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Autore: Sephora    12/08/2012    3 recensioni
«Negli ultimi anni ho imparato a guardarmi le spalle».
«Non lo metto in dubbio: temo solo che tu ti possa distrarre guardando quelle di qualcun altro».

La storia si ripete.
Il mondo magico vive nell'ombra fredda e desolata dei Dissennatori da ormai tre anni: né il Ministro, né gli Auror sono riusciti a scongiurare l'inevitabile.
Viene riesumato l'Ordine della Fenice per organizzare l'ultima, strenua resistenza.
Siete pronti al tutto per tutto?
Vincitrice del premio "Rivelazione" e seconda classificata al LONG FICTION BATTLE.
Genere: Dark, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Dominique Weasley, Rose Weasley, Teddy Lupin, Un po' tutti | Coppie: Rose/Scorpius
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Prophecy'
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II


CHAPTER TWO





It's the moment of truth and the moment to lie.
The moment to live and the moment to die.
The moment to fight, the moment to fight.
___

È il momento della verità e il momento di mentire.
Il momento di vivere e il momento di morire.
Il momento di combattere, il momento di combattere.

 

 

 

 

 

Abbiamo qui con noi il capo della Divisione Auror, George McDonald, al quale porremo alcune delle domande che ci sono state inviate in Redazione. 

Innanzitutto, perché il Ministero non è ancora riuscito a sedare le orde di Dissennatori che, al calar del sole, infestano le vie dei Villaggi Magici e dei quartieri malfamati della Londra Babbana?

Beh, la risposta è semplice: non possiamo respingere Dissennatori a vita. Per un periodo, come ricorderete bene, abbiamo provato a disporre sul campo delle squadre di Auror perché proteggessero le vostre famiglie, ma è stato tutto inutile. Le decine di creature catturate sono state isolate, ma non esiste un modo a noi conosciuto per annientarle: semplicemente le si respinge con un Incanto Patronum. Per ciò, al momento, stiamo lavorando per risalire alla causa, alla sorgente, e capire perché di punto in bianco i Dissennatori sono praticamente impazziti. 

Credete che le misure di precauzione prese dal Ministro si riveleranno efficaci? 

Credo che si stiano rivelando efficaci già da due anni e mezzo. Tutte le sfortunate vittime sono state assalite perché non avevano rispettato il Coprifuoco, per tanto, secondo una delle leggi componenti lo Statuto d'Emergenza, il loro decesso e la loro perdita di senno non sono responsabilità del Ministero. Il Primo Ministro detta le regole, ma è nel nostro interesse rispettarle. 

Parlando di provvedimenti, è giunta una lettera anonima a proposito delle Squadre Speciali – uno dei miglioramenti forse più necessari alla ripresa dell'economia –, in cui viene espressa una perplessità riguardo al fatto che esse sono solo diurne. Come fa notare l'anonimo lettore, i problemi sopraggiungono di notte, dopo il Coprifuoco, e non durante il giorno...

Le Squadre Speciali sono indubbiamente uno dei servizi più utili che la Divisione Auror offre, sono d'accordo. Grazie a loro possiamo impossessarci nuovamente della nostra vecchia routine e andare a lavorare senza preoccuparci dei bambini rimasti a casa, però, per i motivi precedentemente spiegati, preferiamo concentrare le forze dove sono più utili, ovvero nella Divisione Ricerca.

Grazie dell'esauriente risposta. [...]





Intervista a cura di Cat Derose.









Il freddo penetrava nelle ossa. C'era ancora la nebbia, fitta, che rendeva l'aria rarefatta e pungente, difficile da respirare. Gli sembrava di essere ritornato agli inverni in cui andava in montagna con James, solo che in campeggio non era mai scappato il morto – sebbene il senso di responsabilità di Ron fosse alquanto discutibile. D'altronde era per quello che gli stava simpatico.

Quella era la parte migliore delle vacanze, anche migliore del mese a casa dei Potter: aveva sempre aspettato con ansia la settimana bianca – così la chiamava Harry – fino a che, grazie a una brillante idea di James, non si erano uniti a loro anche Bill, Dominique e Victoire. Louis, all'epoca, era troppo piccolo per dormire in una tenda, a detta di Fleur. Gli sembrava che quei ricordi appartenessero a decenni addietro, alla sua infanzia o, in momenti come quello, in cui si trovava a guardare negli occhi un cadavere, all'infanzia di qualcun altro. Di sicuro, non avrebbe mai detto che l'ultima volta che aveva campeggiato era stato nel gennaio del 2020, appena tre anni prima.

«È il quinto in tre mesi». James scosse la testa. «Non è un caso, e dubito che i Dissennatori abbiamo preso di mira i dipendenti del Ministero perché non avevano altro da fare». 

Teddy si chinò sul corpo gelato, coperto dalla brina, e ne spazzò via un po' coi polpastrelli per scoprire le palpebre. Poi le sollevò con due dita, scoprendo le iridi. 

Grigie. 

«È stato baciato anche lui» sentenziò, facendo correre le mani sulla camicia, scostando lembi di tessuto in fretta e sbirciando la pelle intirizzita. «Non ci sono lividi o graffi, la bacchetta è ancora sul comodino. Non ha avuto il tempo di prenderla: l'hanno colto di sorpresa...» 

James si sporse oltre la porta, sbirciando irrequieto il camino. «Dobbiamo muoverci» mormorò, senza distogliere lo sguardo dal soggiorno. «Gli Auror compariranno da quel camino a minuti, e se ci trovano qui non voglio neanche pensare quello che farebbe Weber». 

«Terrebbe tuo padre per le palle» rispose Teddy, continuando imperterrito l'ispezione. 

Ai tempi della specializzazione in Medimagia aveva una malsana passione per i film gialli, quelli Babbani

Non era mai riuscito a finire un libro di quel genere – di qualsiasi genere, a dire il vero –, perché dopo aver letto il prologo scorreva solo distrattamente le pagine, fino ad arrivare agli ultimi capitoli. Coi film invece non poteva imbrogliare. O almeno non aveva potuto fino a che non era riuscito a capire come funzionasse un lettore DVD, e quanto fosse ingegnosa l'opzione “selezione scene”. 

Comunque, aveva imparato fondamentalmente due cose passando i suoi pomeriggi davanti alla televisione: i dettagli più banali sono sempre i più significativi, e, nonostante tutti dicano il contrario, l'assassino non è mai il maggiordomo. 

«Da dove sono entrati i Dissennatori?» chiese d'un tratto, scrutando attentamente la stanza. «La finestra là in fondo, sopra il calorifero, ha le inferiate, mentre le altre hanno tutte le tapparelle abbassate. Quindi, a meno che non abbiano imparato a suonare il campanello, qualcuno deve averli fatti entrare». 

«Senti, Teddy, sta volta la notizia ci è giunta in ritardo. Non mi pare ci sia niente di diverso rispetto alle altre vittime: il modus operandi è lo stesso. Ora ci conviene tornare a casa e far fare qualche ricerca a Dominique e...» 

«Dominique... Cosa vuoi che faccia Dominique fino a che continui a trattarla come se non fosse capace di intendere o volere? La tieni sotto una cappa di vetro». 

«Ma cosa dici? È ancora una bambina, ha solo quindici anni!» 

«Se sei costretto a crescere diventi adulto anche a quindici anni, James, e tu dovresti saperlo bene: tuo padre ce lo ripeteva sempre. E poi c'è bisogno che ti ricordi cosa facevamo noi a quindici anni?» 

«Niente. Abbiamo iniziato a sedici ad andare di pattuglia con mio padre». 

Teddy fece schioccare la lingua sul palato, accennando un sorriso. «E sia» disse. «Dominique compie sedici anni a gennaio, l'otto se non sbaglio...»

«Il cinque» lo corresse James, gelido come l'aria rarefatta che si respirava in quella stanza. 

«Il cinque, ancora meglio. Allora che avrai da ridire? Che è troppo carina per pattugliare? Che con quegli occhioni azzurri rischierebbe di attirare dei malviventi? Il cinque gennaio porrò fine personalmente all'infanzia prolungata di Dominique Weasley». 

«Spero tu stia scherzando». 

«Non sono mai stato tanto serio». 

«Non oserai...» 

«Andiamo, amico! Che hai? Perché continui a proteggere quella ragazza? Sembri quasi ossessionato da tua cugina» borbottò ridendo. «Già, ossessionato». 

«Non è ossessione, Teddy. Hai presente quando tieni a qualcuno e non vuoi che gli accada niente? Oh, evidentemente no, perché altrimenti non la costringeresti a rischiare la pelle!» 

Albus. Il suo viso ancora da bambino, i tratti immaturi, i capelli corvini: non provò nemmeno a immaginare l'espressione di James se gli avesse detto che se la faceva con suo fratello. 

«Non si tratta di costringere: lei muore dalla voglia di venire con noi» asserì infine. 

«Dom non sa quello a cui va incontro». 

«E allora lascia che lo scopra». 

«No». 

«Non hai scelta: sono io che organizzo i turni e gli allenamenti, ergo sono io che decido chi fa cosa». 

«Da quando sei diventato un despota?» 

«Da quando ti fai tanti scrupoli per una delle tue innumerevoli cugine? Roxanne ha dieci anni, inizia a fare il buon samaritano con lei e lascia crescere Dominique. Che ha di tanto speciale quella ragazza? Lo vorrei tanto sapere». 

«Parli proprio tu! Dovresti sapere meglio di me che le discendenti delle Veela sanno esercitare un particolare ascendente sugli uomini» ironizzò. «Catalizzano l'attenzione». 

«Lo so bene» mentì Teddy: in realtà, lui, non aveva mai sperimentato il mitico fascino di Victoire. «Ma credo proprio che nel tuo caso l'attenzione di cui parli sia di diversa natura. O almeno lo spero, amico, altrimenti ti porto direttamente dal mio Medimago di fiducia». 

James scrollò le spalle e fece una risatina. «Ma non dire cavolate». 

Teddy, che non aveva smesso per un attimo di maneggiare il corpo, agitò la bacchetta in aria, e il suo mantello prese a volteggiare nell'aria fino a posarsi sulle sue spalle. «Ho finito» dichiarò dopo essersi allacciato i nastri della cappa. «Nik ci aspetta di sotto?» 

«Sì, appena fuori. Ah, Teddy, una cosa». 

«Uhm?» 

«Albus, di anni, ne ha quasi diciotto». 

Teddy s'irrigidì. «Albus è utile sui libri, Dominique no. Vorresti far pattugliare anche tuo fratello?» 

«No, è l'ultima cosa che vorrei dover stare in pensiero anche per lui. Mi stavo solo chiedendo perché lui fosse esente dalla leva obbligatoria». 

Teddy sentì il sangue gelarsi nelle vene. Alle volte James gli dava la sensazione di sapere più di quanto non dicesse. 

«Non ne è esente» precisò, balbettando appena. «È solo che è più utile come stratega: è morigerato, prudente. Mi aiuta più di quanto non pensi». Sbuffò dell'aria dal naso, costringendosi a sorridere. «Se non fosse per lui, ideerei piani folli, delle missioni suicide». 

James dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma poi le serrò nuovamente, sentendo uno schiocco provenire dal salone. 









«Solo una Burrobirra, Rose! Che ti costa?» 

Scorpius affrettò il passo e Rose fece altrettanto. 

«Circa dieci falci, se non ricordo male» sbuffò irritata, mentre scendeva rapidamente le scale. «E un paio di mesi da uno psicoterapeuta, perché sono certa che rimarrei tanto traumatizzata da avere gli incubi. Ti immagini? Vi sveglierei tutti nel cuore della notte urlando: “Ah! Scorpius! Burrobirra! No!”» 

«È un sì?» 

Rose si fermò di colpo, facendolo quasi inciampare, e incrociò le braccia sotto al seno, con aria scettica. «Secondo te?» 

«È un “lo prenderò in considerazione”». 

Rose non ribadì, si limitò a scoccargli un'occhiata di disappunto e a riprendere a discendere i gradini più velocemente, nella speranza che la scarsa coordinazione della Seccatura lo portasse a cadere rovinosamente e a rompersi una gamba: nel migliore dei casi, avrebbe avuto un paio di notti di pace e tranquillità. 

«Rosie?» 

«Che c'è?» 

«Vieni se te la pago io la Burrobirra

«No!» lo liquidò in malo modo, alzando la voce. «Non se ne parla neanche!» 

«Oh, andiamo! Cos'ho che non va?» 

«Sei insistente, appiccicoso, esibizionista, esecrabile...» 

«Esecrabile? Sai cosa vuol dire esecrabile?» esclamò sbigottito. 

«Sono andata a cercarlo sul dizionario apposta per te. Non trovi che ti rappresenti alla perfezione?» 

«Trovo assurdo che tu ti sia disturbata ad andare a cercare una parola e non ad accettare di bere una Burrobirra con me! Dammi almeno una speranza!» 

Rose scosse la testa. «È appena morta una persona, non mi sembra il caso di pensare a queste sciocchezze». 

Scorpius afferrò l'orlo della sua giacca, trattenendola. «Muoiono persone tutti i giorni, Rosie» mormorò, addolcendo lo sguardo. «Muoiono di vecchiaia, di malattia, in un incidente o perché uno stronzo con troppo potere decide che sono d'intralcio, ma noi non possiamo smettere di vivere insieme a loro». 

Rose vacillò appena, dondolandosi sull'orlo dello scalino, con la mano ben salda attorno al corrimano. Lo fissò un istante, il tempo che si concesse per inquadrare ciò che aveva detto – e, considerata la latente saggezza di Scorpius, capire chi avesse realmente dato vita a quel pensiero. 

Lui era così: un po' vecchio saggio della tribù, un po' bambino in fasce, un po' idiota, un po' ragazzo con delle idee... beh, con delle idee, punto. In una parola: incoerente. O una Mina vagante, l'unico soprannome che aveva un retrogusto affettuoso tra quelli che Rose gli aveva affibbiato. 

Anche Idiota non era così tanto offensivo, dopotutto. 

«Muoviamoci» borbottò infine, saltando gli ultimi gradini della rampa. «Se qualcuno ci becca ancora qua sono cazzi». 

Fuori dalla Tana i campi erano soffocati da erbe infestanti e dal freddo di novembre. 

Era difficile pensare che proprio lì, fino a qualche anno addietro, al posto delle sterpaglie ci fosse un prato curato, puntellato qua e là da qualche macchia di terreno spoglio; Rose ricordava ancora quando, per il compleanno di James, Harry ed Hermione avevano montato un'altalena tra i due alberi più robusti: ora rimanevano due tronchi spogli e una trave marcia, che penzolava da una corda sfilacciata e consunta. 

«Meno male, Lysander e Lorcan non sono ancora arrivati» sospirò Scorpius. Si sistemò di fronte a quel che rimaneva dell'altalena, col fare stanco e sonnolento di chi è stato buttato giù dal letto nel cuore della notte. Il terzo turno, l'ultimo prima che le luci del mattino sopraggiungessero, era il più duro. «Così puoi rimanere qualche minuto a fissare il mio corpo statuario» aggiunse, alludendo all'aria seccata con la quale Rose lo stava fissando. 

Scorpius era un ragazzo moderatamente carino, abbastanza alto, dai capelli biondo pallido, tanto chiaro da sembrare sbiadito. Erano però i suoi occhi, azzurri, slavati, a far cadere decine di ragazze ai suoi piedi – questo secondo la sua controvertibile opinione. Oltretutto, Rose, le suddette “decine di ragazze”, non le aveva mai viste: ad esclusione di Marianne Simon al quarto – e per loro anche ultimo – anno di scuola ad Hogwarts, nessuna aveva mai manifestato interesse nei suoi confronti. Se la ricordava chiaramente, Marianne: era alta, secca, con la faccia interamente coperta di lentiggini e crespi capelli castani. La ragazza non aveva nemmeno provato a chiedere a Scorpius di uscire: a scuola tutti sapevano che lui aveva inspiegabilmente occhi solo per Rose Weasley, troppo impegnata a scontare punizioni per poter escogitare un modo più o meno cortese per rifiutare le sue avances. 

«Di ritorno dalla ronda, dovremmo fermarci davanti a quel vecchio palazzo, quello disabitato da anni» disse Scorpius. Per un attimo, Rose temette che il fine di quella proposta fosse un appuntamento romantico. «I gufi lasciano ancora una copia del Cavillo là davanti. Voglio tenermi aggiornato sui Cinciduli Africani: ho letto un paio di settimane fa che si stavano spingendo a nord, verso l'Italia». 

«E tu credi a queste sciocchezze? Avranno scambiato un branco di orate per quei cosi lì». 

«Le orate sono pesci d'acqua dolce. E poi i pesci mica si muovono in branco!» 

«Come no?» 

Fortunatamente la comparsa di Lysander e Lorcan stroncò sul nascere un noioso battibecco sui pesci. 

«Tutto tranquillo stasera» asserì Lysander. «L'unica cosa anomala è questo insopportabile freddo. Perché mai a novembre si dovrebbe gelare?» 

«Perché non siamo nella tua amata Amazzonia, Lys» disse Rose, dandogli un leggero pugno sulla spalla. «Ma in Inghilterra». 

Nel girarsi Lysander fece volteggiare il mantello, che si impigliò in un rovo e si lacerò; da una tasca interna scivolò fuori una lettera accuratamente ripiegata. 

Rose si chinò a terra e la raccolse. «Ti è caduta» bofonchiò mentre gliela porgeva. 

Lysander si irrigidì. Dietro di lui, Lorcan assunse un'espressione indecifrabile. Erano due gocce d'acqua, i gemelli Scamandro: medesimi capelli scuri, occhi grigi, tratti decisi. Le labbra erano l'unico attributo che permetteva di distinguerli: egualmente sottili, quelle di Lysander erano perennemente piegate in un sorriso, mentre quelle di Lorcan diritte, rigide. Sembravano modellate nell'acciaio. 

«Grazie» mormorò Lysander, riappropriandosi della lettera. Solo allora Rose notò che non era intestata; si poteva però intravedere la scrittura fitta e ordinata vergata all'interno del sottile foglio di pergamena. «Sono proprio un imbranato». 

«Già» convenne Scorpius con un tono stranamente acido. «E noi siamo in ritardo. Rosie?» 

Senza aspettare una sua risposta le arpionò la mano, conficcandole le unghie nel palmo, e girò su se stesso. 

Ogni volta che si Smaterializzava con Rose, Scorpius aveva paura di farle del male. 

Ad intermittenza si sentivano voci ovattate e delle inferiate che si chiudevano; qualcuno si affacciava anche, per poi trincerarsi nuovamente dentro. Sarebbe bastato quello, o il rumore di un ramo secco spezzarsi sotto la suola delle scarpe, per non arrivare interi a destinazione. Lo tranquillizzava un poco il fatto che Teddy gli avesse insegnato esattamente cosa fare nel caso di uno Spaccamento, ma non era sicuro di riuscirci mentre Rose sbraitava epiteti decisamente poco lusinghieri nei suoi confronti. 

Ciò nonostante, non aveva altra scelta: nell'Ordine bisognava arrangiarsi. C'era chi seguiva una scia di omicidi, chi rimaneva alla Tana a fare ricerche – di preciso su cosa Scorpius non l'aveva ancora capito – e chi trasportava da un punto all'altro della città una ragazza petulante. 

Non che gli dispiacesse. 

«Dio santo, sto per vomitare» rantolò Rose, piegandosi in due. 

«Ormai dovresti esserci abituata, non è la prima volta». 

«Che vuoi che ti dica? Soffro il mal di Materializzazione» masticò Rose, asciutta, rimettendosi in piedi. «Potevi almeno avvisarmi, non ero psicologicamente pronta». 

«Quando imparerai a...» 

«Quando imparerò a Materializzarmi, ti ripeto, non avrò più bisogno di... di... di te». Rose si voltò lentamente, impugnando la bacchetta. «Hai sentito?» 

«Cosa?» domandò Scorpius, passandosi una mano dietro la nuca. «C'è un silenzio tombale, qua». 

Rose gettò il capo in avanti e si legò i capelli con l'elastico che teneva attorno al polso, poi aprì la zip della giacca e se la sfilò, allacciando le maniche in vita. Era l'unica a non portare il mantello: la vecchia giacca di pelle di suo padre aveva un'aria più vissuta, diceva. 

«Ma sei ammattita?» berciò lui. «Si crepa di freddo, come puoi...» 

«Sssht!» lo zittì Rose, indicando col capo la vetrina di un vecchio negozio, coperta da assi di legno e lenzuola ingiallite incastrate tra le tavole per tappare le fessure. «Là dentro c'è qualcuno». 

«Sarà solo un ratto» obbiettò Scorpius, nella speranza di allontanarsi in fretta di lì. Alle ragazze avrebbero dovuto fare schifo i ratti, no? 

«Bene, è nostro compito verificarlo». 

Prima che potesse avvicinarsi alla vetrata, un ruggito squarciò il silenzio, seguito dal frastuono secco del legno che si spezza. Rose indietreggiò, schivando i chiodi e le schegge. 

«Questo l'hai sentito?» 

«Magari è una pantegana». 

Nel momento stesso in cui Scorpius pronunciò quella frase, qualcosa scardinò la barricata e si lanciò in strada, ruggendo. E quelqualcosa aveva la testa di leone e gli zoccoli. 

«Ti sembra una pantegana?» sibilò Rose, impugnando saldamente la bacchetta. 

Scorpius rimase immobile. «Non, muovere, nemmeno, un, passo» scandì, ghermendole il polso. «Sai che cos'è quella?» 

«Secondo te io ho mai aperto un libro che non fosse difesa contro le Arti Oscure?» 

«È una Chimera, Rose. Una Chimera». Sfilò la bacchetta dal mantello in un movimento forzatamente lento, senza distogliere gli occhi dalla creatura. «Cinque X su cinque, è una nota ammazzamaghi, impossibile da addestrare...» 

«Stupeficium!» 

Il lampo rosso si schiantò contro la vetrina del negozio, sollevando una nuvola di fuliggine. 

Quando la polvere si posò a terra e Rose abbassò la bacchetta, la Chimera era già scomparsa.







*





Dominique era rannicchiata sul davanzale della finestra, con un taccuino poggiato precariamente sulle ginocchia strette al petto. 

Non le era mai piaciuto particolarmente stare in prima linea, a dir la verità, però nemmeno essere completamente ignorata le andava molto a genio. Tutti avevano di meglio da fare, un compito da svolgere, una missione da portare a termine. Neanche Rose c'era più per lei: se ne stava tutto il giorno ad esercitarsi con un manichino di legno, uno di quelli che Teddy usava per farla allenare. 

Fra gli altri innumerevoli cambiamenti, c'era – al primo posto, in verità – James. 

Lui era l'unico che le prestava attenzione, e forse lo faceva fin troppo; da quando si era unita all'Ordine della Fenice, era cambiato: era diventato prudente. Sì, il ragazzo che in pieno inverno saltava da uno scoglio all'altro col rischio di cadere in mare e fracassarsi il cranio era diventato prudente, addirittura cauto, tanto da impedirle di prender parte alle ronde. 

«È pericoloso» le rispondeva ogni volta, ma Dominique non capiva perché gli altri dovessero rischiare mentre lei se ne stava a leggere dei libri che si stavano rivelando totalmente inutili – come e chi controllasse i Dissennatori rimaneva un punto interrogativo, nonostante avesse saccheggiato le librerie di Diagon – e NotturnAlley

Mise da parte il quadernetto e saltò giù dal davanzale; scoccò un ultima occhiata al cortile – James sarebbe dovuto rientrare più di un'ora fa –, poi si diresse verso il letto che condivideva con Rose. Il lato della cugina era ancora tiepido, le coperte sfatte e il lenzuolo sudaticcio: Rose aveva dormito un paio d'ore prima di uscire di ronda. Dominique sgusciò sotto alla trapunta, rabbrividendo al contatto col materasso gelido; dopo qualche secondo rotolò dall'altra parte del letto e si sporse verso il comodino. Aprì l'anta e ficcò la mano nel mucchio di vestiti che vi erano accatastati, fino a che non sentì sui polpastrelli la consistenza morbida del pile. 

La felpa di James era blu, coi bordini bianchi e i bottoni neri. Gliel'aveva prestata un paio di giorni prima, quando erano usciti a fare una passeggiata nel retro della Tana. Dominique era uscita solo con un maglioncino, palesemente troppo leggero per una giornata tanto fredda; una parte di lei, quella calcolatrice e maliziosa, sapeva di averlo fatto apposta. Se prima James aveva solo un occhio di riguardo nei suoi confronti, adesso si poteva dire che studiasse metodicamente ogni sua espressione, ogni suo gesto, per prevedere tutte le sue necessità. Questo, sebbene da una parte fosse estremamente irritante, dall'altra non poteva non farla sentire importante: così, quando James si era sfilato la felpa imbottita e gliel'aveva poggiata sulle spalle, Dominique ne aveva approfittato per rannicchiarsi accanto a lui. 

Era diventato cauto anche su quelle piccolezze. Quando c'era qualcuno nei paraggi si teneva a debita distanza, risultando quasi troppo distaccato, a disagio, ma da soli era tutta un'altra storia: James ritornava a essere Jamie, il bambino che si buttava dagli scogli, solo più protettivo e con un'ombra di barba.

Dominique aveva un ricordo nitido della sua infanzia, forse reso più chiaro dal senso di disagio che le aveva attanagliato lo stomaco: sua madre, ritta in piedi, con uno sguardo insolitamente duro, mentre chiedeva – imponeva – a James di andare nella stanza degli ospiti. Stavano dormendo nello stesso letto, stretti sotto alle coperte, con le gambe e le braccia intrecciate. Solo ripensandoci a distanza di anni, Dominique si rese conto di quanto fosse sconveniente. 

Improvvisamente la porta si spalancò, e la luce fioca emanata da una bacchetta illuminò la stanza. 

«Svegliati. Abbiamo un problema» ansimò Albus, facendole cenno di seguirlo. «Un grosso problema, oserei dire». 

Dominique scivolò fuori dal letto e infilò i piedi nelle pantofole. «Che è successo?» 

«Gli Auror hanno beccato Teddy, James e Nik». Albus appoggiò una mano sulla maniglia della porta. «E Weber ha convocato mio padre al Ministero».

 

 

 

 

 

 

   
 
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