CAPITOLO VENTIDUE.
Remus sapeva di stare per svenire, ma non aveva
idea di quanto tempo ancora avrebbe retto il suo cervello prima del blackout
che sentiva arrivare. Sentiva la testa leggera,
il mondo farsi sempre più lontano, ovattato da una nebbiolina ai margini
del suo campo visivo, e sapeva bene che quel ronzio che sentiva allargarsi nelle orecchie non aveva nulla a
che fare con il cielo carico di nubi sopra la sua testa.
Non era un tuono, anche se un lampo illuminò per un momento la figura del
Pitone di una luce fredda prima di farlo ripiombare nella penombra del
temporale. -Maledizione.-
scattò.
Si alzò, facendo forza sui calcagni per tirare le ginocchia al petto, recuperò
la posizione di guardia e arretrò di due passi - Maledizione.- ripeté tra i denti.
La pioggia aveva preso a battere insistente, il licantropo strizzò un occhio per cercare di vedere fra l’acqua che
gli scorreva a rivoli lungo il viso scendendo a gocce lungo il mento. Arretrò
ancora di un passo e il Pitone fendette
l’aria con la lingua biforcuta avvicinandosi ancora. Visti da fuori sembravano
impegnati in uno strambo balletto -…Cosa
posso dire perché tu mi creda Remus ?-
Remus credeva, credeva eccome.
Credeva di essere diventato pazzo. Ecco cosa credeva.
Perché ricordava bene quella voce. La ricordava benissimo e non poteva essere
vero.
Frank Paciock giaceva in coma irreversibile al St.
Mungo.
Cercò di mettere ancora spazio fra sé e il serpente,scivolando a causa della
fanghiglia che si stava creando alzò la
bacchetta puntando contro il muso del pitone che sibilò come spazientito. Evocò nella testa una Stupeficium, ma fu troppo lento.
Il licantropo vide tutto come in un lampo confuso.
Nagini che
scattava verso di lui, allungandosi di colpo come una frusta,
la casa che ondeggiava davanti a lui, il cielo che prendeva tutto il suo
campo visivo. Portò entrambe le mani al
collo per cercare di allentare la presa del serpente, che strinse
facendogli strofinare la scheda contro
il prato .
-MALEDIZIONE.-
sputò sbracciando per cercare di
arrivare alla bacchetta che gli era volata di mano durante la caduta -ACCIO BACCHETTA.-
urlò tendendo le dita della mano destra.
L’arma volò verso di lui, roteando, Remus la strinse, ma l’incantesimo gli morì in gola per via
di una stretta furiosa del pitone attorno al suo collo.
Un pensiero incoerente si fece strada verso di lui, una richiesta di aiuto che
riuscì a mandare con le ultime forze sotto forma di patronus
che scattò nella pioggia e si mise in
ricerca tenendo il muso e la coda bassa.
Il pitone lo trascinò verso la casa, sotto lo sguardo di Bellatrix
che aveva assistito allo scontro da dentro un auto incantata, probabilmente l’avrebbe
divorato con calma, penso la Mangiamorte mettendo in moto.
Il momento
di ragione, stavolta, non era durato a lungo.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Il Patronus di Remus
Lupin era un lupo di piccole dimensioni, simile a Moony.
Sirius socchiude gli occhi, per un momento abbagliato
dalla luce che esso portava prima di alzare la testa dal guanciale, sfilando il
braccio da sotto il capo di Andrea che gli dormiva addosso.
Era riuscito a convincerla a mangiare
dopo essersi beccato una decina di calci sotto al letto e quando
finalmente si era appisolata, a pancia piena, non aveva avuto il coraggio di
lasciarla sola, e si era steso di nuovo vicino a lei. Deliziandosi quando, dopo
una ventina di minuti, fra il dormiveglia, l’aveva sentita voltarsi verso di
lui, per accoccolarsi contro il suo fianco.
Afferrò un lembo della coperta che copriva il Cacciatore fino al seno e la tirò , su rimboccandogliela fino al collo
. La osservò per un momento, prima di fare il giro del letto, e dedicarsi al
lupetto di fumo argento che sembrava
abbaiare nella sua direzione.
Si accucciò di fronte a lui, sedendosi sui calcagni e il Patronus
si gettò in lui, nel suo petto, lasciandogli sulla punte delle labbra le
coordinate dove trovare Remus. Si alzò , poggiando le
mani sulle ginocchia e si volse per lanciare un ultima occhiata ad Andrea che
dormiva.
Sorrise fra sé e sé prima di sparire in un turbine di fumo azzurro.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Remus si volse sul pavimento,
la mano destra premuta alla gola e la sinistra contro il torace.
Il dolore che sentiva alla gola era tutt’uno a quello che sentiva alla nuca, gemette
fra la saliva che gli colava dalle labbra socchiuse e sollevò gli occhi verso
la sagoma scura del pitone che lo osservava con quegli innaturali occhi azzurri.
-Vuoi uccidermi?- gorgogliò - Sono infetto.-
Il pitone si avvicinò, strisciando il
ventre sul pavimento di legno, per
strofinare la testa rettangolare contro la fronte del licantropo. Una mossa strana
da parte di un rettile , simile alla coccola di un gatto al suo padrone - Mi dispiace Remie,
ma dovevo farle credere di averti
ucciso.-
Remie. Erano passati anni da quando qualcuno, che
non era Sirius o James, l’aveva chiamato a quel modo.
Sgranò gli occhi color miele arrossati e iniettati di sangue, annaspando con la
mano verso la testa di Nagini che non si sottrasse al
tocco.
-Frank?- chiese,
con un filo di convinzione nella
voce rauca.
-Non volevo stringere tanto forte.-
Voleva solo stordirlo, ridurlo all’impotenza fisica per evitare di volare
via per qualche stupecium.
Si acciambellò accanto al corpo del
mago, che cerca di riprendere a respirare,
poggiandogli la testolina su una spalla.
Remus si guardò attorno, erano dietro casa, nella
capanna degli attrezzi. Remus vide baluginare
nella penombra le lame di cesoie arrugginite e di forbici da potatura.
-Com’è possibile?-
-Ti spiegherò, adesso cerca di respirare.-
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Tenendo le mani in tasca, Sirius fece il giro
del palazzo, osservando il buco della finestra sfondata dalla caduta di Remus in giardino
e le tracce del trascinamento a sedere
del licantropo alla vista dell’enorme pitone nero.
Arricciò il naso, pensoso, avvicinandosi
al capanno degli attrezzi.
A causa della pioggia battente il suo olfatto, potenziato grazie alla sua
capacità di mutare in cane, era pressoché inutile. Se in condizioni normali,
sarebbe stato capace di trovare la scia di Remus fra mille,
con tutta quell’acqua era un altro paio di maniche.
Si avvicinò al capanno, studiandolo con
la fronte aggrottata, dal tetto fino
alla porta, fermandosi a quella scarpa da passeggio di cuoio marrone che
spuntava oltre il vano.
Portò mano alla bacchetta e si mosse per poter guardare e essere visto da chi
era all’interno.
-Cazzo!-
Remus sdraiato
impegnato a tossire e a sbavare come un vecchio era già un colpo per
lui.
Figuriamoci la vista di Nagini che lo vegliava quasi
amorevole.
Ci mancò poco che mollasse la presa alla bacchetta per tirarsi indietro terrorizzato.
ODIAVA I SERPENTI. LI
ODIAVA.
Remus si tirò a sedere mantenendo la mano al collo - Sirius.- mormorò a bassa voce.
-Re…Re…Re…-
Remus aggrottò la fronte, prima di ricordare - Soffre di ofidiofobia.-
disse al Pitone che si fermò dall’avanzare.
Sirius si
addossò al muro dietro di lui, comico come poche volte lo era stato
nella sua vita, gli occhi blu sgranati e le labbra tremanti. Remus tossì, stavolta per mascherare la risata.
-REMUS JOHN LUPIN, SE STAI RIDENDO E’ LA VOLTA BUONA CHE TI SPACCO LA FACCIA.-
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
-Sei sicuro di stare bene?-
Per la quinta volta nel giro di dieci minuti, Lorien
Potter annuì rigido, il collo bloccato da una strana morsa dalla nuca sembrava
prendergli la gola impedendogli di parlare.
All’improvviso, senza ragione apparente, la testa aveva preso a dolergli da
matti e il collo gli era diventato rigido come quello di una bambola.
Era dovuto uscire dall’Infermeria, per evitare di cadere a terra come una pera
cotta accanto al letto di Neville, e ora
non sapeva come fare per tornare dentro e dire alla Chips che era tutto
machismo alla Potter, che non stava bene per nulla.
Osservò il primino che l’aveva avvicinato
allontanarsi sentendo uno strano calore avvampargli nel petto.
Si portò la mano destra al torace, e
subito si rese conto che era la pietra che gli aveva donato Piton
a bruciare a quel modo. La sentiva sotto
la stoffa della camicia e del maglione.
Afferrò il cordino tirandolo da dietro il collo e si appoggiò la pietra nel
palmo della mano.
Qualcosa sembrava gocciolare a suo interno.
Sangue.
-Maledizione.- mormorò.
Si mise in piedi, o almeno tentò di farlo.
Le mani poggiate all’indietro contro il muro contro la quale era addossata la
panca su cui era andato a sedersi,
-Madama Chips.- mormorò con una voce spaventosamente
impastata -MADAMA CHIPS.-
Al secondo urlò senti come se qualcuno gli avesse afferrato la gola. Come se
una mano lo stesse stritolando dall’interno. Si piegò in avanti e senza un
gridò cadde sul pavimento.
FINE
CAPITOLO.
Nella speranza che vi ricordiate ancora di
questa storia, un saluto dalla vostra devotissima Ino
chan.