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Autore: Finnick_    14/08/2012    4 recensioni
Panem: i Giochi non esistono più. Capitol City è stata sconfitta.
E' la verità? Oppure l'attuale governo mantiene ancora fredde apparenze che facilitano la rinascita di una nuova generazione?
Mellark-Everdeen, Odair-Cresta. I ragazzi di una generazione che sfiderà la nuova Capitol 13.
Che gli Hunger Games risorgano, tributi.
Ambientazione: dopo "Il canto della rivolta".
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il risveglio la mattina successiva è stranamente calmo e silenzioso. Mia madre e mio padre non sono più nella mia stanza, il che mi fa presumere che sia arrivata ora di alzarmi e prepararmi per la colazione. Quando mi presento in sala da pranzo sono già tutti a tavola.
-ti stavamo aspettando, dolcezza- annuncia Haymitch prendendo la marmellata e spalmandola su una fetta di pane che non regge in mano. E’ tristemente invecchiato, i capelli sono praticamente grigi e nonostante tutto continua ad allungare il suo caffè con qualche liquore strano.
Mi siedo scrutando le facce intorno a me. Sono tutte chine sui piatti pieni di cibo, quasi totalmente intaccato. Senza dire niente riempio la mia tazza col latte e comincio a bere, sperando che tutto questo silenzio sia dovuto dalla mancanza di voglia per la preparazione alla parata. Prendo in mano una fetta di pane e guardo gli altri. Continuano a non fiatare, nessuno dice una parola.
-perchè avete tutti questi musi lunghi?- chiedo cominciando a spalmare della crema di nocciola sul pane.
Nessuno risponde. Sono già di umore irritabile di mio, la situazione di questi giorni mi ha innervosita molto di più e adesso sembra che stiano facendo tutti del loro meglio per farmi scattare infuriata.
Aspetto qualche altro secondo, ma niente.
Batto con forza il coltello sul tavolo di vetro che vibra violentemente e provoca la reazione della Paylor:
-datti una calmata, Mellark. O il posto migliore in cui potrai rimanere per i prossimi quattro giorni sarà la tua stanza-  non mi guarda ancora negli occhi.
-non aspetto altro- dico a denti stretti, consapevole che la Paylor sa che chiudendomi in camera mi farebbe solo un favore.
-allora puoi andare- dice senza alzare la voce. Sembra abbattuta. Divento sospettosa.
-cosa sta succedendo?- chiedo mollando il coltello che tintinna sul tavolo da un’estremità all’altra.
-Rue, non..- è il tentativo di Haymitch.
-ditemi cosa diavolo succede- continuo al massimo dell’irascibilità. Tutte le idee più disastrose mi assalgono la mente come un esercito: mio fratello è morto, Capitol ha di nuovo intenzione di attaccarci, o l’ha già fatto, oppure.. no. Non voglio nemmeno pensarci, perché questa opzione non potrebbe mai accadere.
Jymith. Il mio distretto.
-hanno attaccato il Distretto 12- dice mia madre, notando che nessun altro è capace di aprire bocca. Mio padre è immobile e fissa dritto davanti a se un punto indefinito.
Mi si serra la gola e faccio fatica a deglutire. Non c’avevo pensato. Alle conseguenze che la nostra spietata difesa sull’Overcraft potessero avere sul distretto. Rimango ammutolita, il respiro mi s’è bloccato a metà.
Penso a Jymith e alla sua famiglia, penso al bombardamento che ci fu prima della grande guerra contro Capitol e capisco che potrebbe benissimo essere successa la stessa cosa. Nessuno si sarà salvato, se il distretto è stato bombardato come venticinque anni fa.
-Cosa..- non riesco nemmeno a parlare –cosa ne è rimasto?-
-poco o niente- risponde la Paylor –è stato bombardato da cima a fondo. Abbiamo osato sfidare Capitol City, di nuovo, e queste sono le conseguenze-
Distrutto il Distretto 12.
-sopravvissuti?- chiedo, mentre sento il magone che mi sale in gola.
-una o due centinaia. Sono stati soccorsi e messi al sicuro dal Distretto 2. Sappiamo solo che hanno lasciato intatto l’ex Villaggio dei Vincitori-
-casa nostra è ancora in piedi- dice mio padre.
A che scopo? Mi chiedo. Ma non è questo quello che importa. Devo avere notizie di Jymith e della sua famiglia, devo sapere che tutti quelli che conoscevo a casa sono sopravvissuti. No, la maggior parte è sicuramente morta durante l’attacco. Perché? Che fine hanno fatto gli Overcraft alleati che dovevano proteggere il distretto secondo il patto di comune alleanza che avevamo stretto venticinque anni fa? Non voglio nemmeno pensare che ci abbiano abbandonati, meglio che siano stati attaccati e distrutti.
Poi mi viene in mente che noi non siamo l’unico distretto che avrebbe partecipato alla parata.
-che ne né degli altri distretti? Non può essere stato attaccato solo il 12- chiedo.
-sono stati attaccati anche il 4 e l’8- risponde mia madre –per zittire la presidente e la famiglia Odair. Erano gli unici presenti con noi sull’Overcraft, quando siamo stati attaccati-
-ma non è possibile che gli altri distretti non siano stati attaccati, né durante il viaggio fin qui, né adesso-
Sentenzia mio padre, dando voce ai miei dubbi.
-gli altri non hanno la disgrazia di ritrovarsi i sottoscritti- dico alzandomi e andando in camera mia. Faccio presto a prendere la pallina di stoffa rotolata sul pavimento la sera prima e a stringerla, perché è l’unica cosa che mi può trasmettere un minimo di conforto. Non voglio piangere, perché non è ancora detta l’ultima parola. Ma quello che mi spaventa di più è il fatto che Capitol City sia rinata, con l’alleanza del Distretto 13 e stia minacciando di nuovo Panem di tornare al potere. La parata. Adesso la parata è il culmine della situazione: o otterremo il successo, oppure sprofonderemo insieme a quel governo che la Paylor ha creato. Penso.
Ragiono.
Rifletto.
Ricordo.. Ricordo!
Sto ricordando! Tutto quello che è successo fin ora è chiaramente stampato nella mia mente, dal giorno in cui la Paylor ha messo piede in casa nostra, fino a questo tragico momento. Mi gira la testa.
Devo mettermi a sedere sul letto e stringere la coperta.
Mi sta tornando in mente tutto.
Improvvisamente mi ritrovo su un lettino. Riesco a sentire l’odore, sa di ospedale. Mi accorgo che una donna alta, dai capelli rossi è sopra di me e sussurra le stesse parole da qualche minuto. Pian piano le afferro:
-piccola, è tutto finito. Adesso sei al sicuro, sei qui nella clinica del Distretto 12 e c’è tutta la tua famiglia- è la dottoressa Mel che mi sta parlando. Piccola. Sono piccola, ho sei anni. Ho appena subito lo shock mentale e sono ricoverata nella clinica del mio distretto. Mia madre sta parlando con la presidente. No, sta litigando. Non alza la voce per paura di darmi noia, ma la vedo smanettare e mio padre la sostiene.
Poi sono di nuovo nella mia stanza nel palazzo del Distretto 0. Apro gli occhi. Senza accorgermene li avevo stretti tanto forte da far male e adesso abituarmi alla luce richiede qualche secondo. Ho stretto la coperta fra le mani troppo violentemente e l’ho tirata tutta verso di me.
-mamma- dico con voce più alta che posso, tenendo la testa china sul pavimento.
-papà- alzo ancora il tono, quando mi rendo conto che ricordo tutto e che non ho più bisogno del richiamo mentale.
Sto per chiamare di nuovo, ma mio padre spalanca la porta e si inginocchia davanti a me.
-che succede?-
- la memoria-
Mi alza il volto con un dito e scorgo la sua faccia allarmata.
-non ricordi? Se n’è andata di nuovo, Rue?- è pallido. Quasi come se quello che pensa mi sia successo fosse più grave dell’attacco al 12. Scuoto la testa in segno negativo, ma impiego un po’ prima di rispondere. Devo riordinare le idee e i mille ricordi che ora mi perforano drasticamente la testa.
-Peeta- è la voce di mia madre che è appena entrata in camera.
-cos’ha fatto, che ti è successo Rue? Sei stanca, se non ricordi devi riposare- mi prende per un braccio e mi costringe a stendermi. Mi divincolo e mi alzo in piedi.
-no- guardo fissa i miei genitori. Di colpo sono di nuovo ragazzi. Di colpo sono di nuovo gli innamorati sventurati del  Distretto 12. Ricordo tutto di loro. Ogni momento passato insieme mi sale alla mente come un fiume di immagini straripato da una diga che non poteva più contenerlo.
-ricordo tutto- dico e aspetto.
-non è possibile- Haymitch ha fatto in tempo ad entrare e sentire la mia ultima frase. È la persona con la faccia più sorpresa che possa conoscere.
Mio padre sorride.
Mi lascio andare ad un sorriso anch’io, anzi comincio a ridacchiare.
-ho in mente ogni momento passato con voi. Ricordo tutto del nostro distretto, le persone che conosco, quelle che ho solo incontrato. Ricordo.. ricordo Jymith, la prima volta che venne al forno e tu papà le regalasti una pagnotta chiara come i suoi capelli. Me lo dicesti te, non appena lei era uscita- sono in preda ai ricordi, non posso fermarmi. Non voglio.
-e mamma. So di quando mi portasti via dalla clinica del 12 e mi facesti fare il bagno nel fiume che porta al..- sto per dire “al lago” ma mi fermo.
Perché mia madre mi aveva detto che quel posto mio padre non lo conosceva- mi infilasti pian piano nell’acqua e mi insegnasti a nuotare. La dottoressa aveva detto di non farlo, non finchè non mi sarei ripresa dallo shock, invece mi hai fatto sentire me stessa- Mia madre sorride. Guardo Haymitch e la presidente sulla porta e richiamo con loro alcuni momenti che sembravano spacciati, persi in una memoria che non ho mai avuto. Mio padre mi abbraccia forte e continua a ripetere che si sente felice, nonostante tutto.
-Rue- mia madre mi stringe a se e io ricambio l’abbraccio con decisione, perché adesso sono io. Sono io per la prima volta nella mia vita. Ricordo tutto quello che ho passato. Non posso sentirmi felice, senza Chays accanto e con un distretto, il mio distretto, raso al suolo dalle bombe del 13 e di Capitol City.
Improvvisamente sento che possiamo farcela. Che possiamo riportare le cose com’erano prima di questo strano risveglio della Capitale.
Finnick.
Ieri, al fiume, nel prato, lui mi ha aiutata. Stringo la pallina che ho ancora nella mano destra.
-Finnick- sussurro e mi lancio fuori dalla porta. La Paylor prova ad impedirmi di uscire, ma la sposto con un braccio come se fosse stata una bambola di pezza.
-non posso- le dico sorridendo – e lei non può impedirmi il mio momento di serenità-
Mi lancio verso l’ascensore e senza pensarci un secondo premo il pulsante 6.
Non ho mio fratello, non ho più un distretto, ma posso riottenerli. Con mio padre, mia madre, con Finnick ed Annie. Anche loro hanno perso tutto, mi capiranno. E devo rendere partecipe Finnick della mia convinzione, del fatto che mi è tornata la memoria. Devo dirgli che possiamo farcela, lui ne sarà felice.
Mi preparo le parole mentre scendo, ma mi dimentico ogni discorso organizzato quando la porta dell’ascensore si apre sull’appartamento Odair.
Vedo Annie, seduta sul grande divano bianco, mentre fissa il vuoto. Finnick in piedi che parla a testa bassa con una donna.
-Finnick!- esclamo e corro verso di lui. Poi riconosco la donna. Mi blocco. Indietreggio di qualche passo.
Finnick mi guarda con uno sguardo disperato e sulle sue labbra leggo la parola “aiuto”.
Sudo freddo. Un incubo, questo dovrebbe essere solo un incubo. Lo vorrei anch’io l’aiuto, nel momento esatto in cui la donna di gira e mi guarda sorridendo.
I suoi capelli grigi sono talmente perfetti che non ho più dubbi. Logora, lacerata dal tempo, piena di rughe. Ma la Coin è lì, e mi sta fissando.
 
 
 
  
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