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Autore: Emily Kingston    18/09/2012    1 recensioni
Mi chiamo Percy Jackson e sono un mezzosangue.
(...)
La sera del mio compleanno io e Annabeth ci siamo baciati, finalmente, e alla fine dell’estate sono tornato a New York da mia madre e Paul. E tutti vissero felici e contenti, insomma.
Invece no.
Credevo che le mie avventure da semidio fossero finite – o che comunque, mi stessero concedendo una pausa – e pensavo di essere solo un adolescente di Manhattan, figlio di un dio, con una ragazza semidivina, dislessico, con una sindrome di iperattività e disturbo dell’attenzione. Ma ho dimenticato di mettere in conto che sono un mago nell’attirare la sfortuna.

-
Sono passati alcuni mesi dalla sconfitta di Crono e, proprio quando tutti al campo pensavano di poter avere un po' di tregua, Grover si troverà in difficoltà ed un nuovo nemico inizierà a tramare nell'ombra, deciso a distruggere il Campo Mezzosangue. Tra imprese, nuove profezie, bizzarre divinità e strani sogni, riusciranno i nostri eroi a vincere la battaglia?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Grover Underwood, Percy Jackson, Quasi tutti, Rachel Elizabeth Dare
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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#4. Uno zombie mi chiede un appuntamento

 
Mi sono sempre stupito di come il tempo corra veloce.
Ero andato a parlare con Chirone alle porte di dicembre e in pochissimo tempo New York era stata ricoperta dalla neve e illuminata dalle lucine natalizie. La scuola aveva annunciato l’inizio delle vacanze e un grande albero di Natale era stato allestito vicino alla pista di pattinaggio sul ghiaccio.
Times Square si preparava già per il conto alla rovescia dell’ultimo dell’anno e un sacco di ragazzini alti e allampanati in divisa verde distribuivano volantini su un nuovo negozio di giocattoli.
Quando ero tornato dal Campo Mezzosangue avevo trovato mia madre che faceva su e giù per il salotto torturando la cintura della vestaglia e Paul che, seduto sul divano, cercava di tranquillizzarla.
Appena mi aveva visto mi aveva stritolato in un abbraccio, bombardandomi con una serie di domande su dove ero stato e cosa avevo fatto.
Le raccontai dei miei sogni e dell’impresa che gli dei ci avevano concesso.
“Andremo durante le vacanze di Natale,” le dissi.
Lei si portò una mano alle labbra, scioccata. Probabilmente aveva pensato che con la sconfitta di Crono tutti i pericoli fossero finiti e su una cosa Chirone aveva avuto ragione: mia madre aveva avuto troppe preoccupazioni per una vita intera.
“Dirò alla scuola che sei malato,” mi disse Paul, prima di uscire.
Paul Stockfis faceva l’insegnate d’inglese alla Goode High School, la prima scuola che ero riuscito a frequentare per più di un anno.
Quando Paul si chiuse la porta dietro le spalle io e mamma ci sedemmo sul divano e parlammo un po’. Mi chiese della profezia e quando le dissi ciò che l’Oracolo aveva predetto pensai che sarebbe scoppiata in lacrime.
Sì, mia madre aveva decisamente avuto troppe preoccupazioni per una vita intera.
 
Era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie e io stavo aspettando Annabeth sul marciapiede.
Mia madre aveva insistito perché mi mettessi la sciarpa di lana che mi aveva regalato il Natale scorso, perciò metà della mia faccia era occupata da un’ingombrante striscia di tessuto blu.
“Percy!” la sua voce mi raggiunse ancora prima che potessi vederla, e sorrisi.
Il mio sorriso, però, si spense appena mi resi conto che Annabeth stava venendo verso di me in compagnia di David Walesh.
“Io e David dobbiamo discutere di un progetto, perciò l’ho invitato a pranzo con noi.”
Per un attimo mi chiesi se non stesse scherzando.
Quella poteva essere una delle ultime volte in cui potevamo passare del tempo insieme (e per insieme intendo da soli) prima che partissimo per la missione e lei invitava quel…quel coso a pranzare con noi?
David si avvicinò a me sorridendo e si presentò, porgendomi la mano. Mi sarebbe piaciuto togliere il cappuccio a Vortice e infilzarlo, ma la spada gli sarebbe solo passata attraverso e io non sono mai stato un tipo violento.
Così gli strinsi la mano e abbozzai un sorriso – anche se sono convinto che fosse più una specie di smorfia.
Annabeth sorrise, intrecciando le dita alle mie. A essere sincero in quel momento mi sono sentito molto fico e tutto l’odio nei confronti di Mr. Perfezione è svanito.
Pranzammo da McDonald’s e Annabeth e David non fecero altro che parlare di architettura. Non capii un’acca di quello che dissero, ovviamente, ma Annabeth mi strinse la mano tutto il tempo.
Non so se l’abbia fatto perché voleva rassicurarmi, perché le andava o perché voleva impedirmi di fare fuori David – e ci sono anche andato molto vicino dato che lui a un certo punto si è messo a fissarla.
“È stato un piacere conoscerti, Perseo,” mi disse Mr. Perfezione sorridendo.
“Percy,” lo corressi.
“Oh, credevo che fosse un diminutivo.”
“Il nome intero è Perseus,” intervenne Annabeth.
David esalò un lieve ‘oh’, poi sorrise ad Annabeth.
“Ci vediamo dopo Natale. Grazie per il pranzo.”
Annabeth scrollò le spalle.
“Grazie a te per quelle dritte, mi saranno davvero utili.”
David le fece l’occhiolino e mi prudettero le mani.
“A presto, Annabeth,” si avvicinò al viso di Annabeth e le baciò una guancia. “Percy,” mi rivolse un cenno di saluto con la mano e sparì.
Quando fu sparito tra la folla, strinsi i denti.
“Io lo ammazzo,” ringhiai.
Mi aspettavo che Annabeth iniziasse una delle sue solite ramanzine, invece scoppiò a ridere.
Con la mascella ancora contratta e gli occhi che lanciavano saette, mi voltai verso di lei, incredulo.
“Stai…ridendo?” esclamai.
“Io…scusa,” balbettò, tra le risate. “È solo che è buffo.”
Alzai le sopracciglia.
“Ti sembra buffo che io voglia uccidere un mortale?” chiesi.
Annabeth mi accarezzò una guancia.
“È buffo perché non pensavo che potessi essere così geloso.”
“Io non sono geloso,” borbottai, incrociando le braccia.
Ero geloso marcio, lo sapevo benissimo.
Ero stato geloso marcio di Luke finché lei non aveva detto che lo considerava come un fratello e adesso ero geloso marcio di David.  Ma non l’avrei mai ammesso davanti a lei. Non l’avrei mai ammesso e basta.
“Oh. Be’, allora immagino che potrei chiedergli di passare con noi anche il pomeriggio...”
Annabeth fece per avviarsi nella direzione in cui lui era sparito, ma io le afferrai un braccio e la fulminai con lo sguardo.
“Non ci provare!”
Lei scoppiò di nuovo a ridere e mi avvolse le braccia attorno al collo.
Quella scena mi ricordò la sera del mio compleanno, quando avevo cercato di dirle che mi piaceva, ma avevo finito per fare la figura dell’idiota.
“Sei insopportabile,” mi lamentai.
“Te l’avevo detto che non ti avrei reso le cose facili, Testa d’Alghe.”
Quando mi baciò fu come se fosse la prima volta. Mi tremavano le mani e avevo come la sensazione di avere il cuore nello stomaco.
Le avvolsi i fianchi con le braccia e sentii i suoi capelli pizzicarmi le guance.
Sentii le sue labbra arricciarsi in un sorriso, mentre portava le mani prima sul mio collo e poi tra i miei capelli.
Ero completamente stordito e per la prima volta provai il desiderio di essere in una stanza da solo con lei. Non è un pensiero di cui vado molto fiero.
Dopo un po’ Annabeth si allontanò ed io appoggiai la fronte sulla sua. Avevo il fiatone.
“Ehi,” sussurrai. “Wow.”
Annbethmi guardò e sorrise, afferrandomi le mani.
Senza aggiungere altro ci incamminammo verso Central Park.
Quando c’ero stato quell’estate, il parco era pieno di gente addormentata ed io avevo appena scoperto che, nascosto da qualche parte tra gli alberi, c’era un ingresso per gli Inferi.
“Ho pensato alla profezia in questi giorni,” disse.
La cosa non mi stupiva affatto, il cervello di Annabeth non stava fermo un attimo, figuriamoci quando c’era un profezia in circolazione.
“E anche ai tuoi sogni,” continuò. “Ma non riesco a venirne a capo.”
Sospirai.
“Credi davvero che Chirone ci farà partire?”
“Ci hanno concesso un’impresa, devono farci partire,” rispose. “E poi Grover non si è fatto ancora vivo ed è passato davvero troppotempo dall’ultima volta che l’abbiamo sentito. Hai fatto qualche altro sogno su di lui?”
Scossi il capo. L’unico che mi era venuto a far visita in sogno in quei giorni era Nico Di Angelo, il figlio di Ade.
Non c’era niente di nuovo da dire, in realtà. Nico era sempre nella solita grotta umida e continuava a ripetermi le stesse cose. “È tornato umano. Vuole vendicarsi.”
“Sei davvero sicura di voler venire con me? Posso nominare qualcun altro...”
Annabethmi fulminò con lo sguardo. Avevamo già discusso del suo ruolo nell’impresa e lei aveva insistito per accompagnarmi. Nonostante tutto, speravo di farle cambiare idea. Ma avevo i miei dubbi.
“Ne abbiamo già parlato, Percy,” appunto. “Io verrò con te, che ti piaccia o no. E sappi che, se dovesse venirti la malsana idea di andartene senza di me, ti seguirò di nascosto!”
“Non c’è proprio modo per farti cambiare idea, vero?”
Annabeth scosse il capo con aria decisa. Non avrebbe mai rinunciato a combattere.
Sospirai, continuando a camminare per il parco.
“Hai pensato a chi potrebbe essere il terzo mezzosangue?” mi chiese dopo un po’.
Avevo pensato ad un sacco di gente a essere sincero. Poteva essere Talia – anche se ora faceva parte delle Cacciatrici di Artemide era sempre una semidea, no?- oppure poteva trattarsi di Clarisse o di uno dei fratelli Stoll. Poteva essere chiunque.
“Considerando ciò che è successo con l’ultima profezia, fossi in te non darei così per scontato che gli altri due mezzosangue siamo io e te.”
Annabeth sorrise.
“E chi ha parlato di te, Testa d’Alghe?” ridacchiò.
“Te l’ho già detto che non ti sopporto?”
Annabeth scoppiò a ridere.
Continuammo a camminare nel parco in silenzio. Annabeth mi fece qualche altra domanda sulla profezia, ma io non sapevo mai come risponderle.
Era quasi buio e stavamo tornando all’appartamento di Annabeth quando una ragazza ci spuntò davanti, correndo come una matta.
Aveva qualche foglia incastrata tra i lunghissimi capelli castani e gli occhi verdi erano spalancati e spaventati.
Ci guardò con aria terrorizzata e ci vollero diversi minuti per convincerla che non volevamo farle del male.
“Mi chiamo Claire,” disse, mentre si toglieva le foglie dai capelli.
Annabeth le fece alcune domande, ma Claire sembrava sapere solo come si chiamava, che si era persa e che mentre cercava la via di casa qualcosa aveva iniziato a seguirla.
“Non hai visto la cosa che ti seguiva?” io e Annabeth ci scambiammo uno sguardo.
Per quel che ne sapevamo poteva essere una mezzosangue inseguita da un mostro.
Claire scosse il capo.
“Mi dispiace,” gemette e pensai che fosse sul punto di piangere.
Le battei un’impacciata pacca sulla spalla e vidi Annabeth abbozzare un sorriso.
“Non importa,” la rassicurai. “Posso accompagnarti a casa, se vuoi.”
La ragazza annuì, pregandomi con lo sguardo.
Salutai Annabeth e Claire mi afferrò la mano, guidandomi attraverso il traffico di New York.
Camminammo per diversi minuti, finché lei non si fermò di fronte ad una sobria villetta dalle pareti grigio fumo.
“Sei stato davvero carino ad accompagnarmi,” mi sorrise.
Io abbozzai un sorriso, alzando le spalle.
“Non è stato un problema.”
All’improvviso, Claire tirò fuori un pennarello nero dai pantaloni e mi afferrò la mano. Girò il palmo verso di sé e mi scrisse un numero di telefono sulla pelle.
“Pensi che potresti avere voglia di uscire con me?”
Arrossii. Non mi era mai capitato di essere invitato a uscire da una ragazza. In realtà non mi era proprio mai capitato di piacere ad una ragazza – a parte Annabeth (anche se all’epoca non ero ancora convinto di piacerle sul serio) e Calipso (ma lei era...be’, non contava credo).
“Sei stato così gentile con me,” continuò, avvicinandosi. “Mi piacerebbe ringraziarti.”
Fece un altro passo verso di me e io arretrai. In quel momento non avevo idea di cosa sarebbe successo dopo.
Lentamente i capelli di Claire presero una disgustosa sfumatura giallo scuro, i suoi occhi si appannarono e la pelle cominciò a colare e a ricoprirsi di macchie verdognole.
“È scortese non accettare un invito a uscire, Percy Jackson,” sussurrò, la voce distorta.
Tirai fuori Vortice dalla tasca dei jeans e le tolsi il cappuccio. Claire lanciò una specie di fischio che rimbombò nel silenzio del quartiere.
Prima ancora che potessi puntarle la spada contro, però, Claire si disintegrò e Annabeth apparve nel buio col pugnale alzato.
“Ti ha chiesto di uscire!” esclamò, indignata.
Io feci per risponderle, ma poi notai lo zombie alle sue spalle.
“Attenta!” urlai, tirandola verso di me e affondando la spada nel petto del mostro.
“Cosa le avresti risposto?”
Altri zombie sbucarono dal buio ed io e Annabeth ci trovammo a combattere schiena contro schiena.
“Non mi sembra il momento di parlarne,” dissi, infilzando una ragazza-zombie.
Annabeth tagliò la testa di un ragazzo-zombie.
“Avresti accettato!”
“Certo che no,” un altro mostro divenne polvere.
Riuscimmo a fare fuori tutti gli zombie che arrivarono e alla fine cademmo seduti a terra, sudati e affannati.
“Dobbiamo dirlo a Chirone,” ansimai.
Annabeth annuì, mentre io rimettevo il cappuccio a Vortice.
“Domattina,” sussurrò lei. “Ci andiamo domattina.”
Se fosse dipeso da me ci sarei andato anche subito. Grover era sicuramente in pericolo e degli zombie si aggiravano per New York con l’intenzione di farci fuori, mi sembrava abbastanza urgente.
“Andare adesso sarebbe inutile,” disse Annabeth, come se mi avesse letto nel pensiero. “Se anche dicessimo subito a Chirone degli zombie non ci farebbe mai partire immediatamente.”
L’ho già detto che Annabeth ha sempre ragione?
“Va bene,” avevo ancora il fiato corto. “Ma tu stanotte dormi a casa mia.”
Annabeth cercò di protestare, ma io fui irremovibile. Non l’avrei lasciata dormire da sola all’appartamento con degli zombie in circolazione.
“So badare a me stessa, Testa d’Alghe,” sbuffò quando arrivammo sotto casa mia.
Le sorrisi.
“Lo so benissimo,” risposi. “Ma dormirai da me comunque.”
Mia madre quasi si mise a piangere quando le dissi che Annabeth si sarebbe fermata per la notte. Da quando stavamo insieme cercavo di non invitarla mai a casa – volevo evitare che mamma iniziasse discorsi stupidi su come ero carino da bambino (e sapevo che l’avrebbe fatto) – perciò quando se la vide davanti le venne quasi un colpo.
Subito dopo cena io e Annabeth ci rintanammo in camera mia, dove mia madre aveva sistemato un sacco a pelo.
“Ti lascio il letto,” le dissi, dirigendomi verso il sacco a pelo.
“Ma è il tuo letto!” protestò. “Sono abituata a dormire per terra, io..”
“Ti lascio il letto,” ripetei, rosso come un peperone.
Mi sentivo l’idiota del secolo, ma Annabeth sembrò capire che ero imbarazzato perché sorrise e s’infilò sotto alle lenzuola.
Spesi la luce e il buio ci avvolse. Rimanemmo in silenzio e sentii il cuore battere così forte che pensai che Annabeth potesse sentirlo.
“Ehm, allora buonanotte.”
Annabeth sbuffò e la sentii che si muoveva tra le lenzuola. Un secondo dopo mi stava baciando.
“Buonanotte, Testa d’Alghe.”
Sorrisi, osservandola che si risistemava sul letto. Poi chiusi gli occhi e, nonostante fino a cinque secondi prima avessi pensato di non essere affatto stanco, mi addormentai immediatamente. 



-
Ecco qua il quarto capitolo! :)
Vorrei ringraziare chi ha letto e recensito i capitoli precedenti: davvero, grazie, grazie, grazie! 
Spero che anche questo sia di vostro gradimento. Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate (se avete anche delle critiche, delle correzioni o delle precisazioni da fare, sarò felice di leggerle (: )
Ora che è ricominciata la scuola non so con che frequenza riuscirò ad aggiornare, spero di non farvi aspettare per mesi!
Di nuovo grazie mille a tutti, 
Emily. 
   
 
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