YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO SEI
Tyler
arrivò in cucina dove la madre stava finendo
di lavare i piatti e si appoggiò al tavolo.
“Wow,
tesoro! Che sexy!” esclamò Kelly, non appena
lo vide vestito tutto pronto per la festa alla quale lo aveva invitato
Blake. Indossava
una camicia nera a maniche corte, con i primi due bottoni aperti alla
quale,
poi, aveva abbinato un paio di jeans scuri e strappati. I capelli li
aveva
pettinati all’indietro con un po’ di gel.
In realtà i vestiti glieli aveva scelti sua madre, purtroppo
al tatto non
poteva certo percepire i colori, ma almeno era ancora in grado di
vestirsi da
solo.
Il
ragazzo, per tutta risposta, si diresse al
frigorifero per prendersi qualcosa da bere.
“Dov’è
l’acqua?” chiese alla madre, puntando gli
occhi dentro il frigo.
“Alla
tua destra. Tra dieci minuti Blake dovrebbe
arrivare, no?”
“Sì”.
“Chiamami
se c’è qualche problema, ok?”
“Ok”.
“E
non fare l’associale”.
Tyler
sbuffò ma non disse niente. Non era che faceva
l’associale, era solo che di solito non trovava nessuno con
cui andare
d’accordo, in quei due anni per lo meno.
Si buttò sul divano sorseggiando il suo bicchiere
d’acqua, finché pochi minuti
dopo, il campanello della porta non gli trapassò le
orecchie.
Sua
madre corse ad aprire, sicura che si trattava di
Blake.
Infatti, non appena spalancò la porta, si trovò
il ragazzo lentigginoso davanti
e immediatamente chiamò il figlio perché si
muovesse ad uscire.
Tyler
si alzò dal divano, afferrò il bastone bianco
e si calò gli occhiali sul naso, raggiungendo Blake alla
porta. Questi, appena
lo vide, per poco non tirò un fischio di compiacimento, ma
riuscì a limitarsi a
restare solamente ad occhi spalancati, cosa che, molto probabilmente,
Kelly
aveva notato visto che gli stava davanti. Il rossino gli sarebbe
volentieri
saltato addosso in quell’istante, da quanto lo trovava figo.
“Andiamo?”
fece allora il moro, notando che nessuno
dei due sembrava voler dire o fare niente.
“Eh?
Ah sì, sì… andiamo”.
La
madre di Ty augurò loro di divertirsi e li
congedò alla porta, mentre i due ragazzi si dirigevano alla
moto.
“Reggiti
forte”. Disse Blake, una volta che furono
montati in sella entrambi.
Tyler
circondò la vita di Blake con le braccia e si
strinse forte a lui per non cadere. Non aveva paura di andare in moto,
ci era
stato un paio di volte con il padre, però…
però doveva ammettere che gli
piaceva sentire la consistenza dei muscoli del rossino sotto le dita.
Così le
premette ancora di più, stropicciandogli la maglietta, senza
neanche
accorgersene.
Blake, dal canto suo, cercava di tenere gli occhi fissi sulla strada e
di
concentrarsi su quello che stava facendo, ma era difficile con il
ragazzo per
il quale sbavava da giorni ormai attaccato praticamente alla sua
schiena.
Sentiva le sue braccia muscolose stringergli la vita e
desiderò tanto
intrecciare le sue dita con quelle dell’altro,
desiderò ricambiare la stretta
e… forse fare anche molto di più e il pensiero di
tutto quello che avrebbe
voluto fargli cominciò a fargli indurire ciò che
aveva tra le gambe.
E questo non andava affatto bene, non in quel momento.
Per
fortuna il viaggio durò poco e gli ultimi minuti
li passò a canticchiare mentalmente le canzoni dei Jonas
Brothers che ascoltava
sua sorella per non fare troppi pensieri sconci.
Parcheggiarono
la moto vicino alla spiaggia, dove ce
n’erano molte altre e scesero in spiaggia sulla quale era
già stato acceso un
grande falò attorno al quale molti ragazzi ballavano al
ritmo di una musica
piuttosto orecchiabile, non il solito tunz
tunz da discoteca. La notte era già scesa e con
essa qualche stella si
intravedeva in cielo.
Non
appena Lucy vide arrivare i due ragazzi, corse
loro incontro con un sorriso smagliante e quasi saltò
addosso a Blake per
abbracciarlo.
“Wow!
Sei bellissima stasera, baby”. Le disse il
ragazzo osservandola e notando com’era vestita. Una maglietta
scollata ma non
troppo esagerata con una scritta particolare in centro, dei jeans
lunghi e
attillati. Sarebbe stato troppo chiederle di mettersi una gonna corta,
anche se
si trattava della sua festa, però aveva deciso di rinunciare
alla solita coda
di cavallo almeno per quella sera e si era lasciata i capelli sciolti,
così ora
le arrivavano fin quasi al sedere.
“Grazie,
caro. Nemmeno tu sei malaccio”.
“Ehi,
Lu… ti presento Tyler”. Blake le indicò
il
moro che se ne stava un po’ in disparte dietro di loro.
La
ragazza lo salutò con un sorriso e un bacio su
ogni guancia. “E così sei tu il famoso
Tyler”. All’occhiataccia dell’amico,
però, si corresse. “Famoso nel senso che Blake mi
ha parlato di te un paio di
volte”.
“Ah
sì?” fece Tyler perplesso.
“Sì,
ma non ti preoccupare, Blake non è uno che
sparla degli altri”. Lo tranquillizzò lei.
“Comunque, volete venire un attimo
nella mia baita che vi mostro una cosa?”
Lucy
li precedette per condurli fino ad una piccola
casetta di legno ed evitò di farli passare per la folla di
gente che si
dimenava sulla sabbia.
La baita era di proprietà della sua famiglia, si trovava a
poca distanza dalla
casa in cui abitavano e di solito la usavano per riporci qualche
attrezzo o
altro oggetto che li serviva per il mare.
Quando
entrarono, la prima cosa che saltò loro agli
occhi, almeno a quelli di Blake e Lucy, fu un oggetto piuttosto lungo
posto al
centro della stanza e coperto da un telo arancione.
La ragazza gli si avvicinò e, con un tadan,
buttò giù il lenzuolo e scoprì una
tavola da surf con dei disegni piuttosto
raffinati ed eleganti che la decoravano.
Blake
rimase ad occhi sgranati per lo stupore. “Ma
questa non è la tavola da surf che desideravi?” le
chiese, ricordandosi bene la
prima volta che erano andati in giro per i negozi e lei
l’aveva vista. Da quel
momento, non aveva fatto altro che parlare di quella tavola e di quanto
la
desiderasse e, molto probabilmente, l’aveva elogiata anche
davanti ai suoi
genitori, sebbene non fosse una ragazza troppo esigente o viziata che
voleva a
tutti i costi quello che le piaceva.
“Sì,
è proprio questa!” esclamò lei tutta
contenta.
Blake
si avvicinò per ammirarla meglio e ci passò le
dita per sentire com’era al tatto. Lui non era un
appassionato di surf e
non si intendeva con le tavole. Sapeva
nuotare al massimo in stile ranocchio, figurarsi fare cose spericolate
tra le
onde.
“Vieni,
Tyler. Senti com’è”.
Il
moro, rimasto vicino alla porta fino a quel
momento, si avvicinò ai due orientandosi con le loro voci e
i rumori dei piedi
sul pavimento. Blake gli afferrò una mano per fargliela
poggiare sulla tavola.
“E’
molto leggera, quindi sarà un po’ come volare
sulle onde”. Aggiunse Lucy che, si capiva bene, stravedeva
per quella tavola da
surf. Sembrava felice soltanto per quella e non per la festa che aveva
organizzato.
Improvvisamente,
la porta della baita si aprì come
se qualcuno avesse voluto sprangarla e un ragazzo dai capelli castani e
un po’
spettinati entrò nella stanza tutto trafelato.
“Oh
ragazzi! Siete qui!”
“E
dove pensavi che fossimo?”
“E
io cosa ne so?!”.
“Kenny!”
esclamò Blake, allora. “Ehm… ti
presento
Tyler”.
Il
nuovo arrivato spostò lo sguardo sul ragazzo in
questione e lo squadrò da cima a fondo.
“Tyler…
e così sei tu. Piacere, io sono Kenneth”.
Gli si avvicinò e gli strinse la mano con una stretta
abbastanza forte, alla
quale però, Ty riuscì a rispondere senza esitare.
“Ma puoi chiamarmi Ken”.
“E
tu puoi chiamarmi semplicemente Tyler”.
Ken
ridacchiò.
“Senti,
Blake. Verresti un attimo fuori con me? Devo
farti vedere una cosa”.
Il
rossino esitò un attimo, non gli andava di
lasciare da solo Tyler, ma alla fine decise di accontentare
l’amico. In fondo,
con il moro poteva restarci Lucy.
“Torno
fra poco, ragazzi”.
Quando
gli altri due rimasero da soli nella baita,
calò un silenzio di piombo, si udivano solo le risate e le
chiacchiere dei
ragazzi che stavano fuori.
“Ehm…
vuoi accomodarti? Lì c’è un
divano”. Disse
allora Lucy, indicando il divano con un cenno della mano.
Improvvisamente,
però, si ricordò che lui non poteva vederla,
così cercò di correggersi subito,
un po’ imbarazzata. “E’ dietro di te, un
po’ disordinato ma non badarci”.
“E’
da un po’ che non bado all’aspetto estetico
delle cose”. Cercò di sdrammatizzare il ragazzo,
raggiungendo con cautela il
divano.
“Certo,
immagino. Posso offrirti qualcosa da bere?”
“No,
grazie”. Le rispose semplicemente. Quando,
però, calò di nuovo il silenzio, si
sentì leggermente in imbarazzo anche lui e
disse la prima cosa che gli capitò a mente, sebbene non
fosse molto incline
alle chiacchiere. “E così ti piace
surfare?”
“Sì,
pratico surf praticamente da quando avevo dieci
anni. Ho vinto anche un paio di medaglie. In realtà mi
piacciono tutti gli
sport d’acqua, so anche andare in vela e fare immersioni. Una
volta ho persino
fatto scii nautico”.
“Sei
fortunata a vivere vicino al mare, allora”.
“Sì,
il mare è come se lo avessi nel sangue. E tu?
Pratichi qualcosa?”
“Mi
piaceva il basket”. Tyler aveva preso a
tormentare uno strappo nei jeans, ancora leggermente in imbarazzo.
“Ti
piaceva? Significa che non ti piace più?”
“No,
è solo che… diciamo che non lo pratico
più da
un po’”. Il ragazzo non volle addentrarsi in altre
spiegazioni e Lucy sembrò
capirlo, visto che non insistette.
“Capisco”.
Disse semplicemente.
In
quel momento si riaprì la porta della casetta e
Blake rientrò di nuovo dentro.
“Rieccomi,
scusate l’assenza”.
“Che
voleva Kenny?”
“Oh,
niente, semplicemente mostrarmi le nuove canne
che suo cugino gli ha procurato”.
“E’
fissato col fumo quel tipo”.
“Lascia
stare, Lu”.
Decisero
di uscire perché lì dentro cominciava a
fare parecchio caldo e si riemersero nella folla di giovani corpi pieni
di
ormoni che ballavano e si divertivano.
Blake rimase un altro po’ con Tyler, chiacchierarono del
più e del meno, o
meglio, fu Blake a parlare soprattutto, commentando la festa e le
persone
presenti, assaggiarono vari tipi di drink e di snack.
Quando
il rossino si allontanò, Tyler rimase un po’
con Ken e un po’ con Lucy che cercarono di tenergli
compagnia, farlo sentire a
suo agio e conoscerlo un po’ di più per capire che
cosa ci fosse in lui che
attirava Blake così tanto, oltre all’aspetto
fisico naturalmente.
Ma
Lucy doveva spesso correre tra i vari invitati
che le chiedevano sempre qualcosa oppure controllare che tutto andasse
bene,
visto che era la festeggiata, mentre Ken non era molto capace di stare
sempre
fermo nello stesso posto e ogni due minuti veniva qualcuno a salutarlo
e a
scambiare quattro chiacchiere con lui.
Così,
dopo un po’, il moro si ritrovò da solo,
appoggiato al tavolo delle bibite e sorseggiando una bottiglia di
birra. E per
passare un po’ il tempo, nell’attesa che tornasse
Blake, aveva allungato le
orecchie per captare qualche discorso interessante proveniente dagli
adolescenti che lo circondavano. Ok, in realtà non
c’era niente di
interessante, solo un gruppetto di ragazze che spettegolavano su un
tipo della
scuola che si era messo con un’altra tipa e alcuni ragazzi
che continuavano a
ridere perché qualcuno doveva aver fatto una qualche
battuta.
“Quegli
occhiali ti servono per proteggerti dalla
luna o dal fuoco del falò?” chiese improvvisamente
una voce maschile che non
conosceva.
Gli
ci volle un po’ per capire che si stava
rivolgendo a lui, però alla fine rispose, senza cambiare
l’espressione
indifferente. “Solo per non farmi vedere le brutte
facce”.
Tyler continuò a sorseggiare la birra sperando che il tipo
se ne andasse, ma
questi non sembrava affatto intenzionato a farlo, ma anzi, si
appoggiò anche
lui al tavolo, molto vicino al moro.
“E
fino ad ora ne hai viste molte?”
“Qualcuna
sì”. Ridacchiò Tyler, ma per cosa non
lo
sapeva nemmeno lui. Di facce non ne aveva proprio viste neanche una, ma
il
nuovo arrivato non sembrava essersi accorto che era cieco.
“Sei
un amico di Lucy? O magari un parente?” chiese
allora l’altro in vena di conversazione.
“Lucy
l’ho conosciuta soltanto oggi”.
“Ah,
avrei giurato che fossi un suo parente. Sei un
po’ scorbutico come lei”.
“Non
mi sembra scorbutica lei”.
“A
volte lo è con le persone che non le piacciono”.
Il
moro ridacchiò di nuovo.
“Comunque,
come ci sei arrivato qui allora?”
“Mi
ci ha portato Blake”.
“Ah,
Blake”.
“Lo
conosci?”
“Lo
conoscono quasi tutti a scuola. Dicono che sia
gay”.
“E
chi lo dice?”
“Be’,
tutti”. Lo sconosciuto stava iniziando
leggermente a stupirsi della continua indifferenza di Tyler, sembrava
completamente disinteressato a qualsiasi cosa gli dicesse.
“Ma poi se lo vedi
capisci subito che lo è. Si veste sempre con vestiti che
andrebbero bene anche
ad una ragazza, gesticola quando parla e a volte sembra che saltelli
quando
cammina”.
Il
moro stava iniziando a stufarsi di quei discorsi.
Aveva capito che tipo di persona era quel ragazzo e non gli piaceva per
niente.
Uno che giudicava senza neanche conoscere, soltanto guardando le
apparenze e
gli piaceva sparlare un po’ troppo.
“Non
tutti i gay sono così. E poi, anche se lo
fosse, chi se ne frega”.
Non
gli importava se Blake era gay. Non aveva niente
contro di loro, ognuno era libero di vivere la propria vita come
più gli
piaceva. Chi era lui per giudicare?
“Ehi,
Tyler!” si sentì chiamare proprio dalla voce
del rossino che raggiunse l’amico e gli si piazzò
di fronte.
“Scusa
se ti ho lasciato solo. Tutto a posto?”
“Sì,
sì, è tutto ok”.
Dopo
un po’ Blake si accorse anche dell’altro
ragazzo vicino a loro e storse leggermente il naso non appena lo vide.
“Oh
ciao, Johnatan”. Lo salutò, più per
educazione
che simpatia. Johnatan gli rispose con un cenno della testa, ma non
disse
niente. Blake, invece, tornò a rivolgersi a Tyler.
“Perché
te ne stai qua in disparte?”
“E’
che c’è… un po’ troppa
confusione per me”.
Il
rossino si guardò un attimo attorno.
“Sì, hai
ragione effettivamente. Vieni con me”.
E,
senza lasciare all’altro il tempo di dire niente,
lo afferrò per mano senza neanche accorgersene e lo
trascinò via dalla folla.
Arrivarono in una zona più aperta, dove la musica arrivava
più attutita e dove
nessuno rischiava di pestarli i piedi ballando.
“Ti
va se ci sediamo qui, sulla sabbia?” chiese
Blake e Tyler semplicemente annuì. Così si
sedettero per terra, uno vicino
all’altro, rivolti verso il mare che, per fortuna, quella
sera era piuttosto
tranquillo. La sabbia non era appiccicosa, quindi non rischiavano di
sporcarsi
i pantaloni e il venticello fresco rinfrescava loro i visi e
accarezzava i
capelli di entrambi.
“Mi
piace stare seduto sulla spiaggia, di notte.
Guardare le stelle, ascoltare il rumore del mare che si infrange sulla
riva… ce
ne sono tante stasera, di stelle intendo”.
Tyler
sorrise debolmente. Anche a lui piaceva
guardare le stelle, gli piaceva guardare molte cose a dire la
verità.
“Preferisco
limitarmi ad ascoltare il mare”. Gli
disse.
“Immagino”.
Tyler
si stupì un po’ del fatto che Blake non gli
chiedesse niente, che non fosse curioso di sapere come fosse diventato
cieco o
cose del genere. Però questo contribuì a fargli
crescere ancora di più la
simpatia nei suoi confronti.
Blake, dal canto suo, era curioso di saperlo, ma non voleva chiedergli
niente.
Non si sarebbe guadagnato la sua fiducia né la sua simpatia
se ficcanasava
troppo. Preferiva che fosse l’altro a decidere se e quando
parlargliene.
Così,
rimasero entrambi lì seduti, in silenzio,
senza dire neanche una parola. Ma non era un silenzio pieno di
imbarazzo o
tensione, anzi, ci stavano bene. Ascoltavano il fruscio del mare, si
godevano
il vento che li accarezzava, Blake si beava della presenza di Tyler
accanto a
lui e Tyler si gustava l’odore che emanava la pelle di Blake.
Non capiva perché
gli piacesse così tanto il suo odore, era un odore del tutto
naturale, si
capiva, non quello artificiale di un profumo, eppure lo attirava e
molto anche.
“Ehi!
Che ci fate qui soli soletti?” esclamò la voce
di Lucy, interrompendo il silenzio e la tranquillità nei
quali erano
sprofondati.
I
due ragazzi si riscossero di colpo, quasi
addormentati.
“Possiamo
unirci a voi?” chiese la voce di Kenny.
Senza
attendere una risposta, gli appena arrivati si
sedettero sulla sabbia accanto agli altri due e sospirarono.
“Ragazzi!
Vi va di provare le canne che mi ha dato
mio cugino?” chiese ad un certo punto Ken, illuminandosi al
solo pensiero.
“Non
lo so, forse non è una buona idea…”.
Soffiò
Lucy, un po’ pensierosa.
“Eddai,
Lu! Non ti succederà nulla”. Insistette
l’amico, estraendo già le sigarette. “E
poi, è il tuo compleanno. Dobbiamo
inaugurarli in qualche modo questi diciassette anni”.
Alla
fine tutti e tre si decisero ad assentire e
poco dopo si ritrovarono con una canna accesa in bocca, a fumare sulla
sabbia,
lontani dagli occhi indiscreti di tutti.
“Hai
già fumato prima d’ora, Tyler?” chiese
Lucy
dopo un po’, rivolta al ragazzo moro.
Il
ragazzo negò, espirando una ventata di fumo
trasparente.
“Allora
è la prima volta di tutti e due”.
“Ma
Lucy, non dovresti stare con gli altri
invitati?” le chiese Blake anche se non sembrava molto
interessato alla
risposta che gli avrebbe dato, aveva lo sguardo perso a fissare un
punto
impreciso nell’oceano, gli occhi leggermente appannati.
Sembrava già leggermente fatto, come lo erano anche gli
altri tre.
“Oh,
loro si possono arrangiare anche senza di me.
Francamente non so neanche perché li ho invitati. La maggior
parte di loro mi
sta indifferente”. Rispose la ragazza, rigirando fra le dita
la sua canna.
Non
aggiunse altro e nemmeno gli altri dissero più
niente, così piombarono di nuovo in silenzio, si udivano
solo i loro respiri
più pesanti per il fumo e le onde del mare, mentre sopra le
loro teste le stelle
si stavano facendo sempre più luminose nel cielo scuro.
“Sapete,
io a volte non capisco mia madre”. Sbottò
improvvisamente Ken, facendo sobbalzare Blake. “Ho la patente
da un anno ma lei
non mi lascia ancora guidare l’auto. Così devo
sempre prendere la moto”.
“Tua
madre si preoccupa anche per cose inutili,
Kenny. Se starnutisci pensa subito che tu abbia il
raffreddore”. Disse il
rossino, come se lui conoscesse meglio la madre dell’amico.
“Sì,
ma mi chiedo se un giorno me la farà guidare,
sta maledetta auto”. Sospirò l’altro,
espirando un anello di fumo.
“Da’
retta a tua madre”. Si aggiunse, allora, Tyler,
sdraiato sulla sabbia con un braccio piegato sotto la testa.
“Le macchine sono
pericolose, non sai mai cosa ti può capitare quando ti metti
alla guida. Magari
ti vai a schiantare contro un’altra auto e in un attimo non
ci sei più. Oppure
peggio, magari rimani paralizzato o perdi un braccio, una gamba. O la
vista”.
Aveva fatto tutto quel discorso con tono annoiato, indifferente,
tenendo sempre
gli occhi puntati al cielo, ma i ragazzi capirono benissimo che in
realtà lo
riguardava, che quelle parole non gli erano venute per caso.
Blake
gli lanciò un’occhiata, un po’ stupito
perché
era la prima volta che lo sentiva dire più di cinque parole
insieme e un po’
sperando che desse qualche spiegazione in più. Voleva tanto
sapere come aveva
perso la vista, ma non si azzardava a chiederglielo.
E del resto, nemmeno gli altri.
“Nella
vita può succederti di tutto”. sospirò,
allora, Lucy. “Non sai mai cosa aspettarti”.
Calò
di nuovo il silenzio, per altri cinque minuti e
poi fu Blake a interromperlo per primo.
“Ma
che ti ha detto Johnatan quando è venuto da te?”
“Hai
conosciuto Johnatan?!” esclamò Ken.
“Non
mi ricordo neanche che cosa mi abbia detto”.
Rispose Tyler, rimettendosi a sedere.
“Lascialo
perdere quello. È un idiota che si crede
chissà chi”. Aggiunse Lucy e se lo diceva lei
allora voleva dire che era vero.
Non era una ragazza che amava parlare male degli altri o criticarli,
quindi se
lo faceva c’era sempre un buon motivo.
Restarono
lì per un
altro po’, anche quando finirono di fumarsi le canne, ma non
sprecarono più
altre parole.
MILLY’S
SPACE
Rieccoci
qui : ) capito un po’ più lungo del solito, ma
non abituatevi troppo, è successo solo perché non
volevo dividere la festa in
due parti ^^. Se no non si va più avanti…
Be’,
non ho molte cose da dirvi, spero lo facciate voi
lasciandomi una recensione, anche striminzita va bene… mi
piacerebbe sapere che
cosa ne pensate, è importanti per gli autori…
Inoltre,
vi invito ancora una volta a mettere un mi
piace alla mia pagina Facebook sulla
quale, col prossimo capitolo probabilmente, vedrete le foto dei
personaggi ^^
questo è il link
http://www.facebook.com/MillysSpace
E
date un’occhiatina alla mia pagina di EFP per vedere le
recenti storie che ho pubblicato.
Un
bacio a tutti e buon sabato : )
Spero di risentirti e un bacione grande grande... M.