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Autore: ValeryJackson    04/12/2012    5 recensioni
Avete presente la saga "Percy Jackson"? Bene, scordatevela. Anzi no! Scordatela in parte, perchè questa è una storia (quasi) totalmente diversa. Il protagonista non è più solo il nostro amato Percy, bensì tre ragazze.
Tutti noi sappiamo che il Campo Mezzosangue ospita giovani semidei. Ma se non fosse solo questo? Se fosse un rifugio anche per altri componenti della magia? come maghi, o supereroi? In tal caso la storia sarebbe totalmente diversa.
Alex, Bella ed Emma sono ragazze apparentemente normali. Vestono come noi. Parlano come noi. Vivono come noi. Ma non sono affatto come noi. Loro, infatti, sono in grado di fare cose che noi non possiamo neanche sognare. Hanno poteri che noi non riusciamo neanche a immaginare. Bella riesce a diventare invisibile. Alex può prendere fuoco e può volare. Emma sa allungarsi in maniera smisurata. Insieme lottano per difendere il mondo dal male. Ma nessuno deve scoprire la loro vera identità. O saranno guai. Avete presente i supereroi dei fumetti e dei film? Una cosa del genere, ma loro sono reali.
Ovviamente, però, la mia storia fa riferimento anche alla fantastica saga quale è "Percy Jackson", presentandovi una rivisitazione della storia e riportando molti dei suoi personaggi, tra cui Percy!
Sperovipiacciaa!Commentatee! :*
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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[Salve, sono ValeryJackson, e vi ringrazio tanto per aver cliccato la mia storia, perchè significa che può sembrarvi interessante. I primi tre capitoli li dedicherò completamente alla presentazione (in prima persona) dei miei tre personaggi, Alex, Emma e Bella. BUONA LETTURA! ;) P.S SAREI FELICE DI SAPERE COSA NE PENSATE, QUINDI ... COMMENTATEEE!]


Ciao. Sono Alex Chadwich. Questa registrazione iniziale serve per raccontarvi un po’ di noi, altrimenti dubito ci capiate qualcosa. Dunque, comincio io, dato che sono la più importante. [È inutile che predichi tanto Emma, sai che è così.]
Comunque.
Sono nata in una piccola cittadina de New Mexico. Abitavo in una casetta accogliente con mia madre e mio padre. Lei era un’archeologa, lui arruolato nei marines. Ma non era questo che li aveva fatti innamorare. Anche se apparentemente erano diversi, condividevano entrambi una grandissima passione: la musica. Ed è così che sono cresciuta, a ritmo di blues and rock’n’roll. A 5 anni ho cominciato a strimpellare la chitarra, e poco dopo a cantare ( e devo ammettere davvero bene!) Ma non è questo l’importante. All’età di otto anni persi mia madre in un’incidente stradale. Non so esattamente come sia andata, papà non ha mai voluto raccontarmelo. So solo che fu uno schok tremendo per tutta la famiglia, per mio padre, ma soprattutto per i nonni. Fra loro e mio padre ci fu un acceso dibattito per la mia custodia. Loro, infatti, lo ritenevano incapace di occuparsi di una bambina di otto anni. A me dicevano che era per via del suo lavoro, ma io sapevo che non gli era mai piaciuto. Per un anno andai a vivere con loro, vedendo mio padre solo due giorni l’anno, uno in estate e uno in inverno. Poi le cose cambiarono. Mio nonno entrò in possesso del testamento di mia madre (non ho idea del perché lo avesse già scritto), nel quale dava, testualmente, l’affido di sua figlia al marito. In tribunale non obbiettarono, e così tornai a vivere con mio padre. Ero contenta. Stare con i nonni non mi piaceva affatto, il nonno era troppo severo e apprensivo. So che lo faceva solo per il mio bene, ma il mio carattere ribelle ne risentiva.
Comunque mio padre decise di trasferirsi da un’altra parte, così facemmo le valigie e ce ne andammo a Los Angeles. Non male. Il clima era fantastico e le spiagge bellissime. Ricordo ancora benissimo la nostra casa lì e il cielo pieno di stelle che si vedeva dalla veranda sull’oceano. Papà mi raccontava storie incredibili sulle costellazioni. Poi ogni sera, prima di andare a dormire, mi accoccolavo sul divano e cercavo la sua attenzione. Eravamo diventati una cosa sola. Alex e papà contro tutti. Ci siamo sempre supportati e ci volevamo bene. Purtroppo, però, quella favola durò poco.
Ben presto papà volle trasferirsi di nuovo, stavolta a Londra. Non volle dirmi perché. Non ricordo molto, ricordo solo che odiavo quella città. Lì non riuscii a farmi degli amici, a parte Liz e Jodie, e la mia vita non era per niente facile. Se commettevo un errore o incontravo persone che non mi piacevano dovevo restare lì, punto e basta. Mio padre se ne andava spesso in missione e io restavo da sola, a vedermela con il mondo. Non gli do colpe per questo, in fondo è il suo lavoro, e lui lo faceva per me, ma era frustrante. Non sapevo cosa rispondere a domande semplici tipo: “Dove sono i tuoi genitori?” o “La tua famiglia che cosa fa?” e nemmeno “Di dove sei?” senza rendere nota la stranezza della mia situazione.
Ero sempre quella diversa. La meticcia, l’americana che non era americana. Quella con la madre morta e il padre assente. Quella che combinava guai in classe e non riusciva a concentrarsi sulle lezione. Dopo un po’ impari che confonderti con gli altri semplicemente non funziona. Se la gente continua ad additarti, allora tanto vale dargli qualcosa da guardare. Strisce rosse tra i capelli? Perché no! Gli anfibi con l’uniforme della scuola? Ma certo. Il preside dice: “Dovrò chiamare i tuoi genitori, signorinella”. E io rispondo: “ Buona fortuna”.
Gli altri non sanno un bel niente della mia vita.
Ma ora basta così. Un giorno, mentre “studiavo” matematica, udii bussare. Mio padre entrò furibondo e corse al piano di sopra. Poco dopo ne uscì con un enorme borsone che traboccava di roba.
- Alex- mi disse – Dobbiamo andare.- Io ero senza parole. Mi alzai per protestare ma mio padre mi lanciò un borsone al volo.
- Ora- ribadì. Così non fiatai. Andai di sopra e riempii il borsone con le cose che ritenevo essenziali. Avevo mille domande per la testa, ma ero frenata dall’atteggiamento di mio padre. Non l’avevo mai visto così. Addirittura in macchina mi sembrò quasi di averlo sentito piangere. Andammo all’aeroporto e prendemmo il primo volo per New York.
Tutto questo successe circa un anno fa. Quasi due. Papà non mi disse mai il perché di quel cambiamento improvviso, ed io non ebbi mai il coraggio di aprire l’argomento. Comunque, fu proprio in questa città che conobbi Emma e Bella. Ricordo ancora la prima volta che ci siamo incontrate. Per colpa mia Bella si era ritrovata su uno scafo. L’aiutai e ce ne andammo fiere sotto gli occhi di Justin. Non sopportavo quel ragazzo, ma poi, non chiedetemi come, me ne innamorai. Ora ormai è storia chiusa, ma non mi va di parlarne. Poco dopo raggiungemmo Emma-Miss-So-Tutto-Io-Gilbert, le offrimmo un passaggio e, purtroppo, la portammo con noi in un giro in mare aperto. [Ahi! Era il mio piede quello!]
Non avevamo previsto che lo scafo si sarebbe fermato, proprio in mare aperto. Eravamo letteralmente nel nulla. Il posto più vicino era l’isola Mako. Un’isola sperduta che incuteva terrore. Così iniziammo a remare. Non potevamo immaginare che quello sarebbe stato l’errore (o secondo me la fortuna) più grande della nostra vita. Apparentemente lì non c’era nessuno, ma l’isola era in ottime condizioni, e sembrava che fosse stata da poco abitata. Ci inoltrammo in quel luogo sinistro, in cerca di qualcuno che ci aiutasse, ma non trovammo nessuno. Poi, ad un tratto, Bella cadde in una specie di pozzo. Io ed Emma cercammo di aiutarla, ma finimmo dentro anche noi. Fu un’emozione indescrivibile. Alla fine di quel pozzo, nel cuore del vulcano spento che dominava l’isola, c’era una piscina. Non la battezzammo “la piscina naturale”, poiché l’acqua, apparentemente clorofita, sembrava provenire dalle rocce circostanti.
Sarei rimasta lì volentieri ad ammirare quello spettacolo, ma Emma iniziò a rompere, dicendo che era pericoloso restare e che stava facendo buio. Alzai gli occhi al cielo. Il buco del vulcano era proprio sopra di noi e mi accorsi che improvvisamente era scesa la sera. Strano, dato che quando siamo cadute nel pozzo il sole era ancora alto. Quanto tempo eravamo rimaste lì? A me erano sembrati solo pochi secondi. Non feci in tempo a rispondermi che Bella, nuotatrice provetta, si immerse in acqua e andò giù. Risalì poco dopo, annunciandoci che a venti secondi di distanza c’era un’uscita. Saremmo dovute passare sott’acqua. Io ed Emma entrammo in acqua e in quel momento accadde qualcosa di strano. Dalla piscina iniziarono ad uscire numerose bollicine, che si libravano in aria e andavano verso l’alto.
Tutte e tre alzammo gli occhi. La luna piena riempiva perfettamente il buco del vulcano, e sembrava attirare a se l’acqua. Ad un tratto ci fu un lampo nel cielo. Tutta l’isola si scosse, ma noi no. Sembravamo quasi in trance. Una luce fortissima piombò si di noi, e in quell’attimo non capii più niente. Guardai il mio corpo e mi sembro di prender fuoco.
Lì per lì pensai fosse impossibile, ma non lo era affatto. La luce se ne andò e noi piombammo a peso morto in acqua. Non so casa successe dopo, ricordo solo di aver perso i sensi, e che la mattina dopo mi ritrovai inspiegabilmente nel mio letto a New York. Ero stordita e non capivo più niente. Ad un certo punto pensai che fosse stato tutto un sogno, ma dovetti ricredermi.
Ero cambiata, anzi, il mio DNA era cambiato. Quell’esplosione aveva scatenato qualcosa di magico in me, qualcosa che mi avrebbe permesso di fare grandi cose. Scoprii ben presto di poter coprire il mio corpo di fiamme senza rimanere ustionata, fino a raggiungere il calore di una nova che può raggiungere i 6000 °C di media, toccando i 500.000 °C come estremo, e lanciare fiammate. Riuscivo anche a volare e ad assorbire qualsiasi quantità di calore, creare oggetti di fuoco (da proiettili sferici fino a doppioni di me per trarre in inganno i nemici), far evaporare qualsiasi quantità d’acqua, muovermi ad una velocità quasi soprannaturale e leggere nel pensiero ( ma questa è un’altra storia).
Era una scoperta fantastica. Inutile dirvi che quella notizia mi cambiò letteralmente la vita. Grazie a queste mie capacità incontrai Maria, che per me diventò come una seconda madre.
Fu lei a spiegarmi l’esistenza della magia, a condurmi per la prima volta al Campo Mezzosangue, ad istruirmi e ad insegnarmi le migliori tecniche di combattimento. Ci spiegò anche l’esistenza di tre ciondoli magici, appartenuti circa cent’anni fa a tre eroine molto potenti. Quello con una pietra rossa, simbolo di fuoco e ribellione, che era stato venduto ad una gioielleria, acquistato da Charlotte (mia eterna nemica) e recuperato da Justin, fu dato a me. Quello col la pietra verde, simbolo di saggezza e di freschezza, è stato trovato nella Lorelei (una vecchia barca) mentre affondava, fu regalato ad Emma, mentre quello con la pietra blu, simbolo dell’ acqua e della tranquillità, è stato rinvenuto da Bella sul fondo della piscina naturale. Quei ciondoli sono molto preziosi per noi. Sono leggermente diversi tra loro e, se messi insieme, uno vicino all'altro, sono in grado di simulare un plenilunio molto potente. Non ce ne separiamo mai, e sono molto utili per rafforzare la nostra forza e i nostri poteri. Cosi, con queste basi, diventai ben presto una paladina della giustizia, una specie di supereroe, ma come ogni supereroe, la mia identità rimase ed è tutt’ora segreta. Anche le mie due amiche avevano guadagnato dei poteri, ed insieme formammo il trio delle Fantastic Girls.
Questo ci legò profondamente, in un pattò di fedeltà, complicità, lealtà e amicizia. Sono pochi quelli che sanno la nostra vera identità, e a noi va bene così. Loro diventarono le mie compagne di avventura, quelle su cui potevo sempre contare, quelle che mi offrivano sempre il loro aiuto ed una spalla su cui piangere. Capii ben presto che erano indispensabili nella mia vita. Sarei persa senza di loro.
[Si, Emma. Neanch’io riesco a credere di averlo detto].
Sono le mie migliori amiche, e non riuscirei a sopportare l’dea di perderle. Sono troppo importanti, e lo saranno (odio dire questa parola) per sempre
  
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