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Autore: Delirious Rose    18/03/2007    0 recensioni
Tre donne, tre sorelle, viste dalle loro controparti.

Questa serie è stata ideata prima della pubblicazione di HBP.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Lucius Malfoy, Rodolphus Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Da gande voio spociare Luciu Mafoi.”
Avevi appena tre anni, e già mi perseguitavi. Ricordo le facce divertite delle signore, quando ti sentivano dire quella frasetta, commentando sul fatto che, ancora così piccola, già dimostravi d’avere ottimo gusto in fatto di uomini. E per me era sempre più insopportabile.
Mi sei stata appiccicata sin da quando avevi imparato a mettere due parole insieme e un passo dietro l’altro, una tortura che per fortuna è durata solo un paio di anni: che sollievo per me, arrivare a Hogwarts! Ben dieci mesi senza quella rotture di scatole che era Narcissa Black! Certo, durante le vacanze non riuscivo a fare un passo senza averti dietro, ma il sapere che non ti avrei avuto intorno per la maggior parte dell’anno mi faceva sopportare quella tortura. E dire che, quando si trattava di te, la mia pazienza doveva sopportare anche le battutine idiote di quell’imbecille di tuo cugino Sirius.
“Ma come, Luciupooh, non dovresti far da bambinaia alla Tappetta? L’hai persa, per caso? Povera, povera Cissy, chissà come starà frignando adesso! Oi Tappetta, guarda un po’ chi ti ho trovato?”
Insopportabile, semplicemente insopportabile.
La mia Signora Madre, Lady Anima, scoteva la testa e sospirava ogni volta che mi lamentavo di te. “È solo una bambina, Lucius. E in ogni caso è una Black, il che, se non fosse così giovane, la rende un’ottima candidata per divenire la tua sposa.”
“È una mocciosa insopportabile!”
“Suvvia, non rovinatici la salute. Sua sorella, la mezzana, non è fidanzata, nevvero?”
“Ma è una Tassorosso! E poi ho sentito dire che da troppe confidenze ai Mudblood!”
E pareva che nulla al mondo avrebbe potuto fare di una Black la futura Lady Malfoy.

La perfetta futura Lady Malfoy la incontrai per uno strano scherzo del destino, al matrimonio di tua sorella Bellatrix: Charlotte Lauryn de Poisone aveva la stessa età di quella sorella degenere che ti ritrovi, ed ella era bella e altera, con un sangue così puro da farmi sentire sporco ed un padre indebitato fino al collo. Non la vedevo da anni, da quando una lontana parente aveva deciso di farne la sua erede e darle la migliore educazione possibile con le sue misere finanze.
Per famiglie come le nostre, Narcissa, la mancanza di denaro è una delle cose più imbarazzanti a questo mondo, eppure Charlotte lo ammise senza reticenza, mentre lisciava la stoffa di quell’abito mal trasfigurato per celarne la vecchia fattura e ravvivarne il color pulce, adorna dell’orgoglio di un sangue più puro di acqua di sorgente. Ricordo che rimasi a fissare il modo in cui i suoi capelli biondo tiziano riflettevano la luce del sole come se fossi stato colpito da un sortilegio, mi sembrava di vivere come in un sogno. Un sogno che tu interrompesti senza alcun ritegno, piombando all’improvviso in quel gazebo.

Forse intuisti quello che era appena accaduto, perché da quel giorno facesti tutto il possibile per attirare la mia attenzione e per infangare il nome di Charlotte: alle feste facevi il pavone con indosso l’abito più costoso e sfarzoso prodotto dagli atelier e i gioielli della tua famiglia, in modo che la gente potesse vedere quanto fosse misera mademoiselle de Poisone. Piccola, illusa Narcissa, non ti sei mai accorta che in questo modo non facevi altro che far risaltare ai miei occhi i pregi della mia Charlotte? Ti sei mai accorta che comportandoti in quel modo non facevi altro che farmi innamorare sempre di più di lei?
Sì, proprio io, Lucius Ares Malfoy, ero pazzamente innamorato della povera de Poisone, e lei amava me: un amore sincero, come non avevo né ho mai provato nella mia vita, un amore basato non sul nome o sui galeoni, ma dalla condivisione di idee e pensieri così simili che potevano appartenere ad un unico essere. Perché era questo che eravamo, Charlotte ed io: due anime gemelle, l’una complementare dell’altra. Anche se ella fosse diventata orrenda, anche in mezzo a mille Muggle, io sarei riuscito a riconoscerla, e lei avrebbe riconosciuto me. In qualunque situazione. Anche con la maschera di Death Eater sul viso.
Cosa non feci negli anni seguenti affinché mio padre accettasse Charlotte come nuora! Arrivai persino a propormi di pagare i debiti di suo padre, con quanto avevo ricevuto in eredità da mio nonno materno.
“No, Lucius, non voglio che anche tu abbia a che fare con… con quella feccia.” Charlotte mi aveva detto. “È già vergognoso avere degli sporchi Mudblood fra i creditori e… Per Morgana, mio padre è dunque privo d’orgoglio? Non ha amor proprio?”
L’abbracciai, affondando il viso e le mani nei suoi capelli, stringendo a me quel corpo morbido e dall’ossatura d’uccello. “Andiamocene, andiamo in Scozia e mettiamo i miei davanti al fatto compiuto!”
“No, ho una dignità, io!” mi rispose allontanandosi da me e guardandomi con cipiglio. “Ed anche tu: di cosa dobbiamo vergognarci? Perché dovremmo fuggire come… come codardi senza orgoglio né ritegno? Siamo Pureblood, Lucius, non due Muggle piagnucolosi!” La mia Charlotte, al contrario di te, sapeva toccare le corde giuste quando voleva convincermi a fare a modo suo.

Facemmo a modo suo, tirando dalla nostra parte mia madre, la quale ci avrebbe aiutato a convincere mio padre a darci la sua benedizione: pareva che le cose andassero secondo i nostro piani, e verso la fine dell’estate prima del tuo sesto anno, si vociferava di un mio futuro fidanzamento con Charlotte de Poisone. E a te la cosa faceva rodere il fegato.
Era la fine di agosto ed i tuoi genitori avevano organizzato un ballo per il tuo ingresso in società: furono invitate tutte le famiglie più in vista dell’Inghilterra magica, villa Hylonome era stata tirata a lucido per dare il suo meglio. Tutto questo per farti esaltare ancora di più agli occhi dei tuoi tanti corteggiatori e per cancellare la vergogna di Andromeda, che dopo quattro anni ancora sovveniva sulle labbra delle pettegole, quando c’era penuria d’argomenti. Tua madre aveva fatto cucire appositamente per te un abito esclusivo, da una sarta parigina: di certo non potevo negare che quell’abito ti facesse sembrare all’improvviso così… adulta. La seta color cenere di rosa ti fasciava il corpo come una seconda pelle, i drappeggi esaltavano le tue curve appena accennate e la vita sottile; i capelli color grano, solitamente lasciati sciolti sulle spalle, erano stati raccolti in un nodo che faceva sembrare ancora più lungo il tuo collo, e se non fosse stato per quel luccichio malevolo negli occhi, avrei potuto anche scambiarti per un'altra persona.
Sapevo che avevi qualcosa in mente, qualcosa che potesse impedirmi di stare con la mia Charlotte, e per tutta la serata non feci altro che chiedermi cosa ti frullasse in testa. Negli ultimi tempi non mi stavi più tanto appiccicata, e questo aveva fatto nascere in me i primi sospetti: ma quella sera ti comportasti in maniera impeccabile, come la signorina della società bene che dovevi essere, e nulla nel tuo atteggiamento faceva pensare a quale subdola serpe eri.
Era da poco passata la mezzanotte, se non ricordo male, i primi ospiti stavano andando via e altri s’erano trattenuti a parlare nel salotto, o a danzare stancamente gli ultimi balli: i tuoi genitori erano orgogliosi, lanciando sorrisi a chi si complimentasse con loro per quel gioiello di figlia che si ritrovavano. Mi raggiungesti sulla veranda, un sorriso ferino sulle labbra su cui aleggiava un fantasma di rossetto, nelle mani stringevi due coppe di champagne.
“Ho saputo che presto ti fidanzerai con la de Poisone, Lucius,” mi dicesti con quella che voleva essere una voce sincera e cortese.
Ti guardai cauto, cercando di capire quali fossero le tue intenzioni sotto lo strato di polvere di riso che nascondeva le efelidi sul viso. “Abbiamo da stabilire alcuni dettagli, poi procederemo alla firma della promessa di matrimonio: per la prossima Pasqua, Charlotte sarà mia moglie,” conclusi, calcando l’ultima frase affinché ti entrasse per bene nel cervello.
“Un peccato, un vero peccato,” mormorasti maliziosa. “la de Poisone ha una rendita di solo centocinquanta galeoni, un mago del tuo rango dovrebbe aspirare a molto di più.”
“Qualcuno come te, Narcissa?” soffiai velenoso.
Ridesti, quella risata leggera a labbra strette che non prometteva nulla di buono. “Sei così preso dalla tua cenerentola da non esserti accorto che non mi interessi più?” mentisti inclinando il capo. “Ho molti corteggiatori, anche più ricchi e affascinanti di te. Prima che andasse via, è mancato poco che Evan Rosier chiedesse la mia mano al Signor Padre, pensa un po’.” E questo era vero. Poi mi porgesti una coppa di champagne, con quel sorriso malizioso sulle labbra. “Un brindisi?”
“A cosa dovremmo brindare?” chiesi guardingo.
Stringesti le labbra pensierosa. “Al tuo fidanzamento, agli anni che abbiamo perso e… agli amici che possiamo essere, se solo lo vogliamo.”
Che stupido fui, a credere alle tue parole! E fui ancora più stupido ad accettare quella coppa! Dimmi un po’, Narcissa, che ci avevi messo? T’eri limitata ad aumentare il volume alcolico con un incantesimo, oppure avevi usato una di quelle pozioni che quelle della tua razza usano per incastrare gli uomini? E giusto per curiosità, ti eri fatta prima i conti, oppure avevi usato qualche intruglio per rimanere incinta al primo colpo? Perché è proprio questo che mi avevi fatto, ed io mi ero lasciato incastrare come un novellino alle prime armi.

Nessuno volle credere alla mia versione dei fatti, tranne Charlotte: io fui costretto ad assumermi le mie responsabilità e a sposarti, e lei… ah, la mia Charlotte! Obbligata ad unirsi a quel verme d’un Mudblood! Il pensiero che ella fosse stata trattata come una qualsivoglia merce di scambio, era sufficiente a farmi bollire il sangue nelle vene per la rabbia! Ed io non potevo fare niente.
Tu rimanesti a Hogwarts fino alle vacanze natalizie, andando via prima che la gravidanza divenisse evidente: i tuoi discorsi vorticavano attorno a quelle che erano le tue nozze ideali, al lusso del ricevimento, lo sfarzo degli abiti, l’ostentazione compiaciuta di se stessa. Io ero costretto ad ascoltarti almeno in apparenza, preferendo lasciarti fare e spendere come più ti pareva: i miei pensieri erano sempre altrove, dividendosi fra il darmi dell’idiota ed il tristo destino della mia Charlotte.
Il giorno del nostro matrimonio ero come intorpidito, non ricordo neanche di aver pronunciato la formula che mi legava a te, la recitai come se fosse uno di quei poemi che mia madre, da bambino, mi faceva recitare per il diletto dei nonni. Se so com’eri vestita, quel giorno, è solo grazie al ritratto che ci fu fatto. Ma l’addio di Charlotte, quello è impresso a fuoco nella mia memoria: era così piena della nobiltà e della dignità che tu puoi solo male imitare, il viso freddo e inespressivo perché –lo sapevamo entrambi- ella non poteva permettersi il lusso di mostrarti a te in altra maniera.
“Come ho potuto essere così sciocco?” le dissi quando, fra un ballo e l’altro, ero riuscito a restare solo con lei. “Se penso a quello che sei costretta a passare…”
“Ush, ormai a che serve piangere sul latte versato? Narcissa ha saputo giocare le sue carte, e alla fine ha ottenuto quello che ha sempre voluto, mentre io…” e il suo viso si contrasse in una smorfia di rabbia. “Per Circe e Morgana, il pensiero che quell’individuo possa avere dei diritti su di me è intollerabile! Io, una de Poisone, obbligata a …” nascose il viso sul mio petto, ed io la strinsi a me.
“Dimmi cosa posso fare per aiutarti, per toglierti questo peso di dosso, ed io lo farò,” le mormorai piano.
Ella mi fissò. “Un pegno del tuo amore, Lucius, è questo quello che ti chiedo.”
Annuii appena, intuendo il suo pensiero, sigillando quella promessa con un bacio.
E non la rividi fino al giorno del suo matrimonio.

Sono pronto a giurare che ancora oggi sei tormentata dalla curiosità di sapere quale fosse il mio dono per le sue nozze, nevvero Narcissa? Ecco cos’era, il mio pegno d’amore, infilato nel suo corsetto mentre tu facevi mostra del tuo ventre e quell’essere ignobile che era diventato suo marito tracannava champagne come se fosse acqua.
Dimmi, Narcissa, non ti sei mai chiesta come abbia fatto Charlotte ad avere quel veleno tanto potente da uccidere all’istante? E soprattutto, non ti sei mai chiesta perché lo assunse anche lei? Scommetto che quel neurone che più o meno ti funziona non è mai stato capace di darti la risposta giusta. Era quello, il mio pegno d’amore, perché l’idea che un essere inferiore potesse toccare la mia Charlotte era semplicemente ridicola: quell’uomo meritava di morire per aver puntato a colei che era destinata a me. E Charlotte, il suo orgoglio ha reputato la morte ben più onorevole del portare il cognome di lui: ma ella era divenuta, con le nozze, l’erede delle sue proprietà, e alla morte di entrambi questi erano passati al giovane de Poisone, che si ritrovò improvvisamente senza debiti e con mezzi sufficienti a ridare lustro al suo casato.
Ma torniamo a noi.

Avevi sposato Lucius Malfoy, eri la donna più invidiata della comunità magica: ricca, bella, con un marito in un’ottima posizione. E che non ti toccava neanche con una piuma.
Ho sempre fatto in modo che tu sapessi che frequentavo altre donne, perché tu il tuo dovere di moglie lo avevi fatto e mi avevi dato un erede maschio. E poi, a che pro perdere tempo con te, che avevi espresso il tuo dissenso ad una seconda gravidanza, nel timore di rovinare la tua figura e la tua bellezza? In fondo, a non passare la notte con te, ti facevo un favore: che cosa sarebbe stata la piccola Cissy senza i suoi cinquanta centimetri di vita, senza un viso perfetto e senza due caviglie sottili e delicate? Nulla, ecco cosa sarebbe stata! Devo in ogni caso darti merito di una fedeltà più lunga di quanto avessi previsto: la prima volta che andasti al White Lilies Draco aveva poco più di quattro anni.
Oh, credevi che non ti avrei riconosciuta solo perché ti eri mascherata a forza di incantesimi? Devi essere ancora più stupida di quanto pensassi, e pure se fosse Madame Bàthory non si sarebbe certa tolta il gusto di dirmi: “Guarda un po’, Lucius Malfoy, la tua mogliettina perfetta ti fa le corna!” Per lo meno ho avuto la soddisfazione di risponderle: “Così tardi?”

Ed ora ti ritrovi nella tua stanza in pieno travaglio: povera, povera Cissy che s’è dimenticata di prendere la sua pozione giornaliera e che ora si trova un bastardo fra le mani! Chissà che cosa avrebbero detto quelle persone cattive cattive se il sottoscritto fosse stato fatto evadere qualche mese più tardi! Ma certo, dovrò ringraziare tua sorella Bellatrix che s’è ben imposta a impedirti di abortire, è facile immaginare quali argomenti abbia usato nonostante lei sia più propensa a maledire prima e a fare domande poi. E che dire, del sadico piacere di vedere la tua proverbiale bellezza appassire per un tuo errore?
Come ho goduto nel vederti diventare gonfia, mentre non potevi fare a meno d’ingozzarti come un’oca all’ingrasso, tu che mangiavi sì e no una volta al giorno; e come ti ho stuzzicata, dicendoti che sarebbe stata una femmina, perché si dice che le figlie rubano la bellezza alle madri, mentre vedevo riflesso nello specchio il tuo viso coperto di foruncoli e comedoni! Povera, povera Cissy, se non ti avessi in odio così tanto, mi avresti fatto quasi tenerezza.

Ed ora sono qui, ad aspettare che le tua interiora si spurghino di quel bastardo, assieme a Draco. Egli è l’unica cosa buona che tu abbia portato nella mia vita: non posso certo definirlo l’erede che desideravo, ma è giovane e bramoso di rendersi degno del nome che porta. Chissà cosa penserà ora di te nostro figlio, dall’espressione sul suo volto parrebbe che la sua considerazione per te sia un po’ scemata. E non so perché, ma mi torna in mente una delle ultime volte che parlai con Charlotte.
“Dovessi impiegarci anni, ma mi prenderò la mia rivincita su di lei,” mi aveva detto, il suo bel viso indurito dall’ingiustizia della vita. È questa la rivincita di Charlotte? Non lo so,ma spero che lo sia, così che tu possa imparare a non metterti contro a cose che sono ben al di sopra delle tue possibilità.
Una delle levatrici apre la porta della tua stanza, invitandomi ad entrare, ed io non me lo faccio ripetere una seconda volta. Povera, povera Cissy, ma come ti sei ridotta, quasi non ti riconosco, tanto sei sfatta e spossata dal parto! Deh, perché fai quella faccia? Ti disturba vedermi gongolare in questo modo? Oppure sei schifata di te stessa?
“Congratulazioni, Mr Malfoy, è una bambina,” annuncia con voce atona la levatrice, spingendomi nelle mani un ammasso di stoffa rosa.
Ed io non posso fare a meno di sorridere soddisfatto: una femmina che dovrà accontentarsi della dote –e di certo, quando sarà, sia io sia Draco faremo in modo di usare il tuo di danaro- senza compromettere l’integrità delle proprietà di famiglia. Peccato solo che le andrà lo stesso bene, per essere una bastarda. Osservo la lanugine che le ricopre la testa, e per un attimo resto sconvolto dal fatto che sia dello stesso colore dei capelli della mia Charlotte. Dunque avevo ragione? È questa la sua rivincita, tornare al mondo a discapito della tua reputazione e del tuo corpo? Un’idea allettante, se io credessi alla reincarnazione, ma lo prendo ugualmente come un segno, e alla sua aggiungo la mia vendetta.
“Qual è il nome della bambina, signore?” mi chiede la levatrice, china sul certificato di nascita.
“Ant-“
“Charlotte Lauryn Malfoy,” dico prima e più forte di te, e tu mi guardi inorridita: cos’è, non te l’aspettavi? Mia cara Narcissa, eppure credevo che tu conoscessi quel proverbio Muggle che dice la vendetta è un piatto che si gusta freddo! E tu con la tua avventatezza ci hai servito la nostra su un piatto d’argento, e tutto quello che io ho dovuto fare per mettere la ciliegina sulla torta, è stato dire quel nome che tanto hai a odio. Ed è come se la mia Charlotte fosse accanto a me, in questo preciso istante, il suo sorriso unito al mio mentre la levatrice mi consegna una copia del certificato di nascita: se la vendetta è davvero un piatto che si gusta freddo, la nostra l’abbiamo tenuta nella neviera.

   
 
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