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Autore: JulesBerry    27/09/2012    5 recensioni
[Seconda revisione ultimata]
Margaret Stevens è una strega diciassettenne che, nell'agosto del 1995, ritorna in Inghilterra, suo Paese natale, dopo nove lunghi anni.
Qui potrà rincontrare le persone a lei sempre state care: quelle persone che non ha mai dimenticato, che hanno sempre avuto un posto nel suo cuore, e che, nonostante tutto, hanno fatto sentire la loro presenza anche negli anni della lontananza.
Perché, questo lei lo sapeva, i Weasley sono sempre stati la sua seconda famiglia. E dalla famiglia, prima o poi, si ritorna.
-Dall'undicesimo capitolo-
«Fred, cosa dovrei fare? Fa’ sparire ogni pensiero strano, quel sorriso malizioso lo conosco fin troppo bene. E poi, per le mutande di Merlino, hai solo un asciugamano addosso: per me non è facile concentrarmi, il tuo corpo mi distrae!» esclamò Meg che, senza volerlo, si lasciò scappare quell’ultima frase. Si morse il labbro, maledicendosi mentalmente e pensando che buttarsi dalla finestra non doveva essere poi un’idea tanto cattiva.
«Ti distraggo? Be’, in effetti, sono stupendo, magnifico, incantevole! Come biasimarti? Sono la quintessenza della bellezza!» commentò Fred, vanesio, mentre il suo ego gonfiava a dismisura.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, George e Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da V libro alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore'
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Capitolo 15
 


 
Più dolce sarebbe la morte se il mio sguardo
avesse come ultimo orizzonte il tuo volto

 

You could be my unintended 
Choice to live my life extended 
You could be the one I'll always love 
You could be the one who listens to my deepest inquisitions 
You could be the one I'll always love

 
La prospettiva dell’avvicinarsi delle vacanze natalizie aveva portato con sé un insolito buonumore tra la maggior parte degli studenti di Hogwarts. Fuori, nel parco, la neve era così alta che non la si poteva attraversare senza inzupparsi fino alle ginocchia; il clima pungente, però, era alleggerito dalla consapevolezza che quelli fossero gli ultimi giorni antecedenti la chiusura del primo trimestre.
La campanella che segnava il termine dell’ultima ora di lezione del pomeriggio di quel 16 dicembre era appena suonata, quando Margaret e i gemelli Weasley si apprestarono a uscire dall’aula di Trasfigurazione. Il loro umore pareva essere alle stelle.
«Fuori c’è neve a palate!» esultò George, illuminandosi.
«Nessuno m’impedirà di starmene fuori a tirare palle di neve contro la finestra di Ronnino Prefettino!» commentò Fred, i cui occhi brillavano di perfida soddisfazione. Margaret scoppiò a ridere e si mise tra loro due, prendendoli a braccetto. Una voce conosciuta, però, ruppe quella quiete.
«Stevens!» la richiamò Malfoy, sfoggiando il suo solito tono indisponente.
«Malfoy, cosa diavolo vuoi?» chiese la ragazza, esibendo un’aria minacciosa. Non ne poteva più delle provocazioni di quel moccioso: era snervante doversi trattenere dal ridurlo in poltiglia. A quel punto, il Serpeverde sghignazzò.
«Mi chiedevo soltanto con quale coraggio tu riesca ad andare in giro con gente come loro» disse lui, alludendo ai gemelli. Questi ultimi sembravano pronti a scagliargli contro una fattura.
«Stai forse lasciando intendere che sarebbe meglio camminare con te e la tua allegra combriccola?» domandò allora lei, pungente, guardandolo con fastidio, ma lui non ci fece troppo caso.
«Sei sempre stata sveglia, Stevens.»
«Peccato che io non abbia voglia di avere a che fare con gente come te, la tua famiglia e i tuoi amici da brivido, non so se rendo bene l’idea» rispose prontamente Margaret, non riuscendo, tuttavia, a celare un minimo di compiacimento. George, d’altra parte, le batté il cinque da dietro la schiena. Sempre se fosse stato possibile, Malfoy divenne ancora più pallido.
«Come osi, traditrice del tuo sangue!» fece lui, estraendo la bacchetta. Margaret, nonostante ciò, rise ancor di più, ma si portò una mano sotto la veste, per sicurezza.
«Fiera di esserlo, Malfoy! Se credi di potermi offendere dicendomi questo, be’... ti sbagli di grosso. E non costringermi a farti del male, non ne avevo intenzione. Ho un notevole senso civico, io» disse lei, continuando a ghignare.
«Ma certo, non ti offendi. Ti piace essere paragonata a loro, non è così? Dopo che avrai sposato un Weasley, cosa farai? Andrai a vivere in una bettola, no? È davvero triste vedere come una delle più antiche famiglie Purosangue del Regno Unito possa cadere così in basso. I Wilson vi riconoscono ancora come parenti, o vi hanno già ripudiati?» commentò Malfoy, acido. Margaret era pronta a controbattere ma, in quel preciso istante, un furioso Fred si avvicinò pericolosamente al ragazzo appartenente alla Casa di Serpeverde, puntandogli la bacchetta a un palmo dal viso. George fu tentato di imitarlo, ma decise di rimanere fermo. Margaret, invece, gli si attaccò al braccio, sperando di riuscire a fermarlo.
«Tu non sei nessuno, proprio nessuno, per poterti rivolgere a lei in questo modo, quindi non provarci mai più. Sono stato abbastanza chiaro, o vuoi che passi alle maniere forti?» sibilò Fred minacciosamente, sotto lo sguardo contrariato di Meg.
«Andiamo, per favore, non ne vale la pena!» gli sussurrò questa, infatti, cercando di trascinarlo via, naturalmente con pessimi risultati.
«Non mi fai paura, Weasley» contrattaccò il biondino, beffandosi di lui.
«Non costringermi, Malfoy.»
«Fred, ti prego!» lo supplicò ancora lei, esasperata, mentre George, invano, cercava di dirgli con lo sguardo che non era il caso, ma Fred ignorò anche il fratello. Lui e Draco Malfoy erano uno di fronte all’altro, le bacchette puntate contro che emettevano piccole scintille, e nessuno dei due sembrava intenzionato a lasciar cadere la questione. Margaret non aveva mai visto il suo amico così furioso prima d’ora.
«Che cosa sta succedendo?» chiese, a quel punto, la voce glaciale di Severus Piton, appena apparso in corridoio. I ragazzi sobbalzarono, sorpresi, e lui guardò con disgusto la scena per pochissimi secondi, prima di continuare. «Signor Weasley, metta via la bacchetta. Dieci punti in meno a Grifondoro. Signorina Stevens, lei la smetta di dare calci al suo compagno e si rimetta con i piedi ben saldi sul pavimento. Adesso andate, prima che cambi idea e vi metta in punizione» terminò, lapidario, lanciando loro un’occhiata malevola.  Senza esitare, Margaret prese per mano Fred e lo trascinò via il più velocemente che poté.
Era livido di rabbia, e Meg non capiva per quale motivo lui si comportasse così. Non c’era bisogno di ricorrere alle maniere forti: quell’idiota stava solo cercando di provocarli, lo faceva quasi ogni giorno, e lui c’era cascato come uno stupido. E poi, sapeva perfettamente difendersi da sola, non era necessario che lui s’intromettesse.

A parte loro tre, la Sala Comune era totalmente vuota. George si rifugiò in un angolo: sapeva perfettamente che il peggio stava per arrivare. Margaret spinse Fred su una poltrona e gli si parò davanti, le mani sui fianchi in pieno stile Molly Weasley. Come il ragazzo che aveva di fronte, anche lei era diventata viola.
«Ma si può sapere cosa ti passa per la testa, Frederick Weasley?» gli urlò contro, adirata. «Avevo la situazione in mano, non dovevi metterti in mezzo. Mi meraviglio di te: ti lasci trasportare dalle parole di un ragazzino viziato!» concluse, prendendo fiato; ciò permise a Fred di ribattere.
«Non permetterò mai a nessuno di parlarti in quel modo, che ti piaccia o no. E non m’importa se te la sai sbrigare da sola, di certo non rimango lì con le mani in mano!»
«E invece dovresti! George, ad esempio, che ha fatto? Non si è intromesso! E sono sicura che abbia dato fastidio a lui quanto ne ha dato a te. Lo dico anche per il tuo bene, Merlino: non voglio che ti cacci nei guai per fare il cavaliere! Quindi, la prossima volta, stanne fuori!» continuò lei, sempre urlando. Fred, con uno scatto, si alzò e le si mise di fronte. Quella notevole differenza di altezza non la intimidiva affatto, ma il ragazzo sembrava stesse per perdere il controllo.
«Non se ne parla proprio! Odio che ti si rivolga in quel modo, specialmente se a farlo è quell’essere spregevole!» esclamò, infatti, tentando di spiegarle le sue ragioni, anche se sapeva che ciò non sarebbe bastato per farle cambiare idea.
«Devi calmarti, diamine! La prendi troppo sul personale, io ormai non ci faccio nemmeno più caso. Dagli due belle risposte e se ne va con la coda tra le gambe, è semplicissimo!» ribatté Meg, difatti, come se fosse stata la cosa più ovvia nell’Universo, ma Fred non pareva pensarla allo stesso modo.
«Be’, sai, io ho l’impressione che non trovi la situazione poi tanto spiacevole!»
«Cosa? Spiegati meglio, perché spero tanto di aver capito male!»
«No, non hai capito male. In fondo, pensi che lui abbia ragione, non è così? Ci scommetto la mano!»
«Be’, la perderesti. Io non mi offendo se mi chiama “traditrice del tuo sangue”, o qualche roba simile. Lo sai che non mi è mai importato assolutamente nulla di queste cose, quindi perché adesso devi fare così? La smetti di dire stronzate, per favore? Sei snervante!»
«Sì? Bene, allora perché non vai da lui? Io non sono alla tua altezza, lo sappiamo tutti quanti! Tu meriti di meglio, meriti qualcuno che possa darti ogni cosa!»
«Fred, sta’ zitto, prima che sia troppo tardi!» intervenne George, ma Fred fece finta di non sentirlo e continuò indisturbato ad accusare la ragazza che aveva di fronte, che nel frattempo lo osservava con gli occhi spalancati, incredula.
«Sono sicurissimo che a volte ti chieda anche tu stessa perché mai stai ancora qui a perdere tempo con me! Tu non hai mai avuto bisogno di me, mai!» aggiunse lui, infatti, sempre più fuori di sé. Meg, a quel punto, poteva percepire le gambe tremare per la collera.
«Fred, tu ti sei bevuto il cervello! Come puoi credere una cosa simile? Mi stai facendo paura, te lo giuro! Sembri uscito fuori di testa!»
«La verità, cara Meg, è che a te non importa nulla di me, niente. Io sarò solo l’intralcio maggiore in quella che dovrebbe prospettarsi una vita costernata di grandi successi, per la giovane Stevens. Nient’altro che un peso, per te» disse ancora Fred, e le parole gli uscirono dalla bocca come un fiume in piena. Era troppo accecato dall’odio per capire quanto potevano averla ferita. Gli occhi di lei si riempirono di lacrime: ogni frase le appariva sconnessa, senza senso, a causa di quello che aveva sentito. Raccolse tutte le forze che aveva per non prenderlo a pugni e per non scoppiare a piangere nel bel mezzo di un discorso. George, dal suo angolo, sembrava dispiaciuto e mortificato: non se lo aspettava.
«Tu... Tu non dici sul serio. Non puoi. Ti rendi conto di... di quello che hai detto, Fred?» tentò lei, basita, pregando perché si rimangiasse tutto quello che le aveva gettato addosso, ma le sue speranze si rivelarono ancora vane.
«Ormai non so cosa pensare, Margaret» concluse lui, quindi, con una freddezza che gli era poco appropriata. La ragazza strabuzzò ancor di più gli occhi, poi contorse le labbra in una smorfia.
«Sì? Perfetto, sparisci immediatamente! Anzi, no: me ne vado io. Non voglio guardarti un solo minuto di più» fece lei, la voce tremante. Poi, come un fulmine, corse via in direzione del parco, lasciandosi dietro il gelo di quella stanza.

Fred, non appena il buco del ritratto si fu richiuso, si voltò verso il gemello, che aveva assistito alla scena restando in perfetto silenzio. Il suo sguardo, tuttavia, trasudava dissenso.
«Fred: sei stato un idiota» disse George, sprofondando ancora di più nella poltrona. Il fratello si chiuse in se stesso per diversi minuti, fino a quando non si portò una mano dietro la nuca, riacquisendo il buon senso.
«Io... Io non credevo in neanche una delle parole che le ho detto. George, ti sto dicendo la verità» disse Fred, infine, nei cui occhi si poteva leggere nitidamente il segno del rimorso, al che il gemello scosse la testa, rassegnato.
«Ma io l’ho capito all’istante che non facevi sul serio, era solo rabbia. Ma erano parole pesanti, fratello, e se non bastasse, lei è tremendamente testarda e orgogliosa. Sarebbe già un’impresa farsi perdonare da una ragazza normale, ma con lei… Be’, ti servirà parecchia fortuna!»
«Che cosa dovrei fare?»
«Va’ da lei, ora. Valle a parlare, immediatamente!» gli consigliò George, così Fred, all’istante, si precipitò fuori dalla Sala Comune, intenzionato a rimediare al disastro che aveva appena combinato.

Pochi minuti prima, Margaret si era diretta, correndo, verso l’aria fredda e pungente di metà dicembre. Attraversato il portone di quercia, si lasciò cadere senza troppi complimenti sul più basso dei gradini di pietra, immergendo piedi e buona parte delle gambe nella neve e lasciando sfogare un pianto silenzioso tra i palmi delle mani.
Non riusciva a capacitarsi di quello che era appena successo: una delle persone a lei più care, il ragazzo che amava, le si era scagliato contro urlando accuse infondate, facendola sentire, per la prima volta nella sua vita, totalmente e irrimediabilmente inerme. Lui era lì, di fronte a lei, che le urlava contro, la trattava come aveva sempre cercato di impedire agli altri di fare, le si rivolgeva con la voce più fredda e distaccata che aveva. Aveva insinuato l’assurdo, dimostrando una così scarsa conoscenza dei suoi reali sentimenti, ed era stato deprimente. Si meravigliava anche di se stessa: lei, con un carattere così forte da lasciare spiazzati, aveva permesso che qualcuno le si rivolgesse in quel modo.
Adesso voleva rimanere sola, non voleva essere disturbata da nessuno. Voleva solamente congelare sotto i soffici e delicati fiocchi di neve che le bagnavano dolcemente il viso, ma neanche questo le era concesso. Sentì, dietro di sé, dei passi familiari che si avvicinavano e, immediatamente dopo, una mano le si poggiò sulla spalla; aveva un tocco deciso e rassicurante allo stesso tempo.
Margaret pensò che non fosse possibile: non poteva aver avuto il coraggio e la stupidità di essere venuto a cercarla nemmeno dieci minuti dopo quella lite. Cercò di auto-convincersi, e per questo evitò di voltarsi nella sua direzione, sapendo che l’avrebbe riconosciuto al primo sguardo.
«G-George?» tentò, sperando con tutto il cuore che la risposta fosse affermativa.
«Sono Fred, e lo sapevi» disse lui, con voce roca, e il viso di Margaret si contrasse in una smorfia carica di rabbia. Si scrollò la mano del ragazzo di dosso e si girò di scatto per guardarlo, gli occhi rossi a causa del pianto e lampeggianti d’ira.
«Speravo avessi quantomeno avuto la decenza di non avvicinarti a me!» sbottò lei, cercando di controllare il tono della voce: non voleva dare troppo spettacolo. Fred, però, pareva non dare retta alle parole della ragazza. Difatti, s’inginocchiò sulla neve, di fronte a lei, e le prese con la forza entrambe le mani. Margaret sembrava ancora più furiosa.
«Non toccarmi!» sibilò, con fare minaccioso, e intanto la sua voce parve incrinarsi pericolosamente, ma lui mantenne ben salda la presa.
«Ti... Ti chiedo di perdonarmi, Meg. Ho sbagliato, sono stato un idiota. Non pensavo nemmeno una virgola di tutto ciò che ti ho buttato addosso.»
«Hai detto bene, sei stato un idiota! Ma dovevi pensarci prima, non dovevi permetterti di dire quelle cose! E ti ho già detto che non devi toccarmi!» sbraitò Margaret, che poi si liberò le mani con uno strattone e prese a camminare in mezzo alla neve. Fred la seguì, per poi affrettare il passo e sbucarle di fronte nel tentativo di sbarrarle la strada. Lei sembrava stesse per urlare.
«Meg, devi credermi! L’ultima cosa al mondo che desidero è farti del male!» cominciò a supplicarla, avvicinandosi, dato che lei si era fermata.
«Bel modo di dimostrarlo, Frederick!» commentò questa, sarcastica, e nei suoi occhi privi di lacrime era nuovamente visibile un lampo.
«Non puoi trattarmi così! Io non volevo!» fece Fred con veemenza, sconvolto. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Non posso trattarti così? Non posso? Credo di averne pieno diritto! Lo sai cos’hai fatto, eh? Lo sai? Hai insinuato che non m’importi niente di te, quando io per te morirei! Quando sarei pronta a dare la mia stessa vita, per te! Ma forse sei troppo ottuso per capire che dai senso ai miei giorni! Sei troppo stupido per notare che io vivo del tuo profumo, della tua risata, del tuo sorriso, dei tuoi occhi, di ogni singola parte di te! Che ogni istante passato senza di te, è assolutamente vuoto, insignificante! Ma ciò, per te, conta meno di zero... e, a quanto pare, forse anch’io non conto niente» si ritrovò a dire, lei, con un tono di voce abbastanza alto da far voltare alcuni ragazzini di Corvonero del terzo anno. Fred rimase di fronte a lei, preso alla sprovvista e con sguardo vacuo davanti a quella che gli appariva ogni momento sempre di più come una rivelazione vera e propria. Dopo diversi secondi, cercò di riprendersi.
«Io... Meg, io... ho detto una cosa davvero squallida... e offensiva nei tuoi confronti. Tu per me conti più di qualsiasi altra cosa al mondo, e ti prego di non mettere in dubbio una cosa del genere. Ti sto chiedendo di perdonarmi, e sono disposto anche a mettermi di nuovo in ginocchio, a lanciarmi dalla Torre di Astronomia, se lo vorrai. Farò tutto quello che vuoi» le sussurrò, realmente dispiaciuto e pentito. Lei gli mise entrambe le mani sul petto, mentre gli occhi le diventavano di nuovo lucidi.
«Sparisci» bisbigliò, stanca, prima di spingerlo via con tutta la forza che aveva, facendolo barcollare. Riprese a camminare velocemente, cercando di ignorare la voce di Fred che le arrivava alle spalle. Voleva scappare via, andarsene, e la consapevolezza del fatto che ciò non fosse possibile la demoralizzava ancor di più.
Non poté non fare caso, tuttavia, alle sue mani che la trascinarono e la inchiodarono contro il tronco del grosso albero accanto al quale stava passando.
«Tu non vai da nessuna parte» le disse Fred, deciso, osservando l’espressione dura e indignata di Margaret.
«Toglimi le mani di dosso! Ricordi che non ho bisogno di te, Fred? L’hai detto tu stesso! Come osi...» iniziò lei, ma le fu impedito di continuare la frase, dal momento che il ragazzo la interruppe immediatamente.
«E infatti sono io che ho bisogno di te!»
«No, non è vero! Smettila, devi smetterla! Ti scongiuro, lasciami in pace...» quasi urlò Meg, sul cui volto ormai le lacrime avevano ripreso il sopravvento.
«Non posso farlo. Non posso. Io ti amo, e non posso lasciarti in pace. Adesso ti è chiaro o no?» le sussurrò Fred, che prese un piccolo rametto che era caduto per terra e lo Trasfigurò in una margherita bianca. «La ricordi? È uguale a quella che hai trovato su quel vassoio, la notte prima di venire qua. Secondo i Babbani, ogni petalo è un elogio alle virtù della persona cui viene regalata, mentre il fiore in sé stante indica un amore fedele, è il pegno di un sentimento eterno» spiegò, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso, prima di portare il fiore tra le mani della ragazza, che era impietrita e commossa allo stesso tempo.

Margaret sentiva ancora distintamente la rabbia bruciarle dentro il petto, ma il viso di Fred si faceva sempre più vicino al suo, e lei non aveva la minima idea di cosa fare. Avrebbe potuto urlare, scansarlo, mandarlo all’Inferno, ma non riusciva a fare nessuna di queste cose. Quel “ti amo”, pronunciato dalla sua voce, suonava così bene che avrebbe voluto sentirselo ripetere fino alla fine dei suoi giorni, sempre e solo da lui. Si sentiva incatenata, dipendente da quella vicinanza, anche se al contempo la odiava.
La sua anima appariva in una lotta estenuante: delle emozioni completamente contrastanti sembravano convivere l’una con l’altra, lasciandola sempre più spiazzata e confusa. Voleva stringere allo stremo, distruggere quella margherita, ma le mani le tremavano così tanto da non permetterle alcuna azione.
Poteva distinguere sul suo volto ogni singola efelide, e mai come in questo momento pensò che, su di lui, ognuna di essa fosse dannatamente splendida.
Fred fissò lo sguardo in quello della ragazza, e un fremito lo sconvolse: quei due smeraldi avevano un effetto devastante su ogni singola parte di lui. Le prese il viso tra le mani e appoggiò la fronte sulla sua, senza interrompere mai il contatto visivo. Meg pensò che quella sarebbe stata l’occasione perfetta per assestargli una bella testata.
«Ti odio, non immagini quanto. Ti odio, ma proprio da morire» si lamentò lei, con voce roca, stringendo i pugni attorno ai lembi di stoffa del maglione di Fred.
«Non è vero» soffiò lui sulle sue labbra, leggermente divertito da una delle tante lotte interiori e psicologiche della ragazza.
«Oh, sì che lo è. Sei spregevole, infantile, stupido, odioso, fastidioso, nevrotico, snervante... e vanitoso! E sei anche un... oddio, com’è quella parola...»
«Buffone?»
«Ecco, grazie! Sì, sei un buffone! Un cretino! Hai ragione, che ci sto a fare con te?»
«Giusta osservazione» commentò Fred, mentre poggiava le sue labbra sul collo di Margaret. Lei sbuffò, esasperata.
«Perché non sparisci? Vattene, avanti, non ti sopporto più!»
«Lo farò senz’altro, tranquilla, ma prima devo farti un’ultima domanda: hai altro da aggiungere?» le chiese lui, quindi, una volta che l’ebbe nuovamente inchiodata con lo sguardo. Meg avrebbe avuto voglia di prenderlo a schiaffi.
«Sì, un’ultima cosa: ti odio. Ti odio, ti odio, ti...» iniziò lei, sollevando un indice con il solito atteggiamento da maestrina, ma s’interruppe nello stesso istante in cui si fu resa conto che non poteva continuare a mentire a se stessa. Chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli, decisa a farla finita. «Ti amo, dannazione, ti amo. Sei contento, stupido idiota?» finì, dunque, diminuendo gradualmente il tono della voce.
«Non ancora, ma ci siamo quasi, sai?» rispose Fred, ormai in parte sorridente. Portò le mani di Meg tra i suoi capelli, facendovele immergere, mentre le sue labbra si facevano sempre più vicine a quelle di lei, le domandavano ansiose di perdervisi. Di pochi millimetri era la distanza che li separava, ma ben presto fu annullata.

Si strinsero più che mai, difendendosi a vicenda dal resto del mondo e dal gelo che si stagliava contro la loro pelle. Continuarono a baciarsi in un turbinio di emozioni, assaporando quel momento di eterna beatitudine. Un desiderio inespresso per diverso tempo, finalmente manifestato e avverato. Per loro, in quel momento, nel resto dell’Universo non esisteva niente di meglio, nulla che valesse un solo attimo tra quelli che stavano vivendo.
Fred le cinse la vita, e lei, d’altra parte, si aggrappò al collo di lui, che la sollevò da terra, non smettendo però di baciarla: non lo avrebbe mai fatto. Fu lei, infatti, a staccarsi.
«Non ti ho ancora perdonato, che sia chiaro» commentò Margaret sulle labbra di lui, che le sorrise ancora di più, come per sfidarla.
«Più dolce sarebbe la morte se il mio sguardo avesse come ultimo orizzonte il tuo volto, e se così fosse, mille volte vorrei nascere per mille volte ancor morire1» disse Fred per tutta risposta, godendosi lo sguardo sorpreso di Meg.
«Certo che tu sai proprio come corrompermi, eh? Non avrei mai, e dico mai, dovuto regalarti quel libro! Così te l’ho resa troppo semplice, uffa!» sussurrò lei, divertita, lasciandosi andare poi nel suo caldo e dolce sorriso. Lo baciò una volta, poi ancora, poi di nuovo. Ripeté la stessa azione tante volte, non seppe nemmeno lei quante, ma non le importava. Tutto il resto era insignificante, non esisteva, era quasi immateriale. C’erano solamente loro due.
Solo dopo parecchio tempo si accorsero di un esultante George ai piedi della scalinata che faceva volteggiare e poi ballava con un’ignara e sconvolta Hermione, che stava passando di lì in quel momento.
Fred e Margaret scoppiarono in una risata armoniosa e felice, poi lei si voltò nuovamente verso di lui e, senza un’apparente motivazione, arrossì violentemente. Gli scostò i ciuffi di capelli rossi che gli ricadevano scompigliati sulla fronte e lo abbracciò dolcemente, per poi lasciarsi cullare dalle sue braccia e dal suo profumo. Non poteva sapere come fosse il Paradiso, ma quegli istanti, per lei, erano senza alcun dubbio qualcosa di infinitamente migliore.  
Prima che a entrambi venisse un malanno, lui la prese per mano e la riportò al castello. Con lei al suo fianco, adesso tutto aveva più senso.

1: William Shakespeare.


- Angolo dell'autrice

Diamo il via al trenino, readers! *Pepepepepepe*
No, forse è meglio di no. Decisamente.
Finalmente, arrivati al sedicesimo capitolo, il diabete è esploso e i nostri due dolci piccioncini ce l’hanno fatta! Avete avuto paura, eh? Sì, dovevo farla tragica, non poteva essere sempre tutto tranquillo.
Quello spoiler nel capitolo precedente, poi, è stato proprio perfido.
Questo è probabilmente uno dei miei capitoli preferiti, era già pronto e finito nella mia testa mentre ancora scrivevo qualcosa come il quarto o quinto capitolo, e questo è il risultato! Spero con tutto il cuore che vi piaccia.
Beeenissimo! Il titolo, che è tratto da una frase che dire che la amo è dire davvero poco, è di quel genio di William Shakespeare, mentre la canzone in apertura è la dolcissima Unintended, dei miei amatissimi Muse.
Ora, invece, vi invito gentilmente a recarvi qui: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=1259361, storia originale di V e r v, mi sta incuriosendo molto, e quindi ve la consiglio. ;)
Grazie infinite a chi segue la storia e a chi la recensisce, e anche per essere ancora qui! Dopo una giornata passata a studiare, è sempre un toccasana leggere il vostro parere su ciò che scrivo, quindi vi ringrazio infinitamente! Al prossimo capitolo!
Un bacione, 
Jules



- Dal prossimo capitolo:

«Siete davvero molto divertenti, voi due! Siete fatti l’uno per l’altra!» disse, cercando l’appoggio del ragazzo alla sua destra, ottenendolo.
«Già, vi siete impegnati così tanto a fare i simpaticoni che vi siete dimenticati di dire quella cosa... a tutti quanti!» esordì il gemello Weasley, attirando ancora di più l’attenzione. Tutte le teste si voltarono verso Fred e Margaret, che guardavano George in cagnesco.
«Fred, caro, cosa succede?» domandò Molly al figlio, scrutandolo come per cercare di intravedere i segni di una malattia fatale.


Ultima revisione: 07.02.2015

 
   
 
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