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Autore: Finnick_    07/08/2012    5 recensioni
Panem: i Giochi non esistono più. Capitol City è stata sconfitta.
E' la verità? Oppure l'attuale governo mantiene ancora fredde apparenze che facilitano la rinascita di una nuova generazione?
Mellark-Everdeen, Odair-Cresta. I ragazzi di una generazione che sfiderà la nuova Capitol 13.
Che gli Hunger Games risorgano, tributi.
Ambientazione: dopo "Il canto della rivolta".
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Per la prima volta nella mia vita il cuore sussulta. E non so perché. Ma lo ignoro. Tendo a mettere da parte tutte le sensazioni nuove che percepisco e che mi fanno paura. -dicono che sia pronto il pranzo- mi dice Finnick, indicando il tavolo alle sue spalle. –ma mangiare in questo posto triste mi deprime – si volta a guardare mia madre che è già seduta con la Paylor. Come se cercasse la sua approvazione. Ovviamente, mi ridico, non ne ha bisogno.
-usciamo?-
-ma mia madre..- azzardo.
-Finnick si è presentato cinque minuti fa all’ascensore e sono stata io a dirgli di farti uscire da qui- dice lei dal suo posto.
Non ne ha il diritto, penso scorbutica. Non può sentirsi libera di decidere anche ciò che voglio fare o no nell’arco di una giornata. Se avessi voluto rimanere in camera mia a piangermi addosso tutto il giorno prima della parata? L’avrei fatto. Punto e basta. E poi ho tutta l’intenzione di andare sul tetto.
-credo che rimarrò qui- dico.
Finnick resta in silenzio per qualche secondo. Mia madre non si azzarda ad aprire bocca. So perfettamente che uscire un po’ mi farebbe stare meglio, ma non mi va. Non mi va di sentirmi passare la gente accanto, non mi va che tutti mi dicano cosa devo o non devo fare. Poi ci ripenso. Guardo Finnick di sottecchi e mi accorgo che le sue intenzioni sono reali e buone. Infondo me l’aveva detto che sarebbe venuto entro stasera e l’ha fatto. Sta per girare i tacchi e andarsene, quando io, tenendo la porta aperta, torno dentro e gli dico:
-aspetta-
Raccolgo la pallina di stoffa che avevo abbandonato sul letto al mio arrivo e torno alla porta.
-non potevo uscire senza questa, no?- abbozzo quello che io credo sia un sorriso. Non so se si dimostra realmente tale, ma il viso di Finnick si illumina come se avessi fatto la battuta più divertente del mondo.
Saluto rapidamente mia madre. Ci lascia in mano una borsa beige: il pranzo. Mi dispiace lasciarla a mangiare da sola con la Paylor, ma non insisto nel voler rimanere. Entrambe sappiamo che il mio bisogno di prendere aria è abbastanza grande da non poter essere ignorato e soprattutto Finnick è partito per l’ascensore e adesso mi sbraccia da là dentro per muovermi ad entrare.
Scendiamo e in un batter d’occhio siamo davanti al grande palazzo che ci ospita. Come avevo previsto la frenesia della città mi rintontisce e il mio primo impulso è quello di correre dentro e tapparmi le orecchie. Le voci delle persone si accavallano una sull’altra, il rumore delle macchine che passano a tutta velocità mi innervosisce e rischio di diventare troppo irritabile. Potrei rovinare con il mio caratterino la prima uscita che faccio da quando abbiamo lasciato il 12 e non voglio farlo. Finnick tira un grande respiro e mi mette un braccio intorno alle spalle.
Ce l’ha nel sangue, mi dico, questo fare aperto e schietto. Suo padre prima di lui si comportava così, ma sapeva essere la persona più dolce che mia madre conoscesse. Mentre rifletto così mi accorgo che pian piano ricordo tutto quello che mia madre mi aveva detto a proposito di Finnick Odair, marito di Annie. Ricordo. E nessuno mi aiuta a farlo. Mi ritrovo a sperare che non sia solo un attimo di rinsavimento, ma che sia l’inizio della mia guarigione mentale.
Fantastico troppo e la voce di Finnick mi richiama all’attenzione:
-non hai mai desiderato respirare tutto questo fumo delle macchine e di sentire così tanti rumori metallici messi insieme?- chiede ironico.
-vieni, ho visto un posto, dalla mia finestra, che sono sicuro ti piacerà-
E’ sicuro che mi piacerà. Penso di nuovo che è come se mi conoscesse da una vita e ci conosciamo solo da qualche giorno. Nella mia vita è sempre mancata la figura di qualcuno che si preoccupasse così di me, qualcuno che fosse estraneo alla mia famiglia.
Aggiriamo il nostro palazzo, attraversiamo una strada che sembra non finire più e ci infiliamo giù per delle scale. Suppongo che portino alla metropolitana e in effetti il rumore lontano di un treno sotterraneo ad alta velocità giunge alle nostre orecchie.
-non ho alcuna intenzione di montare su quel coso- dico gettando un dito nella direzione da cui è venuto il rumore.
-nemmeno io- risponde Finnick e mi spinge di lato in uno stretto corridoio.
Camminiamo per un po’ alla luce falsata delle lanterne appese al muro.
-mi auguro che tu sappia dove stiamo andando-
-diciamo di sì. Ho sempre avuto un sesto senso precisissimo- Bene. Stiamo andando secondo il suo sesto senso lungo una specie di tunnel in cui la luce comincia a scarseggiare sempre più e sopra il quale stanno passando tutte le macchine del Distretto Madre.
-Finnick..-
-shh- mi zittisce con una piccola spinta. Non ho il tempo di replicare perché una luce improvvisa si riversa su di noi con tutta la sua intensità. Siamo usciti. Impiego qualche secondo a distendermi e aprire del tutto gli occhi, ma quando lo faccio non posso fare a meno di sorridere. Un sorriso davvero sincero.
Il fiume scorre davanti a noi, calmo e brillante. Una lieve brezza ci scompiglia i capelli e sotto i miei piedi la morbidezza dell’erba mi da un nuovo senso di sicurezza. Le strade e le macchine sono lontane, i palazzi si vedono bene, ma non incutono il timore che mi facevano in superficie. I rumori non esistono più, sento solo lo scorrere del fiume e l’odore dell’erba bagnata.
Allora, penso, la sua camera ha la mia stessa vista. Questo era il posto dove sarei voluta venire, ma non da sola. E non lo sono.
Ci sediamo sull’erba vicino al fiume e ci togliamo entrambi le scarpe.
-Oh sì, finalmente!- esclamo senza tante riserve, mentre Finnick ride. Infilo i piedi nell’acqua e sospiro.
-è molto bello qui- dico guardandomi intorno. È vero: non c’è traccia di un solo metallo o di mano umana. Tutto è natura, tutto mi riporta a casa mia. Mi servirebbe solo un albero per appoggiarci l’orecchio e ascoltare.
-dovresti vedere il mio distretto- dice Finnick –mare, sole, caldo. Sempre. La sabbia sotto i piedi, il vento tra i capelli bagnati.-
Ama il suo Distretto esattamente come io amo il mio, forse di più. Ama la sua vita, come suo padre faceva prima degli Hunger Games. Penso a mio fratello e penso che adorerebbe sedere qui insieme a noi. Affonderebbe i piedi nell’acqua e resisterebbe solo qualche secondo prima di buttarsi. Chays.. dove sei?
-qui abbiamo l’erba sotto i piedi, invece della sabbia- dico, scacciando pensieri che minacciano di rovinare tutto –ma l’acqua ce l’abbiamo anche qui, no?
Chiudo gli occhi e sento il calore del sole sulla faccia e la freschezza dell’acqua che mi bagna i piedi.
Quando apro gli occhi scopro Finnick che mi sta guardando e sorride.
-andiamo- dice e si alza in fretta.
-dove?-
-alzati!- mi tende una mano, ma prima di prenderla esito un secondo. Come la allungo un po’ lui la afferra e mi tira su.
-Finnick, cosa..?- Lui ride e mi prende in braccio.
-cosa diavolo stai facendo?- E’ molto più forte di me e l’istinto mi direbbe di ribellarmi, ma mi viene da ridere e non posso trattenermi. Senza accorgermene sono in acqua, completamente immersa fino all’ultimo capello. L’impatto con l’acqua fresca è incredibilmente rigenerante e per un attimo non percepisco niente se non l’acqua che mi punge attorno a me. Riemergo con un respiro profondo e mi accorgo che Finnick è ancora in piedi del tutto asciutto.
-oh, sentissi com’è fresca l’acqua!- dico in tono provocatorio.
-lo vedo!- ride Finnick.
-su, prova anche tu!- mi alzo lo prendo per un braccio, ma non riesco a tirarlo giù. Lottiamo per un po’ e ci schizziamo a vicenda. Alla fine finiamo in acqua entrambi con un tonfo sonoro. Continuiamo a schizzarci e l’acqua sembra più fresca ogni volta che mi tocca la pelle. Ridiamo e ci agitiamo nell’acqua fino a star male e quando proprio non ne possiamo più ci trasciniamo soddisfatti sull’erba. Mi lascio cadere col fiato corto.
-potrebbe essere così tutti i giorni della nostra vita- dice Finnick dopo alcuni secondi di silenzio.
-potrebbe- gli faccio eco. Adesso siamo stesi, in silenzio, aspettando pazientemente che il sole ci asciughi almeno un po’ capelli e vestiti fradici. E’ una sensazione straordinaria. L’erba fresca tra le dita, le gocce d’acqua che ancora mi scivolano sul corpo, la risata sommessa di Finnick che non vuole smettere di essere felice. Nemmeno io lo voglio. Sto bene adesso. Bene, anche se mi manca una delle persone più importanti della mia vita, anche se siamo bersagli facili per Capitol City. Potremmo essere uccisi anche in questo preciso momento, ma non accadrà. Mi sento sicura, adesso, qui.
Mi sollevo sui gomiti e sbircio Finnick che a occhi chiusi prende tutto il sole che può con un sorriso stampato sulle labbra. I capelli rossi sono tutti arruffati e per un momento la mia mente si fissa su quel rosso rame.
Ad un certo punto muove le labbra:
-lo so, ho sempre avuto dei bei capelli- Mi sento scema, tutto d’un colpo. Da quanto tempo lo stavo guardando? Mi alzo in piedi:
-mangiamo. Il pranzo che ci ha dato mia madre si sarà riscaldato anche troppo-
Ci sistemiamo a sedere l’uno davanti all’altra e frughiamo nella borsa per scoprirne il contenuto.
Due porzioni di riso freddo con i funghi, acqua e frutta in quantità. Mangiamo più in fretta di quanto avremmo pensato, adducendo come scusa il fatto che per un giorno intero siamo stati riempiti di flebo e zuccheri che non ci sono minimamente passati per la bocca. Intanto parliamo, parliamo senza mai zittirci. Non so come, io non sono mai stata una gran chiacchierona, ma Finnick riesce a tirarmi fuori ogni parola che mi viene in mente e così affrontiamo una miriade di argomenti. Evitiamo però di parlare delle nostre famiglie. Ad un certo punto Finnick si sporge verso di me. Il suo naso sfiora il mio e il suo braccio si appoggia dietro al mio corpo. Rimango immobile, mentre lui sussurra:
-ti piacerebbe..- Mi verrebbe da spingerlo indietro, prendere la mia roba e andarmene. Lui si ritrae fulmineo con la mia pallina di stoffa in mano. Si alza in piedi e ride: -fare due tiri?-
E’ già la seconda volta che mi fa sentire fuori luogo e imbarazzata. Nessuno l’aveva mai fatto fin’ora e questa sensazione mi da fortemente noia. Faccio una smorfia, come per fargli capire che mi sento offesa.
Mi lancia la pallina e la afferro al volo.
-dici la prima cosa che ti viene in mente e lanciami la pallina-
Sorrido: la prima cosa che mi viene in mente è “ridatemi Chays, adesso” ma non voglio dirlo.
-arancione- mi alzo e lancio la pallina.
Lui la afferra e mi manda uno sguardo interrogativo.
-il colore preferito di mio padre. Non l’arancione delle parrucche di Capitol City, ma quello del tramonto- continuo –tocca a te-
-mio padre, Finnick Odair- dice sorridendo. Continua a sorridere anche quando lancia la pallina. La prendo e rimango bloccata.
-sta a te- mi dice vedendo che io non mi muovo. Lascia andare le braccia lungo il corpo.
-ti manca, non è vero?- chiedo quasi sussurrando. Lui rimane immobile, china la testa e si passa una mano sulla faccia.
-non l’ho mai conosciuto- dice –ma mi manca come se fosse morto ieri. Vorrei averlo accanto a me, in momenti come questo, proprio qui accanto. Sentirlo che mi dice “ehi, figliolo, che fai? Ti demoralizzi per una ferita al braccio? Andiamo ce la puoi fare!” –
Lascio cadere la pallina in terra e mi avvicino di qualche passo.
-succede anche a me- rispondo –con mia zia, Primrose Everdeen-
Lui alza lo sguardo, opacizzato. Vedo la differenza e soffro per lui e con lui. Il ragazzo attraente e frizzante che fino a un momento prima faceva di tutto per farmi stare bene adesso sta male, più di me.
Improvvisamente penso che forse è per questo motivo che voleva uscire, per parlare. Per sfogarsi e capire perché sta succedendo di nuovo quello che è successo a suo padre. Ha pensato a tutto questo e l’ha fatto perché ha visto che sto male per Peeta e Chays. Mi ha portato qui, sicuro che sarei stata bene, scherza con me, gioca, ride. Tutto per farmi stare meglio, e io che non me ne sono accorta. Non ho visto nemmeno la sua sofferenza, grande tanto quanto la mia, non ho considerato che sarebbe toccato a me, adesso, sostenerlo. Mi ha salvato la vita, sull’Overcraft, e io l’ho semplicemente ignorato.
Mi avvicino ancora e cerco le parole ma non mi viene in mente niente.
-Finnick, mi dispiace-
Lui scuote la testa e lento mi abbraccia. Rimango per un istante ferma, non sono abituata a certe cose. Succede solo con mio padre e mia madre. Dopo qualche secondo ricambio leggermente l’abbraccio.
-voglio che mio padre sia fiero di me- dice staccandosi.
-lo è. E dopo la parata lo sarà ancora di più- dico. Mi volto veloce e comincio a raccattare i resti del nostro pranzo. E’ pomeriggio inoltrato.
-tra poco mio padre arriverà all’appartamento e voglio essere lì- dico, mettendomi la borsa sulla spalla. Finnick raccoglie la pallina e me la lancia: -allora muoviamoci, non farlo aspettare-

NOTA dell'autore: Vorrei ringraziare con tutto il cuore coloro che hanno deciso di seguire la mia storia. Soprattutto i fan della pagina facebook "Che i giochi abbiano inizio" che mi hanno sempre supportata, anche nelle difficoltà (piccole) incontrate fin ora. Questo capitolo è dedicato a loro. Grazie a tutti !
  
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