Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: millyray    27/10/2012    2 recensioni
Kelly, insieme al figlio diciassettenne Tyler, decide di trasferirsi a Miami, lasciandosi alle spalle la loro vecchia casa nell'Indiana, tutto ciò che avevano costruito e, soprattutto, le loro vecchie vite.
Hanno bisogno di ricominciare da capo, da un nuovo punto di partenza dopo che le loro vite si sono improvvisamente incrinate, specialmente quella di Tyler a cui la vita ha deciso di togliere molte cose e che, per questo, non riesce più a trovare un motivo per sorridere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO SEI

Tyler arrivò in cucina dove la madre stava finendo di lavare i piatti e si appoggiò al tavolo.

“Wow, tesoro! Che sexy!” esclamò Kelly, non appena lo vide vestito tutto pronto per la festa alla quale lo aveva invitato Blake. Indossava una camicia nera a maniche corte, con i primi due bottoni aperti alla quale, poi, aveva abbinato un paio di jeans scuri e strappati. I capelli li aveva pettinati all’indietro con un po’ di gel.
In realtà i vestiti glieli aveva scelti sua madre, purtroppo al tatto non poteva certo percepire i colori, ma almeno era ancora in grado di vestirsi da solo.

Il ragazzo, per tutta risposta, si diresse al frigorifero per prendersi qualcosa da bere.

“Dov’è l’acqua?” chiese alla madre, puntando gli occhi dentro il frigo.

“Alla tua destra. Tra dieci minuti Blake dovrebbe arrivare, no?”

“Sì”.

“Chiamami se c’è qualche problema, ok?”

“Ok”.

“E non fare l’associale”.

Tyler sbuffò ma non disse niente. Non era che faceva l’associale, era solo che di solito non trovava nessuno con cui andare d’accordo, in quei due anni per lo meno.
Si buttò sul divano sorseggiando il suo bicchiere d’acqua, finché pochi minuti dopo, il campanello della porta non gli trapassò le orecchie.

Sua madre corse ad aprire, sicura che si trattava di Blake.
Infatti, non appena spalancò la porta, si trovò il ragazzo lentigginoso davanti e immediatamente chiamò il figlio perché si muovesse ad uscire.

Tyler si alzò dal divano, afferrò il bastone bianco e si calò gli occhiali sul naso, raggiungendo Blake alla porta. Questi, appena lo vide, per poco non tirò un fischio di compiacimento, ma riuscì a limitarsi a restare solamente ad occhi spalancati, cosa che, molto probabilmente, Kelly aveva notato visto che gli stava davanti. Il rossino gli sarebbe volentieri saltato addosso in quell’istante, da quanto lo trovava figo.

“Andiamo?” fece allora il moro, notando che nessuno dei due sembrava voler dire o fare niente.

“Eh? Ah sì, sì… andiamo”.

La madre di Ty augurò loro di divertirsi e li congedò alla porta, mentre i due ragazzi si dirigevano alla moto.

“Reggiti forte”. Disse Blake, una volta che furono montati in sella entrambi.

Tyler circondò la vita di Blake con le braccia e si strinse forte a lui per non cadere. Non aveva paura di andare in moto, ci era stato un paio di volte con il padre, però… però doveva ammettere che gli piaceva sentire la consistenza dei muscoli del rossino sotto le dita. Così le premette ancora di più, stropicciandogli la maglietta, senza neanche accorgersene. 
Blake, dal canto suo, cercava di tenere gli occhi fissi sulla strada e di concentrarsi su quello che stava facendo, ma era difficile con il ragazzo per il quale sbavava da giorni ormai attaccato praticamente alla sua schiena.
Sentiva le sue braccia muscolose stringergli la vita e desiderò tanto intrecciare le sue dita con quelle dell’altro, desiderò ricambiare la stretta e… forse fare anche molto di più e il pensiero di tutto quello che avrebbe voluto fargli cominciò a fargli indurire ciò che aveva tra le gambe.
E questo non andava affatto bene, non in quel momento.

Per fortuna il viaggio durò poco e gli ultimi minuti li passò a canticchiare mentalmente le canzoni dei Jonas Brothers che ascoltava sua sorella per non fare troppi pensieri sconci.

Parcheggiarono la moto vicino alla spiaggia, dove ce n’erano molte altre e scesero in spiaggia sulla quale era già stato acceso un grande falò attorno al quale molti ragazzi ballavano al ritmo di una musica piuttosto orecchiabile, non il solito tunz tunz da discoteca. La notte era già scesa e con essa qualche stella si intravedeva in cielo. 

Non appena Lucy vide arrivare i due ragazzi, corse loro incontro con un sorriso smagliante e quasi saltò addosso a Blake per abbracciarlo.

“Wow! Sei bellissima stasera, baby”. Le disse il ragazzo osservandola e notando com’era vestita. Una maglietta scollata ma non troppo esagerata con una scritta particolare in centro, dei jeans lunghi e attillati. Sarebbe stato troppo chiederle di mettersi una gonna corta, anche se si trattava della sua festa, però aveva deciso di rinunciare alla solita coda di cavallo almeno per quella sera e si era lasciata i capelli sciolti, così ora le arrivavano fin quasi al sedere.

“Grazie, caro. Nemmeno tu sei malaccio”.

“Ehi, Lu… ti presento Tyler”. Blake le indicò il moro che se ne stava un po’ in disparte dietro di loro.

La ragazza lo salutò con un sorriso e un bacio su ogni guancia. “E così sei tu il famoso Tyler”. All’occhiataccia dell’amico, però, si corresse. “Famoso nel senso che Blake mi ha parlato di te un paio di volte”.

“Ah sì?” fece Tyler perplesso.

“Sì, ma non ti preoccupare, Blake non è uno che sparla degli altri”. Lo tranquillizzò lei. “Comunque, volete venire un attimo nella mia baita che vi mostro una cosa?”

Lucy li precedette per condurli fino ad una piccola casetta di legno ed evitò di farli passare per la folla di gente che si dimenava sulla sabbia.
La baita era di proprietà della sua famiglia, si trovava a poca distanza dalla casa in cui abitavano e di solito la usavano per riporci qualche attrezzo o altro oggetto che li serviva per il mare.

Quando entrarono, la prima cosa che saltò loro agli occhi, almeno a quelli di Blake e Lucy, fu un oggetto piuttosto lungo posto al centro della stanza e coperto da un telo arancione.
La ragazza gli si avvicinò e, con un tadan, buttò giù il lenzuolo e scoprì una tavola da surf con dei disegni piuttosto raffinati ed eleganti che la decoravano.

Blake rimase ad occhi sgranati per lo stupore. “Ma questa non è la tavola da surf che desideravi?” le chiese, ricordandosi bene la prima volta che erano andati in giro per i negozi e lei l’aveva vista. Da quel momento, non aveva fatto altro che parlare di quella tavola e di quanto la desiderasse e, molto probabilmente, l’aveva elogiata anche davanti ai suoi genitori, sebbene non fosse una ragazza troppo esigente o viziata che voleva a tutti i costi quello che le piaceva.

“Sì, è proprio questa!” esclamò lei tutta contenta.

Blake si avvicinò per ammirarla meglio e ci passò le dita per sentire com’era al tatto. Lui non era un appassionato di surf  e non si intendeva con le tavole. Sapeva nuotare al massimo in stile ranocchio, figurarsi fare cose spericolate tra le onde.

“Vieni, Tyler. Senti com’è”.

Il moro, rimasto vicino alla porta fino a quel momento, si avvicinò ai due orientandosi con le loro voci e i rumori dei piedi sul pavimento. Blake gli afferrò una mano per fargliela poggiare sulla tavola.

“E’ molto leggera, quindi sarà un po’ come volare sulle onde”. Aggiunse Lucy che, si capiva bene, stravedeva per quella tavola da surf. Sembrava felice soltanto per quella e non per la festa che aveva organizzato.

Improvvisamente, la porta della baita si aprì come se qualcuno avesse voluto sprangarla e un ragazzo dai capelli castani e un po’ spettinati entrò nella stanza tutto trafelato.

“Oh ragazzi! Siete qui!”

“E dove pensavi che fossimo?”

“E io cosa ne so?!”.

“Kenny!” esclamò Blake, allora. “Ehm… ti presento Tyler”.

Il nuovo arrivato spostò lo sguardo sul ragazzo in questione e lo squadrò da cima a fondo.

“Tyler… e così sei tu. Piacere, io sono Kenneth”. Gli si avvicinò e gli strinse la mano con una stretta abbastanza forte, alla quale però, Ty riuscì a rispondere senza esitare. “Ma puoi chiamarmi Ken”.

“E tu puoi chiamarmi semplicemente Tyler”.

Ken ridacchiò.

“Senti, Blake. Verresti un attimo fuori con me? Devo farti vedere una cosa”.

Il rossino esitò un attimo, non gli andava di lasciare da solo Tyler, ma alla fine decise di accontentare l’amico. In fondo, con il moro poteva restarci Lucy.

“Torno fra poco, ragazzi”.

Quando gli altri due rimasero da soli nella baita, calò un silenzio di piombo, si udivano solo le risate e le chiacchiere dei ragazzi che stavano fuori.

“Ehm… vuoi accomodarti? Lì c’è un divano”. Disse allora Lucy, indicando il divano con un cenno della mano. Improvvisamente, però, si ricordò che lui non poteva vederla, così cercò di correggersi subito, un po’ imbarazzata. “E’ dietro di te, un po’ disordinato ma non badarci”.

“E’ da un po’ che non bado all’aspetto estetico delle cose”. Cercò di sdrammatizzare il ragazzo, raggiungendo con cautela il divano.

“Certo, immagino. Posso offrirti qualcosa da bere?”

“No, grazie”. Le rispose semplicemente. Quando, però, calò di nuovo il silenzio, si sentì leggermente in imbarazzo anche lui e disse la prima cosa che gli capitò a mente, sebbene non fosse molto incline alle chiacchiere. “E così ti piace surfare?”

“Sì, pratico surf praticamente da quando avevo dieci anni. Ho vinto anche un paio di medaglie. In realtà mi piacciono tutti gli sport d’acqua, so anche andare in vela e fare immersioni. Una volta ho persino fatto scii nautico”.

“Sei fortunata a vivere vicino al mare, allora”.

“Sì, il mare è come se lo avessi nel sangue. E tu? Pratichi qualcosa?”

“Mi piaceva il basket”. Tyler aveva preso a tormentare uno strappo nei jeans, ancora leggermente in imbarazzo.

“Ti piaceva? Significa che non ti piace più?”

“No, è solo che… diciamo che non lo pratico più da un po’”. Il ragazzo non volle addentrarsi in altre spiegazioni e Lucy sembrò capirlo, visto che non insistette.

“Capisco”. Disse semplicemente.

In quel momento si riaprì la porta della casetta e Blake rientrò di nuovo dentro.

“Rieccomi, scusate l’assenza”.

“Che voleva Kenny?”

“Oh, niente, semplicemente mostrarmi le nuove canne che suo cugino gli ha procurato”.

“E’ fissato col fumo quel tipo”.

“Lascia stare, Lu”.

Decisero di uscire perché lì dentro cominciava a fare parecchio caldo e si riemersero nella folla di giovani corpi pieni di ormoni che ballavano e si divertivano.
Blake rimase un altro po’ con Tyler, chiacchierarono del più e del meno, o meglio, fu Blake a parlare soprattutto, commentando la festa e le persone presenti, assaggiarono vari tipi di drink e di snack.

Quando il rossino si allontanò, Tyler rimase un po’ con Ken e un po’ con Lucy che cercarono di tenergli compagnia, farlo sentire a suo agio e conoscerlo un po’ di più per capire che cosa ci fosse in lui che attirava Blake così tanto, oltre all’aspetto fisico naturalmente.

Ma Lucy doveva spesso correre tra i vari invitati che le chiedevano sempre qualcosa oppure controllare che tutto andasse bene, visto che era la festeggiata, mentre Ken non era molto capace di stare sempre fermo nello stesso posto e ogni due minuti veniva qualcuno a salutarlo e a scambiare quattro chiacchiere con lui.

Così, dopo un po’, il moro si ritrovò da solo, appoggiato al tavolo delle bibite e sorseggiando una bottiglia di birra. E per passare un po’ il tempo, nell’attesa che tornasse Blake, aveva allungato le orecchie per captare qualche discorso interessante proveniente dagli adolescenti che lo circondavano. Ok, in realtà non c’era niente di interessante, solo un gruppetto di ragazze che spettegolavano su un tipo della scuola che si era messo con un’altra tipa e alcuni ragazzi che continuavano a ridere perché qualcuno doveva aver fatto una qualche battuta.

“Quegli occhiali ti servono per proteggerti dalla luna o dal fuoco del falò?” chiese improvvisamente una voce maschile che non conosceva.

Gli ci volle un po’ per capire che si stava rivolgendo a lui, però alla fine rispose, senza cambiare l’espressione indifferente. “Solo per non farmi vedere le brutte facce”.
Tyler continuò a sorseggiare la birra sperando che il tipo se ne andasse, ma questi non sembrava affatto intenzionato a farlo, ma anzi, si appoggiò anche lui al tavolo, molto vicino al moro.

“E fino ad ora ne hai viste molte?”

“Qualcuna sì”. Ridacchiò Tyler, ma per cosa non lo sapeva nemmeno lui. Di facce non ne aveva proprio viste neanche una, ma il nuovo arrivato non sembrava essersi accorto che era cieco.

“Sei un amico di Lucy? O magari un parente?” chiese allora l’altro in vena di conversazione.

“Lucy l’ho conosciuta soltanto oggi”.

“Ah, avrei giurato che fossi un suo parente. Sei un po’ scorbutico come lei”.

“Non mi sembra scorbutica lei”.

“A volte lo è con le persone che non le piacciono”.

Il moro ridacchiò di nuovo.

“Comunque, come ci sei arrivato qui allora?”

“Mi ci ha portato Blake”.

“Ah, Blake”.

“Lo conosci?”

“Lo conoscono quasi tutti a scuola. Dicono che sia gay”.

“E chi lo dice?”

“Be’, tutti”. Lo sconosciuto stava iniziando leggermente a stupirsi della continua indifferenza di Tyler, sembrava completamente disinteressato a qualsiasi cosa gli dicesse. “Ma poi se lo vedi capisci subito che lo è. Si veste sempre con vestiti che andrebbero bene anche ad una ragazza, gesticola quando parla e a volte sembra che saltelli quando cammina”.

Il moro stava iniziando a stufarsi di quei discorsi. Aveva capito che tipo di persona era quel ragazzo e non gli piaceva per niente. Uno che giudicava senza neanche conoscere, soltanto guardando le apparenze e gli piaceva sparlare un po’ troppo.

“Non tutti i gay sono così. E poi, anche se lo fosse, chi se ne frega”.

Non gli importava se Blake era gay. Non aveva niente contro di loro, ognuno era libero di vivere la propria vita come più gli piaceva. Chi era lui per giudicare?

“Ehi, Tyler!” si sentì chiamare proprio dalla voce del rossino che raggiunse l’amico e gli si piazzò di fronte.

“Scusa se ti ho lasciato solo. Tutto a posto?”

“Sì, sì, è tutto ok”.

Dopo un po’ Blake si accorse anche dell’altro ragazzo vicino a loro e storse leggermente il naso non appena lo vide.

“Oh ciao, Johnatan”. Lo salutò, più per educazione che simpatia. Johnatan gli rispose con un cenno della testa, ma non disse niente. Blake, invece, tornò a rivolgersi a Tyler.

“Perché te ne stai qua in disparte?”

“E’ che c’è… un po’ troppa confusione per me”.

Il rossino si guardò un attimo attorno. “Sì, hai ragione effettivamente. Vieni con me”.

E, senza lasciare all’altro il tempo di dire niente, lo afferrò per mano senza neanche accorgersene e lo trascinò via dalla folla.
Arrivarono in una zona più aperta, dove la musica arrivava più attutita e dove nessuno rischiava di pestarli i piedi ballando.

“Ti va se ci sediamo qui, sulla sabbia?” chiese Blake e Tyler semplicemente annuì. Così si sedettero per terra, uno vicino all’altro, rivolti verso il mare che, per fortuna, quella sera era piuttosto tranquillo. La sabbia non era appiccicosa, quindi non rischiavano di sporcarsi i pantaloni e il venticello fresco rinfrescava loro i visi e accarezzava i capelli di entrambi.

“Mi piace stare seduto sulla spiaggia, di notte. Guardare le stelle, ascoltare il rumore del mare che si infrange sulla riva… ce ne sono tante stasera, di stelle intendo”.

Tyler sorrise debolmente. Anche a lui piaceva guardare le stelle, gli piaceva guardare molte cose a dire la verità.

“Preferisco limitarmi ad ascoltare il mare”. Gli disse.

“Immagino”.

Tyler si stupì un po’ del fatto che Blake non gli chiedesse niente, che non fosse curioso di sapere come fosse diventato cieco o cose del genere. Però questo contribuì a fargli crescere ancora di più la simpatia nei suoi confronti.
Blake, dal canto suo, era curioso di saperlo, ma non voleva chiedergli niente. Non si sarebbe guadagnato la sua fiducia né la sua simpatia se ficcanasava troppo. Preferiva che fosse l’altro a decidere se e quando parlargliene.

Così, rimasero entrambi lì seduti, in silenzio, senza dire neanche una parola. Ma non era un silenzio pieno di imbarazzo o tensione, anzi, ci stavano bene. Ascoltavano il fruscio del mare, si godevano il vento che li accarezzava, Blake si beava della presenza di Tyler accanto a lui e Tyler si gustava l’odore che emanava la pelle di Blake. Non capiva perché gli piacesse così tanto il suo odore, era un odore del tutto naturale, si capiva, non quello artificiale di un profumo, eppure lo attirava e molto anche.

“Ehi! Che ci fate qui soli soletti?” esclamò la voce di Lucy, interrompendo il silenzio e la tranquillità nei quali erano sprofondati.

I due ragazzi si riscossero di colpo, quasi addormentati.

“Possiamo unirci a voi?” chiese la voce di Kenny.

Senza attendere una risposta, gli appena arrivati si sedettero sulla sabbia accanto agli altri due e sospirarono.

“Ragazzi! Vi va di provare le canne che mi ha dato mio cugino?” chiese ad un certo punto Ken, illuminandosi al solo pensiero.

“Non lo so, forse non è una buona idea…”. Soffiò Lucy, un po’ pensierosa.

“Eddai, Lu! Non ti succederà nulla”. Insistette l’amico, estraendo già le sigarette. “E poi, è il tuo compleanno. Dobbiamo inaugurarli in qualche modo questi diciassette anni”.

Alla fine tutti e tre si decisero ad assentire e poco dopo si ritrovarono con una canna accesa in bocca, a fumare sulla sabbia, lontani dagli occhi indiscreti di tutti.

“Hai già fumato prima d’ora, Tyler?” chiese Lucy dopo un po’, rivolta al ragazzo moro.

Il ragazzo negò, espirando una ventata di fumo trasparente.

“Allora è la prima volta di tutti e due”.

“Ma Lucy, non dovresti stare con gli altri invitati?” le chiese Blake anche se non sembrava molto interessato alla risposta che gli avrebbe dato, aveva lo sguardo perso a fissare un punto impreciso nell’oceano, gli occhi leggermente appannati.
Sembrava già leggermente fatto, come lo erano anche gli altri tre.

“Oh, loro si possono arrangiare anche senza di me. Francamente non so neanche perché li ho invitati. La maggior parte di loro mi sta indifferente”. Rispose la ragazza, rigirando fra le dita la sua canna.

Non aggiunse altro e nemmeno gli altri dissero più niente, così piombarono di nuovo in silenzio, si udivano solo i loro respiri più pesanti per il fumo e le onde del mare, mentre sopra le loro teste le stelle si stavano facendo sempre più luminose nel cielo scuro.

“Sapete, io a volte non capisco mia madre”. Sbottò improvvisamente Ken, facendo sobbalzare Blake. “Ho la patente da un anno ma lei non mi lascia ancora guidare l’auto. Così devo sempre prendere la moto”.

“Tua madre si preoccupa anche per cose inutili, Kenny. Se starnutisci pensa subito che tu abbia il raffreddore”. Disse il rossino, come se lui conoscesse meglio la madre dell’amico.

“Sì, ma mi chiedo se un giorno me la farà guidare, sta maledetta auto”. Sospirò l’altro, espirando un anello di fumo.

“Da’ retta a tua madre”. Si aggiunse, allora, Tyler, sdraiato sulla sabbia con un braccio piegato sotto la testa. “Le macchine sono pericolose, non sai mai cosa ti può capitare quando ti metti alla guida. Magari ti vai a schiantare contro un’altra auto e in un attimo non ci sei più. Oppure peggio, magari rimani paralizzato o perdi un braccio, una gamba. O la vista”. Aveva fatto tutto quel discorso con tono annoiato, indifferente, tenendo sempre gli occhi puntati al cielo, ma i ragazzi capirono benissimo che in realtà lo riguardava, che quelle parole non gli erano venute per caso.

Blake gli lanciò un’occhiata, un po’ stupito perché era la prima volta che lo sentiva dire più di cinque parole insieme e un po’ sperando che desse qualche spiegazione in più. Voleva tanto sapere come aveva perso la vista, ma non si azzardava a chiederglielo.
E del resto, nemmeno gli altri.

“Nella vita può succederti di tutto”. sospirò, allora, Lucy. “Non sai mai cosa aspettarti”.

Calò di nuovo il silenzio, per altri cinque minuti e poi fu Blake a interromperlo per primo.

“Ma che ti ha detto Johnatan quando è venuto da te?”

“Hai conosciuto Johnatan?!” esclamò Ken.

“Non mi ricordo neanche che cosa mi abbia detto”. Rispose Tyler, rimettendosi a sedere.

“Lascialo perdere quello. È un idiota che si crede chissà chi”. Aggiunse Lucy e se lo diceva lei allora voleva dire che era vero. Non era una ragazza che amava parlare male degli altri o criticarli, quindi se lo faceva c’era sempre un buon motivo.

Restarono lì per un altro po’, anche quando finirono di fumarsi le canne, ma non sprecarono più altre parole.

 

 

MILLY’S SPACE

Rieccoci qui : ) capito un po’ più lungo del solito, ma non abituatevi troppo, è successo solo perché non volevo dividere la festa in due parti ^^. Se no non si va più avanti…

Be’, non ho molte cose da dirvi, spero lo facciate voi lasciandomi una recensione, anche striminzita va bene… mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, è importanti per gli autori…

Inoltre, vi invito ancora una volta a mettere un mi piace alla mia pagina Facebook sulla quale, col prossimo capitolo probabilmente, vedrete le foto dei personaggi ^^ questo è il link http://www.facebook.com/MillysSpace

E date un’occhiatina alla mia pagina di EFP per vedere le recenti storie che ho pubblicato.

Un bacio a tutti e buon sabato : )

FEDE15498: ehi, ragazza!!! Eh no, mia cara, non va bene u.u non puoi dimenticarti le cose u.u ahah no, dai scherzo : )  lo so che tu mi segui sempre, anche quando non recensisci ^^. Comunque, eccola qua la tanto attesa festa di Lucy... cosa ne pensi? Si cominciano a scoprire delle cose su Tyler e... aspetta e vedrai come evolverà la cosa : )  
Spero di risentirti e un bacione grande grande... M.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: millyray