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Autore: GenGhis    23/08/2012    4 recensioni
Questi racconti nascono principalmente da molto tempo libero, uniti ad una notevole capacità di elaborare idiozie e trascriverle su carta. Non mi andava di dover scrivere sempre le stesse cose, quindi non c'è un vero e proprio tema che accomuna queste storie. Solo, appunto, tanto tempo libero e la stessa penna.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Racconto 8
L'arrivo degli uccelli

* * *

 

Prima che Odette arrivasse a Mont Couplet, Julian era un uccello in gabbia. Di tanto in tanto abbandonava il nido perché Ulysse, suo padre, aveva il vizio di tracannare ogni notte del liquore forte nelle osterie e rincasare confuso ed annebbiato, scudisciando la cinta come fosse la lingua d’una frusta e chiamando a gran voce il nome di Julian. “Julian, Julian, stupido ciccione”, sciamava mentre s’arrampicava sui gradini dell’ingresso: e Julian, ancora in un pigiama troppo piccolo per il suo ventre gonfio, scivolava via dalla porta di servizio come un roditore bizzoso, correndo lungo il viale finchè non sentiva le urla confondersi coi sussurri della notte.  
Seppure sapesse di non poter correre per sempre, a lui bastava di poter sbattere le ali e fingere di essere un gabbiano: sognava di sorvolare le interminabili distese campestri di Mont Couplet, e il fiume tumultuoso, e le casupole dei braccianti oltre il confine e i recinti delle vacche e degli agnelli; sognava di volare fin sopra le Senna, sui tetti a piegoline dei bateau, e di non tornare mai.
Odette arrivò a Mont Couplet una mattina di fine agosto: Julian, spaventato come al solito dalle minacce del padre, aveva dormito fuori casa. Un fringuello gli becchettò amichevolmente un dito ed egli, levati gli occhi oltre la tenera penombra della veglia, la vide. Era circondata da uccelli, e tirava un carretto su cui si leggeva la scritta:
 
Odette et ses oiseaux
Volatili d’ogni forma e dimensione
 
Come ogni cosa bella non fu che per un istante. Ma Julian capì che non avrebbe mai dimenticato quel viso.
Il negozio d’uccelli d’Odette si stabilì in paese in capo ad un paio giorni: l’estate finì che per gli abitanti di Mont Couplet v’era nulla di strano nel trovare un allocco appollaiato sulla cassetta delle lettere, o un paio di colombe bianche che, amorose, tubassero accomodate nell’incavo d’una grondaia. I suoni di Mont Couplet erano lo schioccare del becco di un barbagianni contro la ruota di una bicicletta, il fruscio delle anitre che filavano lungo il cielo novembrino, il pigolio di un cardellino appena nato in un paio di scarpe dimenticate sul pianerottolo.
  Odette non usciva dal negozio che di rado, eppure i pensieri di Julian erano come un branco di storni impazziti che, testardi, sorvolassero il tetto della sua mente volgendosi sempre a lei, quasi fosse l’agognato Oriente, quasi che in lei baluginasse l’irresistibile ardore dell’est. La campagna, il languore del tramonto, leggere un libro, la dolcezza del cioccolato, il fuggevole bacio fra un archetto e le corde tese di un violino, una notte senza stelle: nulla di ciò che aveva amato aveva lo stesso sapore, e la sua anima sbatteva, disperata, contro le pareti del proprio corpo come supplicando di poter uscire. Alle volte immaginava di essere un ragazzo diverso, bello come Alphonse, soave come Ignace, atletico come Gatien, bravo a raccontare le storie come Théo quando redigeva i compiti di francese: invece Julian non aveva null’altro da offrirle che il suo incondizionato amore giovanile, per quanto misero fosse.
Giunse l’inverno anche a Mont Couplet e Julian, mentre mandava a memoria storie di lotte e di battaglie, s’incantava ad osservare la cuspide dorata sul tetto del negozio, reggendosi il volto paffuto in una mano, ed era straordinario vedere spatole ed aironi avvitarsi attorno pinnacolo candido di neve. Pregava affinché qualcosa, nella mente di Odette, le dicesse che Julian non faceva altro che pensare a lei, da modo che non piangesse mai, credendosi poco amata. Sperava sorridesse sempre, quando dava i semi ai pettirossi infreddoliti, quando carezzava il dorso fragile di un fringuello, quando ballava.
Un giorno, mentre guardava fuori dalla finestra, Julian vide passare Odette. I suoi capelli erano intrecciati in fili argento, e un’appariscente abito di velluto rosso le inseguiva le caviglie nude: correva trascinandosi dietro un nugolo d’uccelli diversi, e nei loro cinguettii si poteva sentire il suono argentino delle risa. Lei si fermò, vedendolo affacciato al davanzale, in attesa.
-Ciao – disse. Julian fece appena in tempo a vedere le sue labbra incurvarsi in un accenno di sorriso, prima che gli uccelli la travolgessero in un caotico frullio di piume, e lei svanisse in mezzo a loro. Il suo cuore non aveva mai battuto così forte.
 Quella fu l’ultima volta che Julian vide Odette. Oramai l’inverno era inoltrato, ed ella migrò assieme ai suoi uccelli verso posti lontani, magari al di là della Senna e dei confini della Francia. Ovunque fosse andata, comunque, si sentì la sua mancanza: Julian sentì la sua mancanza. Dopo qualche tempo il negozio di Odette venne affittato da un conciatore di pelli, e a ricordare ai cittadini di Mont Couplet ciò che era stato non rimase che il segno dei becchi sul legno degli steccati, e i ricordi di chi era solito rigirare le propria memoria come i grani di un rosario.
Per i vecchi di Mont Couplet, Odette divenne la "rondinella", forse accennando alla sua repentina fuga invernale. Julian, sentendoli parlare, osservava il pinnacolo d'oro fuori dalla finestra, e attendeva speranzoso il suo ritorno. 
  
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