L'ispirazione sembra essere tornata tutta assieme. Per puro caso ho riaperto il documento con il capitolo incompiuto, e ho sentito che potevo continuare, che potevo andare avanti. Non solo: nemmeno una settimana fa ho iniziato a scrivere una nuova storia originale, la cui idea mi ha colpita tutto insieme - mentre ero sotto la doccia, a dire il vero! XD
Mi scuso tantissimo con i miei lettori per aver atteso così tanto per aggiornare, ma, dico davvero, la voglia di scrivere mi aveva abbandonata. Ora spero che non lo faccia più.
Buona lettura e grazie a tutti,
Gea Kristh
[Hindi]
– Temi la morte?
–
La voce di Shaka ruppe il
silenzio di quel
mite primo pomeriggio. Rajani non si voltò nella sua
direzione, mentre
continuava a spazzolarsi morbidamente i capelli.
– No, –
rispose, dopo una pausa, – temo il
futuro, qualora non riuscissi nel mio intento. –
Avvertì il calore
della mano di lui su una
spalla, e sospirò, confortata da quel gesto.
Poche ore… Questo
aveva. Poche ore, ed il
destino di molti sarebbe stato rivelato.
Non si accorse di essersi
bloccata fin quando
Shaka, con gesti gentili, non prese la spazzola dalle sue mani; Rajani
si sentì
arrossire, quando lui cominciò a passarla con attenzione tra
i suoi capelli.
– Andrà
tutto bene, – sussurrò, così vicino al
suo orecchio che Rajani si sentì rabbrividire; il fiato di
Shaka le solleticava
il collo latteo, e lei trattenne il respiro, mentre il cuore le
martellava
forte in petto.
Un bacio. Uno solo, proprio
lì, dove il suo
battito pulsava, impazzito, contro la sottile barriera della sua pelle;
Rajani
avvertì un brivido correrle lungo la spina dorsale, e chiuse
gli occhi. Tutti i
suoi muscoli, dapprima tesi dal nervosismo, si erano sciolti, e lei
poggiò la
schiena sul petto di lui, lasciandosi abbracciare da quel dolce calore.
Le ore passarono, lente ed
inesorabili.
Infine, il momento dei preparativi giunse. Ne fu grata:
l’immobilità la
uccideva, ed avrebbe accolto calorosamente l’adrenalina in
circolo nelle sue
vene.
Con un gesto secco Rajani
assicurò le cinghie
dei pugnali alle cosce. I pantaloni, di morbida pelle scamosciata, le
cingevano
in uno stretto abbraccio i fianchi e le gambe; sul busto, il corpetto
le
lasciava completamente nuda la schiena, come da lei stessa richiesto
alla sarta
– la tigre di Durga non sarebbe stata contenuta, non quella
notte.
Rajani lo poteva sentire
– il tilak, impresso
sulla propria pelle,
pulsava di vita propria; era come se la tigre stesse tornando
lentamente alla
vita, preparando gli artigli per la battaglia imminente.
Sheetal, alle sue spalle,
era più silenziosa
del solito, mentre le raccoglieva i capelli sul capo, in
un’acconciatura
abbastanza stretta da non sciogliersi nemmeno nel mezzo della lotta.
Non parlò.
D’altro canto, l’ora delle parole
era passata – il sole stava calando: era giunto il momento.
Quella notte, in
gioco c’era il destino di Varanasi – il destino
dell’India intera.
Il Vajra riposava inerte sul
suo cuscino di
seta; gli ultimi raggi di sole ne colpivano i rubini, creando un
perverso gioco
di luci e di ombre rosse in quella piccola stanza altrimenti candida.
Sembrava
quasi un presagio, pensò Rajani, un presagio raccapricciante
di morte e di
sangue.
La tigre, che era parte di
lei come il suo
corpo stesso, danzava immobile sulla sua pelle. Lei voleva
essere liberata – si sentiva intrappolata, in quei confini
di carne e di sangue; voleva la battaglia, voleva la vittoria. Rajani
lo poteva
sentire: il rombo del suo ruggito, basso e roco, era lì,
dietro ogni suo
pensiero, e rimbombava assordante negli antri più profondi
della sua mente.
Visala entrò
nella stanza, silenziosa come uno
spirito – era cerea, ma Rajani scelse di non commentare quel
pallore. Le porse
invece un pugnale, immerso nel suo fodero, e la ragazza lo
accettò con un cenno
del capo. Rajani pregò che mai avesse causa di estrarlo.
L’abbigliamento
della giovane Sacerdotessa di
Sarasvati non era dissimile dal suo: stretti pantaloni di pelle ed una
maglia
che le lasciava nuda la schiena. I capelli corvini, raccolti sul capo
come sua
consuetudine, non potevano celare il tilak
del cigno, che pareva rifulgere d’argento
nell’improvvisa penombra.
Una scelta comune, una
scelta d’orgoglio e di
rabbia: ecco cos’era stata quella di denudarsi la schiena per
l’imminente
battaglia. Accusate di tradimento, costrette all’esilio dalla
loro terra natia,
avrebbero portato con onore i segni della benevolenza della Devi
– una
benevolenza che mai, mai avevano avvertito così viva.
Sheetal stessa si era
raccolta i capelli
dorati in uno stretto chignon; i suoi lineamenti per la prima volta le
erano
apparsi duri – o, forse, era la rabbia nei suoi occhi a farla
apparire come una
guerriera dinnanzi a Rajani.
Per un istante, un istante
soltanto, mentre
immergeva le sue iridi d’ambra in quelle turchesi di colei
che aveva sempre
considerato una sorella, fu certa di udire i sonagli del serpente
risuonare
nell’aria – e Rajani non pensò nemmeno
per un istante di averlo immaginato.
Fu in religioso silenzio che
uscirono infine
dalla Sesta Casa.
Il peso dolce del Vajra era
confortevole alla
sua cintola – o forse era il suo calore, che pareva
penetrarle la carne ed
immergersi più giù, in profondità, nei
celati anfratti in cui la sua stessa
anima fremeva.
Fu una discesa lenta,
perché tra le mani
Sheetal portava un pesante vassoio: sopra, disposte ordinatamente,
sedevano
piccole tazze ed una brocca d’argento. Non aveva detto loro
nulla riguardo il
suo contenuto, ma Rajani poteva ben immaginare cosa vi fosse
all’interno – se
non per esperienza, avrebbe trovato rivelatrici le bende attorno al
polso
destro della donna che era al contempo Sacerdotessa di Lakashimi e
Sacerdotessa
di Manasa.
Il cielo già si
tingeva di arancio, quando
infine l’ultimo dei gradini fu alle loro spalle.
Davanti alle mura della Casa
dell’Ariete, una
piccola folla era radunata. La
piccola
Yashila fu la prima ad accorgersi della loro presenza, e si fece loro
incontro
a grandi passi. Rajani le sorrise, chinandosi alla sua altezza per
poterla
guardare in quegli occhi di tigre, così simili ai suoi.
– [Mia piccola
sorella,] – le mormorò piano, –
[questa notte... questa notte torniamo a casa nostra.] –
Yashila non rispose, ma un
sorriso sghembo si
aprì sulle sue labbra. Aveva capito. Aveva capito tutto.
Alzando lo sguardo, fu con
sicurezza che
incontrò gli occhi scuri dei gemelli. Passò in
rassegna ognuno dei presenti, e
fu soddisfatta da ciò che vide: forza, coraggio e dedizione.
Shaka la stava guardando
– non con gli occhi,
no, ma Rajani avvertiva la sua attenzione su di sé come una
calda carezza. Era
bello, con l’armatura della Vergine a catturare gli ultimi
sparsi raggi di
sole, e quell’aria di magnificenza a circondarlo del suo
mantello; poteva vedere,
al suo collo, la catenina che lei gli aveva donato tanto tempo prima:
la ruota
del dharma, il simbolo del Buddha – e, per lei, da sempre il
simbolo del suo
amore per lui.
- Prima della partenza,
c’è ancora qualcosa
che dobbiamo fare, - parlò Visala, e la sua voce profonda
sembrò rimbombare
nell’aria chiusa di quella serata.
Sheetal annuì,
solenne. Si inginocchiò a
terra, così fluida ed aggraziata che Rajani dovette
sorridere: nemmeno la
tensione pareva intaccarla.
Il vassoio toccò
terra con un suono sordo. Fu
meticolosa, nel riempire ognuna di quelle piccole tazze
d’argento con il
liquido rosa contenuto nella brocca – Sheetal sentiva gli
sguardi dei presenti
su di sé, ma non ne ebbe cura.
Andava fatto.
Si risollevò,
infine, il vassoio ancora una
volta tra le mani. Furono le sue sorelle le prime alle quali lo porse.
Rajani
prese la tazzina a lei più prossima, chinando il capo in
segno di
ringraziamento; vide Visala fare lo stesso.
Ad ognuno di coloro che
sarebbero partiti in
missione venne presentata una tazzina, ed ognuno di questi
accettò – invero,
molti non compresero la natura del dono.
–
Cos’è? – Chiese infine Death Mask.
Sheetal misurò
le parole da dire, ma fu battuta sul tempo.
Fu la serafica Visala a
parlare: – Non porre
domande alle quali non desideri ricevere una risposta. –
Lui si limitò ad
una smorfia, ma non commentò
oltre.
– Bevete,
– ordinò infine Sheetal, e loro lo
fecero.
Rajani avvertì il
liquido scivolare giù per la
gola, e, nonostante sapesse cosa attendersi, dovette sforzarsi per non
storcere
il naso. Il sapore metallico del sangue le permeò la bocca,
riportandole alla
mente altri tempi, tempi passati, in cui, allieva, aveva spesso
assaggiato il
sapore del suo stesso sangue.
Con una punta di
ilarità Sheetal osservò le
reazioni attorno a lei, ma si impose di rimanere seria –
anche quando Death
Mask si lanciò in una serie di imprechi non meglio
identificati, fulminandola
con lo sguardo.
– Perdonatemi se
il mio dono vi ha arrecato
fastidio, non era mio desiderio. Consideratelo un piccolo prezzo da
pagare, per
i benefici delle sue proprietà, – si
scusò, una volta placati gli animi. – Non
vi salverà la vita, non da solo, ma rallenterà
qualsiasi veleno abbastanza a
lungo perché io possa sperare di curarvi, in caso di
bisogno. Non avrò morti
sulla coscienza, non se posso evitarlo. –
Fu Aphrodite il primo a
rivolgerle un cenno
col capo, con un mezzo sorriso sulle labbra piene. Lo
ricambiò, ringraziandolo mentalmente
per la comprensione.
– Un piccolo
prezzo davvero, – assentì anche
Camus. I suoi occhi, fissi in quelli di lei, sembravano leggerle
l’anima, e
Sheetal si trovò ad arrossire e distogliere lo sguardo suo
malgrado. Si maledì
mentalmente: non poteva perdere la concentrazione, non in un momento
così
critico. Prese un respiro, chiuse gli occhi, e si impose la calma.
– Sacerdotessa di
Durga, – pronunciò,
voltandosi verso l’amica; Rajani le rivolse un cenno
d’assenso, e le si fece
incontro. – Porgimi le mani. –
Le presentò i
palmi, rivolti al cielo rosso
come in segno di preghiera. Si fissarono, per un momento, a pochi passi
l’una
dall’altra, e non ci fu bisogno di parole. Sheetal estrasse
il pugnale dal
fodero ancorato alla sua coscia, ed avanzò verso di lei.
Quando la punta affilata
della lama affondò
nella sua carne, ed il sangue le riempì i palmi, Rajani non
emise alcun suono.
Indurì gli occhi, fissi davanti a lei, senza mai chinare il
capo.
Surakṣā.
Protezione.
Sheetal l’incise
con riverenza e minuzia su un
palmo, poi sull’altro. La lama, dal filo perfetto, scorreva
fluidamente sulla
pelle della Sacerdotessa di Durga, tagliando in profondità;
il sangue gocciava
a terra, copioso, sporcando d’amaranto il marmo bianco del
tempio. Quando
infine terminò la sua opera, Sheetal esalò un
profondo respiro, e sorrise.
Baciò la lama, poi la fronte dell’amica immobile.
E, sotto gli occhi di quel
tramonto greco, la Devi rispose all’appello: i tagli si
chiusero, la pelle
assorbì il sangue – quella parola,
però, sarebbe rimasta incisa in lei,
impressa nel suo spirito grazie alla benedizione di Lakashimi.
– Dhan'yavāda,
– mormorò, puntando i suoi occhi di tigre in
quelli turchesi della bionda.
[Grazie]
Sheetal sorrise, e lei
dovette ricambiarla. Le
strinse forte la mano, grata davvero di non essere sola.
Spostò lo sguardo
su Visala, che già le si
faceva incontro, altera ed impassibile. Tra le mani, la giovane
Sacerdotessa di
Sarasvati aveva un pugnale, che le offrì silenziosamente;
Rajani l’accettò, e
non per errore lo afferrò dalla lama: non esitò
nello stringerla tra le dita,
con forza, anche quando avvertì l’acciaio
penetrare la barriera della pelle –
per la seconda volta, quella sera, sangue fresco macchiò il
candido pavimento
del tempio di Atena.
– Porgimi le
braccia, – richiese la mora, e la
sua voce era profonda e cupa, più di quanto non lo fosse mai
stata.
Rajani eseguì
l’ordine, lasciando che il
pugnale insanguinato cadesse a terra. Con le dita Visala raccolse il
fluido
amaranto dalle sue mani, e con estenuante lentezza dipinse lungo i suoi
avambracci: Majabūra, Forza, e Bhāvanā, Spirito. Le porse infine la
mano destra, quella che aveva utilizzato per scrivere, e Rajani si
chinò per posare
un bacio sulla punta delle sue dita.
Come era accaduto solo pochi
minuti prima, la
sua pelle assorbì il sangue, che parve ribollire e poi
svanire, lasciando in
sua vece solo pallide scie. Le mani della rossa, di nuovo intatte,
strinsero con
forza quelle della mora. – Dhan'yavāda,
– le disse.
I Rakta
anuṣṭhāna, i rituali di sangue, erano stati compiuti. Non era
più sola,
nemmeno nella sua stessa pelle: sentiva i flussi delle loro energie, i
flussi
delle energie delle sue sorelle, intrecciarsi al proprio – e
finché fosse
durato, finché avesse camminato nella luce non
più di Durga solamente, ma di Lakashimi,
e di Manasa, e di Sarasvati, allora non avrebbe potuto temere per il
futuro – il
caldo tepore della luce divina glielo impediva.
Quello era il Legame, uno
dei grandi doni
della Devi alle sue Sacerdotesse.
Rajani alzò lo
sguardo al cielo, e respirò a
pieni polmoni. Il sole era calato.
– Il momento della
resa dei conti è infine
giunto. Andiamo. –