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Autore: xlairef    29/07/2012    2 recensioni
“Lascialo andare! Ha pagato a sufficienza!”
“Secondo i termini della nostra scommessa, la sua anima mi appartiene.” Replicò il dio della morte in tono cattedratico.
“Meg! Salvami!”
“Ti supplico… Farò qualunque cosa, qualsiasi cosa…” Sussurrò Meg, piangendo.
Ade alzò la mano, e l’avvoltoio si fermò.
“Qualunque? Specifica.” Chiese.
La ragazza trattenne il respiro, poi disse, con voce ferma: “Prendi me al suo posto.”
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 3  Niente da perdere
 
                                                                                                                                       I'm freaking out, where am I now?
                                                                                                                                 Upside down and I can't stop it now
                                                                                                                                 Can't stop me now, oh oh
 
Erano ormai trascorsi dieci giorni dalla scomparsa di Hyperion. Nonostante la mancanza di un cadavere, la famiglia aveva deciso di allestire comunque una pira funebre e una cerimonia, a cui avevano partecipato tutti i cittadini di Corinto. Per tutto il tempo Meg era rimasta silenziosa, gli occhi spenti, le mani lungo i fianchi, il volto immobile.
“Povera ragazza…” Avevano commentato le prefiche, venute per aggiungere le loro lacrime a quelle dei parenti. “Alla viglia del matrimonio… Una vera tragedia.” E avevano coscienziosamente spremuto i loro occhi e alzato il tono dei loro lamenti.
“Si dice che ora sia rimasta sola.” Sussurravano i vecchi al governo. “Il padre è morto, ed era un uomo benestante.”
“Finora era tutto intestato ad Hyperion, come futuro sposo…”
“E tutti sanno che le donne non possono ereditare.”
La pira arse per una notte intera, assieme agli oggetti che erano appartenuti ad Hyperion.
“Ben le sta.” Borbottò Tersicore. “Se non avesse avuto tanta fretta di abbandonare le amiche per entrare nell’alta società…”
Cleone scosse il capo. “Le kyrie della casa di Hyperion non avrebbero tollerato le nostre umili origini. Lo ha fatto per lui, per Hyperion.”
“E anche se fosse? Non per questo è meno in torto. Guarda poi come l’ha ripagata Hyperion: facendosi ammazzare dal dio della morte.”
Ad uno ad uno gli spettatori se ne andarono.
Meg rimaneva in silenzio, come se quella pira, oltre che ai ricordi di Hyperion, stesse consumando anche la sua stessa anima.
 
Fu solo all’alba che le ultime fiamme si spensero sfrigolando con le prime gocce di rugiada. Meg si riscosse, gettò un ultimo sguardo alla catasta di legna, ormai in cenere, e mosse i passi verso casa. Percorse le strette strade, ancora deserte, che l’avrebbero condotta alla dimora di famiglia e quasi inciampò su uno dei bambini che litigavano in mezzo alla strada.
“… Ma l’altro era più grosso, per cui… Ehi! Signora!” Da qualche parte molto lontana della mente di Meg, una parte di lei si chiese che cosa ci facessero fuori a quell’ora i due bambini del giorno del duello. “Solo perché sei più alta di noi non credere che la strada sia solo tua!”
“Chiedo scusa.” La voce spenta della ragazza rispose in automatico, mentre lei continuava a camminare verso casa.
Come attratti da quella che ritenevano una stranezza inconcepibile, i due bambini smisero di litigare e la seguirono.
“Signora? Perché hai quella faccia lunga?” Chiese quello magro. “Vuoi giocare con noi?”
“Scemo!” Intervenne l’altro. “Non la riconosci? E’ la moglie di quel soldato!”
“Ah! La moglie del nuovo schiavo di Ade?” Esclamò il bambino, incapace di trattenersi.
A quelle parole, Meg si volse di scatto. “Come avete detto?” Chiese, furiosa. Con un gesto rapido, afferrò entrambi i bambini per la collottola e li alzò all’altezza dei propri occhi. “I mocciosi come voi dovrebbero essere a dormire a quest’ora, invece di insultare la memoria dei morti.”
Con un rumore secco i due si contorsero, rivelando le loro vere sembianze.
“Che ne dici ora, dolcezza?” Le chiese Panico, sorridendo con tutti i suoi denti affilati.
Senza un battito di ciglia, Meg li scaraventò sul bordo della strada.
“Mi ha fatto male!” Esclamò Pena, incredulo.
“E te ne farò ancora se non sparisci subito dalla mia vista, mostriciattolo!” Sibilò Meg. Senza aggiungere altro, come se incontrare demoni dell’Ade all’alba per le strade di Corinto fosse un evento irrilevante, girò le spalle e proseguì verso casa.
 
Purtroppo una sgradevole sorpresa era lì ad attenderla.
Una schiera di servitori, mai visti prima, stava entrando ed uscendo dall’atrio della sua casa. Mobili vecchi e usurati dal tempo e dall’uso venivano scaraventati fuori dalle finestre, infrangendosi al suolo, dove i resti rimanevano ad adornare il giardino.
Meg abbandonò la sua apatia. “Che cosa sta succedendo?” Chiese incredula ad uno dei servi, il quale la ignorò e continuò ad abbattere un antico ulivo cresciuto al centro del patio. “Fermo! Questa è la mia casa, non osare…”
“La tua casa?” Una voce conosciuta si fece largo tra le file dei servitori. “Meg, mia cara, credo tu non sia aggiornata sugli ultimi avvenimenti di cronaca mondana.” Damocle uscì da una delle stanza.
“Damocle?” Meg non capiva. “Che cosa ci fai qui?” Indicò con una mano lo scempio attorno a lei. “Che cosa sta succedendo alla mia casa?”
“E’ proprio questo il punto, tesoro. Non è più la tua casa: adesso appartiene a me. Gli anziani hanno deciso di indagare più approfonditamente nella genealogia di tuo padre.” La bloccò Damocle, lustrandosi le unghie. “E, grande scoperta: un erede esisteva: me.”
“Non è possibile!”
Damocle le si avvicinò, per sussurrarle all’orecchio: “Sai, forse potresti aver ragione: forse, una serie di borse d’oro asiatico, passate di mano in mano, potrebbe aver avuto la giusta influenza sulla questione… Forse, la morte del mio migliore amico mi ha talmente sconvolto da portarmi a decidere di ritirarmi dall’esercito, e di metter su casa…”
“Bastardo.”
L’uomo rise. “Suvvia, mia cara, non serve essere scortesi. Pensa piuttosto alle migliorie che ho in programma di apportare alla tua ex-casa. Tutto secondo l’ultima moda. E tu, Meg, potresti essere al mio fianco per ammirare la mia saggezza in queste cose. Anzi.” Rifletté ad alta voce, prendendo il mento di Meg tra le dita. “Ora che ricordo, tu dovrai essere al mio fianco, se non vuoi finire in mezzo alla strada. Altrimenti… Dicono che non lontano da qui ci sia un tempio ad Afrodite Punica, particolarmente frequentato dai viaggiatori: potresti rifugiarti lì…”
Il suono di uno schiaffo, secco e preciso, risuonò sopra ogni altro rumore. I servi si fermarono, ammutoliti.
Damocle si massaggiò la guancia, irato. “Piccola selvaggia. Prendetela!” Ordinò ai servitori e alle guardie. “Che sia portata davanti agli anziani per aver insultato gravemente il nuovo membro del Consiglio!”
Un paio di servi robusti si precipitarono su Meg, che non stette ad aspettarli. Con uno scatto guadagnò l’uscita, assestò un calcio all’inguine del più veloce dei due, e rapidamente scomparì per le strade di Corinto.
 
Corse finché non le parve che il cuore le scoppiasse nel petto e le gambe divenissero molli. Alla fine si ritrovò nel bosco di Artemide, ed esausta, si lasciò cadere a terra, appoggiando la schiena ad un tronco spezzato.  Non aveva più una casa, una famiglia. Riusciva solo a pensare ad Hyperion, a quel maledetto duello che aveva distrutto le loro vite, in modi diversi. Le lacrime riempirono i suoi occhi, per la prima volta dalla morte di Hyperion, e finalmente Meg scoppiò in singhiozzi, e per lungo tempo pianse.
 “Le lacrime non ti saranno di nessun aiuto, ragazza mia.”
“Euriclea!” Si sorprese la ragazza, e si alzò, mentre la vecchia nutrice arrancava faticosamente tra il sottobosco, sorretta da un uomo a lei sconosciuto.
“E chi altri? La dea Atena in persona forse?” Brontolò Euriclea, sedendosi pesantemente sul tronco spezzato. “Dei immortali, Meg, quando piangi potrebbero sentirti fino alle Colonne d’Ercole. E’ un miracolo che non ti abbiano sentita i lupi.”
 “Io, non…” Provò a replicare Meg, ma senza vigore. “Lasciate che mi prendano, allora. Non mi resta più nulla.”
Euriclea si alzò, e, senza preavviso, abbatté il suo bastone sulla schiena di Meg.
“Sciocca.” Disse quietamente, mentre la ragazza si rialzava da terra. “Non sei più la ragazza che ho allevato. Che cosa avrei dovuto fare io, allora, quando mio marito e mio figlio morirono nella guerra contro Tebe, decenni fa? Farmi ardere sulla pira?” Commentò aspramente. “Le donne non dovrebbero perdere se stesse per un uomo. Soprattutto per certi uomini.”
“Lui era diverso!” Urlò Meg. “Darei tutta la mia vita per averlo di nuovo qui un solo giorno, una sola ora!” Scoppiò a piangere. “Lui era tutto per me. Farei qualunque cosa.”
Medamos era rimasto a guardare la scena: in quel momento fu colpito da un pensiero improvviso. Ad Euriclea non sfuggì il cambiamento impercettibile della sua espressione. “Uomo senza nome.” Lo chiamò. “A cosa stai pensando?” Il suo fu un ordine, al quale nemmeno Medamos pensò di trasgredire. Si rivolse direttamente a Meg.
“Lo ami davvero così tanto da fare qualunque cosa per salvarlo?” Chiese a bassa voce.
“Qualsiasi cosa.”
Medamos parve riflettere per alcuni minuti, come combattuto tra due diverse scelte. Infine parlò. “Allora, l’unico modo per farlo è scendere nell’Ade.”
Le due donne lo guardarono incredule. “Credo tu abbia bisogno di dormire, viandante.” Disse Euriclea.
“E’ impossibile scendere nell’Ade, a meno di essere morti!”
“Non sarebbe una cattiva idea.” Mormorò Meg, senza essere udita.
“E’ già stato fatto, un tempo. Orfeo si recò nell’Ade per ottenere l’anima della sua sposa Euridice.”
“E’ solo una leggenda che si racconta ai bambini la sera.” Meg scosse il capo.
 “No Esiste davvero.” Medamos fissò Meg. “Ma si tratta di un viaggio pericoloso. Saresti nel territorio di Ade, e non potresti contare che sulle tue forze. Potresti rimanere ferita. Potresti non ritornare mai più nel mondo dei vivi.”
Euriclea intervenne. “Meg, non farlo. Puoi fuggire con me, a Sparta, l’unico posto in tutta la Grecia dove le donne hanno ancora qualche libertà: ho una nipote che si prenderà buona cura di noi. Ero venuta a cercarti per questo, in effetti.” Si accigliò: sembrava che la situazione le fosse sfuggita di mano.
Ma Meg, illuminata dalla speranza, non la stava ascoltando. “Tu sai dov’è l’entrata al regno dei morti?” Si aggrappò con furia alle vesti di Medamos. “Ti prego, dimmelo!”
L’uomo la allontanò gentilmente. “E’ incredibile…” Mormorò tra sé. “Quello che può fare l’amore…” Scosse la testa, scacciando il pensiero.
“Ti guiderò fin lì.”
 
Camminarono a lungo, nella foresta. Infine giunsero ad un crepaccio nel fianco del monte. Le pietre formavano una scala naturale verso l’interno buio del baratro.
“E’ qui.” Medamos si fermò. “Alla fine di queste scale troverai una galleria, che porta dritta alla piana dell’Acheronte, sorvegliata da Cerbero. Dovrai superarlo, e passare il fiume senza domandare l’aiuto di Caronte, il traghettatore delle anime. Il resto è ignoto anche a me.”
“Pensavo avessi viaggiato ovunque.” Criticò Euriclea.
“La morte è un mistero che nemmeno i più saggi possono svelare.”
Meg guardò verso il fondo del baratro, e involontariamente i suoi piedi indietreggiarono.
“Sei ancora in tempo per tornare indietro con me.” Le sussurrò Euriclea. “Bambina mia, non farlo: non ne vale la pena.”
Meg gettò indietro i capelli sciolti, e li legò con un nastro. “Addio.” Sussurrò alla vecchia nutrice. “Madre.”
Medamos le porse un ciondolo argenteo. “Tieni.” Meg lo afferrò: al centro del gioiello una civetta la osservava con pupille sgranate. “Dovrebbe proteggerti dall’influenza di Ade.”
La ragazza lo squadrò attentamente. “Non so chi tu sia, straniero, ma ti sono debitrice. Grazie.”
“Non ringraziarmi.” Il viandante esitò, poi aggiunse. “Non posso accompagnarti nel tuo viaggio: non mi è consentito varcare le soglie del regno dei morti. Tuttavia, ascolta questo povero pazzo.” Scosse la testa, non capacitandosi della sua follia, e proseguì. “Se, per caso, mentre sarai alla ricerca del tuo Hyperion, ti capitasse di incontrare un uomo, non molto alto…” Medamos parve riportare con fatica alla mente il volto di qualcuno. “Non particolarmente attraente, ma intelligente, e maestro nell’arte della retorica…” Si interruppe.
“Gli porterò i tuoi saluti.” Concluse Meg per lui. “Qual è il suo nome?”
“No!” Scattò Medamos. “Non parlargli di me. Non dovrà nemmeno sapere che mi hai incontrato. Se tornerai in superficie, vorrei solo sapere da te se, dovunque egli si trovi, sia felice.” Sospirò. “Se lo incontrerai, capirai da sola che è lui. Mi basta questo per saldare il nostro debito.”
Euriclea aveva osservato attentamente Medamos. Si avvicinò a Meg per un ultimo abbraccio. “Sii cauta, Meg.”
“Tornerò con lui, te lo prometto.”
“A me basterà rivederti di nuovo.”
Le due donne si staccarono. La più vecchia indietreggiò, lontano dal dirupo, mentre la più giovane, senza voltarsi, iniziava la sua discesa nell’oscurità.
“Io credo che tu sappia dell’amore molto più di quel che ritieni.” Euriclea osservava Meg scendere lentamente per le lastre di pietra irregolari.
Medamos non si girò verso di lei, ma sul suo viso comparve un debole sorriso ironico. “E tu sembri sapere molto più di quel che dovresti.”
“E’ il privilegio dell’età.”
“Amore…” Mormorò Medamos, gli occhi fissi su Meg. “E’ completamente diverso dalla ragione. La ragione non conosce amore. Può solo… Immaginarlo.”
La testa di Meg scomparve nel buio.
 
                                                                                                                                 Can't stop me now, oh oh
Note al capitolo: Afrodite Punica: dea delle prostitute (a quanto ricordo…)
                                   Prefiche: donne pagate per piangere ai funerali
                                   Orfeo: eccezionale suonatore di lira, andò nell’Ade a riprendere l’anima della defunta             
                                                   sposa Euridice
  
  
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