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Autore: Sylphs    19/11/2012    6 recensioni
I Lawrence, antica, ricchissima e corrotta famiglia svedese, si sono macchiati di innumerevoli peccati, il peggiore dei quali è stato l'imprigionamento del figlio quartogenito Raphael, trasformato in un mostro da un patto stretto dal padre e per questo nascosto al mondo. Quindici anni dopo che ha ucciso il genitore e il terzo fratello, fa ritorno alla dimora di famiglia per vendicarsi definitivamente e pretendere di essere riconosciuto e, a questo scopo, rapisce la fidanzata dell'unico fratello rimasto in vita, Jesper, ricattandolo con la vita di lei. Ma Jesper, alleatosi con la cognata Christine, ha bisogno della ragazza per motivi ben più oscuri di un semplice matrimonio, motivi legati al passato, ed è deciso a riprendersela, mentre lei e Raphael si scoprono più complici di quanto credessero e una bambina coraggiosa decide di indagare.
Sequel della mia storia "Follia d'amore e d'oscurità", ispirata al celebre romanzo "Il Fantasma dell'Opera" di Gaston Leroux.
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amore di sangue'
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Capitolo 5
 

 
 
 
 
 
 
“Davvero non riconosci tuo fratello, Jesper?”
Un silenzio gravido, pesante, assoluto calò sul balcone nel quale i due Lawrence si fronteggiavano uno davanti all’altro, da una parte il bel Jesper, perfetto e impietrito nel suo costume da vampiro, il volto che impallidiva mortalmente sotto la biacca e le pupille che si dilatavano dallo stupore, e dall’altra Raphael, la reincarnazione vivente del Fantasma dell’Opera, il ghigno vendicativo sepolto sotto la maschera e il cappuccio. Le risa, la musica e le voci che scaturivano dal luminoso salone da ballo filtravano liberamente sino a loro, ma a questa frase parvero divenire impercettibili, un inquietante sussurro di sottofondo che coprì il mutismo in cui erano caduti i due fratelli.
Mutismo che perdurò per minuti interi, solidificandosi in una cappa soffocante e isolandoli dal resto degli invitati, da Christine, perduta nel fulcro delle danze, da Harriet, smarrita invece nei fumi dell’alcol, e da Erin, vittima innocente di antichi rancori e segreti che la sua famiglia aveva preferito dimenticare nella sbilenca e abbandonata torre in cui il figlio rinnegato aveva vissuto per dodici anni. Segreti che adesso Raphael riportava a galla con la sua sola presenza, con l’orrore che si celava dietro la fine porcellana bianca, pesante sui suoi lineamenti marchiati dal peccato.
Jesper boccheggiò, vinto da uno stupore che per un attimo cancellò dalla sua mente ogni altro pensiero o congettura, e si allontanò istintivamente dallo spettro di quella figura avvolta dal mistero e dal rischio, da quel demone creduto erroneamente esorcizzato che tornava a maledire il palazzo più adulto, più indurito, più folle, più pericoloso. E si deformò per il terrore, la sua faccia che aveva fatto palpitare fin dalla più tenera adolescenza cuori femminili, si piegò nella smorfia di un bambino terrorizzato, inerme dinnanzi al suo peggiore incubo.
 
“È vero che nella torre c’è un mostro?” chiede il piccolo Jesper con gli occhioni chiari dilatati dal timore superstizioso, un soldatino di piombo stretto al petto come a difenderlo dalla creatura spaventosa che dimora nel luogo proibito. Victor annuisce, saccente, e sorride con malizia: “Un mostro orrendo, talmente brutto che non può guardarsi allo specchio se vuole evitare di romperlo! È stato mandato da un demone a perseguitare la nostra famiglia e la notte si sentono i suoi lamenti inquietanti, uuh, uuh!”
“Smettila!” strilla il bambino, restio ad ammettere di essere meno coraggioso del fratello minore: “Sono solo bugie!”
“Oh, ma io l’ho visto” ghigna Victor: “Lo tengono al buio, in mezzo ai vermi, con delle catene. È come il Minotauro, il figlio del re di Creta che l’aveva imprigionato nel Labirinto perché si vergognava di lui”.
 
Jesper non aveva mai voluto vedere, né tantomeno intuire l’esistenza di quel fratello maledetto e indegno, di quella macchia oscura nell’eterno lucore della sua illustre famiglia, persino quando, deceduti suo padre e Victor, era salito nella famigerata torre nel tentativo di scoprire cosa Hugo Lawrence aveva tenuto segreto per tutti quegli anni e cosa aveva consumato la sua anima non aveva indugiato sugli effetti personali che vi aveva trovato, sulla lurida branda, la ciotola incrostata di sporco, le manette d’acciaio infisse al muro, segni inequivocabili di una presenza che aveva abitato quel luogo. Per lui il figlio più piccolo altro non era che una paura infantile, una creatura minacciosa pari al mostro sotto al letto o al Baubau, un essere che aveva fatto partorire incubi alla sua mente di bambino ma che aveva presto dimenticato. E ritrovarselo lì, di fronte, in carne ed ossa, per giunta avvolto in un pesante mantello nero e con l’orrore nascosto dietro la maschera, era così assurdo, così privo di senso che arretrò fino ad andare a sbattere contro la balaustra e continuò a tenergli incollati addosso gli occhi dilatati.
“Non è possibile…” sussurrò, esangue: “Tu non puoi…”
“…esistere?” continuò Raphael al suo posto con voce sepolcrale. Una risata bassa e inquietante emerse da sotto al cappuccio, un suono che non aveva nulla di ilare e che trasudava una macabra ironia: “Oh, io esisto, fratello. Purtroppo esisto”.
Jesper rabbrividì, sentendosi chiamare “fratello” da quella presenza minacciosa, e le sue dita si serrarono sul gelido parapetto con rinnovata forza, come se egli necessitasse di un appiglio a cui aggrapparsi per non stramazzare al suolo: “Che cosa vuoi?!” sibilò piano, cercando spasmodicamente dentro di sé una scintilla di quell’esuberanza che era solito mostrare e che s’era spenta tutta insieme.
Raphael fece un passo avanti, incurante del terrore che dominava l’animo del giovane. Dopotutto, era un qualcosa con cui faceva i conti da tempo immemorabile e che ormai non lo scalfiva più: “Come, non mi dai neanche il benvenuto, fratello?” snudò i denti in un abominevole ghigno celato dalla maschera: “Strano! Pensavo che fra membri di una stessa famiglia ci si dovesse aiutare a vicenda, o sbaglio?” lasciò la frase in sospeso come se s’aspettasse una risposta da lui, ma proseguì dopo un istante, volgendo lo sguardo all’immensità del cielo puntellato di stelle: “Certo c’è da ammettere che sono venuto senza avvertire, e me ne scuso profondamente. Davvero scortese da parte mia! Ma vedi, ero nostalgico di questo vecchio e gelido palazzo, di cui in fondo ho visitato solo la torre, e della mia cara, carissima terra natale. Non trovi che sia naturale per un uomo voler tornare alle sue origini dopo tanto tempo in cui è stato lontano da casa? Lasciai questo luogo che ero un ragazzino e ci ritorno da adulto…eppure non è cambiato affatto, sai?” accarezzò con falso languore il marmo del balcone, rivolto apparentemente più a se stesso che ad un immobile Jesper: “Tutto è esattamente come lo ricordavo. Anche tu, fratello, sei proprio come ti ho immaginato”.
“Non chiamarmi così!” rantolò il giovane con voce strozzata, frugando alla cieca intorno a sé alla disperata ricerca d’una qualsiasi arma da usare che però non si palesava alle sue mani frementi.
“E in quale altro modo dovrei chiamarti?” le sopracciglia corvine di Raphael si levarono in una perfetta espressione di meraviglia, quei lineamenti che Jesper non voleva neppure figurarsi nel cervello si mossero sotto la fine porcellana della maschera: “Non condividiamo in fondo lo stesso sangue? Non siamo entrambi figli di Hugo e Ingrid Lawrence? Questo che cosa ci renderebbe, se non dei fratelli? In effetti, però, siamo diversi…” i suoi penetranti occhi azzurri si soffermarono sulla figura magra e prestante di Jesper, sul suo viso perfettamente cesellato e sullo splendore della sua chioma serica: “Molto diversi. Il demone e l’angelo!” soggiunse con tono quasi giocoso: “Un magnifico contrasto, non trovi? Ho sempre pensato che gli opposti si facessero risaltare a vicenda. Sono talmente marcio che la tua bellezza rifulge come non mai, e tu sei talmente splendido che la mia corruzione non ha confini”.
“Tu sei pazzo…” bisbigliò Jesper, la voce un distillato di avversione, orrore, paura e un oscuro presentimento che gli ghiacciava pian piano le membra. Non poteva accettare l’esistenza del fratello rinnegato, non poteva, e tentava di convincersi che quello che aveva di fronte non fosse altro che uno squilibrato, un malato di mente che s’era infiltrato nel castello con l’inganno e che ora desiderava confonderlo con i suoi accenti insinuanti e le sue pose malsane.
“Non è la prima volta che mi muovono una simile critica” commentò Raphael pacato: “Espongo soltanto i miei pensieri, Jesper. Le mie emozioni. Se i miei, i nostri genitori non mi hanno insegnato a usarli, se ho dovuto partorirli nella solitudine di una torre, la colpa è soltanto dei Lawrence”.
“Non mi interessa” replicò il giovane, tremando convulsamente sotto il costume da vampiro: “Io non…”
“DOVREBBE INTERESSARTI, INVECE!!”
Quello di Raphael fu un ruggito, un’esplosione totalmente inaspettata che colse di sorpresa Jesper e gli strappò un mezzo grido, poiché il più piccolo dei Lawrence aveva abbandonato tempestivamente la sua calma, arrivandogli vicinissimo e puntandogli contro un dito accusatore, e le sue iridi chiare avevano preso a scaricare su di lui scintille d’una rabbia autentica, d’un furore che aveva senz’altro trasfigurato il suo volto invisibile. Ed ora ansava come una belva feroce, incombendo sopra un terrorizzato fratello, consumandolo con le fiamme del suo sguardo infuocato di rancore e odio, digrignando i denti in una smorfia aggressiva e disumana: “Dovrebbe interessarti, e molto!” continuò, sputando le parole come fossero veleno: “Per troppo tempo hai fatto finta di niente, fratellino, per troppo tempo hai goduto di una pace che a me era stata negata! E sarebbe decisamente ora che il tuo cervello superficiale si distogliesse dalle sue sciocche occupazioni abituali e si concentrasse su qualcosa di più importante! Perché, capisci, io sono importante, e sono anche molto, molto stanco di tutto questo disinteresse. È una cosa che mi manda in bestia, il vostro non voler vedere ciò che è scomodo, ignorare alcune cose per quieto vivere! Lo trovo terribilmente maleducato nei miei confronti, e ti consiglio caldamente di prestarmi attenzione, d’ora in avanti”.
Se anche Jesper avesse avuto qualcosa da ridire, lo scoppio d’ira di Raphael aveva ucciso definitivamente in lui ogni slancio o impeto di coraggio ed egli in quel momento non aveva alcunché del Principe Azzurro, o dell’eroe affascinante che era sempre stato, s’era appiattito al parapetto, una figurina pallida e tremante, con le labbra esangui e le pupille dilatate, e il fiato si condensava in nuvolette di condensa che fuoriuscivano dalla sua bocca muta. Nel frattempo, al di là delle sontuose tende a balze che li separavano dal salone illuminato, gli invitati seguitavano a ballare, chiacchierare, ridere, ignari della tragedia familiare che si stava verificando a pochi metri da loro.
Con qualche difficoltà, Raphael tornò presente a se stesso e si ricompose, rilassando i muscoli irrigiditi dal furore e sistemandosi meglio il cappuccio sul capo: “Guarda!” esclamò, un po’ infastidito, un po’ ironico: “Mi ero ripromesso di gestire la faccenda con dignità ed ecco che mi hai fatto scaldare subito! Non sono venuto alla tua graziosa festa per litigare con te, fratello. Sei un uomo impegnato, in fondo, l’erede dei Lawrence ne ha di cose da fare!”
“N-non sono l’erede dei Lawrence…” bisbigliò Jesper: “Jonas lo è”.
Raphael scoppiò in una fredda risata agghiacciante che si perse nell’oscurità di quella notte infausta e nello scrosciare delle onde del mare non troppo lontano: “Allora non lo sapevi!” disse: “Tante felicitazioni, fratellino, nessuno ti farà più concorrenza. Il povero Jonas, ahimè, ha avuto qualche problema col…fuoco”.
Occorsero alcuni secondi prima che il messaggio venisse assimilato pienamente, e appena ci riuscì, Jesper perse il poco colore che gli restava in viso e dischiuse le labbra, senza che alcun suono ne scaturisse. Malgrado la morsa di gelo che gli aveva agguantato il cuore, tuttavia, la sua mente fredda e calcolatrice formulò rapidamente l’unica conclusione a cui era arrivato, una conclusione che forse avrebbe sconvolto un altro, ma non lui.
Ha ucciso Jonas. Lo ha ucciso come ha fatto con Victor e nostro padre.
Non provava dolore per questo, non aveva mai nutrito un affetto particolare per il fratello primogenito, anzi, s’era sempre sentito invidioso per i privilegi di cui godeva, privilegi che gli avevano permesso di diventare il capo della compagnia promossa da suo padre e ottenere un notevole guadagno personale, guadagno che lui, Jesper, non aveva mai eguagliato e che avrebbe saputo gestire senz’altro meglio, dal momento che Jonas era sempre stato un ingenuo e uno sciocco, incapace di far fruttare davvero la compagnia. Che fosse morto non era affatto una disgrazia, anzi, si poteva dire che ciò giocasse invece a suo favore e che fosse una fortuna, ma a paralizzarlo era la consapevolezza che ad ucciderlo era stato il fratello rinnegato, il mostro che aveva maledetto la sua famiglia fin dalla nascita e che l’aveva decimata, cercando invano di placare la sua sete di vendetta.
“Vuoi ammazzare anche me?” il giovane si stupì enormemente del tono atono e tranquillo della propria domanda, una domanda da cui dipendevano la sua vita e la sua morte e che aveva posto però come se si trattasse di un quesito normale, di scarsa importanza. Era convinto che fosse la mossa più logica da parte di Raphael. Loro lo avevano scacciato, allontanato, seviziato, e lui tornava per trascinarli con sé nell’oblio e ottenere la sua rivincita come tutti i mostri della letteratura, Frankenstein per primo.
Ma Raphael non aveva mai agito nella maniera più logica, e non s’era mai accontentato di così poco. Se avesse desiderato ottenere ciò che voleva nel modo più semplice e rapido, avrebbe preso Irene con la forza e non avrebbe architettato quell’articolato piano per conquistarla.
“Tu mi sottovaluti, broder*” ribatté pertanto il figlio più piccolo, girando intorno a Jesper come la tigre che sinuosa valuta la sua preda, aspirando ingorda l’odore della sua paura crescente: “Potevo accontentarmi di qualcosa di così effimero e fulmineo come la morte quando ero un ingenuo dodicenne, ma ne ho avuto di tempo per riflettere da allora. Non ho intenzione di torcerti un capello, non a te, almeno”.
Quell’ultima precisazione suonava più che mai ambigua, ma Jesper si fece forza, traendo coraggio dalla consapevolezza che ora nuotavano in un ambito a lui più congeniale: “E allora cosa vuoi? Denaro?” gli scambi e i compromessi erano un qualcosa che conosceva fin troppo bene, si poteva dire che avesse costruito la sua vita sulla base di essi e che niente per lui ne fosse privo, neanche l’amore, neanche la felicità. Si apprestava a sposare una ragazza che in cambio da lui avrebbe preteso aiuti economici per la sua famiglia e Christine gli aveva venduto il suo corpo perché la rendesse partecipe dell’obiettivo che si prefiggeva. Se quell’essere era venuto per ottenere da lui una ricompensa, beh, gliel’avrebbe data e se lo sarebbe tolto dai piedi. Nonostante la pavidità, egli era un uomo molto pratico e non tollerava ostacoli di sorta.
“Denaro?” Raphael scosse la testa: “E che cosa me ne faccio del denaro? Con il denaro non si compra la gioia o la soddisfazione” fece una pausa, senza staccare da Jesper i penetranti occhi azzurri, e scandì bene le parole: “Io voglio il posto che mi è stato ingiustamente negato, fratello. Voglio ciò che mi spetta di diritto. Voglio essere riconosciuto come Raphael Lawrence, e voglio la mia parte di patrimonio, ma non sotto forma di un volgare assegno con cui potrai comprarti una mia partenza, bensì come mio diritto di erede”.
Jesper boccheggiò. S’era sentito pronto a concedergli qualsiasi cosa gli avesse chiesto pur di ricacciarlo nell’abisso da cui proveniva, ma le condizioni che aveva appena enunciato non avrebbe mai potuto rispettarle. Se l’esistenza del figlio maledetto fosse stata resa pubblica, se la gente avesse scoperto che era fratello di un mostro, di un assassino, se le azioni di Hugo fossero trapelate, la memoria di suo padre si sarebbe squarciata per sempre e la sua famiglia avrebbe perduto ogni forma di prestigio, forse avrebbero potuto persino incriminarlo! E non poteva permettere una cosa del genere, non poteva mostrare ad amici e parenti quella cosa, quel demone che aveva ucciso Jonas!
“Sei pazzo!” ripeté in un’esclamazione sprezzante: “Appena scopriranno chi sei ti sbatteranno in carcere!”
Raphael emise un rassegnato sospiro: “Questo è un effetto collaterale che affronterò quando sarà il momento, e soprattutto se sarà il momento. Non mi sembra così assurdo che un uomo desideri essere riconosciuto per quello che è. Capisci, fratellino, io voglio che la gente, vedendomi, dica Quello è il figlio dei Lawrence! Sono stanco, davvero, davvero stanco di nascondermi dietro ad una lettera, di agire in incognito, di non poter gridare al mondo intero chi sono. Perché vedi, di recente mi sono reso conto che anche in questo modo, anche nascondendosi, non si ottiene niente. Assolutamente. Niente. Quindi, perché non mostrarsi alla luce del sole? Perché non farla finita una volta per tutte con gli inganni, i sotterfugi, le maschere? Siamo mostri entrambi, Jesper, tu e io, ed è ora che il mondo lo comprenda fino in fondo. Questo è ciò che voglio, e questo è ciò che mi darai”.
“Tutto quello che avrai da me sarà un arresto!” gridò in risposta il fratello, le guance spruzzate del rosso della collera e il bellissimo viso deformato in una smorfia livida, animalesca, fuori controllo: “Pagherai per quello che hai fatto a Jonas, mostro! Pensi davvero che la tua parola valga più della mia? Posso farti arrestare quando desidero, e non saresti che un comune e volgare squilibrato che ha molestato un giovane uomo d’affari in cambio del suo denaro! Non hai niente che possa nuocermi! Non sei altro che una nullità, uno spettro, un nulla!”
S’aspettava che Raphael esplodesse come già era esploso, addirittura che lo aggredisse, ma il giovane figlio rinnegato non fece niente del genere. Al contrario, si produsse in una risatina sottile, inquietante come unghie strusciate su una lavagna, imbevuta del gusto amaro della disillusione e della follia: “Ah, caro Jesper!” pronunciò ogni parola con una sorta di stanca calma, di atono divertimento, un tono che, nonostante tutto, sollecitò nel giovane un brivido di timore: “Come sei ingenuo. Davvero pensi che io non possa nuocerti in alcun modo? Ma hai forse dimenticato la magia che trasforma i demoni in angeli? Quella magia che rende tutti normali, comuni?”
Jesper lo fissò senza capire, le dita ancora artigliate al parapetto.
“No? Non ti sovviene nulla?” Raphael sembrava quasi annoiato. Pochi mesi prima un discorso del genere l’avrebbe infiammato e infervorato, ma ora se ne serviva quasi con leggerezza, la leggerezza sgradevole e malvagia di chi ha subìto un grave colpo e per questo ha smesso di credere: “Strano, è quel genere di magia che le persone come te conoscono bene. Era graziosa, la tua sposa…” nuovamente, le sue labbra celate dal cappuccio si piegarono in un sorriso macabro, storto, sbagliato: “Incarnato diafano, occhi di smeraldo, capelli soffici come bambagia. Quand’è che dovresti condurla al talamo, fratellino?”
Immediatamente i pugni di Jesper si serrarono e una repentina rigidità s’impossessò dei suoi muscoli, si drizzò dinnanzi al lugubre uomo mascherato con gli occhi accesi da un panico montato con sorprendente rapidità e un’agitazione che non era riuscito a nascondere, non se l’argomento di quella conversazione era divenuto Harriet, la pedina fondamentale del suo piano, il tesoro senza il quale lui e Christine non avrebbero mai ottenuto quello che volevano, che li avrebbe salvati, per sempre. E non era apprensione per la fidanzata quella che lo muoveva, ma terrore nel vedere le proprie trame messe a rischio e la propria leva minacciata.
“Non nominarla!” ringhiò infatti come una fiera: “Tieni Harriet fuori da questa storia!”
Ma Raphael, che non sapeva nulla del piano del fratello e che in ben poche occasioni si era curato di qualcuno che non fosse se stesso, non avrebbe mai potuto comprendere quel che si celava dietro le righe e allargò il sogghigno trionfante: “Sai cosa stavo pensando? Pensavo che una fanciulla così bella e così purastarebbe meglio in un letto diverso da quello nuziale…un letto con lenzuola crespate, bellissime lenzuola crespate…il viola si intonerebbe magnificamente agli orecchini di ametista che indossava questa sera…potrebbe divertirmi alquanto, occuparmi di preparare adeguatamente lei e il suo giaciglio”.
Il pallore di Jesper era mortuario, una vena gli si era gonfiata sulla tempia e stringeva ambedue i pugni come se bramasse di colpire il fratello: “Non oserai! Non oserai toccarla!”
Gli occhi azzurri di Raphael diedero uno scintillio inquietante, un luccicore che per un attimo illuminò il buio del balcone: “Non hai idea degli abissi in cui mi sono immerso, fratello. Non hai idea del sangue che mi macchia le mani”.
Prepotente, l’immagine di Irene che giaceva, inerme e indifesa, sotto alla lama del suo pugnale d’argento, pronto a calarle sul petto ansante e a spaccarle il piccolo cuore spaventato e innocente s’impose nella sua mente, ma egli la ricacciò indietro con forza, le iridi ancora sfavillanti di quel macabro bagliore e la bocca piegata in una smorfia cinica: “Non sarebbe un problema per me aggiungere quello della tua pallida sposa triste. Dopotutto, è tanto tempo che non godo della compagnia di un essere umano che non nutra orrore nei miei confronti e sarebbe gratificante avere una bella ragazza immobile e docile che non fugga dopo avermi visto. Ma una sposa viva è sempre migliore d’una sposa morta, dico bene? Perciò, accetta le mie condizioni e potrai godertela come vorrai, fratellino”.
Jesper gli sputò addosso, tentando convulsamente di nascondere il panico, la tensione, il vicolo cieco in cui era stato costretto e da cui non sapeva come uscire, come scappare, la trappola in cui quel demone l’aveva chiuso, proprio nel momento meno opportuno, quando Harriet e il potere che gli derivava dal prestigio familiare gli erano più utili.
Raphael non si scompose. Alzò una mano guantata a pulire la porcellana diafana della maschera dalla chiazza bagnata e allargò le dita per mostrarle al fratello: “L’hai sporcata, contento? E non era neppure mia” s’asciugò sulla giacca elegante di Jesper, che non trovò il coraggio di scostarsi e lo lasciò fare, impietrito dalla collera e dall’incertezza.
“Hai due giorni, fratellino” soggiunse il figlio rinnegato: “Due giorni per darmi ciò che mi spetta. Se non lo farai, la tua Harriet dovrà abituarsi anzitempo all’eternità” gli accennò un inchino affrettato: “Ora, se vuoi scusarmi, ma mi sono trattenuto anche troppo al tuo party. Lo capisco sempre quando sono indesiderato, e non ho alcuna intenzione di guastarti la festa. Ottimi addobbi, comunque. E anche il rinfresco l’ho trovato…gustoso”.
Le campane della cattedrale vicina rintoccarono la mezzanotte in quello stesso istante, squassando la notte con i loro cupi rimbombi, echi roboanti che si ripercossero persino sul balcone in cui i due uomini sostavano. Raphael tese l’orecchio al suono che si affievoliva: “Tempismo perfetto, no? La notte dei mostri giunge al termine, ed io mi ritiro”.
Si volse, in uno svolazzo del lungo mantello nero, e lasciò Jesper solo accanto al parapetto, paralizzato in una posa rigida e innaturale, infilandosi nuovamente nel salone riccamente ammobiliato e percorrendolo a passi rapidi e silenziosi. Aveva perduto ogni desiderio di non dare nell’occhio e passò dritto per la pista da ballo, zigzagando tra abiti vaporosi e complesse pettinature come un’ombra tra le luci e fermandosi a rivolgere riverenze palesemente ironiche alle donne che urtava: “Pardon, mademoiselle, desolato davvero!”
Una figurina pallida ed esile s’aggrappò ai suoi calzoni sulla soglia della sala, l’unica persona lì dentro a non volere che se ne andasse, liberando tutti quanti dalla sua nefasta presenza, l’unica che aveva in qualche modo goduto della sua compagnia, che l’aveva apprezzato, ignorando candidamente chi era. Erin Lawrence, la nipote che fino al giorno prima non sapeva neppure di avere, la figlia dell’uomo che aveva ucciso e colei che l’aveva introdotto nel castello e che gli aveva offerto su un piatto d’argento la possibilità di arrivare a Jesper, quella bambina piccola, fantasiosa, incapace di capire, che ora lo fissava con occhi dispiaciuti e supplichevoli: “Non andartene, signor R!” lo pregò con un fil di voce: “Non volevo che lo zio Jesper se la prendesse con te, io…”
Si interruppe, senza sapere come andare avanti, come sciogliere le corde vocali irrigidite dall’insicurezza e dal timore d’essere derisa o scacciata come sempre era avvenuto con la madre e rafforzò la stretta sui pantaloni dell’uomo, l’uomo che aveva atteso per tutto quel tempo sulla porta e che considerava suo amico.  
E Raphael abbassò su di lei lo sguardo infastidito e incapace di far fronte ad un simile attaccamento, un attaccamento che lui, mai amato da nessuno, mai cercato, non avrebbe mai potuto capire, e che giudicava quindi incomprensibile. Per giunta, era consapevole che quella creaturina innocente l’avrebbe odiato, aborrito con tutte le forze se avesse saputo d’avere davanti l’assassino di suo padre ed era questa una ragione sufficiente a tenerla alla larga. Questa, e la somiglianza fisica con Irene, uno spettro che ancora lo tormentava e affliggeva.
“Non piangere, bambina” sibilò infatti, con un tono duro che strappò al cuore della piccola un sussulto di mortificazione e di dolore: “Hai lasciato entrare il male nella tua casa, ma non vorresti tenertelo vicino se sapessi cosa si cela dietro la maschera che gli hai regalato”.
Erin batté le palpebre, la mente ancora troppo semplice e pura per cogliere il significato di quella frase: “Signor R, tu non sei affatto il male!” protestò: “Tu mi hai ascoltata e nessuno prima…”
“Ti ho ascoltata perché mi servivi da lasciapassare, bambina” la interruppe brutalmente lui. S’infuriò con se stesso per la piccola fitta di dolore che avvertì nel petto atrofizzato e gelido, e digrignò i denti, perché quando voleva sapeva essere cattivo, e molto, e lo era stato, persino con Irene, quando l’aveva definita una ragazzina superficiale dal viso grazioso, incurante delle lacrime che le colavano sulle guance e del suo dispiacere. E lo fu anche adesso, allo stesso modo, crudele e implacabile nelle parole che le rigettò addosso: “Non cercare in uno sconosciuto quello che non hai avuto dai tuoi genitori”.
Erin trattenne il respiro e indietreggiò, fissandolo con occhi spalancati e feriti, gli occhi di una bambina che in cinque anni di vita era stata più respinta che accettata, più offesa che capita, e in cui per un attimo Raphael si rivide, con supremo fastidio. La superò, senza più una frase, un commiato, o un’ultima cattiveria, ed uscì dal salone portandosi dietro tutta la sua oscurità, seguito dallo sguardo straordinariamente silente e addolorato della sua nipotina, da quello sospettoso di Christine, e da quello fisso e impietrito di Jesper.
 
Angolo autrice: Ehilà! C’è nessunoo? Immagino di no, vero? Beh, non posso darvi torto, dal momento che questa storia era allegramente partita per la Costa Concordia…ed ora eccomi qui con questa nuovo capitolo, e dopo il mostruoso ritardo nutro scarse speranze che qualche buon samaritano ci abbia ancora sperato…ma io tengo molto a Raphael e dato che l’ispirazione era perduta nei meandri del mio cervello, ho aspettato che mi tornasse…non posso assicurare di essere costante negli aggiornamenti ma per me il progetto è importante e non ho intenzione di abbandonarlo, e spero tanto, tantissimo che voi vogliate perdonarmi e possiate rimmergervi nel mondo di Raphael : ) lui da parte sua se lo augura, e maledice l’autrice poco ispirata che stenta a far proseguire la sua storia XD
Un bacione a tutti, e scusate ancora!
Sylphs   
    
  
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