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Autore: youaremydream    10/12/2012    1 recensioni
Trascorrere le vacanze natalizie a Torino per Serena è già una grande vittoria, ma realizzare un sogno nel cassetto la manda completamente in estasi. Peccato che dovrà sopportare un eccentrico "nonnetto" che le renderà la vita un vero e proprio inferno, seguendola anche dall'altra parte dello stretto. Ma sarà davvero così?
Dal primo capitolo:
Mi allontano in fretta, ma senza farlo sembrare una fuga, come se avessi paura della sua reazione, mormorando qualche scusa.
-Ehi ragazzina, non credevo che i nonnetti avessero un tal effetto su di te!
Ed ecco che ricompare quel suo odioso sorrisetto. Che rabbia!
-Non farti strane idee, ero solo felice per la notizia...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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-Serena... Ehi Serena, ci sei?

Due enormi occhi verdi mi sovrastano e mi guardano incuriositi. Sbatto ripetutamente le palpebre, per cercare di mettere a fuoco la situazione che mi si presenta davanti e far tornare la mia mente alla realtà. 

-Ehi... Scusa Giorgia, ero persa nei miei pensieri....

-Che novità! Da quanto sei tolnata da Tolino non sei più la stessa, lo sai? E sono passati sette mesi!- esclama, con il suo italiano ancora poco perfetto, Etciù.

Già, sette mesi: sono passati sette mesi da quel Natale così stupendo... Insomma, era la prima volta che lo passavo in una grande città, con la neve, le mie cugine. Sbuffo. Ma chi voglio prendere in giro? Non mi importa nulla di quel Natale, la cosa più bella è stata...

-Oh no, è partita di nuovo! Ti decidi ad ordinare? Vuoi la brioche o il cono?- quasi urla Giorgia per farsi spazio tra le mie riflessioni e impedirmi di cadere di nuovo in trance. 

Alzo gli occhi su di lei, soffermandomi sulla sua chioma rossa, con sguardo interrogativo e sbotto:

-Possibile che dopo dieci anni ancora non sai che prendo sempre la crèpe con il gelato al pistacchio? Che amica che sei!-

Lei strabuzza gli occhi e fa una smorfia strana con la bocca: il suo modo di fingersi arrabbiata. La guardo con aria interrogativa, immaginando la sua prossima mossa. Offesa, si alza e cambia di posto, lasciandomi con Etciù e altri miei amici. Poi ci ripensa e ritorna, con tutta l’aria di chi deve fare una sfuriata:- Per questa volta ti perdono, a patto che tu mi dia un pezzo della tua crépe!- sbotta, seria e rossa, come i suoi capelli.

Io ed Etciù ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere, seguite a ruota da Giorgia e da altri miei amici che hanno partecipato come spettatori a quella fantomatica scenetta.

-Ehi Ser, vedi che il tuo cellulare è da più di dieci minuti che squilla- esclama Marco, il nanetto biondo che mi conosce da quando ho due anni. 
In effetti, avevo intercettato un rumore estraneo al chiacchiericcio della gelateria, ma non avevo prestato molta attenzione. 

Cerco velocemente il mio apparecchio nella borsa, tra la tovaglia del mare e la crema solare, ma non riesco per un pelo a prendere la chiamata. Numero sconosciuto. Chi sarà mai? E non è la prima volta che mi cerca: ho ben quattro chiamate perse.
Beh, se avranno bisogno, richiameranno, no? 

-Chi ela, Selena?- chiede incuriosita Etciù. Sorrido alla sua erre ancora non matura:- Non lo so, è un numero sconosciuto. Forse dovrei richiamare...
Ma non ho neanche il tempo di terminare la frase che il cellulare squilla nuovamente, facendomi sobbalzare sulla sedia, diffondendo la suoneria per tutto il terrazzo. Perché diavolo metto il volume così alto se poi non lo sento lo stesso?

-Pronto?- rispondo, cercando di sovrastare il chiacchiericcio.

-Ehi ragazzina, finalmente hai risposto!- Una voce calda, maschile mi canzona dall’altro capo del telefono. Ma che diavolo...

-Pronto, ma chi parla?- chiedo quasi isterica. Eppure, è una voce così familiare. Quel "ragazzina"... Sì, non mi è nuova. Possibile? No, no... Non mi ha cercata per tutto questo tempo, per quale motivo dovrebbe farlo adesso? Tuttavia, tutti gli indizi riportano a lui: quell'epiteto che odio così tanto, quella voce così calda e rassicurante ma allo stesso tempo così fastidiosa da farti uscire di senno, la rinascita della mia bipolarità che fino ad allora era rimasta assopita. 

Già, tutto riporta a lui, a quel nonnetto che mi è mancato così tanto. E credo di essermene accorta solo ora.

-Mi...Mirko? Sei tu?- chiedo titubante, sperando dentro di me che il ragazzo dall’altro capo del telefono mi dia una risposta positiva. Istintivamente mi alzo, sotto lo sguardo incuriosito di tutti, e scendo le scale della gelateria, incrociando le dita. 

Una risata. 

Una risata così sconosciuta ma anche così familiare. 

Una risata così contagiosa da metterti subito di buon umore.

-Ehi, ce ne hai messo di tempo ragazzina! E smettila di incrociare le dita, ti si fermerà la circolazione!

-Ah sì, hai ragione...

Un momento, come diavolo fa a sapere che tengo le dita incrociate? Non ha dei super poteri, di questo sono sicura, e non ci sono telecamere nascoste. Credo.

-Ehi, ma... come fai a saperlo?- gli chiedo incuriosita e un po’ scettica. 

-Voltati un po’ verso destra...- Mi giro, ma non vedo nulla.

-Dall’altro lato...- sbotta annoiato. Mi volto nuovamente. Eccolo, dall’altro lato della strada, appoggiato alla palma, con un paio di bermuda blu e una canottiera bianca. Ha ancora il telefono poggiato all’orecchio e non appena incrocia il mio sguardo, credo che il suo sorriso si sia fatto più ampio e i suoi occhi più luminosi. 

Lo guardo e non riesco a credere ai miei occhi: è davvero lui, più bello di come ricordassi. Rimaniamo così, a fissarci e a scrutarci per un bel po’ di tempo: lui, sempre più divertito, con il telefono già disperso in una tasca dei suoi bermuda, io, con la bocca aperta, lo sguardo stravolto e il cellulare ancora all’orecchio.

Mi riprendo soltanto quando lui si indica la bocca e invita a chiudere la mia: oh mamma, che figuraccia! Gli sarò sembrata una vera idiota. Cerco di recuperare quel poco di dignità che mi è rimasta e mi dirigo a passo spedito verso di lui: ma non serve a nulla: anche quella scompare con l’automobile che per poco non mi investe.

Perfetto, due figuracce nel giro di quanto... dieci secondi? Ma più mi avvicino, più una strana gioia mi pervade, iniziando dal centro del petto e propagandosi per tutto il corpo. Oh, mi è davvero mancato. 

Per gli ultimi cinque metri che ci separano, accelero il passo e mi fiondo, letteralmente, tra le sue braccia. Fortunatamente Mirko intercetta tempestivamente il mio gesto, altrimenti saremmo finiti sicuramente per terra. 

Ho già fatto abbastanza brutte figure per oggi. 

Mi aggrappo a lui come un koala, allacciando le braccia al suo collo e le gambe ai suoi fianchi, stringendo così forte da soffocarlo. La mia testa si incastra perfettamente all’incavo del suo collo, permettendomi di drogarmi del suo profumo per un po’.

Adesso, quella voce che fino al quel momento mi mormorava che lui mi era mancato, adesso si fa un grido insopportabile, che dal cuore riesce a giungere il cervello e a rimbombarmi nelle orecchie. Sì, tutto di lui mi è mancato maledettamente: la sua voce, la sua risata, il suo odore... il suo labret nero.

Dopo essersi ripreso dal mio improvviso gesto, mi cinge dolcemente i fianchi, come se avesse paura di farmi del male.

-Ehi ragazzina, piano! Vuoi forse uccidere un povero nonnetto?- risponde divertito.

Quella risata cristallina mi stravolge completamente.

Stretta ancora al suo corpo, sento le guance imporporarsi e le lacrime cercare di uscire prepotenti. Perché mi sento così? In fondo io lo odio, giusto? Giusto?
Emetto un gemito soffocato contro il suo collo quando il suo abbraccio si fa più stretto, provocandogli brividi che invidio dolorosamente. Sento la sua mano staccarsi dai miei fianchi risalire lentamente, lungo la mia spina dorsale e intrufolarsi tra i miei capelli, sulla nuca, accarezzandola lievemente, come se fossi un gattino ferito.

Rimaniamo così, stretti l’uno all’altro, come due pezzi di un puzzle che terminano un quadro perfetto. Vorrei, anche se non so perché, che il tempo si fermasse il più possibile.

-Ragazzina, stai bene?- La sua voce mi riporta alla realtà e mi rendo conto della situazione imbarazzante in cui mi trovo. 

Molto lentamente e di malavoglia mi distacco da lui, che accompagna i miei movimenti con una tale dolcezza da farlo apparire una persona completamente diversa: dove è finito quel Mirko cafone e pervertito di Torino? Ma soprattutto, dove è finita quella Serena che a stento ne sopportava la vista?

Tengo lo sguardo fisso sulle mie scarpe, non osando alzare gli occhi su di lui. 

Come diavolo mi è venuto in mente di fare una cosa del genere? E dove diavolo è il mio buon senso quando serve?

Nervosa, inizio a mordicchiarmi il labbro inferiore, desiderando di poter prendere una pala e sotterrare me e la mia bipolarità. All’improvviso, Mirko mi mette una mano sotto il mento, costringendomi ad alzare il volto e fissarlo negli occhi.
Da quando in qua ha quelle stupende sfumature dorate?

-Ciao...-sussurra dolcemente, ampliando un sorriso che ho sognato per molte notti.

-Ciao- rispondo, con una faccia da pesce lesso (ne sono sicura). 

Fantastico, passo da "adolescente arrapata" a "adolescente arrapata con paralisi facciale". 

Bene, adesso che l’ho salutato civilmente, che si fa? Oh, avrei tante cose da chiedergli, tante cose che vorrei sapere... ma rimango lì, immobile, ad osservarlo. Non che lui sia un grande oratore, dopo tutto. 

Rendendosi conto di avere ancora la mano sotto il mio mento, la leva immediatamente. Una strana espressione si dipinge sul suo volto...imbarazzo? Impossibile: è Mirko! 

Quel Mirko che alla prima occasione si è fatto una mappa del mio didietro. Ma allora...

-Sai, non dovresti uscire così, attiri troppo l’attenzione...- dice improvvisamente indicando il mio vestiario. Un momento: dove è finita la dolcezza di due secondi fa? Che sia bipolare anche lui?

-Cosa c’è che non va?- esamino con lo sguardo i miei indumenti, ma mi sembra tutto a posto.

-Che vuoi dire? Non puoi uscire con quei... quei... ma che sono, slip di jeans? E poi quella maglia: lascia scoperto tutto!- esclama, quasi isterico, indicando il mio vestiario come per rafforzare il concetto. 

Lo guardo stralunata: che-cosa-ha-detto? Non è che il viaggio gli ha dato alla testa? 

-Non sono jeans inguinali, mio caro: se questi ti sembrano corti, non hai visto nulla in vita tua! Ci sono ragazze che escono davvero in slip, come dici tu. E poi- incrocio automaticamente le braccia sul petto- sei rimasto il maniaco di un tempo, vedo. Per quale motivo ti sei soffermato sulla mia scollatura? Anch'io ho una faccia che gradirebbe di essere presa in considerazione!-
Sono davvero infuriata!- E se sei venuto fin qui per darmi della prostituta, potevi anche restartene a Torino!- Lo sapevo, ho finito per urlare, e io lo odio, soprattutto in pubblico: mi fa apparire una pazza isterica. 

Ecco dove era finito il Mirko torinese: era solo nascosto dietro una maschera pronto a tendermi un vero e proprio agguato, come un leone a caccia. 
Gli volto le spalle e mi dirigo spedita verso la gelateria: non mi importa che è venuto fin qui, può anche andarsene a... una mano mi afferra il polso e mi costringe a voltarmi: due occhi supplichevoli mi si parano davanti, impedendomi di vedere oltre. Imporvvisamente, tutta la rabbia e la frustrazione scompaiono, di fronte a quel color nocciola in cui è così piacevole perdersi.

-Non volevo assolutamente darti della prostituta e non penso neanche lontanamente una cosa del genere. E non voglio assolutamente passare questi tre giorni in cui resterò qui senza di te. Quindi, o mi perdoni... o ti pedinerò per tutto il tempo.-

Il suo sorriso è scomparso, non ve ne è più traccia da nessuna parte. Al suo posto compare un'espressione seria, di quelle che non ti lasciano possibilità di replica. E adesso, cosa gli dico? E per quale motivo...

-Oh mio Dio, Mirko! I tuoi dread! Che cosa hai fatto?- Non mi ero accorta che al posto di quelle fantastiche opere d’arte aveva dei banalissimi capelli castani, rasati ai lati e con il ciuffo lungo, come si usa adesso.

Istintivamente, immergo una mano in quella stupida chioma, come per accertarmi che sia vera, provocandogli un gemito di sorpresa e mi accorgo che, forse, li preferisco così: sono così morbidi che viene voglia di toccarli in eterno e vorrei tenerli così, tra le mie dita, per tutta la vita.
Dopo essersi ripreso nuovamente dal mio sbalzo ormonale e dai miei gesti indecifrabili, delicatamente mi allontana da lui, tenendo comunque le sue mani tra le mie.

-Beh, diciamo che sono stato costretto, più o meno...-

Gli rivolgo un’aria interrogativa: che vuol dire "costretto"? Cos’è, lo hanno rapito e gli hanno detto “o i dread o la vita”?

-Non farti strane idee, ragazzina- continua, vedendo già la mia fantasia galoppare lontana- avevo fatto una scommessa con i miei amici: se fossi riuscito a laurearmi con il massimo dei voti, avrei dovuto dire addio a ciò che mi era più caro al mondo. Ma, dopo tutto, un medico con i dread è piuttosto inusuale, non trovi?- Laureato? Massimo dei voti? Medico?- Ma sono riuscito a convincerli di farmi tenere almeno questo, così avremo qualcosa in comune, no?- e afferra un dread sulla nuca, che non avevo notato fino ad ora.

-Quindi sei un medico, eh? E pensare che ti avevo preso per uno scansafatiche.- rispondo divertita. Se tutti i dottori fossero come Mirko, chiederei l’asilo all’ospedale. 
L’ho pensato davvero?

-In effetti, non lo sono ancora a tutti gli effetti, ma mi sto avvicinando. Comunque, non sono venuto fin qui per parlare di me: devo chiederti un favore.- e si fa serio in volto.
Un favore, da me? Mirko? Dalla faccia sembra qualcosa di preoccupante. Ah, che stupida, credevo davvero che fosse venuto fin qui solo per farmi un saluto. Idiota. Cerco di nascondere il mio disappunto e lo invito a continuare con un cenno della testa:- Come hai capito, resterò qui solo per tre giorni. Mi chiedevo... sì, insomma... se potevi farmi da guida turistica e mostrarmi un po’ di cose della città...-

Oh mio Dio, è diventato tutto rosso e tiene gli occhi fissi a terra: sembra un bimbo che è stato appena scoperto con la mano nel barattolo di nutella. Dove diavolo è finita tutta la sua spavalderia? Non sembra neanche lui. La scena è davvero esilarante. 
Ok Serena, non ridere. Non ridere. Fai la persona seria.

-Che diavolo hai da ridere, ragazzina? La mia proposta è davvero così sciocca?- sbotta Mirko irritato. 

Oh no, da piccola peste si è trasformato in toro pronto alla carica, con le narici dilatate e l'espressione furiosa.
Cerco di calmarmi, ma non ci riesco: tutta colpa della mi immaginazione, che fa paragoni così stupidi in momenti inopportuni. Mi volto, cercando di ritrovare un po’ di contegno e rimediare a questa situazione già disastrosa. Faccio respiri profondi e dopo aver rischiato di andare in iperventilazione, sono davvero ritornata in me. 

Mi volto, e incontro gli occhi infuriati di Mirko: ohi ohi, sembra davvero offeso. Non volevo ridere della sua proposta, anzi ne sono così felice che ballerei la macarena in mezzo alla strada. 

-Scusa, io non volevo... comportarmi così. Mi dispiace, davvero, non so cosa mi sia preso- rispondo con sguardo supplichevole e occhi da cucciolo. Sì, insomma, in versione gatto-di-Candida.

Lui continua a guardarmi e non accenna a rispondermi: è ancora arrabbiato e si vede dai suoi occhi che, grandi e pieni di vita, sono diventati due fessure cupe. Titubante, cerco di andare avanti: possibile che sia riuscita a rovinare tutto? Brava Serena, complimenti davvero, sei sempre la solita!

-Scusami Mirko, davvero! Mi piacerebbe molto fare da guida turistica al mio dread maker/ tatuatore/muralista/ tizio-per-fare-vandalismi-notturni personale. Davvero, non volevo ridere così... è che il mio cervello... sai.. i neuroni e roba del genere... hanno...- ok, cosa diavolo sto dicendo?

Gli metto una mano sul braccio, cercando di trasmettergli il mio profondo dispiacere, ma vengo distratta da quei bicipiti marmorei. I miei ormoni mi costringono a dargli una rapida occhiata, solo per ricordarmi come sono fatti. Ma quell’essere strano e fuori dal comune intercetta il mio movimento e scoppia in una grassa risata, così forte da propagarsi per tutto il viale.
Sento improvvisamente più caldo del previsto, il cuore inizia a battere freneticamente e le mie guance diventano rosse come pomodori: è ufficiale, lo odio!
Rompo, anzi no, distruggo qualsiasi legame con lui e indietreggio un paio di passi. La mia fuga però viene interrotta dall’albero: perfetto, mi sono rinchiusa con le mie stesse mani.
Mirko smette di ridere non appena intuisce il mio tentativo di darmela a gambe e si avvicina fino a essere distanti l’uno dall’altro soltanto un paio di centimetri. Sento il suo respiro caldo tra i miei capelli e il suo corpo bloccarmi lì all’istante,impedendo qualsiasi tipo di movimento.

Per sottolineare che ormai sono come un topo in trappola, punta le mani all’altezza delle mie spalle. Il caldo che sentivo prima si quadruplica e credo che il cuore mi scoppierà in petto da un momento all’altro: se la morte è questa, voglio subito provarla.

Mirko si avvicina al mio orecchio e dopo avermi spostato delicatamente i capelli, inizia una dolce tortura che, da un lato, agogno ardentemente, dall’altro ne farei volentieri a meno.
-Per questa volta ti perdono ragazzina, ma alla prossima non sarò così magnanimo- e, mentre dice queste parole, si avvicina sempre di più, arrivando a soffiare le parole direttamente sul mio collo e a far aderire il suo petto perfettamente con il mio. 

Brividi di non so cosa mi percorrono tutta la schiena e non riesco a muovere le braccia per allontanarlo da me, rimangono stese e immobili lungo i fianchi. Non ho nemmeno il coraggio di alzare gli occhi su di lui, continuando a fissare un punto indistinto sulla sua canottiera.

Ok, questa situazione si sta facendo troppo imbarazzante.

-Per quanto riguarda domani, ti vengo a prendere alle otto e mezza a casa tua: mi raccomando, puntuale, odio terribilmente i ritardatari.-

Detto ciò, si allontana bruscamente, lasciandomi come uno stoccafisso contro l’albero. Sul suo viso non c’è più rabbia né risentimento, ma un sorrisino strano, mai visto. I suoi occhi brillano di luce nuova e tutto di lui sembra essere cambiato. Lo scruto ancora, cercando di capire cosa ci sia di diverso e per quale motivo non ho più il coraggio di guardarlo negli occhi.
Ma non mi da il tempo di capire cosa sia effettivamente successo: sale su una Ducati Superbike 848 rossa e solo allora mi riprendo dal mio stato catatonico, consapevole che quello sarà il nostro mezzo per la “gita turistica”.

-Mirko, un momento, come fai a sapere dove abito? E che ero qui?- Vorrei aver pronunciato delle parole sicure e ferme, ma tutto ciò che mi è uscito sembra più un lamento di un moribondo. Sì perché, da quando non sono più incatenata in quella gabbia tra le sue braccia, sento uno strano dolore al centro del petto.

Alza la visiera del suo casco omologato e risponde divertito:- Non ci arrivi proprio? Ho dovuto corrompere una piccola gnoma. Ci si vede domani, ragazzina.-

Così, mette in mto e va via, senza lasciarmi il tempo di replicare. Una gnoma? Ma certo, dovevo immaginare che dietro tutto questo c’era mia cugina Candida! Di certo, si giustificherà dicendo che Mirko le faceva pena, che è un bravo ragazzo e roba del genere. Oh, ma questa me la pagherà. Eccome, se me la pagherà.

-Mi chiamo Serena, CAFONE!- urlo con tutta la forza che ho in corpo, ma ormai la moto è già lontana e non mi avrà sicuramente sentita. In compenso, lo hanno fatto tutti i clienti della gelateria di fronte e le tranquille persone che passeggiano per il viale. 

Di bene in meglio.

Stringo i pugni amareggiata, fino a farmi diventare le nocche bianche e a grandi falcate mi dirigo verso il bar. Con uno scatto rabbioso, sposto la sedia e mi lancio frustrata su di essa, rischiando di rovesciare tutto. Sbuffo, e sbatto un pugno sul tavolo, segno che in questo momento posso uccidere qualcuno a mani nude.

E saprei perfettamente su chi riversare la mia furia omicida.

Giorgia ed Etciù mi guardano preoccupate forse più per se stesse che per me, mentre Marco si allontana divertito :- La fase premestruo questa volta non c’entra, eh?- Lo guardo con gli occhi fiammeggianti, pronta a saltargli addosso da un momento all’altro e staccargli la testa dal resto del corpo. Ma sono sicura che poi me ne pentirei: in fondo, è il mio migliore amico. 

Ritrovata un po’ di calma, scruto tutti lentamente: mi porgono domande silenziose su cosa è appena caduto. D’altro canto, non avevo parlato a nessuno di Mirko, perché lo reputavo soltanto una comparsa nella mia vita. E invece, ecco che si ripresenta, costringendomi ad affidargli una parte più importante.

-Era Mirko, il tizio che mi ha fatto i dread a Torino.- Sbuffo, iniziando a mangiucchiare la crèpe che ormai si stava sciogliendo. Fantastico, mi è anche passata la fame!

Etciù e Giorgia si guardano negli occhi. Mi sembra già di sentirle: perché è venuto qui? Gli piaci? Ti piace? State insieme? Insomma, un interrogatorio a cui non potrò sottrarmi facilmente.

Sospiro, cercando di calmarmi ulteriormente e inizio a raccontare di come un dread maker/tatuatore/muralista/ tizio-per-fare-vandalismi-notturni sta iniziando a sconvolgermi la vita.

NOTA: Rieccomi con il nuovo capitolo! mmm... per la povera Serena le cose iniziano a complicarsi, eh? Chissà cosa succederà nel prossimo capitolo! Pertanto, vi aspetto al nuovo aggiornamento tra 15 giorni... o forse anche prima, chissà! Ringrazio tutti coloro che hanno letto la mia storia: se avete suggerimenti o consigli da darmi, sarò felice di ascoltarli. A presto!
  
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