Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Guido    13/02/2007    3 recensioni
Ormai è ufficiale: Voldemort è tornato. Il Mondo Magico si prepara per la guerra. Harry è ancora alle prese con la morte di Sirius, da cui solo Ginny lo riesce a distrarre. Invece, Draco Malfoy diventa un Mangiamorte, ma le cose non vanno come sognava: ben presto, deve capire se Voldemort lo voglia morto e se suo padre stia tradendo, ma non può più fidarsi neppure della sua stessa memoria. Mentre gli avvenimenti incalzano, i due arcinemici di Hogwarts intrecciano una corrispondenza che avrà conseguenze profonde per entrambi...
NOTA: l'OOC è cautelativo, ma un po' tutti i personaggi si trovano a manifestare lati del loro carattere poco visibili nel canone
Genere: Angst, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Da Mangiamorte a...'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PROLOGO. PARTE SECONDA.

Prologo. parte seconda.



Ringraziamenti:
Natalie_S: Scusa per la lunga attesa, ma, come puoi vedere, non sono rimasto inoperoso, durante questi lunghi mesi. Il Decreto in Latino ti è piaciuto? Attenta, potrei essere tentato di fare il bis!
Rico: Meno male che ho diviso il cap. in due parti, perchè temo che anche questa non scherzi, quanto a complessità!
Mariademolay: Quanto al ragionamento di Griselda, sarei molto curioso di conoscere i tuoi dubbi; alle altre osservazioni risponde, a mio avviso, proprio questa seconda parte del Prologo; per lo più, in termini di condivisione.



Si incontrarono al Primo Livello, all’uscita dall’ascensore.
«Ministro,» si inchinò Silente.
«Chiamami Amelia» ribatté la donna, in tono neutro. «Lavoriamo insieme da troppi anni per perdere ancora tempo con i titoli, Albus.»
«Molto bene, Amelia. Per prima cosa, vorrei congratularmi con te.»
«Per la nuova carica? Grazie, ma penso che finirò per lasciarci la pelle.»
«Davvero?» Silente tacque, come pensieroso, e restarono in silenzio finché non giunsero all’ufficio. Rufus li aspettava sulla soglia.
«Silente» salutò, con un cenno del capo.
«Scrimgeour» rispose il Preside, con lo stesso contegno circospetto.
Entrarono e sedettero.
Imponendosi tutta la circospezione possibile, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia, si eresse sullo schienale, alzando gli occhi ad incontrare le penetranti iridi azzurre di Silente.
«Molto bene, Albus,» esordì. «Hai già ricevuto le mie scuse personali per il modo indegno in cui il mio predecessore e tutta la precedente Amministrazione ti hanno trattato. Inoltre, sei stato reintegrato in tutte le tue cariche ed onorificenze e questo – gli passò un rotolo di pergamena attraverso la scrivania – è il Decreto Didattico Numero Trenta, firmato oggi, con cui sopprimo la carica di Inquisitore Supremo. Hogwarts tornerà ad essere governata secondo le consuetudini di sempre.»
Gli occhi scintillarono, divertiti, forse soddisfatti, mentre il vecchio Preside scorreva il foglio; poi, con un secco cenno del capo, lo ripose nella cartella. «Ti ringrazio, Amelia. Questo Decreto era molto atteso.»
«Non ne dubito. Dunque dimmi: possiamo lasciarci alle spalle le incomprensioni di prima?»
Albus sorrise. «Amelia, carissima, tra noi non ce n’è stata neanche una; e Cornelius se le è create da solo. Posso assicurarti che non ho mai provato rancore nei confronti del Ministero.»
«Molto bene. Perché il Ministero ha bisogno di te.»
Nel breve silenzio che seguì, si udì chiaramente Rufus che digrignava i denti.
Lo sguardo di Silente appariva assorto, mentre si accarezzava la barba, come a cercarvi qualche segreto recondito. «Il Ministero ritiene di aver bisogno di me?»
Il Ministro non si lasciò ingannare dal tono casuale e percepì i sottintesi: É un’iniziativa solo tua? Quanto sono d’accordo i tuoi sottoposti? Fino a qualche giorno fa, il Ministero rifiutava qualsiasi aiuto. Specialmente da parte mia.
«Albus, mi sorprende che tu possa dubitarne. Finché alcuni di noi si sono illusi che tu fossi rimbambito, o che avessi preso gusto a raccontare favole spaventose, o, ancora, che intendessi rovesciare il Ministro in carica e impadronirti del potere… be’, ovviamente, fino ad allora, non ci siamo certo rivolti a te. Ma adesso che sappiamo…».
Lentamente, gli occhi freddi dietro le lenti a mezzaluna, il Preside annuì. «Capisco.»
«Tu sei il solo Mago che Tu-Sai-Chi tema; tu conosci meglio di chiunque altro il nemico contro cui dobbiamo combattere.» Amelia lasciò filtrare nella voce un po’ dell’urgenza che sentiva: il bisogno disperato di reclutare alleati.
Silente taceva.
«Siamo dalla stessa parte, Albus,» concluse il Ministro, lanciandogli il più diretto degli sguardi.
Riuscì, almeno, a strappargli un sorriso. «Lo siamo sempre stati, Amelia, noi due.»
Ella ricambiò il sorriso e scrollò il capo, assumendo un atteggiamento che, in un’altra donna, si sarebbe definito sbarazzino. «Hai già saputo della mia Circolare Organizzativa Generale?»
«Nell'Atrium e per i corridoi correvano voci di tutti i generi. Metà degli impiegati teme di perdere il posto, l’altra metà di finire ad Azkaban.»
Amelia rise, sinceramente divertita: «Chissà, forse dovrei accontentarli!»
«Se lo ritieni giusto, fallo pure; ma attenta, perché poi dovrai sostituirli.»
«Oh, di tanti fannulloni non si sentirà certo la mancanza!» Tornò seria. «No, Albus, ho altri piani. Siamo in guerra, quindi il personale del Ministero – tutto il personale – deve considerarsi, diciamo, in servizio militare effettivo e permanente.»
«Anche i nuovi Uffici?»
«Soprattutto i nuovi Uffici.» Gli indirizzò uno sguardo severo. «Parliamoci chiaro, Albus: ho assunto Rita Skeeter perché credo davvero che il Ministero debba cambiare registro e smettere di conservare segreti di Pulcinella o scheletri nell’armadio; ma questo non significa che la metta a parte dei miei piani di guerra.»
Adesso Silente annuiva, un ghigno beffardo che si allargava sul volto grinzoso. «Capisco. Gettiamo l’Ufficio Misteri in pasto ai lupi, sacrifichiamo gli inetti più sacrificabili… e distogliamo sia Rita, sia il suo pubblico dal vero problema.»
«Esatto. E prevedo che le scartoffie dell’Ufficio Misteri terranno Rita impegnata per un mese almeno; se poi si aprisse qualche inchiesta disciplinare… Chissà!»
«Eccellente. E, nel frattempo, la paura potrebbe perfino spingere qualche impiegato a lavorare.»
«Giusto anche questo. Perciò, mentre Rita indaga e i miei inferiori tremano, noi» - allargò le braccia a ricomprendere loro tre -  «facciamo i piani.»
Silente ridacchiò. «Amelia, Amelia, tu mi fai troppo onore! Cosa puoi aspettarti da un povero vecchio come me?»
«Tutto quello che puoi darmi. E non mi rivolgo soltanto allo Stregone Capo del Wizengamot, o al Preside di Hogwarts,… o al Supremo Pezzo Grosso, al più grande Mago del mondo.»
«Titoli non desiderati, forse neppure meritati.»
«Un altro, però, desiderato e meritato.» Trasse un profondo respiro, pregando che, per una volta, gli Auror l’avessero imbroccata. «Fondatore dell’Ordine della Fenice.»
Il più grande Mago, eccetera eccetera, batté due volte le palpebre.
La stima di Amelia per Rufus e il suo Ufficio risalì di parecchi punti: poche, pochissime volte aveva visto il grande Albus Silente preso in castagna. Per questo riconosceva i segni. Li aveva mandati a memoria.
«Ah.» Il vecchio parlò con deliberata lentezza. «E… cosa potrebbe mai volere il Ministero dal Fondatore di questo… ipotetico Ordine?» Lanciò un’occhiata a Rufus, che, per la prima volta, scoprì i denti, lunghi e giallognoli. Un sorriso molto simile al ghigno di uno squalo.
Ma fu ancora Amelia a rispondergli: «Vogliamo tutto ciò che questo… ipotetico, fantomatico Ordine è in grado di dare.» Tanto valeva parlare chiaro.
«Per esempio?»
Il tono innocente della domanda non convinse nessuno.
«Per esempio…» Amelia si voltò verso Scrimgeour, che raccolse la palla:
«Per esempio, rinforzi, Silente.»
«Avete tutto il personale del Ministero a vostra disposizione; un manipolo di Maghi, per giunta ipotetico, non merita di essere definito “rinforzo”.»
«Qui ti sbagli.» Rufus era nel suo e neanche il più grande Mago, eccetera eccetera, sarebbe riuscito a fregarlo. «Questo manipolo… ipotetico, come dici tu… potrebbe occuparsi di cose per cui noi del Ministero, per varie ragioni, siamo... inadatti. E sto parlando» aggiunse in tono secco «delle mansioni più delicate.»
«In altri termini, dovete essere sicuri che certe faccende non finiscano in mano a seguaci o informatori di Voldemort,» replicò Silente, più pacato che mai.
Era il loro turno, adesso, di sentirsi presi in castagna.
«Molto bene,» riprese il Preside. «Molto bene. Penso di poter fare qualcosa per aiutarvi.» Scostò la sedia e si alzò, bacchetta in pugno.
Amelia e Rufus, improvvisamente rigidi, si mantennero impassibili, ma ben decisi a vendere cara la pelle.
Silente, lungi dall’aggredirli, mosse la bacchetta come se dovesse dirigere un’orchestra. Sobrie e possenti, le note iniziali del Rex tremendae di Mozart riempirono il piccolo ufficio, cui la magia concedeva, all’improvviso, un’acustica perfetta.
Il Ministro non batté ciglio; placò con un semplice cenno l’insofferenza di Scrimgeour e ascoltò, quasi compunta, le voci che si rincorrevano fino a intrecciarsi e fondersi nell’unisono, in un solo, severo omaggio che subito si tramutava in nobile supplica.
«Salva me, fons pi-e-ta-a-a-tis!»
Quando l’ultima nota tremolò nell’aria, Amelia accennò un applauso, cui Silente rispose con un inchino, prima di tornare a sedersi, ignorando l’aria seccata di Rufus.
«Molto bene, Albus.»
«Grazie, Amelia.»
Rufus lasciò affiorare l’impazienza: «Bene, Silente. Se ora volessi degnarti di illuminare noi poveri deficienti con il lume della tua scienza…»
«Oh, non intendevo dire nulla di trascendentale.» Tacque un istante. «Però, credo che questo sia il migliore degli aiuti: ricordarvi che leggi, circolari e decreti non basteranno a sconfiggere Voldemort.»
Non gli diedero la soddisfazione di sussultare al suono di quel nome.
«Fammi capire: ci stai proponendo di affidarci alla preghiera, Albus?»
«Potrebbe essere una buona idea, Rufus,» concesse il Venerato Maestro; «tuttavia, suggerirei piuttosto di concentrarci sugli uomini. Dopotutto, mentre scriviamo leggi e decreti - e forse anche mentre preghiamo - è facile dimenticare che abbiamo a che fare con uomini in carne ed ossa. Questo sono i nostri soldati. E questo sono anche coloro che dobbiamo proteggere: Maghi, Maghinò e Babbani.»
Amelia raccolse il suggerimento che sentiva implicito: «Come possiamo smascherare i Mangiamorte e i loro informatori, Albus?»
Il vecchio Mago sorrise sornione e mosse di nuovo la bacchetta come un direttore d’orchestra, accennando un motivetto atonale.
«Con la musica?» chiese Rufus, incerto tra sbigottimento e disprezzo.
Silente annuì, continuando a sorridere e canticchiare, il capo che ondeggiava al ritmo della nenia.
Prima che potessero replicare, l’ufficio si riempì di una musica ben diversa, suoni che li spinsero a balzare in piedi, bacchette pronte.
Urla. Urla di terrore.
«Restate qui!» ordinò Amelia, precipitandosi fuori. E tanto imperioso era stato il suo tono che, per un lungo istante, Silente e Rufus rimasero quasi impietriti. Poi si scambiarono uno sguardo indeciso; l’Auror scrollò le spalle.
«Se la caverà. Poco ma sicuro.» Tornò a sedersi e Silente lo imitò.
Per qualche istante regnò il silenzio, ma Scrimgeour si mantenne vigile, certo com’era che il cervello bislacco di quel pazzo furioso stesse escogitando qualche tiro mancino al suo indirizzo.
E infatti, il Supremo Pazzo Furioso proferì verbo.
«Sai, Scrimgeour, dovresti rilassarti un po’. Tu prendi la vita troppo sul serio.»
D’istinto, Rufus si irrigidì ancora di più, scoccandogli un’occhiata gelida. Un errore, capì non appena l’ebbe udito ridacchiare.
«Sto scrivendo un nuovo libro, sai?»
«Ah, davvero?»
«Sì. E’ quasi finito, potrei regalartene una copia.»
«Grazie, ma non penso proprio che troverei il tempo di leggerlo.»
«Dovresti, invece.» Aprì la cartella e ne estrasse una mostruosa congerie di pergamene, che le bande di seta nera si sforzavano invano di costringere a formare un blocco compatto. Silente sospirò. «Ecco un bel problema… Quando un genio scrive di un altro genio, alle pergamene succede qualcosa di strano: vogliono mettersi come credono loro, non restare in fila, dalla prima all'ultima pagina! "Genio e sregolatezza"...»
Rufus buttò un occhio sulla pergamena in cima al mucchio, che si contorceva nello sforzo di liberarsi.
«"Lewis Carroll. Il Magonò che ha stregato i Babbani."»
«Precisamente» approvò l’autore. «Un mio caro amico, il vecchio Lewis, un caro amico di gioventù. Innamorato dei Babbani al punto di voler insegnare nelle loro scuole. Mi ha fatto scoprire la passione per l’insegnamento, sai?»
«Sul serio?» Questo spiega molte cose.
«Sì. E anche il mondo Babbano.»
«Capisco.» Di bene in meglio.
«Era un uomo molto infelice» sospirò Silente. «Né Mago, né Babbano; “innamorato di entrambi i mondi, ma incapace di appartenere davvero all’uno o all’altro; capace di osservarli entrambi con il più lucido disincanto, oppure di fonderli in un giocoso labirinto letterario dispiegato in più volumi…”»
«Stai citando?» Quel tono professorale non gli garbava affatto.
«Mi perdonerai la mancanza di modestia, ma sì, stavo citando me stesso. E’ uno dei capitoli centrali del libro.» Indicò il cumulo tremolante che ingombrava la scrivania. «Ma sono indeciso… non so se inserire un certo particolare.»
«Ma davvero?» La sua sopportazione stava giungendo al limite.
«Vedi, Lewis mi ha concesso – per così dire – il posto d’onore, all’interno del suo labirinto. Se rivelassi di essere io il personaggio, diciamo così, cruciale, forse anche quello più amato… potrebbe sembrare pretenzioso.»
Rufus si limitò a grugnire, così censurando i propri apprezzamenti circa la sconfinata vanità del Supremo Pazzo Furioso e Gran Pallone Gonfiato.
«Naturalmente,» seguitò il Grande, imperterrito, con quel tono leggero che spaventava a morte chiunque lo avesse frequentato, «dipenderebbe dalle circostanze e dal personaggio, non credi, Rufus?»
«Ma certo» rispose Scrimgeour, sempre più diffidente.
Ma, per quanto egli tenesse la guardia alta, Silente riuscì a coglierlo in castagna. Sorrise; un sorriso ironico, sornione. E, davanti ai suoi occhi esterrefatti, il sorriso si allargò, si allargò, riempì tutta la faccia, mentre il resto del corpo…
Svaniva…
Rufus crollò sulla sedia, esalando un lungo respiro. Quel colpo era troppo, per i poveri nervi di un uomo che non dormiva da quaranta e passa ore.
Ma i poveri nervi, per quanto malconci, non gli concessero di svenire. Alla Scuola si insegna alle reclute che "Un Auror non sviene mai. E raramente muore.".
A salvarlo dall’imbarazzo irruppe Amelia, che spalancò la porta con fragore. Silente ricomparve, in piedi, accanto a Scrimgeour, bacchette in pugno.
«Corri, Rufus! I tuoi uomini… ti aspettano!» ansimò il Ministro, trafelato.
«Che è successo?» chiese l’Auror, già infilando la porta.
«Quelle urla… era una Strillettera. Quei poveri disgraziati… hanno trovato il Gigante.»
Scrimgeour si dileguò, veloce quanto gli permetteva la menomazione.
«Forse è meglio che vada anch’io, Amelia. Avrai da fare.»
«No, Silente. Resta. Non devo occuparmi del Gigante… non ora, almeno.»
«Non dovremmo aspettare il ritorno di Rufus?»
«No.» Abbassò la voce. «Mi servono due cose: un modo per smascherare Mangiamorte e complici dei Mangiamorte. Un altro per rendere veramente segrete le attività del Ministero.»
Silente parve apprezzare il linguaggio diretto. «Prima cosa: il canto della Fenice. Fallo risuonare in tutto il Ministero, giorno e notte; imponi a Celestina Warbeck di vocalizzarci su, se necessario, ma fa’ in modo che entri nella casa di ogni Mago. I malvagi non lo sopportano, non a lungo.» Fece una pausa. «Naturalmente, non tutti i malvagi sono Mangiamorte…»
«E non tutti i buoni sono dalla nostra parte» aggiunse il Ministro. «Non ancora, almeno.»
«Non finché Voldemort non mostrerà il proprio vero volto» convenne Silente. «E, anche allora, molti avranno paura; pochi combatteranno.»
«Albus?»
«Sì?»
«I ragazzi. I ragazzi dell’Esercito di Silente.»
«L’Esercito di Harry Potter, Amelia.»
«Sia come sia. Addestrali per bene, mi raccomando. Hogwarts non è un luogo sicuro. Non più.»
«Lo so bene.»
«L’altra volta, Voldemort non ti ha sfidato apertamente… Ma adesso?»
Il sorriso del Preside infondeva vera fiducia. «Ci siamo scontrati proprio qui al Ministero. Credo di avergli dimostrato che, se mi crede rammollito, si sbaglia di grosso.»
«Ma neanche tu hai il dono dell’ubiquità. Io e Rufus abbiamo predisposto un piano per garantire sicurezza a Hogwarts e Hogsmeade – lo esamineremo insieme, al suo ritorno – ma non importa quanti Auror possiamo dislocare nei paraggi, i ragazzi faranno bene a sapersi difendere da soli.»
«Giusto. Ma mi pare che, qui al Ministero, se la siano cavata abbastanza bene.»
«Albus. Tu hai voluto ricordarmi che leggi, circolari e decreti non basteranno a sconfiggere Tu-Sai-Chi. Ebbene, io vorrei ricordarti che neanche un gruppo di ragazzini basterà.» Fece una pausa. «Neppure se Harry Potter fosse… il Prescelto
«No?»
«No. E lo sai bene. L’ultima volta, Potter ha tolto di mezzo Tu-Sai-Chi, è vero; ma non i Mangiamorte. Non i suoi seguaci. Quelli sono sopravvissuti a Incantesimi, Auror, leggi, decreti, processi e, spesso, Dissennatori
«E sono di nuovo tutti lì. A combattere per Voldemort.»
«Già. Tutti. I coraggiosi e i codardi. Gli astuti e i brutali. Per questo esigo segretezza. Non voglio un altro Rookwood.»
«Un Indicibile.»
«Appunto. Uno che nella segretezza sguazzava… perché tutto era segreto, tranne quello che veramente lo sarebbe dovuto essere!»
«Riflessione condivisibile.»
«Grazie. Allora, Albus, che aiuto mi puoi dare?»
Il vecchio Mago strinse le labbra. «Nessun aiuto veramente risolutivo. Ci sono troppe informazioni e troppe persone coinvolte. Ma credo che Alastor Moody farà bene la sua parte.»
«Lo credo anch’io.»
«Proteggere i documenti è ancora abbastanza facile… ma i mezzi di comunicazione magici…» Spalancarono le braccia entrambi, in un identico gesto di impotenza.
«Tuttavia,» riprese Silente, «esiste un mezzo di comunicazione che ho inventato io.»
«Perché non mi stupisco?»
«Perché mi conosci. E’ a prova di Mago Oscuro: si basa su una modifica dell’Incanto Patronus. Questo, però, significa anche che soltanto pochi riusciranno a padroneggiarlo.»
«Credo che la Scuola per Auror potrà farli diventare molti.»
«Speriamo.» Stava per aggiungere qualcosa, ma si bloccò: quasi svellendo la porta dai cardini, Rufus Scrimgeour, insanguinato da capo a piedi, piombò nella stanza. Reggeva con entrambe le mani una cosa rossa e nera che non fecero in tempo a mettere a fuoco: con un gran sorriso, il capo degli Auror depose sulla scrivania, davanti ad Amelia, il proprio trofeo.
La testa del Gigante.

L’indomani, la Gazzetta sparò un titolone di sei colonne in apertura:



IL MINISTRO STANA IL GIGANTE



Arthur Weasley sorrise e cominciò a leggere, a voce alta, in modo che Perkins, la cui vista era molto peggiorata, non perdesse neppure una sillaba:
«Rita Skeeter – inviata speciale al Ministero.
Infuriata perché l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche si dimostrava incapace di stanare il Gigante responsabile dei recenti massacri, Amelia Bones, Ministro della Magia, ha indirizzato una Strillettera di reprimenda a ciascuno degli impiegati messi alla sua ricerca. Una decina di loro si era fermata a riposare in cima ad una collina, quando le loro Strillettere sono arrivate. Sono stati assordati da un frastuono davvero indescrivibile: le lettere si sono aperte tutte assieme. E non hanno fatto in tempo a riprendersi, che già la collina si stava muovendo.»

«No!» esclamò Perkins.
«Oh, sì. Il Gigante era camuffato da collina. Ci stavano seduti sopra.»
«E le Strillettere lo hanno svegliato.»
«Già.»
«E l’Incantesimo che lo camuffava è andato a farsi friggere.»
«Per l’appunto. Vuoi lasciarmi leggere?»
Il vecchio mago chinò il capo, mortificato, e Arthur riprese a scorrere il giornale.
«Uhm, uhm… Dobbiamo, purtroppo, dar conto di nove caduti tra le fila del Ministero, tutti stritolati dal Gigante prima che potessero anche solo pensare a difendersi. Il decimo uomo, invece, è riuscito a sfuggirgli, arrampicandosi fino alla testa e gettandosi nel vuoto di lì. Ammazza!»
«E non è morto?»
«No. Caduto da poco meno di sette metri, con gli arti fracassate, il nostro eroe è riuscito egualmente a dare l’allarme. Non poteva scrivere, così ha dettato una Strillettera. Sapeva che le sue urla di terrore sarebbero state più efficaci di mille parole
«Poco ma sicuro.»
«Le hai sentite anche tu? Io ero proprio lì, al Primo Livello.»
«Le ha sentite tutto il Ministero.»
«Non mi stupisce. Uhm… Il tempestivo arrivo degli Auror… scontro sanguinoso, culminato nella singolar tenzone tra il Gigante e Rufus Scrimgeour… la testa del Gigante esposta al pubblico, nell’Atrium nel Ministero…»
«Non c’era bisogno di leggerlo!» sbottò Perkins, reprimendo un conato di vomito.
«Non è uno spettacolo che si dimentichi facilmente, vero?»
«Proprio no.» Una buona metà degli impiegati aveva lasciato la propria colazione a navigare sul pavimento. E magari pure qualche frammento di budella.
«Incendio!»
Con un grido, Arthur Weasley lasciò cadere il giornale in fiamme.
Dalla soglia aperta in modo tanto silenzioso, Rufus Scrimgeour lo squadrava con profondo, palese disprezzo.
«Se fossi un Mangiamorte, a quest'ora sareste entrambi cibo per vermi!»
Nessuno dei due giudicò saggio replicare.
«Weasley, i tuoi giorni da Babbanofilo nullafacente sono finiti.»
«Scrimgeour… io… posso spiegare…»
«Non a me» tagliò corto l’altro. «Muoviti. Il Ministro ti vuole.»
Mentre Arthur tentava di infilarsi gli occhiali sul naso – e non negli occhi, maledizione! – il Direttore dell’Ufficio degli Auror parve ricordarsi di Perkins. Lo fissò per qualche istante interminabile, come una vipera può guatare una preda, e poi sparò: «Prima linea, Perkins.»
«Signore?» Il poveretto si portò una mano all’orecchio, sinceramente convinto di aver capito male.
«Prima linea. O quasi. Ti ho infilato nei pattugliamenti.»
L’ometto prese a tremare.
«Raccogli le tue cose, Perkins. Troveremo un uso per questo sgabuzzino. Weasley, è inutile che provi ad accecarti, non ti renderà più furbo, quindi posa quelle dannate lenti e andiamo.»
«Sì, signore.»
La porta si richiuse su un altro Ufficio soppresso.

Nei giorni e nelle settimane che seguirono, altri titoli trionfali scandirono le mattinate dei Maghi, ingaggiando un duello a colpi di sensazionalismo con la Gazzetta della Sera: titoli e articolesse sulle grandi riforme in corso al Ministero; sull’Ufficio Misteri, i suoi segreti e il nuovo corso, ora che era stato ribattezzato “Ufficio per la Ricerca nelle Arti Magiche”. E, soprattutto, sulle tre grandi inchieste – presto riunite in una sola – che vedevano ben novantatrè impiegati di vario livello incolpati delle attività illecite più disparate, ma tutte, in qualche modo, collegate con gli Indicibili. Sembrava che fosse nelle loro mani perfino il leggendario racket di promozioni & trasferimenti, materia che – guarda caso! - nessun Ministro era mai riuscito a disciplinare.
Nessuno, fino ad ora, promettevano redattori e opinionisti.
Gli articoli di carattere giuridico riempirono addirittura un Supplemento intero, quando Amelia Bones, invece di definire i procedimenti disciplinari in via amministrativa, rispolverò l’Alta Corte di Disciplina, un organismo inattivo da oltre un secolo. Esperti più o meno improvvisati spiegarono che il Ministro avrebbe presieduto un collegio di tre giudici, per poi stendere la sentenza di proprio pugno, e che, data l’eccezionale gravità dei fatti contestati, il ruolo di giuria sarebbe stato affidato al Wizengamot in sessione plenaria.
La Gazzetta riferì anche – con dovizia di particolari – la polemica che contrappose Rita Skeeter, inviata speciale, a Griselda Marchbanks, Cancelliere del Wizengamot assegnata al maxiprocesso, la quale si era messa a scrivere i verbali in Law-French e, quel che era peggio, aveva tradotto in quell’«incomprensibile gergo da legulei ammuffiti» tutti, diconsi tutti i documenti di causa, per poi archiviare gli originali nella sezione riservata del fascicolo. La Marchbanks dichiarò testualmente: «Vogliono leggere i documenti? Che imparino il Law-French!»
Le urla di Rita – spalleggiata, peraltro, dall’intera categoria – raggiunsero l’alto scranno del Ministro, ma invano: occorsero tre pagine di contorsioni giuridico-sintattiche, lardellate di consuetudini, precedenti legali e Decreti vecchi di secoli, per spiegare il perché; comunque il Ministro aveva le mani legate.

All’apertura del processo, la vecchia Aula Dieci, rimessa in uso per l’occasione, traboccava di gente. I trenta giornalisti presenti si scambiarono occhiate incredule, perplesse: nessuno si sarebbe immaginato una simile folla.
E neppure una simile rabbia: molto prima che l’aula si riempisse, l’aria si tagliava già con il coltello.
Rita Skeeter poté scrivere, in tutta sincerità, che una tensione simile non si era avvertita neppure al processo per l’aggressione ai Paciock.
«Saranno stati almeno in trecento. Trecento Maghi e streghe di ogni ceto, età e condizione, compresi alcuni che sembravano arrivati direttamente dal San Mungo e altri con un piede e tre quarti nella fossa; persone normalissime, di quelle che si incontrano per strada tutti i giorni.
Ma nella loro furia non c’era nulla di normale.
Non appena il primo incolpato ha messo piede nell’aula, mani, piedi, bocche, corpi, tutti si sono lanciati, accalcati, sospinti verso una sola meta: il linciaggio.
Dalla tribuna della stampa, attorniati da quell’improvvisa valanga umana, abbiamo visto, con profondo sollievo, l’Ufficio per la Sicurezza Interna mostrare un’efficienza inattesa: Alastor Moody in persona, alla testa della scorta, ha bloccato l’intera prima fila degli aggressori con un formidabile Incantesimo di Ostacolo; a quel punto, i suoi uomini hanno rovesciato sugli altri una grandinata di Stupeficia. Il Ministro non ha voluto far sgombrare l’Aula, perché questo avrebbe significato “estromettere non solo i cittadini indignati, ma anche la stampa”; perciò, la Sicurezza ha Incarcerato ogni membro del pubblico, in modo che non potesse muovere un muscolo, e solo dopo li ha fatti Levitare fino ai banchi e rianimati.
Neutralizzato il pericolo, gli incolpati, in un corteo interminabile, sono entrati a passo lento, sorvegliati a vista, e hanno preso posto di fronte al banco della giuria, dove, subito dopo, si sono sistemati tutti i membri del Wizengamot.
Tutti tranne uno: Albus Silente. Nei processi avanti l’Alta Corte di Disciplina, infatti, lo Stregone Capo è di diritto membro del collegio giudicante. E, quando questo ha fatto il proprio ingresso, l’Aula era immersa in una tranquillità quasi spettrale: gli insulti del pubblico erano stati repressi a suon di Incantesimi Tacitanti; quanto agli incolpati, allineati su tre file di sedie munite di minacciose catene, nessuno di loro muoveva un muscolo. E c’è da giurare che, se l’avesse fatto, i due agenti di scorta gli avrebbero fatto assaggiare qualche Incantesimo molto,
molto doloroso. Alcuni degli avocati – un centinaio in tutto, stipati intorno a un tavolo piazzato tra gli imputati e la cattedra dei giudici – scoccavano essi stessi occhiate velenose verso i propri clienti, forse tentando di emulare la grinta feroce del rappresentante dell’accusa.
Così, in un silenzio di tomba, punteggiato dal tintinnio presago delle catene, Amelia Susan Bones, primo Ministro della Magia a presiedere l’Alta Corte in più di un secolo, ha letto la solenne formula di apertura del dibattimento:
“Funzionari! Siete stati tradotti nanti questa Alta Corte di Disciplina, costituita secondo le inveterate tradizioni dei Maghi e da Noi, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia, presieduta, per esserne giudicati secondo il diritto e le consuetudini del Mondo Magico. Qui e ora, in pubblico dibattimento, udrete quali prove si abbiano contro di voi e questa Corte, giusta, magnanima e clemente, presterà orecchio alle vostre difese.”»
.
Durante le tre settimane del dibattimento, alla pirotecnica di Rita si affiancò il gergo iniziatico di Tiberius Ogden, ex membro del Wizengamot, incaricato del commento “dotto”, propriamente giuridico, degli eventi. Egli esordì con una vera e propria filippica all’indirizzo di Williamson, il giovane e sconosciuto Auror incaricato di rappresentare l’accusa, perché aveva osato presentarsi in udienza senza indossare né toga, né parrucca. «Che, proprio in uno dei processi più gravi degli ultimi tre lustri, il rappresentante dell’accusa non indossi le insegne della propria funzione, è un insulto, uno schiaffo a tutti noi, alla Nazione di cui questo giovanotto forse spocchioso, forse inesperto, cura la difesa. Se trascura la strategia processuale come trascura il proprio ruolo e, anzi, la sua stessa persona, questo processo finirà senza una sola condanna.»
In effetti, i capelli di Williamson, perennemente unti e raccolti in un’oltraggiosa coda di cavallo, non erano uno spettacolo facile da digerire e una buona metà del Wizengamot lo guardò in cagnesco per tutte e cinque le udienze.
Ben presto, Ogden commentò che il processo era «un concorso a premi per incompetenti; o, se si vuole, un castello di incompetenze incrociate». Infatti, in quel centinaio di avvocati, non se ne trovava uno che capisse qualcosa delle accuse: per oltre un secolo, il Ministero aveva lavato i panni sporchi senza ombra di processi o di avvocatura; in più e soprattutto, «quella sadica di Griselda» li costringeva a sciropparsi i documenti in Law-French, rifiutandosi categoricamente di esibire gli originali e anche di tradurre la propria versione, perché – diceva – “Ogni giurista degno di questo nome sa leggere il Law-French!”. Per contro, Williamson aveva accesso ai documenti originali e, come ogni animale ben adattato alla giungla ministeriale, comprendeva alla perfezione fatti, accuse, circostanze; che non capisse nulla, ma proprio nulla, di diritto era palese, però non gli importava affatto, sorretto com’era dall’incrollabile certezza che – qualunque cosa potessero dire quattro Decreti ammuffiti – tutti erano colpevoli di tutto.
Di fronte ad un processo fondato interamente su prove documentali che non riuscivano a capire, alcuni avvocati più disperati della media scelsero di far deporre i loro clienti. La scelta si rivelò disastrosa: Williamson condusse gli interrogatori come altrettanti linciaggi, ignorando completamente qualsiasi regola, a dispetto dei reiterati richiami della Corte. Il pubblico, sempre Tacitato e Incarcerato, esultava, vedendo il malcapitato di turno arrossire, balbettare, incalzato da un accusatore che né le obiezioni degli avvocati, né gli interventi della Corte facevano deflettere di mezzo pollice; anzi, con un Indicibile che, carte alla mano, si ostinava a difendersi, Williamson arrivò a un passo dalla violenza fisica: «Delinquente! Assassino! Pervertito!» gli urlò in faccia, rosso come un gallo, mentre quello, ammutolito, tremava. «Lei è una vergogna per il Ministero che l’ha assunta e per la famiglia in cui è cresciuto, ha capito? No, non dica niente! Stia zitto! No, Lei-fa-schifo, a sentirLa parlare mi viene il vomito! Con la Sua difesa io mi ci pulisco il culo!»
Dopo questo suo brillante sfoggio di competenza professionale, i difensori rinunciarono alle deposizioni e si concentrarono sulle eccezioni processuali, riuscendo a impallinare Williamson almeno una dozzina di volte ogni ora. Ma né le obiezioni accolte, né i richiami della Corte e neppure le multe che, infine, Amelia si vide costretta a infliggergli riuscirono a smontarlo: continuò ad aggredire, insultare e perseguitare ogni singolo incolpato e/o difensore, illustrando un documento dopo l’altro, una prova dopo l’altra, come se le regole del processo fossero soltanto fastidiosi impicci.
La requisitoria rappresentò il culmine di tanta vis accusandi: in mezz’ora appena, riuscì a inquadrare ciascun incolpato in una delle tre bande criminali – ora alleate, ora nemiche acerrime – che infestavano quasi tutto il Ministero; in poche frasi, icastiche, ancorché ripiene di turpiloquio, dipinse un quadro di malaffare e corruzione capace di far impallidire Sodoma e Gomorra. Concluse chiedendo, per tutti quanti, il massimo della pena: congedo con disonore, perdita della pensione, ritiro delle decorazioni e mille Galeoni di multa.
Il pubblico si agitò e sussultò, in un parossismo di esultanza che fece tremare l’intera Aula. I giornalisti tacquero, intenti ad assaporare l’odore del sangue.
Gli avvocati, ad uno ad uno, si alzarono, per pronunciare poche parole, sempre le stesse: «Ci rimettiamo alla clemenza della Corte.»
Neanche un accenno di difesa: Williamson vinceva la partita per abbandono degli avversari.
Tiberius Ogden, sconsolato, rinunciò a commentare simili livelli di incompetenza incrociata, limitandosi a riferire che la camera di consiglio, con ogni probabilità, sarebbe stata molto lunga, se non altro perché i giurati erano ben più di dodici. E, tra le righe, fece capire che Albus Silente avrebbe certo trovato il modo di influenzare la discussione, pur essendone materialmente escluso.
In effetti, il Wizengamot discusse per quarantadue ore filate. Ore che tutti – giornalisti, pubblico, servizio d’ordine – trascorsero accampati in aula, aspettando la sentenza. Ora dopo ora, cresceva l’aspettativa, ma montava anche la rabbia: una camera di consiglio lunga, spesso, equivale a clemenza per l’incolpato.
Il pubblico e la maggior parte dei giornalisti si sentivano come alla finale di Quidditch, quando sei in vantaggio di centoquaranta punti e vedi il Cercatore avversario che si tuffa verso il Boccino.
Gli uomini del servizio d’ordine si avvicendarono in turni regolari, nell’arco di quelle quarantadue ore, ma quasi nessuno se ne accorse: sembravano intercambiabili, tutti impassibili e statuari.
Forse per questo, allorché finalmente si mossero, molte, molte gole si unirono in un ringhio corale: sentivano la fine dell’attesa, bramavano l’arrivo della vendetta.

L'aula di udienza era gremita di pubblico, e tuttavia immersa nel silenzio più assoluto, mentre la voce del Ministro cominciava la lettura della sentenza.
«Noi, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia,
nanti l’Alta Corte di Disciplina essendo comparsi gli infrascritti Funzionari, qui convocati a rispondere delle accuse più oltre riferite…»

L’attenzione del pubblico – e della stessa Amelia – divagò alquanto, durante la lettura dei novantatrè nomi e il riepilogo delle cinque udienze. Silente, ghost-writer della motivazione, era riuscito a rendere piatto e monotono uno dei processi più incasinati che la Storia dei Maghi ricordasse; senza dubbio una scelta deliberata.
Giunta al termine di una selva oscura, irta di subordinate, ellissi, eufemismi, perifrasi, litoti e, soprattutto, tecnicismi da processualisti, il Ministro riprese fiato e lena, venendo al dunque:

«Osservato quindi appieno il rito in vigore, nella lettera e massime nello spirito,
di certa Scienza e legittima Autorità
abbiamo decretata e pronunziamo la seguente

SENTENZA

Riguardo ai Signori…» Otto nomi, nessun Indicibile. «Siano prosciolti da ogni accusa, vadano liberi da colpa ed esenti da pena, proseguano il proprio onorato servizio alla Nazione, né più alcuna macchia di calunnia ardisca lordarne il nome.»

Le piume volavano, mentre il pubblico mugghiava il proprio… ehm… disappunto.
Il servizio d’ordine teneva le bacchette già puntate.
Qualche avvocato piangeva.

«Riguardo ai Signori…» Dieci nomi, un Indicibile. «Scontino il danno arrecato al prestigio e all’opera del Ministero versando ad Esso un’ammenda pari a Galeoni mille; e ciò facciano nel termine di giorni trenta dalla presente pronunzia, sotto pena, in difetto, dell’aggressione ai rispettivi patrimoni e delle sanzioni che si sogliono infliggere a chi disprezza l’Autorità delle Corti legittimamente costituite.»

Le prime dieci condanne suonavano come un antipasto beffardo alle orecchie del pubblico, che cominciò ad agitarsi sul serio; un banco si rovesciò e il servizio d’ordine diede la stura agli Schiantesimi.
Williamson sembrava furioso.
Qualche bello spirito di cronista calcolò che la somma delle multe da lui collezionate equivaleva a dieci anni di stipendio.
Impassibile, Amelia Bones attese che il trambusto si placasse e proseguì:

«Riguardo ai Signori…» Stavolta, solo le penne riuscirono a tenere il conto: diciotto incolpati, di cui quattro Indicibili. «Perdano ogni grado, carica e anzianità di servizio, siano retrocessi alle mansioni più umili, né ardiscano impetrare promozione o miglior mercede, prima che siano decorsi anni tre dalla presente pronunzia.»

Diciotto carriere stroncate. Il pubblico assaporava, finalmente, il sangue tanto desiderato; i giornalisti ci stavano già sguazzando dentro.
Williamson, invece, appariva ancora più nero.
Otto, dieci e diciotto. Trentasei.
Restavano cinquantasette incolpati.
Amelia riprese la lettura e tutti trattennero il fiato.

 «Riguardo ai Signori…» - E qui la tensione crebbe, crebbe di nome in nome, perché fu tosto evidente che questo era l’ultimo capo della sentenza, che decideva la sorte di cinquantasette persone. - «siano destituiti da ogni grado, carica e impiego presso questo Ministero…»

Ma la voce del Ministro fu sommersa dagli ululati dei giornalisti, dai sussulti del pubblico, dagli Schiantesimi che grandinavano.
Al servizio d’ordine occorsero cinque minuti buoni per ripristinare una parvenza di calma, eppure Amelia non si scompose affatto: conservò una posa statuaria, il capo leggermente inclinato, un’espressione neutra.

«…presso questo Ministero, da loro offeso in sì turpe guisa; né abbiano diritto a serbare onorificenza alcuna, se mai l’avessero conseguita, né tampoco a conseguirne in futuro, se prima non sarà intervenuto il Nostro benigno perdono.»

E qui, un’altra pausa forzata: la parola “perdono”, al pubblico, non piaceva per niente.
Il servizio d'ordine cambiò tattica e placò i bollenti spiriti con un Aguamenti di acqua gelata. Bastarono venti secondi scarsi. Amelia li gratificò con un cenno di approvazione, prima di concludere:

«E ancora si vedano negare qualsivoglia mercede non corrisposta, né siano soccorsi in alcun modo nelle angustie della vecchiezza che tutti ghermisce; e nessuna fede si presti a lingue sì sfrontate e menzognere, ove mai ardissero comparire come testimoni nanti qual si sia Corte dei Maghi legittimamente costituita.»

Novantatrè incolpati. Ottantacinque condanne, di cui cinquantasette destituzioni.
Ma nessun massimo della pena. A nessuno dei destituiti era stata inflitta la multa di mille Galeoni.
Il Ministro riprese fiato e lesse anche la formula esecutiva:

«E a tutti coloro che la presente leggeranno, Noi mandiamo di metterla ad esecuzione senza frapporre indugio alcuno, come se tosto l’avessero udita proferire dalla Nostra Augusta bocca; né alcuno, esitante, osi ritrarsi dinanzi al sacro dovere della Giustizia, ma ciascuno si adoperi con tutto sé stesso, affinché siano rispettate ed eseguite le soprascritte decisioni, da Noi assunte per Nostra legittima Autorità.
Data in Londra, sotto il Gran Sigillo, appo la Sede del Ministero della Magia, addì trenta Agosto millenovecento novantasei; di Nostro pugno confermata e sottoscritta.»

Nell’Aula Dieci perdurava un silenzio da cattedrale.
Con uno sforzo visibile, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia, levò in alto il pesantissimo Sigillum Maximum, un timbro di diorite nera che non veniva usato da quasi centocinquant'anni. Secondo la leggenda che narrava le sue origini, era capace di rendere inalterabili e irrevocabili gli atti cui veniva apposto; inoltre, chiunque avesse tentato di sottrarsi alla loro esecuzione, avrebbe attirato sopra di sé e sui propri discendenti una Maledizione di sventura che li avrebbe perseguitati per settantasette generazioni.
L'arcano, sinistro strumento scintillò un istante, nella stanza piena di luce, mentre tutti trattenevano il fiato; e poi calò, con un colpo secco.
Era fatta.
Il Gran Sigillo aveva tracciato da sè, magicamente, la firma di Amelia Bones, riscotendo così il prezzo del proprio uso.
La firma era vergata con il suo sangue.

L'Aula Dieci cominciò a svuotarsi; i giornalisti erano lanciati, come un sol uomo, all’inseguimento di Williamson, la cui grinta feroce avrebbe atterrito anche un ergastolano pluriomicida, ma eccitava da morire i segugi del “commento a caldo”.
E, all'improvviso, Amelia si sentì molto, molto sola. Dietro il suo viso impassibile, vera maschera da politico, si agitavano pensieri amari: non avrebbe mai voluto trovarsi costretta a scatenare un'epurazione di massa all'interno del Ministero, aveva sperato di cavarsela con i consueti richiami disciplinari; ma il marcio era troppo diffuso, non poteva tollerare l'inefficienza (o peggio), non con una guerra in corso.
E, naturalmente, quando cala l'accetta, a chi tocca tocca.
Da un certo punto di vita, la maggior parte dei condannati, quelli della bassa forza, non poteva dirsi colpevole: avevano soltanto seguito la corrente. Certo, la legge impone anche al minimo tra i funzionari del Ministero di operare sempre nella perfetta legalità e di denunciare qualsiasi situazione di ambiguità o di inefficienza; ma bisogna essere eroi per denunciare i propri superiori, o mettersi contro l'intero ufficio in cui si lavora. Una legge il cui rispetto esige autentico eroismo è una legge stupida. Non "ingiusta", non "sbagliata": stupida.
E lei era il giudice chiamato ad applicare la legge stupida, a tradurre in sentenza il verdetto dell'Alta Corte. Silente e il Wizengamot avevano rabberciato i disastri di Williamson, quindi, nel complesso, la decisione in sé era giusta; soltanto che sembrava assurda, avulsa com’era dalla realtà del Ministero e, in apparenza, dalla stessa natura umana.
Una sentenza stupida insegna molte più cose sul giudice che sul caso deciso. Era una massima che Griselda ripeteva spesso….
Certo, Amelia Bones, Ministro della Magia e Presidente dell’Alta Corte di Disciplina, poteva vantarsi di aver fatto pulizia, affermare che le sue riforme avrebbero reso migliore il Ministero, richiamarsi all'esempio dei grandi Ministri del passato... ma niente di tutto questo riusciva ad attenuare il senso di inutilità che la attanagliava.
Carte bollate e carte da gioco. Dov'è la differenza?
Siamo qui, noi del Ministero e io per prima, con le nostre carte, le circolari e i decreti e i regolamenti e gli ordini di servizio, e adesso anche con le sentenze... Cosa ci illudiamo di fare? Intanto che noi pianifichiamo, concertiamo e protocolliamo, i Mangiamorte agiscono.

Non era del tutto esatto, naturalmente: il nuovo Piano per la Sicurezza aveva svolto un'efficace funzione preventiva, o forse deterrente, dato che non si erano registrati nuovi attacchi da parte dei Mangiamorte; le capacità offensive e difensive del Ministero stavano, oggettivamente, migliorando. Ma, soprattutto, non aveva scelta. Non poteva dare la caccia ai Mangiamorte in altro modo: anche se avesse smantellato il Ministero, aggregando agli Auror ogni singolo funzionario, avrebbe soltanto intralciato il lavoro di Rufus e lasciato sguarnito il fronte interno. Quella guerra richiedeva di essere pianificata e organizzata. C'era bisogno del Ministero. Di un Ministero che funzionasse, e funzionasse bene.
Ebbene, sono il Ministro e, in questa guerra, le mie armi sono le carte. Vediamo di usarle bene.
Di nuovo determinata, sempre impassibile, Amelia si alzò e lasciò l'aula - ormai deserta - già concentrata sugli impegni successivi.
La attendeva una giornata senza soste.
Come la guerra.


Note:
Sono certo che il Mondo Magico conosce un sinonimo adeguato per la nostra espressione "Segreto di Pulcinella", ma, non avendolo trovato nel canone, mi sono dovuto rassegnare all'equivalente Babbano. Le carte da gioco, invece, sono attestate almeno per Spara Schiocco.
Se ben ricordo, la frase
"Non dobbiamo mai dimenticarci che abbiamo a che fare con uomini in carne ed ossa" fu pronunciata da Douglas Haig solo pochi anni prima che egli, quale comandante in capo, si rendesse responsabile di un massacro forse ancora ineguagliato nella storia militare: la battaglia della Somme.
Per lo stile della sentenza, sono debitore alle
leges di Giustiniano; solo mia è, invece, la responsabilità di qualsiasi errore o imprecisione circa la natura della diorite, che è, per quanto ne so, un minerale che fornisce materiale da costruzione.

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Guido