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Autore: Sephora    16/09/2012    7 recensioni
«Negli ultimi anni ho imparato a guardarmi le spalle».
«Non lo metto in dubbio: temo solo che tu ti possa distrarre guardando quelle di qualcun altro».

La storia si ripete.
Il mondo magico vive nell'ombra fredda e desolata dei Dissennatori da ormai tre anni: né il Ministro, né gli Auror sono riusciti a scongiurare l'inevitabile.
Viene riesumato l'Ordine della Fenice per organizzare l'ultima, strenua resistenza.
Siete pronti al tutto per tutto?
Vincitrice del premio "Rivelazione" e seconda classificata al LONG FICTION BATTLE.
Genere: Dark, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Dominique Weasley, Rose Weasley, Teddy Lupin, Un po' tutti | Coppie: Rose/Scorpius
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'The Prophecy'
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IV

 

CHAPTER FOUR

 

 

 

 

 

To the right, to the left.

We will fight to the death.

To the Edge of the Earth.

It's a brave new world, from the last to the first.

____

 

A destra, a sinistra.

Combatteremo fino alla morte.

Dal confine della terra.

È un nuovo mondo coraggioso, dall'ultimo al primo.

 

 

 

 

 

Il corpo di Nikolas Paciock è stato rinvenuto questa notte. Il ventiduenne aveva infranto il Coprifuoco per motivi tutt'oggi ignoti. La causa del decesso è l'attacco di un Dissennatore. Parenti e amici si sono rifiutati di rilasciare dichiarazioni. […]

 

 

 

Pagina di cronaca nera – resoconto a cura di Frederick Dubois.

 

 

 

*

 

 

 

Il primo ricordo che Albus aveva di Teddy era la sua risata sguaiata. Se lo ricordava mentre serrava le labbra, sforzandosi di non farlo, perché, per Merlino, quando si lasciava andare lo sentivano tutti i residenti nell'arco di cento metri, e il petto – e quello non riusciva proprio a evitarlo – prendeva a sollevarsi e abbassarsi come se stesse singhiozzando. Rimaneva per un po' così, scosso da singulti e con la bocca ermeticamente chiusa, poi però arrivava sempre il rumore frastornante delle sue risa, calde, avvolgenti, energiche.

Se lo ricordava così, Teddy, con la camicia rimboccata fino al gomito, gli avambracci scoperti, i capelli violacei e la cravatta rossa allentata, mentre scendeva dal treno per Hogwarts col suo sorriso sghembo e una luce negli occhi che non aveva mai visto in nessun altro.

«Lysander, Lorcan, voi due pattugliate Brixton. Controllate ogni singolo vicolo, rivoltatelo da cima a fondo: Rose mi ha detto che hanno visto una Chimera l'altra notte, potrebbero essercene in circolazione delle altre».

Teddy era sempre stata una persona esuberante, e aveva continuato a esserlo anche dopo essersi iscritto a Medimagia, quando tutti si aspettavano che la sua irruenza sarebbe stata sedata dai compagni di corso – quelli che si portavano il dizionario tascabile nella tracolla. Le aspettative di quei tutti che, evidentemente, non sapevano che Teddy il dizionario lo lasciava a prender polvere a casa e una tracolla non l'avrebbe comperata nemmeno sotto tortura, erano state ampiamente deluse. Lui era rimasto il solito ragazzo perentorio, un po' troppo schietto, che si vergognava del proprio amore per i libri e aveva il vizio del Rum.

«Scorpius, Rose, stasera pattugliate Nocturn Alley... Ah, Rose?».

Rose si fermò accanto al camino, con una manciata di Metropolvere strabordante dalle mani chiuse a coppa. «Che c'è?»

«Sparare fatture a caso non è il modo migliore per difendersi» precisò Teddy, accennando a un libro sul tavolo, accanto alle mappe sparpagliate.

Difesa contro le Arti Oscure e Incantesimi – Volume I.

A modo suo era anche premuroso, nonostante ci fosse anche chi l'avrebbe amorevolmente soprannominato bastardo. Aveva una particolare propensione nel trovare le faccende da sbrigare più impellenti e al contempo fastidiose, che, oltretutto, annunciava provando un'innata soddisfazione.

Rose si raggelò. «Stai scherzando, vero? Dimmi che stai scherzando».

Teddy raccattò le carte e le impilò una sopra l'altra, mettendole da parte e distendendo una mappa fitta di linee e parole abbozzate con una calligrafia incerta.

«Fa' come dice Scorpius, almeno lui ha aperto un libro in diciassette anni e mezzo di vita».

Rose si morse la lingua e arpionò il braccio del proprio – sventurato – compagno, con la stizza che trasudava dalla stretta ferrea. «La prossima volta che mi ritroverò davanti a quella sottospecie di Capra Leone gli tirerò in testa uno dei vostri preziosi libri».

«Non trovi che leggerlo potrebbe rivelarsi un impiego più utile?»

«No, penso proprio di no».

«Sai cosa penso io? Penso che devi risparmiarmi una seccatura e andare ad ispezionare anche la casa di quel membro del Wizengamot, Adam Miller».

In quegli anni Teddy era rimasto un ragazzo burbero, stronzo come quando aveva sedici anni e con gli ormoni in subbuglio, ma aveva smesso di ridere in quel modo: giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, la scomparsa della sua risata era stata tanto graduale da risultare impercettibile. Così s'era inasprito e, poco alla volta, trasformato in una specie di comandante, mezzo stratega e mezzo allenatore, flessibile come il palo di una staccionata. E ora sarebbe peggiorato. Catastroficamente peggiorato.

«Sei sicuro, Teddy?» s'intromise Scorpius, rimasto in silenzio fino ad allora. «Il Ministero...»

«Il Ministero tiene d'occhio me e James. Voi due non siete ancora sotto torchio: approfittatene». Alzò il capo dalle carte, facendo rimbalzare lo sguardo da Rose a Scorpius, da Scorpius a Rose. «Al minimo segno di pericolo, andatevene via».

Rose mugugnò qualcosa a proposito del suo odio spassionato nei confronti delle Missioni Burocratiche, quelle in cui doveva annotare una sfilza di appunti per Harry e Teddy, ed entrò nel camino, seguita da Scorpius.

«Tienila d'occhio!»

La raccomandazione di Teddy, coperta dalla secca pronuncia della loro destinazione, si perse in una nuvola di pulviscolo verde.

 

 

 

Quando i fratelli Scamandro se ne andarono, l'unica cosa sensata che Teddy pensò di fare fu rintanarsi in soffitta con Albus.

Quel posto puzzava di rancido e legno marcio, e proprio per questo non rischiavano di incontrarci qualcuno. Non voleva pensare a niente: né a Nik, né a James, né a Rose – quella ragazza si sarebbe fatta ammazzare, prima o poi –, e Albus incarnava la distrazione perfetta. Il fatto che, al contrario, per Albus lui fosse tutto tranne che una distrazione era l'unico dettaglio che stonava: è difficile sgomberare la mente quando i crucci della persona che si sta palpando sono tanto asfissianti. A maggior ragione se la persona in questione ha gli occhi sbarrati e non la smette nemmeno per un secondo di fissarti.

Cinque minuti, diciassette occhiate e trentaquattro sospiri di disapprovazione dopo, Teddy lo scostò bruscamente.

«Così non va» sbottò, rotolando fino al bordo del vecchio materasso cigolante su cui stavano pomiciando come due ragazzini alle prime armi. E Albus lo era, un ragazzino, ma Teddy non più.

Albus si lasciò cadere a peso morto, coprendosi il volto con le mani.

«Soggetto, Teddy, soggetto» sbuffò laconico.

«Continui a fissarmi, maledizione!»

«Quindi sarei io a non andare?»

«Non... » Teddy si umettò le labbra e distese le palpebre, la fronte, le sopracciglia. «No, Al, no».

«Vuoi parlare di Nik

«No» lo interruppe con troppa enfasi – rabbia. «Non voglio. Cazzo, complimenti» sibilò poi, inarcando la schiena per poter allacciare il bottone dei jeans. «Mi hai rovinato gli unici dieci minuti in cui potevo almeno provare a pensare ad altro».

«Solo dieci minuti? Mi offendi».

«Non sono in vena».

«Strano, di solito sei tu quello ironico».

«E a te da fastidio, o sbaglio?»

«Perché hai dei problemi con la tua omosessualità?»

Teddy rimase spiazzato per un momento, il tempo necessario per capire cosa gli avesse realmente domandato.

«Cosa diamine c'entra?»

Albus era rimasto sdraiato, con lo sguardo puntato sulle travi del soffitto. Aveva gli occhi verdi e i capelli scuri, spettinati; assomigliava così tanto ad Harry che a volte Teddy aveva l'impressione di baciare il proprio padrino – e il pensiero era ben lontano dall'essere piacevole. Era obiettivamente carino, forse aveva un'aria da secchione con quegli occhiali che portava quando doveva leggere, ma rimaneva comunque carino. Eppure, per quel che ne sapeva, non aveva mai avuto una ragazza. Oppure non l'aveva mai voluta, ipotesi più verosimile e, per un certo verso, anche più rassicurante. Anche se questo, Teddy, non l'avrebbe mai ammesso.

«Sto cercando di fare conversazione, visto che ogni volta che ci vediamo non spiccichiamo neanche due parole» rispose atono, continuando a guardare il soffitto.

«Sei fuori luogo».

«Non sono la tua puttana personale, Teddy. Non mi puoi chiamare solo quando hai bisogno di una bambola gonfiabile con cui giocare».

«E parlare del mio orientamento sessuale ti farebbe sentire meglio?»

«Parlare mi farebbe sentire meglio. Vuoi discutere di Quidditch? Perfetto. Preferisci la cronaca nera? Non è di certo un argomento felice, ma se è quello che vuoi...»

Teddy sbatté la mano contro il muro e i gingilli – souvenir dei viaggi di zii e nonni – posti precariamente su una mensola traballarono, la miniatura di una scopa s'infranse sul pavimento.

«Sai cosa significa baciare finalmente la ragazza che desideri da una vita e renderti conto di non provare niente? Niente, niente di niente. Toccarla e capire che quello che stai facendo è innaturale? E fingere, fingere, fingere... Costruire un castello di carte con tutte le menzogne dette, vederlo crollare e ogni maledettissima volta e ricostruirlo con un'altra ragazza, e un'altra, e un'altra ancora... Fino a capire che il vero problema non sono Victoire, Kate o Madison».

«Non c'è niente di sbagliato in te» lo interruppe Albus, scattando seduto. «Non c'è niente di sbagliato in noi. L'hai detto tu stesso: è più innaturale smanacciare Victoire – o chi per lei – che un ragazzo».

«Lo so, ma devi capire che non tutti la prendono con la tua stessa filosofia».

«Sono gay, mica in punto di morte. Non è la fine del mondo, potresti anche dirlo a James...»

«Cosa?» strillò Teddy. «Così lui lo direbbe a Dominique e, nel caso in cui non te lo ricordassi, Victoire è sua sorella!»

«Non credo che James si lascerebbe sfuggire il fatto che il suo migliore amico è dell'altra sponda così facilmente!»

«Non si sa mai. Diventa strano quando si tratta di Dominique, non ragiona».

«Uhm». Albus si distese di nuovo, sostenendosi il capo con la mano. C'era una celata sfumatura di preoccupazione in quel mugugno. «James ha iniziato a ragionare solo da un anno a questa parte».

«James non ragiona ora. Ragionare significa anche ascoltare, e lui è sordo».

«È solo prudente».

«No, Al, è sordo e cieco, ma sfortunatamente non muto. Lui non sente quello che gli dico e non vede ciò che gli accade davanti agli occhi, però continua a lamentarsi. Lo preferivo prima dell'arrivo di Dominique».

«Non penso che lei c'entri più di tanto nel suo cambiamento».

«Pensavo di spedirla in Francia da sua sorella. Lì sarebbe al sicuro e non distrarrebbe James».

«Come sei melodrammatico. Non arriveremo mai a tanto».

«Non mi piace tua cugina, Al, lo sai. Non mi hanno mai incantato le creaturine come quella».

«Davvero?» lo irrise Albus. «Se la guardi bene, ti accorgi che Dominique è la copia sputata di Victoire».

«Al, Al, Al...» sbuffò Teddy, con aria accondiscendente. «Hai la memoria breve? Ti ho appena detto che mi faceva schifo farmi Victoire, più di questo che vuoi? È già tanto essere posto un gradino sopra a una che ha sangue Veela che scorre nelle vene». Allungò le dita fino ai passanti della sua cintura, e lo strattonò un po' più vicino. «Ora, possiamo ritenere la seduta psicologica conclusa e riprendere da dove eravamo rimasti?»

Albus si lasciò spostare mollemente, senza opporre resistenza. «Tanto per la cronaca, non credere che non mi sia accorto che mi hai rifilato la dichiarazione di Tyler in American troubles* cambiando solo i nomi».

«Quarta stagione, ottavo magifumetto*: il migliore».

 

 

 

*

 

 

 

«È la prima nevicata della stagione».

I fiocchi cadevano fitti, soffici, ma si scioglievano nelle pozzanghere e nella fanghiglia prima di poter coprire la terra ancora smossa, e inzuppavano i cappucci e le spalle dei cappotti: per essere neve, era decisamente annacquata.

Dominique si strinse nel mantello, incassando il collo nelle spalle per coprirsi il viso col colletto del maglione. Sarebbe voluta andare via dal cimitero il più in fretta possibile – quel posto le metteva i brividi –, eppure James la teneva ancorata lì, al fianco di quella tomba dove, al posto di una lapide, vi era conficcata una lastra di legno incisa grossolanamente, una di quelle provvisorie. Dopotutto, nessuno se lo aspettava. O forse sì, però tenere una scorta di pietre tombali in soffitta doveva portare decisamente sfortuna.

E non avevano di certo bisogno che la Sfortuna avesse un occhio di riguardo per loro.

«Hai freddo?» le chiese James, squadrandola dalla testa ai piedi, come se il solo tremore non fosse un sintomo già abbastanza evidente.

Dominique si morse la lingua. C'erano sì e no dieci gradi, un vento tutt'altro che piacevole che frustava la pelle scoperta, la neve che s'insinuava tra le toppe dei vestiti e lei di certo non era Big Foot, con diversi strati di pelliccia e tenerla calda, quindi , era palese che avesse freddo, ma quello non era né il momento, né il luogo in cui fare del sarcasmo.

«Andiamo a casa?» si limitò a balbettare, sforzandosi di non battere i denti. «Non mi sento più le dita dei piedi».

«Ti accompagno e poi ritorno qua».

«Jamie... per favore».

«Ci metteremo un attimo, Dom».

«Jamie...»

«Neanche a me piace Materializzarmi, però è il modo più veloce per muoversi».

«Non è per quello, Jamie. Per favore, andiamo via. Tutti e due, insieme».

Una folata di vento colpì il cimitero, i marmi secolari, la pelle arrossata del loro viso. Le foglie marce erano disfatte sul sentiero, mischiate al pantano e alla ghiaia e solcate da orme di scarpe da tennis e galoches; i rami degli alberi rinsecchiti creavano ombre spigolose e scure sul prato incolto: un quadro degno della notte del trentun ottobre.

La inquietava quel posto, le dava la sensazione che un branco di creature bavose e strepitanti potesse spuntare all'improvviso da dietro l'angolo: voleva andarsene in fretta di lì.

James spostò il peso da un piede all'altro, dondolandosi leggermente, e cacciò le mani nelle tasche dei pantaloni. «Tre righe sul giornale» soffiò, abbassando il capo. «Lui... fino all'altro ieri dormiva nel letto accanto al mio, e ora... ora quel letto è vuoto. Mi sveglio di notte e non ci credo ancora. Come faccio a metabolizzare il fatto che del ragazzo con cui ho passato gli ultimi sette anni della mia vita sia rimasto solo un trafiletto sulla Gazzetta?»

Lo disse piano, come se dovesse assimilare lui stesso le proprie parole, senza distogliere lo sguardo dalla lapide.

Dominique posò la fronte contro la sua spalla, le mani strisciarono lungo il suo mantello, e le nocche arrossate e le unghie bluastre si avvinghiarono attorno all'orlo del collo del maglione.

«Mi dispiace» mormorò. «Mi dispiace tanto, Jamie».

«Anche a me dispiace».

«Andiamo a casa. Magari non subito, se non te la senti. Possiamo fare una passeggiata nei dintorni. Abbiamo un paio d'ore prima che faccia buio».

«Non ne ho voglia. Trovo deprimenti tutti quei negozi transennati, la gente che corre a destra e sinistra come formiche...»

«Okay, possiamo rimanere ancora un po'. Ma solo un po', se no divento un cubetto di ghiaccio».

«... disse colei che fino all'anno scorso se ne andava in giro con un maglioncino di cotone a gennaio inoltrato. Da quando soffri il freddo?»

Dominique si allontanò di qualche passo, quindi incespicò su una panchina. «C'è una temperatura polare: non mi stupirei di incrociare qualche pinguino!»

«Dicembre si avvicina, non ti puoi aspettare trentacinque gradi all'ombra».

«Sì, ma ciò non toglie che si crepi comunque dal freddo».

«Dominique Weasley, un po' di freddo non ha mai ucciso nessuno».

«James Sirius Potter, se facciamo a gara a chi ha il nome più altisonante, sappi che mi hai già stracciata in partenza».

«Dicono che porti fortuna avere il nome di persone morte, sai?»

«Ah, beh, io avrei detto che portasse sfiga. Insomma, c'è... c'è... Ma che diamine è quella roba?»

James si voltò, appena in tempo per intravedere un leggero banco di nebbia farsi strada tra le vie lastricate del cimitero.

«Ora ci mancava pure la nebbia...»

James afferrò Dominique per la vita e la fece scendere dalla panca con ben poca delicatezza.

«Jamie, c-cosa...»

«Dissennatori».

 

 

 

Era pomeriggio. Pomeriggio, pomeriggio, pomeriggio.

Doveva essere diventato paranoico, sperava con ogni fibra di se stesso di essere diventato paranoico. I Dissennatori non attaccavano di giorno, non l'avevano mai fatto. Perché mai, dopo quasi quattro anni di assalti notturni, avrebbero dovuto iniziare ad uscire alla luce del sole proprio quel giorno?

James rallentò un poco il passo, fessurizzando gli occhi per riuscire a vedere oltre la neve che cadeva ormai a fiotti: oltre i cipressi, a qualche metro dalla siepe che delimitava l'entrata del cimitero, una macchia scura si faceva sempre più vicina.

Prima che potesse dire niente, una sottile lastra di ghiaccio coprì l'asfalto sotto ai loro piedi, incollando la suola delle scarpe a terra.

Quella doveva essere colpa della neve, del cambiamento climatico: i Dissennatori non potevano ghiacciare le strade. Portavano con sé un po' di freddo, ma non gelavano l'asfalto.

«Oh, cazzo...»

A meno che non se andassero in giro in compagnia, a decine.

«Jamie...»

James si guardò attorno. Non potevano Smaterializzarsi, il cimitero era protetto. Le cancellate erano alte – troppo per poter essere scavalcate –, in ferro battuto, costeggiate da siepi di due metri e mezzo: avrebbe potuto bruciare la siepe, causare uno di quegli incedi che vanno a finire sulla Gazzetta la sera stessa, e sfondare le sbarre in qualche modo, magari con un Bombarda Maxima. Forse avrebbe funzionato, forse no.

Tempo, non aveva abbastanza tempo.

«Jamie!»

Trentatré, approssimativamente. Li aveva contati in fretta, a due a due, indietreggiando di qualche passo man mano che la cifra aumentava. Suo padre gli aveva raccontato di essere riuscito a respingerne tanti – non aveva specificato quanti, però –, ma James non era Harry Potter, il ragazzo sopravvissuto, colui che aveva ucciso Voldemort e messo fine a un'era segnata dal terrore. Non era capace neanche lontanamente in grado di evocare un Patronus che avrebbe protetto sia se stesso che Dominique da trentatré Dissennatori.

Avrebbe dovuto farsi spiegare da suo padre come aveva fatto, a cosa aveva pensato.

«JAMIE!» Dominique si aggrappò al suo braccio. La sua voce doveva essere acuta, forse disperata, ma James la percepì come ovattata. «Cosa diamine facciamo, Jamie? Cosa diamine facciamo?!»

James non ne aveva idea: per quel che ne sapeva al momento, l'ipotesi più accreditata li dava per morti in quel cimitero. Ma questo, a Dominique, non poteva di certo dirlo.

«Jamie, per Merlino!»

James lo sapeva che Dom era troppo piccola per certe cose, lo sapeva che suo padre non avrebbe dovuto permetterle di entrare nell'Ordine, lo sapeva, cazzo, che prima o poi le sarebbe successo qualcosa. Sapeva anche che si sarebbe fatta male per colpa sua: quella sensazione che lo accompagnava ogni volta che usciva con Dominique era un presagio, un monito, e lui non l'aveva ascoltato. Stupido, stupido, stupido.

Quando la sentì scoppiare a piangere avrebbe voluto dirle: «Mi dispiace, non volevo finisse così». Non lo fece, non ne ebbe il coraggio.

Come si può dire a una ragazzina che sta per morire? Come poteva, James, dire a Dominique – Dominique, non una qualunque: l'aveva vista crescere, sua cugina, ed era cresciuto insieme a lei – che di lì a qualche minuto il suo cuore avrebbe smesso di battere? Niente ragazzo, niente primo bacio, niente prima volta, niente lavoro, niente famiglia: niente futuro, niente di niente. Nero, vuoto.

Strofinò il palmo della mano destra contro i pantaloni e impugnò la bacchetta, poi prese la mano di Dominique.

«Quali incantesimi ti riescono bene?»

«N-non so» balbettò Dominique. «Non me ne viene in mente nessuno. Ho paura, Jamie, ho paura».

James posò le mani sulle sue spalle e la scosse debolmente. «Concentrati, Dom, concentrati e andrà tutto bene. Sai padroneggiare uno Stupeficium

«Sì, ma non serve a niente coi Dissennatori

«Infatti non lo userai contro di loro». James si abbassò alla sua altezza, assicurandosi che Dominique fosse lucida, che lo stesse ascoltando attentamente, e indicò la cancellata del cimitero. «Dovrai Schiantare quelle sbarre. Qualsiasi cosa succeda, non ti voltare. Non importa se mi sentirai urlare, se quell'orda di Dissennatori mi verrà addosso o quant'altro: tu non ti voltare. Hai capito?»

Dominique singhiozzò più forte. «No, Jamie, non puoi...»

«Dom, guardami». Le alzò il mento con due dita e piantò gli occhi nei suoi. «Ti fidi di me?»

«Non è questione di fiducia, Jamie, non ti lascerò morire così! No!»

«Rispondi».

«James, ci deve essere un'uscita secondaria!»

«Non c'è, Dom, siamo circondati da quella cancellata. Quindi ora fa come ti dico, per favore».

«No, no, Teddy sa che siamo qui...»

«Non se ne accorgerebbe in tempo, Merlino! Prima d'ora i Dissennatori non avevano mai attaccato di giorno. Dom, guardami, non piangere». Catturò con la punta del pollice una lacrima. «Ti fidi?»

«Ciecamente, ma...»

«Allora corri più veloce che puoi, ti porterò via di qui».

James non credeva a quello che aveva appena detto, ma l'importante era che lo facesse Dominique.

 

 

 

*

 

 

 

«Harry?»

Teddy batté debolmente le nocche sulla porta socchiusa ed entrò nello studio, senza attendere una risposta.

Harry sbuffò, infastidito, e ingoiò un sorso di un liquido giallognolo dall'odore pestilenziale, poi poggiò il bicchiere sulla scrivania e si lasciò cadere sulla poltrona.

«Qualcosa non va, Teddy?»

Teddy si appoggiò alla scrivania, evitando magistralmente l'occhiata di disappunto del padrino. «Voglio sapere cosa sta succedendo. Subito. Non domani, tra un mese, un anno o quando cazzo crederai che sarò pronto. Ora».

Harry contrasse le dita, lunghe e nodose come quelle di un vecchio. Aveva tolto tutti gli specchi da casa: non voleva vedersi ridotto nello stato penoso in cui si era ridotto. «Modera il linguaggio» lo ammonì. «Non mi sembra il cas...»

«Non me ne fotte niente del linguaggio! Fin'ora ho aspettato, ho spalato tutta la merda che ci hai buttato addosso e ho fatto finta di niente. Ma non posso più andare avanti così, non ora che Nik è morto! Cazzo, freddato in un vicolo, e non so neanche perché lo hanno ammazzato! Ho scelto io di andare con lui e James, sono stato io a volerlo con me: era sotto la mia fottutissima responsabilità».

«Non è colpa tua».

«Non ho mai detto che fosse colpa mia. Dico solo che voglio sapere cosa sta succedendo veramente. Non mi bevo la storia dei Dissennatori sfuggiti dal controllo del Ministero, non sono un idiota».

«Questa è l'unica spiegazione plausibile, al momento».

«E allora cosa c'entra Weber? Sento te e Ginny che ne parlate spesso: perché?»

«Teddy, smettila. A tempo debito ti dirò tutto, ma non adesso. Sei sconvolto».

«Ora è giunto questo fantomatico tempo debito».

«Se ti dicessi quel che so – cosa che, per inciso, non ho alcuna intenzione di fare – rimarresti estremamente insoddisfatto».

Teddy attraversò la stanza fino a piazzarsi davanti a lui, e lo prese per il bavero della camicia, forzandolo ad alzarsi.

«Levami le mani di dosso, Teddy» sillabò Harry lentamente, ostentando un tono di voce neutro, troppo per uno che, con ogni probabilità, sta per prendersi un pugno in faccia. «Non fare niente di cui potresti pentirti».

«Io sto con quei ragazzi tutto il giorno, io li spingo a superare i loro limiti, io li porto d'urgenza al San Mungo quando qualcosa va storto! E non so neanche perché lo faccio. Perché tu dici che è la cosa giusta? Non ho più ventidue anni e la foga di fare l'eroe, non sono più un coglione che si beve ogni sillaba che esce dalla tua bocca. Per cosa stiamo combattendo davvero? Perché non ti stai sbattendo per capire perché Nik è morto? Cazzo, ma da che parte stai veramente? Non me ne fotte niente se sarò insoddisfatto!» Teddy serrò la stretta attorno al suo colletto, per poi scioglierla e spingere Harry sulla poltrona. Gli diede le spalle e tirò un calcio al divano, facendolo slittare contro la parete. «Quindi ora, Harry, mi dirai tutto quello che c'è da sapere. Immediatamente».

Il problema di Teddy era sempre stato quello: non riusciva a rispettare la gerarchia. Non capiva che se gli si taceva qualcosa, era perché non si riteneva necessario che lo sapesse: Harry sapeva quello che faceva sin da quando aveva undici anni, e non gli sembrava di aver mai deluso le aspettative di nessuno. Era riuscito laddove molti prima di lui avevano miseramente fallito, aveva ucciso il mago oscuro più potente di tutti i tempi, mentre ora stava cercando di vederci chiaro nella faccenda dei Dissennatori. E l'unico modo per farlo, ovviamente, era indagando.

«Con questo tuo stupido gesto ti sei giocato tutto» sibilò Harry, dopo aver preso la bacchetta dal tavolino da tè accanto alla poltrona. «Sei più immaturo di un bambino. Che credevi di fare? Di picchiarmi a sangue e sperare che ti dicessi che succede davvero là fuori? Credevi davvero che avrei cantato come un uccellino? Oh, ma certo! Pensavi che ti avrei svelato le mie teorie su Weber! Già, mi pare giusto: l'aiuto di un ragazzo egocentrico, egoista e avventato è quello che mi serve».

Fu un attimo, un movimento troppo rapido perché Harry potesse accorgersene: Teddy sfilò la bacchetta da un passante dei pantaloni e gliela puntò contro.

«Parla. Subito».

Harry fu certo che, se qualcuno non si fosse Materializzato in salotto, Teddy non avrebbe esitato a scagliargli contro un Imperio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note varie ed eventuali

 

 

 

Ecco qua il quarto capitolo.

Beh, al solito interrompo sul più bello *schiva i pomodori*, ma non prendetevela con me: è colpa di The Vampire Diaries e tutti quegli altri stupendi telefilm che fanno questo scherzetto. Sono una povera vittima contagiata.

Bon, veniamo alle note vere e proprie:

-       American troubles è una serie fittizia di mia invenzione composta da varie stagioni. Ho pensato che nel mondo magico ci fosse una sorta di corrispettivo del nostro fumetto con le immagini animate, ma, al solito, sono solo congetture elaborate dalla mia testolina.

-       Visto che Harry e Hermione nel settimo libro non si Materializzano direttamente nel cimitero, ho pensato che questi fossero soggetti a un qualche tipo di protezione.

-       Forse non tutti l’avrete notato perché, nelle storie sulla NG, è alquanto insolito come avvertimento, però è presente l’OOC. Non riguarda ovviamente i personaggi della New Generation, bensì Harry, Hermione e Ginny. Più in là sarà motivato, ma sempre di OOC si tratta.

-       Ho cambiato font e impaginazione. Come scoprirete andando più avanti, sono una maniaca dell’html XD Ho inoltre deciso che, man mano che posterò i capitoli successivi, eliminerò le note d’autrice dei passati per una questione di ordine. Nell’epilogo saranno poi postate tutte.

 

Grazie a tutte coloro che hanno commentato o semplicemente letto! Leggere le vostre recensioni mi fa veramente piacere.

Alla prossima,

Seph

 

 

 

 

   
 
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