Storie originali > Noir
Segui la storia  |       
Autore: Vandel    07/11/2012    1 recensioni
la storia di un militare che si ritrova a fronteggiare un'avventura ai limiti della fantascienza
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                                                                                                                             …CIRCA 20 ANNI DOPO…
 In quel periodo la guerra imperversava un po’ ovunque. Io e i miei compagni, soldati ben addestrati, ci stavamo muovendo verso un campo base, per dar man forte. Il camioncino su cui eravamo, seduti sulla parte posteriore aperta, si stava muovendo per delle colline che s’andavano alzando sempre più ripidamente. Chi guidava però, era esperto e sapeva come prenderle. 
“Un altro giorno in vita! Che bel traguardo!” disse il militare seduto alla mia destra.                                                    
“Ahò, che pessimismo! Non voglio più sentirti” scherzò quello seduto davanti a lui, mollandogli un pugno per gioco.   
 “Dai ragazzi, pensate che al campo ci saranno anche le donne! Finalmente potremmo divertirci un po’” aveva aggiunto poi il militare seduto davanti a me. Io sorrisi, sotto i baffi.
“Ma sentilo, e dire che sei l’unico sposato!” dissi poi, provocando le risate degli altri due, che a differenza di quello davanti, non conoscevo. 
 “Zitto tu, mai?!” sorrise Eric mollandomi un debole calcio. Erik era stato il primo amico che avevo avuto da quando iniziai il militare. Eravamo coetanei, entrambi sulla trentina e avevamo persino capelli biondi quasi della stessa lunghezza. Molti ci scambiavano per fratelli.
I nostri commenti furono interrotti da un sibilo alquanto insolito.                                                                                                                                                                     
“Hei, che cazzo succede?!” disse uno, riconoscendo il suono.
“E’ una bomba, porca puttana!” esclamò Eric alzandosi e cercando la provenienza del suono.                                         
“Non c’è tempo! Abbandoniamo il furgone!” Non feci in tempo a pronunciare la frase al completo che mi lanciai in strada. Probabilmente mi sbucciai in più punti, ma non me ne curai. Non ne avevo il tempo. “Coraggio! Lanciatevi!” urlai rivolto ai miei compagni, ancora sul mezzo di trasporto. Eric stava per fare lo stesso quando l’esplosione avvenne. Il fuoco si propagò in un istante inghiottendo tutti i passeggeri e il camion intero. Un boato tremendo rivestì le pianure mentre una grande forza mi spinse all’indietro. “ERIC!!!” ebbi solo il tempo di urlare. Poi caddi violentemente a terra e persi i sensi.
A ricordare quella scena mi venivano ancora i brividi. I miei compagni morti in un attimo, sopraffatti dalle fiamme e la stessa sorte sarebbe toccata a me di lì a poco. Non avevo la minima idea di dove mi trovavo, ne tanto meno di dove dovevo andare. Probabilmente sarei morto di stenti, lì tra le campagne sconfinate, camminando.                                   
Mi ero medicato alla ben è meglio, sfruttando le conoscenze impartiteci in caserma. Per fortuna dall’esplosione ne ero uscito abbastanza bene. Ero un po’ intontito e avevo bruciature sulle braccia, però ero vivo. Non come i miei compagni, non come Eric. Sfumati in un attimo, ridotti in cenere. Facevo fatica persino a riconoscere i loro corpi dopo l’esplosione, per non parlare del furgone. Spazzato via! Qualcuno ci aveva tradito! Qualcuno che sapeva dei rinforzi. Maledetti! Me l’avrebbero pagata!                             
Caddi in ginocchio, in un campo di grano. Strinsi i denti rabbioso: Inutile illudersi. Mi lasciai cadere a terra, senza più forze. Avevo fame, sete ed ero psicologicamente distrutto. Sorrisi debolmente. Poetico morire in un campo di grano, con le spighe che graffiano il tuo viso.                                                                                              
Alzando lo sguardo però, la mia speranza si riaccese. Una casa! C’era una casa! Lì, immersa nel nulla della campagna. Le mie gambe ripresero vigore e costringendomi a riprendere la postura eretta, ripresi il mio cammino, con passi incerti e tremolanti. Dovevo solo finire quel campo, sperando che il contadino abitante della casa fosse lì, per chiedere ospitalità. 
Arrivai alla porta che davvero pensavo di svenire da un momento all’altro. La casa era composta di due piani a giudicare dalle due porte, una davanti a me e l’altra più su, dopo una rampa di scale. Suonai al vecchio campanaccio che si teneva attaccato alla parete forse per miracolo e un suono sordo ne uscì fuori. Non dovetti aspettare molto che un uomo fece capolino dalla porta in cima alle scale del piano di sopra. Era anziano, con pochi capelli bianchi sui lati, non troppo alto e decisamente provato dal lavoro solitario dei campi, che lo aveva reso un po’ curvo nella postura.
 “Buongiorno…” avevo iniziato sorridente, quando mi accorsi che il vecchio mi puntava un fucile contro.        
“Chi sei? Cosa sei venuto a cercare?” mi urlò quello. Io alzai prontamente le braccia al cielo, maledicendomi per aver dimenticato il mio fucile sul furgone. 
“Il mio nome è Federico Lafratta e sono un militare stazionato nella divisione di questo confine” mi affrettai ad identificarmi, se la tuta mimetica non bastava “le chiedo ospitalità finché non avrò ripreso le forze, poi me ne andrò in paese per svolgere il mio lavoro”.
Il vecchio parve credere a quella che era la verità (e forse in quest’occasione la tuta mimetica mi era stata d’aiuto) e abbassò il fucile. Poi fece un segno con la testa, indicandomi il permesso di salire.
Io sospirai, poi, abbassando le braccia, salii le scale. Dentro, la casa era accogliente. Scaffali pieni di libri costeggiavano un’intera parete, poi un lungo tavolo, un divano e persino un camino contribuivano a rendere quel posto una casa perfetta, in pieno contrasto con la natura scortese del vecchio che l’abitava, che tra l’altro, ancora non si era presentato. Ero seduto al tavolo quando l’uomo tornò dalla cucina con un bicchiere in una mano e un panino nell’altra, che si vedeva era fatto per dovere. Me li porse entrambi esordendo con tono brusco e seccato: “Rifocillati e poi fammi il favore di andartene per la tua strada”.                                                                                                                                                                        
Che stronzo! Pensai addentando il panino con voga. Per tutto il tempo del mio pseudo-pranzo, il vecchio mi fissò, senza dire niente, con l’unico scopo, forse, di mettermi in soggezione. Peccato che non ci riuscì. Ero un militare, io!                                                                                                                                                                              
“Come si chiama, signore?” chiesi sorseggiando l’acqua dal bicchiere, sforzando di mostrarmi il più cordiale possibile anche se avrei voluto spaccargli la faccia.
Quello grugnì un po’, poi rispose: “Un identità l’ho persa molto tempo fa, ma se proprio ci tieni a ringraziare qualcuno, ringrazia Alberigo Modenesi”. Concluse risprofondando nel suo silenzio scrutatore. Riposi il bicchiere vuoto sul tavolo, poi mi alzai. “Mi dispiace chiederle un ultimo favore, se possibile” iniziai, attirandomi lo sguardo fulminante dell’ospitante “ho il permesso di riposarmi una mezz’ora sul suo letto, signore?”.                                                                                                                                                                                             
Il vecchio aggrottò la fronte, sbuffando. Poi indicò il corridoio sulla destra. Io feci un segno di ringraziamento con il capo, per poi dirigermi verso di quello.
“Poi te ne andrai immediatamente!” sentii ringhiare il vecchio, mentre arrivai alla stanza da letto. Attorno al corridoio vi erano tre porte, di cui due erano stanze da letto e uno era il bagno.
Quella casa era enorme! Improvvisamente mi sembrò sprecato tutto quello spazio per una sola persona. Richiusi la porta dietro di me, poi iniziai a slacciarmi la tuta, fino a togliermela del tutto. Rimasi a petto nudo di fronte allo specchio e potei notare con sollievo che le ustioni erano davvero poche e non facevano neanche più male. Gettai la giacca sulla parte destra del letto matrimoniale e mi distesi sulla sinistra. Addirittura un letto matrimoniale! Si trattava bene il vecchio! Dedussi che non aveva vissuto sempre da solo. Per un po’ rimasi con lo sguardo sulle travi trasversali del soffitto, a fantasticare su una possibile famiglia del vecchio. Me li immaginai tutti scorbutici e con il suo stesso grugno incazzato con il mondo. Sorrisi all’idea. Chissà che fine aveva fatto la sua famiglia. Con questi e altri pensieri, scivolai nel sonno senza neanche accorgermene.
Quando mi risvegliai, notai che i raggi del sole entravano dalle finestre aperte. Lentamente mi alzai, riprendendo la giacca, accanto a me. Iniziai a mettermela. Avevo dormito molto più di una mezz’oretta. Sembrava tardo pomeriggio, dalla mattina che ero arrivato. Mi avvicinai alla finestra per prendere una boccata d’aria e vidi il vecchio alle prese con la zappa, in un campo adiacente alla casa. Sorrisi. Visto da lì sembrava quasi un comune contadino.                                                                                                                                
Radunai le mie cose, per quanto poche esse erano e percorsi il corridoio arrivando alla porta d’ingresso. Era ora di partire, non volevo restare lì neanche un secondo di più. Già immaginavo una strigliata perché avevo dormito più del previsto, passare altro tempo accanto a quel burbero contadino mi avrebbe nuociuto alla salute! Scesi in giardino e guardai l’orologio. Le sei e mezza. Sarei arrivato in paese prima di notte e avrei trovato una stanza in albergo.                                                                                                                                               
Decisi che era giusto avvisare e ringraziare il vecchio, così feci per avviarmi al campo, quando mi fermai di colpo. Qualcosa aveva attirato la mia attenzione. La porta del piano di sotto era aperta. O meglio, accostata. Mi ero completamente dimenticato del piano inferiore!                                                                                       
Mi guardai scrupolosamente attorno, poi aprii lentamente. Non per altro, piuttosto per curiosità. Cosa diavolaccio ci teneva lì, un uomo solo? Quanto altro spazio gli occorreva?
Scesi i due gradini che portavano al piano vero e proprio. Dentro era buio ma la luce pomeridiana bastava per darmi un quadro generale. C’era una piccola cucina, con la porta aperta e scaffali pieni di libri. Un tavolo e un divano, oltre che una miriade di attrezzi da lavoro quali pale, picconi, rastrelli, zappe e vanghe. Tutti strumenti propri ad un contadino. Niente di strano. Tranne un’ ultima porta, posta nel lato più infondo e più buio del piano. L’oscurità però, non celava il simbolo impresso su di essa, vale a dire un fiore a tre petali rovesciato all’interno di un cerchio. La curiosità fu più forte del senso di pericolo che avevo sviluppato in battaglia, e mi avvicinai. Guardai la maniglia. Non sembrava chiusa da nessuna sicura ne lucchetto, così appoggiai una mano su di essa, intenzionato ad aprirla. Un brivido mi percorse la schiena mentre la torcevo.                                        
“Mi sembra di averti detto di andartene!”. Sbiancai, voltandomi di scatto e nascondendo le mani dietro la schiena, istintivamente. 
 “Mi scusi, signore” mi affrettai a rispondere, pronto al cazziatone. Il vecchio afferrò una pala lì vicino e si parò davanti con quella.   
 “Devi andartene da qui! Lasciami in pace!” urlò quello. Sembrava furioso, ma allo stesso tempo era preoccupato da qualcosa.     
“D’accordo signore” dissi avviandomi lentamente verso di lui. Stavo sudando.                                                               
Passai accanto all’uomo, arrivando all’uscita. Mi sarei aspettato che mi colpisse con la pala, invece si schierò a difesa della porta, pala davanti. Misi un piede fuori, poi mi voltai e pronunciai: “Grazie di tutto”.                                     
Il resto mi morì in gola. Il vecchio continuò a fissarmi nervoso mentre mi allontanavo.
 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Noir / Vai alla pagina dell'autore: Vandel