è piangere. Le lacrime mi scendono calde lungo le guance per poi perdersi da qualche parte sul collo. Imploro che mi lascino andare. Che ci lascino andare tutti alle nostre case, dalle nostre famiglie.
E poi giunge il colpo di grazia. Vedo lei. Katniss. Non so come sia possibile visto che ho gli occhi chiusi. Sono apparizioni fugaci, che rendono quasi sopportabile tutto quello. Se si limitassero a solo a farmela vedere. Sono a Capitol City, dico a me stesso, aspettando il momento in cui qualcuno entrerà nella stanza per tenermi gli occhi aperti, puntati su un grande schermo sul muro. Di solito capita quando do l'impressione di essere con un piede nel regno dei morti, e uno in quello dei vivi. Più di una volta ho sperato di poter oltrepassare quel limite. Lo spero ancora, ma so che non accadrà. Come sospettavo, la porta si apre di nuovo. Entra qualcuno, ne sento i passi felpati, ma non ce la faccio a girarmi. Sto fissando lo schermo gigante che è davanti a me. Si illumina improvvisamente. Con uno sforzo che mi toglie una buona parte delle poche energie che mi sono rimaste, distolgo lo sguardo. E' tutto inutile. L'uomo che è entrato mi afferra la testa e la rimette a posto. Faccio per girarmi ancora, ma non ci riesco; una coppia di mani me lo impediscono. C'è Katniss in tv. E' nell'arena e indossa una giacca verde, mentre le gambe sono infilate in un sacco a pelo. E' su un albero e accanto a lei c'è un alveare. Vedo anche Rue per una frazione di secondo, ma scompare abbastanza velocemente. Katniss fa cadere il grande alveare giù sulle nostre teste, la mia e quelle dei miei alleati. Non me ne frega degli altri. Perché l'ha fatto cadere sulla mia testa? Perché non me l'ha detto?
La scena cambia. Adesso le tute diventano blu e siamo in un bosco, il cuoi suolo è in parte spugnoso e in parte ricoperto da radici. Con noi ci sono Finnick e Mags. Sta complottando contro di me con loro. Parlottano in modo fitto perché io non senta quello che si stanno dicendo. Poi, Katniss si ferma di colpo e viene verso di me. Ha uno sguardo che mi fa paura. E' freddo, duro. Non è quello della Katniss che io conosco. Che penso di conoscere. Indietreggio, man mano che lei si avvicina. Poi mi fermo. Perché dovrei avere paura di lei? So che non mi farebbe mai... Prima che possa concludere il pensiero, vedo che mi getta nella nebbia velenosa. Perché lo fa? Mi odia? Sicuramente, se mi vuole morto. Non capisce che sto cercando di proteggerla? Che l'ho sempre fatto, anche quando non mi conosceva? Cerco di urlare, ma esce soltanto un lamento smorzato. Comincio a tremare. Katniss vuole uccidermi. E io non posso fare niente. Forse, dovrei lasciarglielo fare. Metterebbe fine a tutto questo. O forse, dovrei ucciderla io. Forse, mi lasceranno andare così.
Le energie mi abbandonano del tutto. Non oppongo resistenza, non ne ho la forza. Mi irrigidisco più di quello che già sono. Nessuna parte del mio corpo potrebbe muoversi neanche se lo volessi. Mi costringono a guardare Katniss che cerca di farmi del male in ogni modo possibile. Tentando di soffocarmi quando cala la notte, che cerca di farmi mangiare i morsi della notte, facendomi credere che sono innocue bacche, che mi da tutto il flacone di sciroppo per dormire, mi spedisce nella parte di arena dove le ghiandaie chiacchierone assumono la voce dei miei amici e dei prigionieri come me. Ma forse quest'ultimi li sento per davvero, e non nella mia testa. Nella stanza accanto deve esserci Enobaria che urla dalla disperazione.
A un certo punto, svengo. Tiro un sospiro di sollievo mentre scivolo via da quel dolore. Non passa molto tempo prima che qualcuno mi scuota le spalle. Andate via. Non voglio svegliarmi solo per vedere ancora quell'ago infilato nel braccio. Ma gli scossoni aumentano e sento delle voci anche. Non ancora. Mi sembra di riconoscere preoccupazione e paura in questo tono che conosco perfettamente. Lasciami in pace. Stringo gli occhi e vorrei portarmi le mani alle orecchie, ma sono ancora bloccate. Ci risiamo, penso. Uno schiaffo in piena guancia mi costringe ad aprire gli occhi. Come sospettavo, Katniss è ancora davanti a me. I suoi occhi però non sono spietati come quelli di prima, me ne accorgo subito. Sembrano solo spaventati a morte. Chiama il mio nome, ma per una strana ragione non la sento. "Peeta" dice e lo intuisco perché leggo il labiale. Faccio per mettermi a sedere. Non ce la faccio. Il braccio è bloccato. Stavolta non dalle manette, ma dal peso di Katniss su di esso. E' sporta in avanti, verso di me, carezzandomi la guancia con gentilezza sul punto in cui mi ha colpito. Per un istante sono pervaso dal desiderio di scacciare via quella mano dalla mia faccia, prima che mi tappi la bocca e il naso. Qualcosa mi dice che non lo farà. Forse, è lo sguardo spaventato. Oppure, è per via del tocco insopportabile, ma al contempo dolce che non faccio nulla. Perché dovrei? Non mi farà del male e di certo la carezza mi sta tranquillizzando. I nervi si distendono e il respiro, prima affannato, adesso sembra aver ritrovato la frequenza adatta. Anche il cuore non batte più all'impazzata. Oltre la spalla vedo il soffitto della sua camera da letto, decisamente meno alto di quello del sogno. Perché è stato soltanto un sogno. Me lo sta dicendo anche Katniss, che adesso riesco a sentire.
"Sei al sicuro, qui" ripete più di una volta. Io annuisco perché quell'espressione terrorizzata sul suo viso non mi piace. E' quasi peggio di quella crudele del sogno. "Va tutto bene" dice, mentre mi scosta i capelli dalla fronte.
Dalla finestra entra aria fresca che mi fa rabbrividire. Sono coperto di sudore dalla testa ai piedi. "Posso alzarmi?" le chiedo, cercando di suonare tranquillo. Non lo sono. Il filo di voce sembrava un po' strozzato e sulla parte finale quasi non si è udito. Ma Katniss ha sentito, perché si sposta un po' più alla mia sinistra e mi aiuta, sebbene non ne abbia bisogno. E' vero, il sogno mi ha tolto un bel po' di energie, ma ce la faccio a mettermi in piedi.
Anche se non mi volto a guardarmi alle spalle, so che gli occhi di Katniss sono fissi sulla mia schiena. Per non farla preoccupare più del dovuto, mi sforzo di mantenere una posizione eretta fino a quando esco dalla stanza e mi precipito in bagno. Lì posso piegarmi sulle ginocchia e inspirare abbondanti quantità d'aria col naso, che poi caccio dalla bocca. Dentro. Fuori. Dentro. Inizio a sentirmi meglio. Fuori. Dentro. Basta così. Sto bene. Anzi, non lo sono per niente. Le mani tramano ancora, ma non posso restare in bagno tanto a lungo, o Katniss si insospettirà. Apro il rubinetto e lascio sgorgare l'acqua sulle mie mani. Era un sogno. Non è il primo e non sarà l'ultimo. Questo pensiero mi travolge. Andrà avanti così finché morirò e non posso farci nulla, se non sperare che niente accada a chi mi sta accanto. Ma questo non lo permetterò. Preferisco morire piuttosto che ferire Katniss in qualche modo e poco conta che non rispondo delle mie azioni quando i flashback arrivano. Chiudo l'acqua quando sono sicuro di essere rimasto qui più del tempo necessario affinché Katniss non venga a controllare. Infatti, quando entro nella camera da letto, la trovo in piedi con le mani alla bocca. Ha il vizio di mangiarsi le unghie quando è nervosa.
"Va tutto bene" le dico, prima che sia lei a chiedermelo. "Torniamo a dormire" Lei solleva le sopracciglia, come a dire: Credi davvero che farò come se nulla fosse successo? Spero proprio che lo faccia. Ma aggiungo comunque: "Sto bene", nella maniera più convincente che posso. Katniss ha sempre creduto che sia bravo con le parole, che possa far credere alle persone che il cielo è verde e le fragole crescono sugli alberi, ma non la vedo allo stesso modo. Dal mio punto di vista lei capisce sempre quando dico la verità e quando invece non lo faccio. Non me lo dice, ma credo che se ne renda conto. Ecco perché adesso non replica nulla, mentre insieme ritroviamo la posizione più comoda per dormire. Poggia la testa sulla mia spalla. Non vorrei che si mettesse così. Sarebbe meglio mettere un po' di distanza tra i nostri corpi, perché nel caso provassi a farle del male, lei riuscirebbe a scappare. Ma come faccio a dirglielo senza che lei si attacchi ancora di più? Non posso e allora faccio l'unica cosa che le permetterebbe di fuggire. Non le cingo la vita con il braccio. Un gesto che mi costa parecchio, soprattutto adesso che vorrei qualcuno pronto ad aiutarmi. Katniss lo farebbe senz'altro, ma non voglio accollarle questo peso. Mi ha già aiutato molto più di quanto abbia fatto il Dr. Aurelius in settimane e settimane di terapia. 
"Non vuoi raccontarmi cosa stavi sognando?" mi chiede, la voce molto più gentile di quanto lo sia mai stata.
Ho gli occhi chiusi, ma so che mi sta guardando. Parlarne mi aiuterebbe di sicuro, ma adesso non mi sento pronto. Raccontare tutto a Katniss vuol dire che dovrò ripensarci, mentre tutto ciò che voglio è dimenticare questo incubo e accantonarlo da qualche parte nella mia mente insieme a tutti gli altri. Tanto lo sognerò molte altre volte e ci saranno altrettante occasioni per trovare il coraggio di farlo. "Ti dispiace se ne parliamo un'altra volta?" le chiedo.
Lei annuisce contro la mia spalla e mi accarezza la guancia. Ancora il presentimento che possa soffocarmi da un momento all’altro. Un pensiero stupido, lo so, perché Katniss non potrebbe mai farmi del male. Non l'ha mai nemmeno immaginato. E questo è un altro dei motivi per cui non voglio parlare con lei di quello che sogno. La maggior parte delle notti lei non si accorge nemmeno che ho avuto un incubo e viene a saperlo solo quando al mattino mi chiede se ho dormito bene e anche in quel caso non mi dilungo mai nei dettagli. Questa notte, se si è svegliata, devo essermi mosso parecchio oppure ho urlato sul serio. Fatto sta, che non posso dirle che ho sognato di essere ancora a Capitol City. Ciò vorrebbe dire che, anche solo inconsciamente, sono convinto ancora del fatto che potrebbe uccidermi. So anche che non se la prenderebbe se glielo dicessi, perché è la conseguenza di ciò che mi hanno fatto nei laboratori. Eppure, non voglio che ne abbia la conferma. Perché penserebbe che è tutta colpa sua se hanno recuperato lei e non me dall'arena. Invece, è colpa mia se questi sogni continuano ad esserci. Se so davvero che Katniss non sarebbe in grado di uccidermi, allora perché continuo a vederlo quando sono addormentato? Il Dr. Aurelius mi ha spiegato che sono riusciti a penetrare talmente a fondo nella mia mente, che la loro opera è irreversibile. Gli credo, è ovvio. Ma resto dell'idea che dovrei essere in grado di distinguere i ricordi veri da quelli falsi. E questa mi incapacità mi da troppo fastidio. Ormai del mio passato con Katniss ho solo un vago ricordo. Quando qualcosa mi viene in mente, non posso fare a meno di chiedermi: E' andata così, oppure no?, e finisco solo col confondermi ulteriormente. Parlane con Katniss, mi dice sempre il dottore quando ci sentiamo al telefono settimanalmente. Potrebbe fare bene anche a lei. Non mi ha mai convinto al punto da porle qualche domanda. E non lo farei, se il sogno di questa notte non mi avesse sconvolto più delle altre volte.
"Non sopporto di non sapere cosa è successo realmente" sussurro, fissando il soffitto con occhi sbarrati.
Katniss non risponde subito. Aspetta di sollevarsi su un gomito in modo da guardarmi in faccia. Non lo dice, ma so che è sollevata dal fatto che le abbia detto qualcosa. "E' perché ogni ricordo è stato modificato" dice, tranquilla.
Immaginavo che avrebbe risposto in questo modo. Perché in fondo è questa la risposta giusta. Eppure non mi soddisfa, non fornisce una soluzione al mio problema. E' questo che cerco, allora? Posso anche smettere, visto che non la troverò mai. E non perché non la voglia abbastanza da trovarla. Semplicemente non esiste. Katniss deve aver intuito qualcosa perché mi prende il viso e lo gira verso di lei. "Fammi qualche domanda"
Le faccio segno di si con la testa. Ripenso all'incubo, al punto in cui faceva cadere l'alveare degli aghi inseguitori sulla mia testa. "Non avevi intenzione di uccidermi con quelle api. Vero o falso?"
Katniss esita. Vedo sul suo volto un'espressione che non riesco a decifrare. Sembra quasi che l'abbia colta di sorpresa con questa domanda. Si riprende in fretta. "Falso" afferma, abbassando lo sguardo. Giocherella con l'orlo della manica della mia maglia. "Però pensavo che tu volessi uccidere me, quindi non mi sono sentita in colpa allora" aggiunge subito, sottolineando bene l'ultima parola.
E' una reazione che posso comprendere. Prima di entrare nell'arena Haymitch ci ordinò di sembrare una squadra, di farci vedere sempre insieme, e la mia confessione consolidò la nostra finta unione. Questo tipo di comportamento deve averla confusa. Riuscì a confondere anche me, tanto da farmi credere a una cosa che non esisteva e per quanto ne sapevo allora, non sarebbe mai potuta esistere. Katniss deve essersi sentita in un certo senso tradita dopo aver scoperto della mia alleanza con i Favoriti. "Stavo solo cercando di proteggerti" le dico a mo' di scusa.
Lei annuisce. "L'ho capito troppo tardi" si colpevolizza.
"L'importante è che hai capito" ribatto, deciso a eliminarle quell'espressione dalla faccia. Prendo un respiro. "Mi hai buttato nella nebbia" dico, passando alla domanda successiva. "Vero o falso?" chiedo, sbrigativo. Di questa conosco sicuramente la risposta. E' falso, altrimenti sarei morto proprio come Mags, la vecchia mentore di Finnick che si sacrificò per non rallentare il nostro passo. La risposta di Katniss coincide con la mia, però mi fa venire in mentre un'altra domanda. Si riferisce a un altro sogno del genere, precedente a quello di poco fa. "Non hai fermato Finnick quando cercava di rianimarmi. Vero o falso?" Nel sogno dallo schermo mi fecero vedere Katniss che tirava indietro le braccia di Finnick per impedirgli di far ripartire il mio cuore, oppure che mi tappava la bocca per non lasciargli soffiare aria dentro.
"Vero. L'ho lasciato fare" risponde, incupendosi al ricordo.
"Perché non volevi che morissi o per gli sponsor?" chiedo. Se uno di noi fosse morto, la storia degli Innamorati Sventurati non sarebbe andata avanti. Forse, il pubblico avrebbe pianto un po' e avrebbe fatto un po' di scena, ma se ne sarebbe dimenticato in fretta subito dopo aver assistito a una bella lotta tra due tributi. Oppure non è così? E' un altra cosa che mi hanno fatto credere a Capitol City, questa?
Katniss ritira velocemente la sua mano dai capelli. "E' ovvio che non volevo che morissi" ribatte lei con veemenza. "Degli sponsor non mi importava nulla" esclama.
Sembra arrabbiata adesso. "Però i baci erano per gli sponsor" dico, tranquillo. E' una tranquillità calcolata e fredda e distaccata. Sembra che non sia nemmeno io a parlare. "Nella prima arena mi hai baciato solo perché il pubblico lo richiedeva"
Lo sguardo di Katniss si ammorbidisce, non so perché. "Ci sono state volte in cui l'ho fatto per le telecamere o perché sapevo che era quello che Haymitch voleva" ammette, senza problemi. "Altre volte volevo semplicemente farlo, come nella grotta" Accenna un piccolo sorriso. "E' stata la prima volta che ne ho voluti altri. E non mi sarei fermata se tu mi non mi avessi detto di stendermi perché la ferita aveva ripreso a sanguinare. E poi è successo di nuovo sulla spiaggia, e dopo mi hai dato la perla..."
"Quale perla?" domando, confuso.
Di tutta risposta, Katniss si alza dal letto e va verso la cassettiera. Mi metto a sedere per vedere meglio. Fruga in cassetto e poi ritorna accanto a me. Apre la mano. Al centro di essa vedo una piccola perla dai riflessi rosati. "L'ho portata sempre con me da quando me l'hai data. Era come se mi legasse a te in qualche modo" dice sottovoce, spostando lo sguardo da me alla piccola sfera sul suo palmo.
La prendo e la fisso. "Non ricordo niente"
Non ho il tempo di immaginare come avrebbe potuto essere realmente, che Katnissriduce a zero lo spazio tra i nostri corpi, le braccia attorno al mio collo. "Eravamo così nell'arena" dice, con un solo filo di voce. Sorrido, quando capisco cosa sta cercando di fare. "E abbiamo fatto questo" aggiunge, in un bisbiglio accattivante, prima di baciarmi. Mi lascio completamente trasportare dal movimento della sua bocca, per niente in grado di fermarla. Penso di non esserlo mai stato, soprattutto se Katniss mi baciava in questo modo. "E questo" dice ancora, intensificando il bacio. Si avvicina ancora un po' a me. Porto le braccia sulla sua schiena e la stringo come se da essa dipendesse la mia vita in questo momento.
Dopo un po' la fermo per prendere aria. "Penso di essermi fatto un'idea" è tutto ciò che riesco a dire.
Mi rigiro la perla tra le mani. Quanto vorrei ricordare il momento in cui gliel'ho data. Elimino il pensiero immediatamente. Di solito è proprio quando qualcosa mi ritorna in mente che i flashback tornano a farsi vedere e sentire. All'improvviso tutto diventa confuso, fuori e dentro la mia testa. Immagini dolorose mi passano dietro alle palpebre serrate, urla di ogni genere mi risuonano nelle orecchie. Una specie di sogno in pieno giorno. Poiché dimentico addirittura dove mi trovo, finisco con l'aggrapparmi alla prima cosa che mi capita a tiro per impedire di fare del male a qualcuno. Quel qualcuno è quasi sempre Katniss, visto che ormai si può dire che viviamo nella stessa casa, e lei riesce a calmarmi ogni volta per qualche strano motivo. Non fa nulla di particolare. Semplicemente resta al mio fianco - molto più vicino di quanto io le abbia consigliato di stare - fino alla fine, fino a quando non sciolgo la presa sulla mia testa e le cose tornano lentamente al loro posto.
"Non ti ho mai detto quanto mi dispiace che ti abbiano lasciato nell'arena" soffia Katniss al mio orecchio.
Le accarezzo una guancia. "Non è colpa tua. Se dovevano tirare fuori solo uno di noi, sono contento che sia stata tu". Non so cosa avrei fatto se avessero recuperato me e non Katniss. Probabilmente avrebbero dovuto tenermi anche loro in una cella per impedirmi di andare fino a Capitol City e portarla via. Me l'avrebbero impedito sicuramente, però. E, comunque, non c'era motivo di salvare me. Era Katniss il simbolo della rivoluzione, è grazie a lei che adesso possiamo dirci tutti vivi.
Rimango nella mia espressione seria quando la vedo scuotere la testa. "Com'era?" chiede qualche secondo dopo. Non c'è bisogno che le chieda di cosa sta parlando. "Come hai fatto a... come sei riuscito a...?"
"Sopravvivere?" le corro in aiuto. Lei annuisce e io prendo un bel respiro profondo. "Mi bastava pensarti" Era l'unica cosa che mi ha impedito di impazzire. Se non altro, di non impazzire totalmente.
Katniss sembra allo stesso tempo sorpresa e non sorpresa della mia risposta. In effetti, non riesco a capire cosa sta pensando adesso. So solo che non dovrebbe stupirsi di fronte a certe mie affermazioni. Non più almeno. "A cosa pensavi?" mi chiede sottovoce.
Mi fermo un istante a pensarci. Non alla risposta; quella è pronta. Il problema è che non so se dovrei dirla a lei. "A noi... - mi fermo, quando inizio a sentire caldo - ... non posso dirtelo" Scuoto la testa.
Katniss si accorge che qualcosa non va. Mette una breve distanza tra di noi. "Perché no?" domanda, con un misto di curiosità, preoccupazione e disappunto.
Come mai fa così caldo improvvisamente? "Non è niente di strano, non preoccuparti" la rassicuro. "Solo che non possiamo farlo. Non prima che questa cosa – indico me e poi lei – sia ufficiale" aggiungo, goffamente.
Le guance rosse di Katniss mi fanno intendere che ha capito a cosa mi sto riferendo. Stranamente non mi sento a disagio. Anzi, è stato rincuorante parlargliene. Come le ho detto, non c'è nulla di strano o equivoco con quello che mi passava per la testa in alcuni momenti, ma ho ragione quando dico che non è ancora giunto il momento. Comunque, Katniss non sembra infastidita dalla mia confessione. Infatti, da più l'aria di essere incredula. Faccio per chiederle il motivo, ma lei mi  anticipa. "Non sai quello che dici" inizia, abbassando lo sguardo sulle nostre mani intrecciate. "Non vorresti sposarmi sul serio"
"Si, invece. Più di quanto immagini"

IMPORTANTE: E' giunto il fatidico momento di cui vi avevo parlato in qualche capitolo fa, ovvero il momento in cui mi sarebbe servito il vostro aiuto. Non è un vero e proprio problema, ma penso che sentire pareri altrui sia conveniente. La domanda che vi porgo e di cui vorrei leggere i vostri pareri è: come dovrebbero chiamarsi i cari pargoletti di Peeta e Katniss? Mancano ancora un paio di capitoli fino a quel punto, ma è bene che inizi a buttare qualcosa giù. Probabilmente non li userò nemmeno - ero di quest'idea quando ho pensato per la prima volta ai nomi, visto che la Collins non li ha citati nell'epilogo - ma è buono avere qualcosa per le mani. Spero non vi dispiaccia. A dire il vero, io la trovo un'idea carina. In questo modo la fanfic potrebbe essere un po' mia e un po' vostra.
Ovviamente, le risposte potete inserirle nelle recensioni.
Grazie in anticipo.
  
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