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Autore: Gea_Kristh    08/07/2012    5 recensioni
E' passato un anno dalla fine della guerra, ma la tanto agognata pace non è destinata a durare. In India, una nuova minaccia mette in pericolo quanto di più caro Shaka possieda. La sua terra. La sua gente. I suoi ricordi. Il suo cuore.
Dal primo capitolo:
- Tornerò Raja, te lo prometto.-
Allora lo guardò; e il mare dorato che erano i suoi occhi brillava di lacrime trattenute. Shaka sorrise; non pensò, quando con la mano carezzò piano una guancia arrossata.
- Attenderò il momento in cui potrò rivederti ancora, Shaka. Non dimenticarti di me, io non lo farò.-
Sorrise, e con gesti aggraziati sfilò dal proprio collo una catenina d'oro; la ruota del dharma brillò alla luce del sole. [...]
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti, Virgo Shaka
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Bleeding Sunset'
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Per mesi e mesi questo capitolo è rimasto in parte scritto nel mio computer. Non so perché non riuscissi ad andare avanti, soprattutto considerato che non ho mai avuto dubbi su ciò che avrei dovuto scrivere, ma tant'è...
L'ispirazione sembra essere tornata tutta assieme. Per puro caso ho riaperto il documento con il capitolo incompiuto, e ho sentito che potevo continuare, che potevo andare avanti. Non solo: nemmeno una settimana fa ho iniziato a scrivere una nuova storia originale, la cui idea mi ha colpita tutto insieme - mentre ero sotto la doccia, a dire il vero! XD
Mi scuso tantissimo con i miei lettori per aver atteso così tanto per aggiornare, ma, dico davvero, la voglia di scrivere mi aveva abbandonata. Ora spero che non lo faccia più.

Buona lettura e grazie a tutti,
Gea Kristh


[Hindi]

Bleeding Sunset - Occhi di Tigre
Capitolo 11 - Rituale di Sangue

 – Temi la morte? –

 La voce di Shaka ruppe il silenzio di quel mite primo pomeriggio. Rajani non si voltò nella sua direzione, mentre continuava a spazzolarsi morbidamente i capelli.

 – No, – rispose, dopo una pausa, – temo il futuro, qualora non riuscissi nel mio intento. –

 Avvertì il calore della mano di lui su una spalla, e sospirò, confortata da quel gesto.

 Poche ore… Questo aveva. Poche ore, ed il destino di molti sarebbe stato rivelato.

 Non si accorse di essersi bloccata fin quando Shaka, con gesti gentili, non prese la spazzola dalle sue mani; Rajani si sentì arrossire, quando lui cominciò a passarla con attenzione tra i suoi capelli.

 – Andrà tutto bene, – sussurrò, così vicino al suo orecchio che Rajani si sentì rabbrividire; il fiato di Shaka le solleticava il collo latteo, e lei trattenne il respiro, mentre il cuore le martellava forte in petto.

 Un bacio. Uno solo, proprio lì, dove il suo battito pulsava, impazzito, contro la sottile barriera della sua pelle; Rajani avvertì un brivido correrle lungo la spina dorsale, e chiuse gli occhi. Tutti i suoi muscoli, dapprima tesi dal nervosismo, si erano sciolti, e lei poggiò la schiena sul petto di lui, lasciandosi abbracciare da quel dolce calore.

 

 

 Le ore passarono, lente ed inesorabili. Infine, il momento dei preparativi giunse. Ne fu grata: l’immobilità la uccideva, ed avrebbe accolto calorosamente l’adrenalina in circolo nelle sue vene.

 Con un gesto secco Rajani assicurò le cinghie dei pugnali alle cosce. I pantaloni, di morbida pelle scamosciata, le cingevano in uno stretto abbraccio i fianchi e le gambe; sul busto, il corpetto le lasciava completamente nuda la schiena, come da lei stessa richiesto alla sarta – la tigre di Durga non sarebbe stata contenuta, non quella notte.

 Rajani lo poteva sentire – il tilak, impresso sulla propria pelle, pulsava di vita propria; era come se la tigre stesse tornando lentamente alla vita, preparando gli artigli per la battaglia imminente.

 Sheetal, alle sue spalle, era più silenziosa del solito, mentre le raccoglieva i capelli sul capo, in un’acconciatura abbastanza stretta da non sciogliersi nemmeno nel mezzo della lotta.

 Non parlò. D’altro canto, l’ora delle parole era passata – il sole stava calando: era giunto il momento. Quella notte, in gioco c’era il destino di Varanasi – il destino dell’India intera.

 Il Vajra riposava inerte sul suo cuscino di seta; gli ultimi raggi di sole ne colpivano i rubini, creando un perverso gioco di luci e di ombre rosse in quella piccola stanza altrimenti candida. Sembrava quasi un presagio, pensò Rajani, un presagio raccapricciante di morte e di sangue.

 La tigre, che era parte di lei come il suo corpo stesso, danzava immobile sulla sua pelle. Lei voleva essere liberata – si sentiva intrappolata, in quei confini di carne e di sangue; voleva la battaglia, voleva la vittoria. Rajani lo poteva sentire: il rombo del suo ruggito, basso e roco, era lì, dietro ogni suo pensiero, e rimbombava assordante negli antri più profondi della sua mente.

 Visala entrò nella stanza, silenziosa come uno spirito – era cerea, ma Rajani scelse di non commentare quel pallore. Le porse invece un pugnale, immerso nel suo fodero, e la ragazza lo accettò con un cenno del capo. Rajani pregò che mai avesse causa di estrarlo.

 L’abbigliamento della giovane Sacerdotessa di Sarasvati non era dissimile dal suo: stretti pantaloni di pelle ed una maglia che le lasciava nuda la schiena. I capelli corvini, raccolti sul capo come sua consuetudine, non potevano celare il tilak del cigno, che pareva rifulgere d’argento nell’improvvisa penombra.

 Una scelta comune, una scelta d’orgoglio e di rabbia: ecco cos’era stata quella di denudarsi la schiena per l’imminente battaglia. Accusate di tradimento, costrette all’esilio dalla loro terra natia, avrebbero portato con onore i segni della benevolenza della Devi – una benevolenza che mai, mai avevano avvertito così viva.

 Sheetal stessa si era raccolta i capelli dorati in uno stretto chignon; i suoi lineamenti per la prima volta le erano apparsi duri – o, forse, era la rabbia nei suoi occhi a farla apparire come una guerriera dinnanzi a Rajani.

 Per un istante, un istante soltanto, mentre immergeva le sue iridi d’ambra in quelle turchesi di colei che aveva sempre considerato una sorella, fu certa di udire i sonagli del serpente risuonare nell’aria – e Rajani non pensò nemmeno per un istante di averlo immaginato.

 Fu in religioso silenzio che uscirono infine dalla Sesta Casa.

 Il peso dolce del Vajra era confortevole alla sua cintola – o forse era il suo calore, che pareva penetrarle la carne ed immergersi più giù, in profondità, nei celati anfratti in cui la sua stessa anima fremeva.

 Fu una discesa lenta, perché tra le mani Sheetal portava un pesante vassoio: sopra, disposte ordinatamente, sedevano piccole tazze ed una brocca d’argento. Non aveva detto loro nulla riguardo il suo contenuto, ma Rajani poteva ben immaginare cosa vi fosse all’interno – se non per esperienza, avrebbe trovato rivelatrici le bende attorno al polso destro della donna che era al contempo Sacerdotessa di Lakashimi e Sacerdotessa di Manasa.

 Il cielo già si tingeva di arancio, quando infine l’ultimo dei gradini fu alle loro spalle.

 Davanti alle mura della Casa dell’Ariete, una piccola folla era radunata.  La piccola Yashila fu la prima ad accorgersi della loro presenza, e si fece loro incontro a grandi passi. Rajani le sorrise, chinandosi alla sua altezza per poterla guardare in quegli occhi di tigre, così simili ai suoi.

 – [Mia piccola sorella,] – le mormorò piano, – [questa notte... questa notte torniamo a casa nostra.] –

 Yashila non rispose, ma un sorriso sghembo si aprì sulle sue labbra. Aveva capito. Aveva capito tutto.

 Alzando lo sguardo, fu con sicurezza che incontrò gli occhi scuri dei gemelli. Passò in rassegna ognuno dei presenti, e fu soddisfatta da ciò che vide: forza, coraggio e dedizione.

 Shaka la stava guardando – non con gli occhi, no, ma Rajani avvertiva la sua attenzione su di sé come una calda carezza. Era bello, con l’armatura della Vergine a catturare gli ultimi sparsi raggi di sole, e quell’aria di magnificenza a circondarlo del suo mantello; poteva vedere, al suo collo, la catenina che lei gli aveva donato tanto tempo prima: la ruota del dharma, il simbolo del Buddha – e, per lei, da sempre il simbolo del suo amore per lui.

 - Prima della partenza, c’è ancora qualcosa che dobbiamo fare, - parlò Visala, e la sua voce profonda sembrò rimbombare nell’aria chiusa di quella serata.

 Sheetal annuì, solenne. Si inginocchiò a terra, così fluida ed aggraziata che Rajani dovette sorridere: nemmeno la tensione pareva intaccarla.

 Il vassoio toccò terra con un suono sordo. Fu meticolosa, nel riempire ognuna di quelle piccole tazze d’argento con il liquido rosa contenuto nella brocca – Sheetal sentiva gli sguardi dei presenti su di sé, ma non ne ebbe cura.

 Andava fatto.

 Si risollevò, infine, il vassoio ancora una volta tra le mani. Furono le sue sorelle le prime alle quali lo porse. Rajani prese la tazzina a lei più prossima, chinando il capo in segno di ringraziamento; vide Visala fare lo stesso.

 Ad ognuno di coloro che sarebbero partiti in missione venne presentata una tazzina, ed ognuno di questi accettò – invero, molti non compresero la natura del dono.

 – Cos’è? – Chiese infine Death Mask. Sheetal misurò le parole da dire, ma fu battuta sul tempo.

 Fu la serafica Visala a parlare: – Non porre domande alle quali non desideri ricevere una risposta. –

 Lui si limitò ad una smorfia, ma non commentò oltre.

 – Bevete, – ordinò infine Sheetal, e loro lo fecero.

 Rajani avvertì il liquido scivolare giù per la gola, e, nonostante sapesse cosa attendersi, dovette sforzarsi per non storcere il naso. Il sapore metallico del sangue le permeò la bocca, riportandole alla mente altri tempi, tempi passati, in cui, allieva, aveva spesso assaggiato il sapore del suo stesso sangue.

 Con una punta di ilarità Sheetal osservò le reazioni attorno a lei, ma si impose di rimanere seria – anche quando Death Mask si lanciò in una serie di imprechi non meglio identificati, fulminandola con lo sguardo.

 – Perdonatemi se il mio dono vi ha arrecato fastidio, non era mio desiderio. Consideratelo un piccolo prezzo da pagare, per i benefici delle sue proprietà, – si scusò, una volta placati gli animi. – Non vi salverà la vita, non da solo, ma rallenterà qualsiasi veleno abbastanza a lungo perché io possa sperare di curarvi, in caso di bisogno. Non avrò morti sulla coscienza, non se posso evitarlo. –

 Fu Aphrodite il primo a rivolgerle un cenno col capo, con un mezzo sorriso sulle labbra piene. Lo ricambiò, ringraziandolo mentalmente per la comprensione.

 – Un piccolo prezzo davvero, – assentì anche Camus. I suoi occhi, fissi in quelli di lei, sembravano leggerle l’anima, e Sheetal si trovò ad arrossire e distogliere lo sguardo suo malgrado. Si maledì mentalmente: non poteva perdere la concentrazione, non in un momento così critico. Prese un respiro, chiuse gli occhi, e si impose la calma.

 – Sacerdotessa di Durga, – pronunciò, voltandosi verso l’amica; Rajani le rivolse un cenno d’assenso, e le si fece incontro. – Porgimi le mani. –

 Le presentò i palmi, rivolti al cielo rosso come in segno di preghiera. Si fissarono, per un momento, a pochi passi l’una dall’altra, e non ci fu bisogno di parole. Sheetal estrasse il pugnale dal fodero ancorato alla sua coscia, ed avanzò verso di lei.

 Quando la punta affilata della lama affondò nella sua carne, ed il sangue le riempì i palmi, Rajani non emise alcun suono. Indurì gli occhi, fissi davanti a lei, senza mai chinare il capo.

 Surakṣā. Protezione.

 Sheetal l’incise con riverenza e minuzia su un palmo, poi sull’altro. La lama, dal filo perfetto, scorreva fluidamente sulla pelle della Sacerdotessa di Durga, tagliando in profondità; il sangue gocciava a terra, copioso, sporcando d’amaranto il marmo bianco del tempio. Quando infine terminò la sua opera, Sheetal esalò un profondo respiro, e sorrise. Baciò la lama, poi la fronte dell’amica immobile. E, sotto gli occhi di quel tramonto greco, la Devi rispose all’appello: i tagli si chiusero, la pelle assorbì il sangue – quella parola, però, sarebbe rimasta incisa in lei, impressa nel suo spirito grazie alla benedizione di Lakashimi.

 Dhan'yavāda, – mormorò, puntando i suoi occhi di tigre in quelli turchesi della bionda.

[Grazie]

 Sheetal sorrise, e lei dovette ricambiarla. Le strinse forte la mano, grata davvero di non essere sola.

 Spostò lo sguardo su Visala, che già le si faceva incontro, altera ed impassibile. Tra le mani, la giovane Sacerdotessa di Sarasvati aveva un pugnale, che le offrì silenziosamente; Rajani l’accettò, e non per errore lo afferrò dalla lama: non esitò nello stringerla tra le dita, con forza, anche quando avvertì l’acciaio penetrare la barriera della pelle – per la seconda volta, quella sera, sangue fresco macchiò il candido pavimento del tempio di Atena.

 – Porgimi le braccia, – richiese la mora, e la sua voce era profonda e cupa, più di quanto non lo fosse mai stata.

 Rajani eseguì l’ordine, lasciando che il pugnale insanguinato cadesse a terra. Con le dita Visala raccolse il fluido amaranto dalle sue mani, e con estenuante lentezza dipinse lungo i suoi avambracci: Majabūra, Forza, e Bhāvanā, Spirito. Le porse infine la mano destra, quella che aveva utilizzato per scrivere, e Rajani si chinò per posare un bacio sulla punta delle sue dita.

 Come era accaduto solo pochi minuti prima, la sua pelle assorbì il sangue, che parve ribollire e poi svanire, lasciando in sua vece solo pallide scie. Le mani della rossa, di nuovo intatte, strinsero con forza quelle della mora. – Dhan'yavāda, – le disse.

 I Rakta anuṣṭhāna, i rituali di sangue, erano stati compiuti. Non era più sola, nemmeno nella sua stessa pelle: sentiva i flussi delle loro energie, i flussi delle energie delle sue sorelle, intrecciarsi al proprio – e finché fosse durato, finché avesse camminato nella luce non più di Durga solamente, ma di Lakashimi, e di Manasa, e di Sarasvati, allora non avrebbe potuto temere per il futuro – il caldo tepore della luce divina glielo impediva.

 Quello era il Legame, uno dei grandi doni della Devi alle sue Sacerdotesse.

 Rajani alzò lo sguardo al cielo, e respirò a pieni polmoni. Il sole era calato.

 – Il momento della resa dei conti è infine giunto. Andiamo. –

   
 
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