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Autore: Mistryss    27/12/2012    0 recensioni
Correva l'anno 1760 circa, e fra i tetti di una città del paese di Arjanne, si aggirava una misteriosa figura nerovestita.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Era ormai tarda sera, da alcune ore il sole era sceso oltre l’orizzonte, lasciando posto alla luna che splendeva alta nel cielo notturno rischiarandolo. La città pareva quasi addormentata, non volava una mosca. O forse sì? Qualcuno non stava dormendo, anzi, era più sveglio che mai: Black Rose. Aveva appena messo a segno un altro colpo, e immediatamente s’era dato alla fuga. Al suo inseguimento c’erano i gendarmi chiamati dalla vittima del furto, e ovviamente Maria, come al solito intenzionata a non farsi sfuggire la preda. Una volta tanto, nonostante fosse fuggito subito, l’inseguimento si stava svolgendo a terra, senza che il ladro fuggisse sui tetti come invece accadeva il più delle volte.
- Correte pure finché volete, ma tanto non mi prenderete mai! - disse in tono di scherno ai gendarmi, voltandosi ancora in corsa verso di loro.
Essi accelerarono la loro corsa, cercando più volte di sparargli, ma senza successo, nonostante una volta lo avessero mancato di pochi centimetri. Aveva parecchi metri di vantaggio ed era molto più agile di loro, abituati a brevi corsette a piedi, e a cavallo per le rare volte in cui erano lunghe. Non c’erano molte speranze di competere. Il giovane si guardò intorno preoccupato: erano arrivati al quartiere povero della città.
<< Maledizione! Se proseguiamo per questa strada arriveremo all’orfanotrofio! >> pensò maledicendosi per non averci pensato prima. << E non posso nemmeno andare oltre, o scoprirebbero il nascondiglio della refurtiva… Devo liberarmi di loro! >>
Salì su una casa lì vicina, in modo da levarseli di torno. I gendarmi della città in confronto a lui erano dei mollaccioni, quando saliva sui tetti non c’era verso che lo raggiungessero, quindi cercavano di seguirlo da sotto, nella speranza che finisse in un punto morto, o che riuscissero ad abbatterlo. Egli invertì il senso della sua corsa in modo da allontanarli il più possibile da quella zona, e li condusse nel punto a lui più congeniale, quindi finse di proseguire ancora, ma si nascose appendendosi dall’altro lato di un altro tetto. Il trucco pareva funzionare: i gendarmi, convinti, proseguirono senza dubbi e senza fermarsi o voltarsi. Tirò un sospiro di sollievo, un problema era risolto.
- Ora…
Si voltò tranquillamente, trovandosi a pochi passi da Maria che era riuscita a raggiungerlo, e non era dunque caduta nello stesso tranello dei gendarmi. Non che ci sperasse, sapeva che la sorella era sveglia e non cascava in simili trucchetti. Una cosa su di lei era certa: non si arrendeva mai.
- …non resti che tu, ragazzina. - la sua era una palese provocazione.
La giovane strinse saldamente la spada con aria minacciosa.
- Non chiamarmi ragazzina, ladro! - inveì.
Sul volto del suddetto ladro comparve un sorrisetto divertito.
- E perché dovrei? Infondo è ciò che sei: una ragazzina, tra l’altro direi anche bassa, sai?
- Co.. - biascicò lei stizzita.
Anche se erano al buio, era certo che la faccia della nobile fosse completamente rossa dalla rabbia, e l’idea lo fece sghignazzare fra sé e sé. Forse non era il momento, però era troppo divertente e facile prenderla in giro! Sapeva tutti i suoi punti deboli e ne approfittava, sia a casa, che quando duellavano! Sapeva perfettamente che detestava essere definita bassa, era una cosa che non poteva sopportare, e bastava farglielo notare per farla i innervosire, e sapeva anche perfettamente che chiamarla ragazzina era il miglior sistema per farla esplodere, perché lei voleva dimostrare di essere molto più che una semplice ragazzina, una come tante altre, voleva che fosse riconosciuta per ciò che era in grado di fare, quindi chiamarla in quel modo generico era estremamente frustrante per lei.
La diretta interessata sfoderò la sua arma, puntandogliela contro.
- Se hai energie per blaterare, allora le hai anche per combattere! Avanti, fatti sotto! - disse sfidandolo apertamente.
In realtà il giovane ladro avrebbe preferito evitare l’ennesimo duello, ma se fosse fuggito lei lo avrebbe inseguito e non lo avrebbe mollato finché non l’avesse affrontata, e quindi le cose si sarebbero solo complicate. Sospirò.
- Non ti arrendi mai, eh? E va bene, ma ti avviso che stasera sono di mal umore, non ti lamentare se non giocherò a lungo!
Maria si stizzì, e senza attendere oltre partì con un fendente che però non andò a segno in quanto il ragazzo arretrò leggermente e parò con forza il colpo. La giovane con quell’attacco aveva scoperto le sue difese, e Jean sapeva bene quale sarebbe stata la mossa migliore in quella situazione, ma come sempre per non farsi scoprire preferì andarci piano, limitandosi a colpire con un rovescio sgualembro, che descrive un mezz’arco da sinistra a destra in diagonale, in modo da colpire la spalla della ragazzina. O almeno questa era l’idea, poiché l’attacco venne egregiamente parato, segno che stava decisamente migliorando. La vide accennare a una stoccata, e si preparò quindi a contrattaccare, ma questa si rivelò una finta, e solo approfittando dell’effetto sorpresa, Maria eseguì infine la stoccata che ferì il nobile al fianco sinistro. Egli emise un gemito di dolore tenendosi una mano sulla ferita. Questa volta rispetto a molti altri loro combattimenti gli aveva fatto veramente male.
<< Mpf, si vede che sta imparando bene… >> pensò.
Il duello proseguì a lungo, senza esclusione di colpi, ciascuno parava, attaccava e contrattaccava, infliggendo l’uno all’altro lievi ma dolorose ferite. Il ladro infondo non voleva ferire gravemente, per lui era quasi un gioco, ma lo stesso non si poteva dire per la nobile, che non riusciva a colpire seriamente a causa della rapidità del suo avversario, che riusciva sempre a schivare quel tanto necessario per non subire ferite gravi.
Ma più lo scontro continuava, e più i due si spostavano, finché non arrivarono che a una casa dall’orfanotrofio, nel quale c’erano ancora luci accese. Tutto ciò non andava bene.
<< Non posso avanzare oltre, o attirerei l’attenzione dell’orfanotrofio, o ancora rischierei di condurci Maria. E non deve accadere nessuna di queste due opzioni >> pensò mentre continuava a duellare, cercando di trovare una soluzione una soluzione. << Questa volta non posso più giocare con lei, fino ad ora mi sono tenuto al suo livello e le ho dato l’impressione che ci fosse un divario minimo, per non farmi scoprire, ma se voglio chiudere qui devo alzarmi almeno di una spanna al di sopra di lei. >>
Era rischioso, a lungo andare avrebbe potuto capire, ma non aveva scelta. Fece un invito di quarta, col quale scoprì volontariamente il fianco e il torso, in modo da creare un’apertura in cui Maria avrebbe potuto attaccare. Era una trappola, ma dato che lei non conosceva l’arte del combattimento allo stesso livello del fratello, ci cascò. Partì all’attacco con un affondo, ma egli rapidamente lo parò, dunque eseguì una cavazione, con la quale ribaltò la posizione delle lame, quindi approfittando dell’attimo di sorpresa della ragazza eseguì un roverso tondo, colpo orizzontale che va da sinistra verso destra, colpendo il fianco destro, che provocò una ferita al fianco della nobile neanche molto leggera, la quale le provocò sufficiente dolore da distrarla e non farla reagire al colpo successivo: un montante che questa volta la ferì al petto. Si portò la mano destra alla ferita, stringendo i denti per non urlare di dolore. Jean non avrebbe voluto farle veramente del male, m a questa volta doveva fermarla, quindi si portò alle sue spalle e con un colpo al collo la fece svenire. La afferrò al volo prima che cadesse a terra, dunque delicatamente la appoggiò a un comignolo lì vicino. Controllò che non lo vedesse nessuno, cosa praticamente certa dato che aveva mandato via i gendarmi, dunque si avviò verso il nascondiglio del bottino, senza accorgersi che qualcuno lo aveva notato.
Il luogo in cui teneva il malloppo non era lontano: si trattava di una casa disabitata e ormai mezza distrutta in cui non veniva mai nessuno. Si calò da un buco nel tetto in quella che un tempo doveva essere stata la soffitta, e che ora non era altro che una stanza buia, umida e con il pavimento in legno marcio in più punti. E in una rientranza del muro, coperta da alcune tegole cadute, teneva i soldi e la refurtiva ancora da rivendere. Scostò i calcinacci che nascondevano il tutto, ed estrasse un sacco in tela, di quelli usati per le patate, contenente numerose monete. Era ciò che era riuscito a guadagnare dall’ultima visita all’orfanotrofio. Se lo caricò in spalla, quindi lo portò fin sotto il buco da cui era passato, e legandolo a una corda che aveva fatto passare su una trave scoperta, lo issò con forza, finché arrivato sulla trave, legò la corda per fissarlo, e con un rampino si issò a sua volta, per poi recuperare il sacco e metterselo a spalle come si farebbe oggi con uno zaino.
Dal tetto si aveva una perfetta visuale del quartiere povero. Era un ammasso di case più o meno rovinate, la maggior parte a un solo piano, molto semplici. Si avviò continuando a stare sui tetti, lasciando cadere ogni tanto sull’uscio di qualche abitazione, tre o quattro monete d’oro, che tintinnando al contatto con il suolo si arrestavano più o meno vicine fra loro. Tutto ciò non era un caso o un errore: sapeva bene cosa faceva, quei soldi li gettava apposta davanti alle case di quei poveracci di quando in quando, così da permettere loro ogni tanto di avere qualcosa in più da mangiare o vestire. Il quartiere era grande, ma a più turni cercava di coprirlo tutto, tentando anche di essere equo e non dare l’oro solo ai soliti. Distribuendo monete, arrivò a pochi metri dall’orfanotrofio, la sua destinazione. A quel punto, non toccò più alle monete, ma estrasse una rosa nera, la sua firma, e la lasciò cadere dove aveva lasciato le ultime monete. Non era per egocentrismo o autocompiacimento che ogni volta lo faceva, bensì per far sapere a quella povera gente che aveva abbandonato quasi la speranza, che qualcuno ad aiutarli c’era, che non erano soli. Proseguì senza esitazione in direzione dell’orfanotrofio, ma da una strada diversa rispetto a quella imboccata nel duello. Da lì non riusciva a vederla, chissà se Maria s’era già ripresa? Conoscendo la sua pellaccia dura, era praticamente una certezza. Le aveva inferto un paio di ferite piuttosto serie per i suoi soliti standard, non le avrebbero certamente impedito di muoversi, ma non sarebbe tornata alla villa molto rapidamente. Poggiò la mano sul fianco ferito, costatando che perdeva ancora sangue, come se già non fosse bastato il dolore di per sé. Cercando di ignorarlo, continuò verso la sua meta. Fin da quando era piccolo suo padre lo aveva allenato nella scherma insegnandogli anche a sopportare il dolore provocato dalle ferite, almeno fino ad un certo punto, per questo resisteva piuttosto bene a tutti quei tagli. Camminò per neanche una decina di minuti, e arrivò a destinazione: il brefotrofio era davanti a lui. Era un edificio a pianta rettangolare alto tre piani, i cui muri erano in più punti crepati o direttamente rotti. Un vecchio cancelletto arrugginito lo divideva dal resto delle case, creando così un piccolo giardino, per quanto modesto e mal messo. Tutt’attorno si trovavano altre abitazioni, la zona alla sua destra era quella in cui era andato fuggendo dai gendarmi e affrontando Maria. Agganciò il rampino al tetto e si calò giù con attenzione, poi una volta arrivato a terra, si diresse verso la struttura. Non poteva passare dall’ingresso principale: nonostante fosse buio non si fidava, non intendeva rischiare di essere visto mentre entrava, perché se qualcuno lo avesse notato l’intero orfanotrofio, l’intero orfanotrofio probabilmente sarebbe stato nei guai. Costeggiò dunque la cancellata finché non arrivò alla facciata posteriore dell’edificio, lì si trovava un ingresso secondario che dava su un piccolo cortile. Scavalcò agilmente la cancellata e prese la porta. Non si assicurò nemmeno che fosse aperta, sapeva che non la lasciavano mai chiusa. Una volta entrato, si trovò nella cucina dell’istituto, avvolta nella tenue luce data dalla luna che splendeva in cielo, filtrata da una piccola finestra sgangherata, che consentiva solo di distinguere vagamente le forme della stanza. Si mosse con cautela, non voleva fare rumore e attirare l’attenzione, preferiva posare i soldi in un posto dove li avrebbero potuti facilmente trovare l’indomani, a dileguarsi rapidamente. La cucina era modesta, almeno tre volte più piccola di quella della sua villa, c’erano alcune pentole appese, forse per farle asciugare, e un grosso tavolo al centro della stanza per tagliare carne e verdure. Avanzò quasi a tentoni nella penombra finché non trovò la porta d’uscita. Dava su una modesta sala da pranzo, un lungo tavolo in legno massiccio si stagliava al centro. Pareva il punto ideale su cui posare i soldi, quindi rapidamente slacciò la sacca e in assoluto silenzio la poggiò al centro della tavola, al contatto con la quale tintinnò lievemente, per poi adattarsi al supporto piano. Fece quindi per andarsene, ma una voce attirò la sua attenzione.
- Ve ne andate di già?
Era sorella Josephine, che in tutta calma stava entrando nella sala da pranzo dalla porta principale. Jean si abbandonò ad un sospiro, quindi si rivolse verso di lei.
- Mai una volta che riesca ad entrare senza farmi notare, eh? - commentò leggermente ironico.
L’anziana donna sorrise gentilmente, senza nascondere però la stanchezza nel suo volto.
- Avete nuovamente portato dei soldi per noi, e ciò mi fa sperare di riuscire a raggiungere la cifra necessaria per acquistare il terreno. Vi ringrazio davvero, ma siete sicuro di ciò che fate? Tutto ciò è rischioso…
La sua domanda lasciò abbastanza sorpreso il giovane, che non si aspettava minimamente che ella si preoccupasse per lui, invece che della legalità della cosa.
- Mi sorprendete sorella, l’azione di per sé pare non preoccuparvi, eppure sapete bene che sono soldi rubati. - le disse con una lieve risata divertita, per via della situazione.
L’anziana donna gli rivolse uno sguardo molto duro, tipico spesso di chi è disposto a tutto per un solo obiettivo.
- Pur di evitare che questi poveri bambini finiscano sulla strada, accetterei soldi dal diavolo in persona. - disse.
Quella determinazione gli fece per un istante gelare il sangue nelle vene. Era a questo che portavano le azioni di suo padre? La sua freddezza quando si trattava di soldi aveva portato una suora, che dovrebbe avere una condotta morale esemplare, addirittura a non farsi scrupoli legati a ciò che la sua religione considerava peccato, pur di impedire che distruggessero l’istituto. Più passava il tempo, e più quell’uomo lo disgustava.
Lo sguardo della suora però si addolcì, quasi come per cancellare quando detto poco prima.
- Però sono certa che infondo Dio saprà perdonarmi per questo. - aggiunse.
Nessuno dei due si accorse che dalla porta principale che conduceva alla sala, lasciata socchiusa, un bambino stava ascoltando la loro conversazione. Era uno degli orfani, era piuttosto magro, dimostrava occhio e croce dieci anni, anche se probabilmente basso per la sua età.
Jean si tastò con la mano destra la ferita al fianco sinistro con una malcelata smorfia di dolore sul volto, per quanto in parte nascosto dalla maschera. Il taglio aveva ripreso a fargli parecchio male, si sentiva il sangue pulsare, e per un attimo temette che la situazione fosse più grave di quanto gli era inizialmente apparsa. Anche se era nella semioscurità, ciò non sfuggì a sorella Josephine.
- Avete bisogno di aiuto? - gli domandò.
Il giovane accennò un sorriso.
- Vi ringrazio dell’interessamento, ma sto bene. Ora se permettere, è meglio che me  ne vada. - rispose gentilmente. - Arrivederci.
Quindi voltò le spalle alla donna, prendendo la porta da cui era entrato, e sparendo nel buio.

                                                                             ***
Il giorno seguente, Jean e Maria stavano attraversando la città sulla carrozza destinata al loro uso personale. Avevano deciso di approfittare della bella e calda giornata per andare a fare una gita al lago giusto fuori città. Sfortunatamente, rispetto alla zona ricca, esso si trovava dal lato opposto, ragion per cui la carrozza era costretta a passare per il centro abitato, attraversando dunque le tre principali zone che lo componevano. Al momento si trovavano nel borgo più povero, che i due nobili guardavano dai vetri in un misto di tristezza, rabbia e angoscia, perché infondo non era un bello spettacolo.
- Ci verrò poche volte da queste parti, ma ogni volta questo posto mi mette addosso una tremenda tristezza. Possibile che non si possa fare niente? - domandò Maria, abbandonandosi sul morbido sedile.
Jean ridacchiò amaro.
- Per molti della nostra classe sociale, si risolverebbe il problema distruggendo questo borgo… - fu il suo commento, insieme ad un sospiro.
- Tsk! Come al solito, per loro il problema non si pone nemmeno… - disse la giovane, acida.
Erano passate solo poche ore dal duello della sera prima, le ferite dei due non erano ovviamente guarite, ma entrambi facevano il loro meglio per non darlo a vedere. Ognuno  s’era medicato o fatto medicare nella maniera migliore possibile, e ora stavano lì, uno davanti all’altro, facendo finta di nulla, come se il taglio sul petto, la ferita al fianco, o altre ferite più lievi non fossero mai esistite.  Ormai c’erano abituati.
Il giovane guardò fuori dal finestrino, e immediatamente lo notò: stavano passando davanti all’orfanotrofio. Sorrise, trovandola una bizzarra coincidenza. Ma ben presto il sorriso sul suo volto si spense, quando vide il padre e alcuni uomini armati di mazze, fermi davanti alla struttura con Sorella Josephine che si rivolgeva loro probabilmente contrariata. Tutto ciò non gli piaceva, doveva vedere da sé cosa stava succedendo! Aprì la finestrella dietro di sé che permetteva di comunicare col cocchiere.
- Monsieur! Per favore, fermate la carrozza! - esclamò frettolosamente a voce alta.
- Siete sicuro Monsieur? - domandò l’altro sorpreso, non aspettandosi una richiesta del genere.
Ma nonostante questo, prese a rallentare, in modo da potersi fermare in caso di risposta affermativa.
- Sì! Ho bisogno di scendere subito!
L’uomo annuì e fece per fermare la carrozza, così il nobile immediatamente aprì la porta e fece per scendere. Maria non capì la reazione del fratello, e lo osservò sorpresa. Infondo, non sapeva assolutamente nulla dell’orfanotrofio.
- Jean! Si può sapere che stai facendo?! - domandò quando lui scese, affacciandosi dalla portiera.
- Scusa sorellina, devo vedere una cosa. - fu la risposta, voltandosi verso di lei.
- E la gita al lago?
- Non ne ho più voglia oggi, se vuoi vai tu, altrimenti andremo un’altra volta, va bene?
La giovane sbuffò, calmandosi.
- Da sola non è divertente… Ci andremo un’altra volta… - quindi si rivolse al cocchiere. - Monsieur Manet, torniamo a casa per piacere.
Quindi chiuse la porta e la carrozza ripartì, lasciando il giovane da solo. Rapidamente attraversò la strada dirigendosi verso il padre e i suoi uomini, ancora davanti alla struttura. Essi gli davano le spalle, quindi per farsi notare doveva per forza chiamarli.
- Padre! - disse a gran voce dirigendosi verso quest’ultimo, che sentendosi chiamare si girò.
- Jean. Potrei sapere che cosa ci fai qui? - domandò con tono freddo e autoritario.
Il giovane lo guardò dritto negli occhi deciso, in modo da dimostrargli che non lo temeva.
- Vi ho visto mentre passavo in carrozza, e ho voluto raggiungervi. - spiegò.
Osservò sorella Josephine, che a sua volta guardava preoccupata a supplichevole Monsieur De la Rou quindi tornò nuovamente su suo padre. Bastava la sua sola presenza a fargli temere il peggio. Che avesse scoperto come racimolavano i soldi? Che avesse trovato il modo di costringerli ad abbandonare l’istituto? L’unico modo per scoprirlo era chiedere.
- Potrei sapere che cosa fate in questo posto? La signora non sembra particolarmente felice di vedervi. - constatò con tono calmo, tramite il quale cercava di mascherare l’ansia.
Sul volto dell’uomo a quella domanda comparve un sorriso compiaciuto, tipico di quando stava per ottenere ciò che voleva.
- Nulla di importante, sono semplicemente venuto a far sgomberare questo terreno, poiché lo sto per rilevare.
- Non potete farlo! - esclamò la suora intromettendosi.
Il nobile la guardò con aria di sufficienza.
- Certo che posso, invece. - fu la sua fredda risposta.
Jean lo osservò alcuni istanti. Come temeva, suo padre non aveva la minima intenzione di tener fede agli accordi, e a giudicare da ciò che gli uomini con lui tenevano in mano, intendeva demolire l’abitazione. Cosa fare? Doveva impedirglielo in qualche modo!
- Padre, la sorella ha ragione, non potete! - si espresse infine, prendendo l’iniziativa, per quanto sapesse che opporsi pubblicamente al genitore fosse rischioso. L’uomo lo guardò sorpreso e allo stesso tempo infastidito da quel comportamento.
- E perché mai? - domandò quasi arrogante.
- Perché sono passati solo tre mesi! Voi avevate detto sei mesi per lo sgombero. - rispose parlando chiaramente. - Perdonatemi, ma all’epoca assistetti per caso alla vicenda, sentendo così anche quanto tempo concedevate. - aggiunse abbassando lo sguardo, per non incontrare quello del padre: lo odiava, ma allo stesso tempo provava un certo timore nei suoi confronti.
Egli fece un gesto seccato con la mano, quindi prese nuovamente la parole.
- Sono dettagli. Cosa fare lo decido io, dunque se voglio che se ne vadano ora, devono farlo. - affermò perentorio.
Il giovane serrò i pugni, nervoso. Suo padre non aveva la benché minima etica professionale, poteva benissimo cambiare le carte in tavola a suo piacimento, senza tener conto dell’altra parte coinvolta!
Non poteva permettere che continuasse in quel modo, non lo avrebbe accettato. Era perfettamente consapevole che insistere in quel modo poteva rivelarsi pericoloso, c’era il rischio di fornire chiari indizi circa l’altra sua identità, ma non poteva fare altrimenti per fermarlo. Rapidamente si spostò da fianco al padre, a di fronte a quest’ultimo, con alle spalle sorella Josephine e l’orfanotrofio, distendendo le braccia, quasi come a voler coprire tutto quanto col suo corpo.
- << È rischioso, ma devo fermarlo. >> Mi dispiace padre, ma non intendo permettervelo!
L’uomo lo guardò torvo.
- Osi metterti contro di me? - chiese con tono di minaccia.

Intanto all’interno dell’orfanotrofio, i bambini assistevano a tutto ciò col fiato sospeso. Sapevano che cosa era venuto a fare quell’uomo, era ovvio che cercasse il modo di farli andare via prima del tempo, solo non ne capivano il perché. E dire che stavano racimolando molti soldi per comprare l’orfanotrofio.
Fra tutti loro, uno pareva particolarmente interessato a quanto accadeva fuori. Era lo stesso della sera prima, e sembrava studiare soprattutto la figura di Jean. Perché? Cosa gli passava per la testa? Sul piccolo volto smunto era dipinta un’espressione attenta e allo stesso tempo curiosa mentre fissava la figura del giovane nobile.

Jean fissò dritto negli occhi il padre con aria di sfida senza retrocedere o esitare.
- Non sarebbe mia intenzione, ma non posso permettervi di venire meno alla vostra parola. - spiegò serio ma cercando di mantenere un tono pacato e rispettoso.
Preferiva non mettersi troppo in mostra, per quanto fosse già molto rischioso quanto aveva osato fino ad ora; volare basso doveva essere l’obbligo d’ora in poi. Ma allo stesso tempo doveva fermare quella sete di denaro che caratterizzava il genitore, che assunse un’espressione stizzita.
- E per quale motivo non dovrei? Sentiamo. - fu la fredda domanda da parte dell’uomo.
- Non vorrete che si diffonda la voce che non mantenete la parola data, no? Se si sentisse rischiereste di perdere non pochi clienti. - rispose tentando di nascondere una sottile nota di provocazione nella voce.
Doveva pur in qualche modo istigarlo, provocargli una qualche reazione al riguardo.
Egli ebbe un moto di stizza, con un gesto della mano mandò via i suoi uomini, quindi diede le spalle al figlio con un sospiro. Per lui ciò che contava di più erano la reputazione e gli affari, non poteva permettere che per una maldicenza tutto andasse a monte.
- Devo ammettere che hai ragione. - disse. - E sia, vi concederò altri tre mesi. - sentenziò infine, per quanto infastidito da quella situazione.
Sorella Josephine tirò un sospiro di sollievo, grata dell’intervento del giovane nobile in difesa dell’orfanotrofio. Il Signore era dalla loro parte.
- Vi ringrazio, Monsieur.
Jean si voltò verso di lei con un sorriso, cercando però di non assumere nessuno di quegli atteggiamenti che abitualmente aveva in presenza della suora. Non intendeva assolutamente farsi scoprire.
- Di nulla, sorella. Purtroppo mio padre quando si tratta di affari a volte tende a bruciare le tappe. - spiegò cercando di fare la parte del figlio fedele al padre.
Notò che il genitore intanto si stava allontanando a piedi, la carrozza probabilmente era poco lontana. Non gli aveva più rivolto parola, evidentemente non gli andava giù di dover attendere altri tre mesi.
Sentì nuovamente dolore al fianco ferito, non bastava un giorno infondo perché guarisse. Distratto dall’osservare Monsieur De la Rou, d’istinto si poggiò la mano sulla ferita, ma rendendosi quasi subito conto di quanto stava facendo, rapidamente la tolse. Non intendeva fornire il minimo indizio.
Si congedò con un breve saluto dalla suora, quindi fece per avviarsi a piedi verso la villa. La strada era lunga, ma ormai era abituato e la cosa non lo preoccupava affatto. Solo dopo parecchi metri capì che qualcosa non andava: sentiva dei passi dietro di sé. E dire che in un posto così affollato come il distretto povero, era difficile arrivare a pensare di essere seguiti in pieno giorno da qualcuno, soprattutto se si era uomini. Eppure, li sentiva chiaramente. Passi irregolari, certo, ma che guarda caso rallentavano o acceleravano quando lo faceva lui. Di certo  non era una coincidenza. Si voltò di scatto, sperando così di cogliere in flagrante chi lo stava pedinando, ma di fronte a lui non vide nulla di strano. Guardò a destra, a sinistra, ma niente. Che se lo fosse immaginato? Poi, all’improvviso, sentì qualcosa tirargli un lato della giacca, costringendolo ad abbassare lo sguardo. Davanti a lui si trovava un bambino dall’aria gracile e smunta, dimostrava all’incirca una decina d’anni, per quanto fosse basso; era lo stesso che poco prima e anche la sera precedente lo aveva spiato senza che se ne accorgesse. Il giovane nobile lo osservò sorpreso, quindi con un sorriso gentile in volto, si chinò per essere all’altezza del bambino.
- Sei tu che mi stavi seguendo? - gli chiese.
L’altro annuì lievemente.
- Posso sapere il perché?
Nonostante quell’aria gracilina, il suo sguardo era così forte da essere in contrasto col suo aspetto.
- Tu sei Black Rose, vero?
Quella domanda gli gelò il sangue nelle vene. Com’era possibile che lo avesse scoperto?! Non si erano mai visti prima! Tutto ciò era assurdo.
Nonostante l’attimo di panico, cercò di darsi un contegno.
- Perché mai dovrei essere quel ladro ridicolo? - chiese con una risata, come se quel bambino avesse detto una cosa priva di senso.
Il piccoletto gli lanciò un’occhiataccia e lo squadrò silenziosamente da capo a piedi.
- Sei tu, ammettilo! - insisté.
Come se semplicemente insistendo Jean gli avrebbe detto la verità!
- Non essere ridicolo…
L’altro lo guardò torvo, quindi prese a camminargli intorno.
- So che Black Rose è stato ferito… - disse avvicinandosi al fianco del giovane, al quale diede una forte manata nel punto in cui era ferito. - …esattamente al fianco sinistro! - esclamò infine.
Il colpo non era molto forte, normalmente come unico effetto avrebbe provocato fastidio, ma fu sufficiente perché Jean facesse una chiara smorfia di dolore, stringendo i denti per non imprecare.
- Come… lo sapevi? - domandò il nobile cercando di sopportare il dolore.
- Ti ho visto ieri sera. - affermò fiero.
<< Marmocchio malefico… >> pensò, perché a parer suo bisognava essere malefici per colpire volontariamente dove si supponeva ci fosse una ferita.
Sospirò.
- D’accordo, mi hai scoperto. - ammise infine mentre il dolore scemava. - Quindi? Che cosa vuoi da me?
Il bambino lo guardò negli occhi serio e deciso, non si leggeva timore o esitazione in lui.
- Voglio essere adottato. - disse.
Al giovane per poco non prese un colpo.
- Cosa?! Mi dispiace, ma non posso adottarti. - si affrettò a far notare.
Non viveva mica da solo! Figuriamoci se avrebbe potuto adottare lui stesso un bambino!
- Non voglio essere adottato da te, - replicò l’interessato. - voglio che mi aiuti a trovare qualcuno che mi adotti.
Quella richiesta lo spiazzò. Certamente non era un qualcosa che si sentiva tutti i giorni, eppure la risposta non lasciava scappatoie.
- Scordatelo. Non sono un orfanotrofio! Né gestisco il tuo!
Quindi si voltò e riprese a camminare, e il bambino dietro di lui.
Pensò che forse il piccoletto non sarebbe andato a dire in giro chi egli fosse, magari sarebbe bastato dirgli che se lo avesse fatto, non avrebbe più aiutato l’orfanotrofio, e la cosa si sarebbe risolta, quindi perché preoccuparsi?
Proseguì per un centinaio di metri, i passi irregolari di quel piccolo seccatore che riecheggiavano dietro di lui. Fece finta di ignorarlo bellamente, sperava che così si sarebbe arreso, eppure nulla, anche dopo duecento metri non mollava, per quanto piccolo che fosse sentiva sempre il suo fiato sul collo, e ciò era davvero irritante. Alla fine esasperato si fermò di botto, e ci mancò poco che l’altro gli andasse a sbattere contro.
- Ha intenzione di seguirmi ancora per molto?!
- Ti seguirò finché tu non mi aiuterai!
Jean sospirò. Era davvero insistente il piccoletto!
- Rinuncia allora, perché non intendo aiutarti. - affermò.
Anche perché se lo avesse aiutato, poi sarebbe andata a finire che altri avrebbero voluto il suo aiuto, e lui aveva di meglio da fare che cercare possibili genitori per quei bambini. Tanto valeva a quel punto che aprisse lui stesso un orfanotrofio!
Riprese a camminare, questa volta con mille pensieri per la testa. Come poteva sbarazzarsi di quel pedinatore in miniatura? Sembrava deciso a ronzargli intorno finché non l’avrebbe accontentato. Gli venne quasi da ridere per il suo comportamento: si vedeva che non ci sapeva fare, che non aveva ideato metodi di persuasione efficaci, se ci avesse solo pensato un po’ più seriamente, avrebbe potuto ricattarlo dicendo che avrebbe rivelato la sua vera identità, che era infondo la cosa più ovvia da fare.
In quel momento il bambino si fermò, serrando i pugni come una peste.
- Se non mi aiuti dirò a tutti, gendarmi compresi, che tu sei Black Rose!
Ecco, appunto.
Il nobile si maledisse per averlo anche solo pensato. Cos’era, gli aveva letto nel pensiero? La prossima volta avrebbe certamente evitato. Si voltò verso il suo ricattatore, seccato.
-Se io venissi scoperto nessuno aiuterebbe più l’orfanotrofio, non t’importa? - chiese, riponendo in quella domanda la speranza di una risposta affermativa con cui tenerlo in pugno.
- No. - fu la secca replica. - Tanto secondo me anche con il tuo aiuto non riusciranno a salvarlo.
Con quanto detto, gli aveva definitivamente tolto ogni possibile scappatoia. Se con la sua cattura non aveva niente da perdere allora non c’era modo di volgere la situazione a suo favore.
- E va bene, hai vinto: ti aiuterò. - si arrese infine.
Con la minaccia di andarlo a dire alle forze dell’ordine, lo aveva messo con le spalle al muro.
Il bambino sorrise trionfante e fiero di sé: finalmente qualcuno che gli dava retta! E mentre egli gongolava per la propria vittoria, il giovane nobile cercava di ideare un sistema che gli consentisse di liberarsi in fretta di quell’improvviso impegno che s’era preso. Di certo nel distretto povero era difficile che qualcuno fosse in vena di adozioni, a mala pena sopravvivevano, figuriamoci con un’altra bocca da sfamare.
Ripresero a camminare, questa volta affiancati, mentre il nobile rifletteva, e un dubbio si faceva strada in lui.
- Senti un po’ piccoletto… - esordì, intenzionato a dar voce al suo pensiero.
- Non sono un piccoletto, mi chiamo Julien.
- E va bene, Julien. Mi spieghi come hai capito che io sono Black Rose? Non ci siamo mai incontrati prima d’oggi! - proprio non se lo spiegava.
- Beh, veramente non lo avevo veramente capito, è che ci speravo. Credevo che nessuno, a parte Black Rose, potesse salvare l’orfanotrofio. Quindi quando ti ho visto fuori, ho sperato che quel ragazzo che ci stava difendendo fossi tu.
Jean sorrise.
- Infondo credo di essere l’unico che può fermare la bramosia di mio padre. - affermò.
- Quello è tuo padre?!
- Eh sì.
Julien rimase a bocca aperta per qualche istante, quindi continuò.
- Poi ieri notte ti ho visto quando sei stato ferito: c’è una stanza all’orfanotrofio da cui si vedeva bene il combattimento ieri sera. E stamattina ho visto quando hai poggiato la mano sul fianco! Speravo che fosse per quello. Ieri ti ho anche sentito parlare con sorella Josephine, e ho più o meno ho memorizzato la voce, quindi quando mi hai parlato, ci ho pensato! - spiegò entusiasta di poter far mostra del suo intuito. - Ieri sera era un pochino diversa però… - aggiunse pensieroso.
Il ragazzo lo ascoltò in silenzio. Credeva di non aver lasciato il minimo collegamento fra le due identità, eppure era stato beccato. Accidenti alla fretta di suo padre!
- Di solito la camuffo meglio, ma ieri sera ero piuttosto stanco… In ogni caso, dovrò migliorare.
Non poteva permettere che qualcun altro lo scoprisse. E se fosse successo con Maria?
Intanto erano arrivati nel distretto medio/benestante, lì le probabilità di trovare qualcuno che adottasse Julien erano più elevate. Stranamente nessuno andava mai ad adottare all’orfanotrofio, probabilmente perché il distretto più povero era perennemente snobbato, dunque l’unica soluzione era quella di cercare personalmente i possibili candidati. Notò alcuni passanti, quindi cercò di fare subito un tentativo, e si avvicinò.
- Scusate, il mio aiutante sta cercando una casa, purtroppo è senza famiglia. - spiegò cercando di avere un tono costernato per la situazione del bambino. - Non ci sarebbe qualche buona anima disposta ad adottarlo?
Le persone a cui s’era rivolto lo guardarono preoccupati, quindi rapidamente se ne andarono. Evidentemente non aveva funzionato. Il giovane nobile si grattò la nuca con una smorfia infastidita in volto.
- A quanto pare fermare le persone in strada non attacca, eh?
D’altronde lui non aveva particolare esperienza nella comunicazione con gente al di fuori del suo ceto sociale. Guardò Julien, che ricambiò con un’occhiata interrogativa. Non si sarebbe arreso così, intendeva risolvere rapidamente la questione, e lo avrebbe fatto.
Lo prese per mano, quindi entrò in una bottega, dove più o meno pose la stessa domanda di prima, ma anche lì ebbe risposta negativa. Eppure persistette, uscì ed entrò nella sartoria, ma nemmeno lì trovò qualcuno interessato. Tentò quindi l’orefice, un falegname, un mercante, ed ebbe ogni volta risposte negative. A fine giornata, i due camminavano ancora, con passo più o meno spedito.
- Ora dove andiamo? - fu la domanda del piccolo.
- Alla villa. Ho bisogno di riordinare le idee, e tu volendo potrai riposarti. Ti ho detto che ti avrei aiutato e lo farò: ormai è una questione di principio!
Julien lo guardò interrogativo, non capendo il senso di quanto era appena stato detto.
- Non capisco perché nessuno ti voglia adottare, sei piuttosto sveglio e intraprendente, penso che potresti dare una mano a parecchia gente, sai?
Per quanto poco conoscesse quell’orfano, e per quanto non amasse essere obbligato a fare qualcosa, come in questo caso aiutarlo, doveva ammettere che aveva delle qualità.

Dopo una mezz’oretta di cammino, finalmente arrivarono alla villa. Pareva che Monsieur De la Rou non fosse ancora tornato, la carrozza non era in vista, e perciò il ragazzo decise di passare per la porta principale. Non avendo una ragione particolare che potesse spiegare il motivo per cui aveva portato con sé il bambino, forse sarebbe stato meglio se fossero entrati dal retro, ma ormai era più che consapevole che la servitù lo considerava un accentrino, dunque ne approfittava.
- Bene, siamo arrivati. - disse voltandosi verso il suo giovane ospite. - Ora però è meglio se ti porto nell’ala della servitù, non ti conviene molto farti vedere in giro, soprattutto da…
- Jean! - lo interruppe una voce, chiamandolo.
Lui alzò gli occhi al cielo con un sospiro.
- Eccola…
Dallo scalone che dall’ingresso portava alle stanze dei piani superiori stava scendendo Maria, ancora vestita per uscire, con passo deciso e un’espressione in viso che non presagiva nulla di buono. Evidentemente non aveva preso particolarmente bene l’annullamento dell’uscita al lago.
- Non tornavi più! Si può sapere che fine avevi fatto? - domandò per poi posare il suo sguardo su Julien. - E chi è questo marmocchio?
- Ah, lui? - chiese retoricamente guardandolo a sua volta.
Non voleva che lei lo vedesse proprio per quello: ora che le poteva dire? Doveva inventarsi una scusa.
- Beh, lui è... il nipote del cocchiere. È venuto a trovare suo zio, l’ho incontrato qui fuori e volevo aiutarlo a cercarlo.
Almeno era una scusa plausibile. Intanto il piccolo prese a fissare intensamente Maria, quasi come se la stesse attentamente studiando, finché all’improvviso sussultò, come se avesse ricevuto una scarica in corpo.
- Tu sei il ragazzo che sfida sempre Black Rose! - esclamò indicandola.
A Jean prese un colpo. Che stava facendo?!
- Ma perché sei vestito da femmina? Ti sei travestito? - domandò candidamente, scatenando le ire della giovane, che se c’era una cosa che non sopportava, era quella di essere presa per un ragazzo.
- Come ti permetti, moccioso?! Ma soprattutto, cosa sai di Black Rose? - chiese mentre cercava di trattenersi dalla voglia di strangolarlo, nella speranza di ottenere informazioni utili su colui che considerava il suo più grande avversario.
Il bambino non pareva minimamente temere una qualche azione da parte della giovane, la guardava esattamente come una sua pari, come se non ci fossero differenze d’età o classe sociale.
- Beh, anche se dalla finestra della mia stanza, ho visto un paio di scontri, tutto qui. - spiegò.
Per lo meno non aveva detto che abitava all’orfanotrofio, e nemmeno chi fosse Black Rose.
- Tu sei davvero forte! Però non capisco perché sei vestito da femmina.
Pareva essersi impuntando su questa idea, cosa che stava facendo perdere le staffe alla nobile.
- Piccola peste…! - mormorò a denti stretti serrando i pugni.
Scese rapidamente le scale, pronta ad avventarsi su di lui, ma fortunatamente Jean lo afferrò per un braccio e lo trascinò via fino all’ala della servitù, lasciandosi dietro la sorella inviperita. Lì si trovarono in un corridoio privo, almeno in quel tratto, di finestre, su cui si affacciavano le porte delle stanze dei servitori. Nessuno in quella villa si sarebbe stupito di trovare lì il giovane, perché a differenza del padre cercava di occuparsi anche della servitù. Si appoggiò alla parete tirando un sospiro di sollievo.
- Ma sei impazzito?! Quella era mia sorella! - disse praticamente senza parole.
- Tua sorella è un travestito? - domandò l’altro.
Quella domanda gli fece cadere le braccia. Gli venne da chiedersi se fosse veramente lo stesso bambino sveglio di poche ore prima.
- Vedi di non farti sfuggire niente, lei non sa che io sono Black Rose. - ammonì.
- Quindi combatti contro tua sorella?
- Sfortunatamente.
Restarono in silenzio per qualche istante, nessuno dei due aveva più nulla da dire. Alla fine Jean si staccò dal muro, quindi prese nuovamente la parola.
- Vieni, ti porto da un amico. - fu tutto ciò che disse, riprendendo a camminare.
Aveva bisogno di un paio di consigli, e chi meglio di René glieli poteva fornire? Il problema era trovare la sua stanza, dato che ultimamente non metteva spesso piede in quell’ala. Si guardò intorno cercando di ricordare quale fosse la stanza dell’amico. Le porte erano tutte uguali, dunque doveva affidarsi alla sua memoria.
<< Vediamo, la sua stanza dovrebbe essere quella… >> pensò dirigendosi verso la terzultima porta a destra, per poi bussare.
- Sì? - domandò la voce di René da oltre la porta.
Fortunatamente s’era ricordato la stanza giusta.
- René, apri. Mi serve il tuo aiuto!
Si sentì un lieve rumore di passi, quindi la porta si aprì.
- Padron Jean, cosa succede? - domandò, per poi notare Julien accanto al nobile. - E chi è questo bambino?
- Beh, questo bambino è proprio il motivo per cui mi serve il tuo aiuto. Se ci fai entrare ti spiego tutto.
Il servitore scosse la testa.
- Mi dispiace, ma non intendo permettere che mettiate piede nelle stanze di un servo! - affermò dopo aver gettato un’occhiata alla sua stanza. - Perdonate l’ardire, ma sono dell’idea che sia meglio discuterne nelle vostre stanze.
Il ragazzo sbuffò alzando gli occhi al cielo. Quando l’amico ci si metteva era fin troppo umile!
- Come vuoi… - si arrese.

E poco dopo quindi si ritrovarono nelle ricche stanze del giovane, lui seduto sul letto, Julien in piedi che ammirava a bocca aperta la stanza, e René appoggiato alla porta. Il nobile aveva appena finito di spiegare la situazione al servitore, che stette a riflettere al riguardo qualche istante a braccia conserte.
- Quindi volete trovare una sistemazione per questo bambino. - concluse.
- Già. Sfortunatamente non possiamo prenderlo come servitore come avevamo fatto per te, anche perché nemmeno lui lo vuole.
Il bambino passò il suo sguardo prima su uno e poi sull’altro, palesemente confuso.
- Sai piccolo, prima di prendere servizio in questa magione ho vissuto nel tuo stesso orfanotrofio, poi più o meno quando avevo la tua età, sono stato accolto qui. - gli spiegò René, per poi tornare al discorso principale. Aveva avuto un’illuminazione. - Padron Jean, forse qualcosa possiamo fare. Avete presente quella giovane coppia britanna che in questo periodo abita in quella villa non molto distante da qui?
Jean annuì, non capendo dove l’altro volesse arrivare.
- Se ben ricordate, amano i bambini e hanno detto che sono alcuni anni che stanno cercando senza successo di averne uno loro. Non pensate che sarebbero loro la soluzione migliore?
Il giovane annuì nuovamente, questa volta convinto.
- Assolutamente! Mi pare un’ottima scelta.
Guardò fuori dalla finestra: ormai stava calando il sole, per quel giorno era meglio smettere. Si alzò, guardando prima l’amico e poi il bambino.
- Si sta facendo tardi per queste questioni. Domani mattina cercherò di convincerli, ma per stasera Julien, è meglio se dormi qui nell’ala della servitù.
- E l’orfanotrofio? - domandò il diretto interessato.
- Tanto ci tornerai domani, in caso inventeremo una scusa.
Detto ciò, i tre si divisero, ognuno con i propri pensieri e preoccupazioni per la testa. Il nobile decise di restare nella sua stanza a riposare, in attesa dell’ora di cena. Per una volta non s’era occupato di furti, ma era stanco lo stesso.

                                                      ***

Il giorno seguente, proprio come avevano deciso, lui e Julian si diressero verso l’abitazione della coppia straniera con la scusa di voler proporre all’uomo un affare da parte di Monsieur De la Rou, e vennero accolti molto calorosamente. Fra un discorso e l’altro il giovane si lasciò sfuggire di proposito la situazione in cui versava il piccolo orfanello che aveva presentato come suo aspirante assistente, suscitando così l’empatia dei coniugi. La signora lo strinse a sé, commossa dalla fortuna del bambino, mormorando parole di consolazione mentre il diretto interessato e Jean si scambiavano un paio d’occhiate d’intesa: il piano procedeva alla perfezione. Egli cercò di riportare il discorso sugli affari, ma marito e moglie erano troppo presi dalla sorte del bambino per prestare attenzione ad altro. Vollero informarsi sulla possibilità di adottarlo, dove farlo, e se ci fossero particolari condizioni al riguardo, tutte cose alle quali il nobile, fingendo perfettamente stupore per la piega che stavano prendendo gli eventi, fornì dettagliate spiegazioni. Incredibile come conoscendo i punti deboli delle persone fosse possibile manovrarle a seconda dei propri interessi. Ben presto l’affare passò ufficialmente in secondo piano, i tre parlarono solo dell’adozione, e quando Jean per coerenza ricordò ai coniugi la ragione della visita, la proposta fu rifiutata, anche questo come da piano: era un’idea che nessuno avrebbe potuto accettare. Fu così che infine il giovane nobile e l’orfano lasciarono quell’abitazione con la certezza che la questione fosse stata risolta.
Infatti il giorno seguente la coppia si presentò all’orfanotrofio, con grande stupore dei giovani ospiti della struttura e del vicinato, per adottare il piccolo Julien. Molti rimasero sconcertati: quel brefotrofio, che pareva normalmente dimenticato da tutti, compreso Dio, era ora visitato da una coppia di nobili! Di certo se ne sarebbe parlato a lungo. Ma i due parvero non fare caso alla gente, si limitarono a compilare tutti i documenti del caso, ed infine uscirono, allontanandosi in carrozza assieme al bambino.
Quando arrivarono nei pressi della villa, Julien guardò fuori dal finestrino e vide Jean, che a sua volta lo notò e gli lanciò uno sguardo d’intesa: lui aveva mantenuto la parola, ora toccava all’adottato fare altrettanto. Egli appoggiandosi al sedile della carrozza sorrise fra sé e sé. Come da accordo, non avrebbe svelato il segreto di Black Rose, di cui in quei giorni aveva compreso molte cose: era un nobile il cui padre voleva abbattere l’orfanotrofio dove era cresciuto il servitore, nonché migliore amico, del figlio, che per non esporsi pubblicamente contro di lui al riguardo e per racimolare i soldi per salvare la struttura, aveva assunto l’identità del ladro Black Rose, contro il quale si scagliava perennemente la sorella minore, del tutto all’oscuro della verità. Forse non l’avrebbe raccontata in giro, ma con una storia del genere in futuro avrebbe potuto scrivere un libro! Ma almeno per il momento, il segreto era al sicuro.





Eeee.... anche questo capitolo l'ho concluso alla fin fine. Questo è lungo, e ammetto che non mi soddisfa minimamente. So che è un capitolo penoso, è fatto tanto per, diciamo per creare un po' di stacco dalla vicenda solita, però potevo fare decisamente di meglio. Col prossimo capitolo le cose dovrebbero tornare più serie, spero solo di non metterci di nuovo un'infinità come stavolta... Però, riguardo a questa storia penso di aver preso una decisione: smetterò di pubblicarla qui su EFP. Tanto a chi importa? E' poco letta, non è commentata, quindi vuol dire che fa' troppa pena per destare interesse, e allora che mi sbatto a fare per scriverla in tempi decenti, se tanto interessa solo a un paio di persone? Non serve a niente, quindi lascio perdere. Se qualcuno fosse mai interessato, mi contatti a questo indirizzo email: fedeforlibero.it@libero.it così manderò i prossimi capitoli via mail, se no pace.
Quindi.... adios! Pubblicherò altro in futuro, se avrò voglia.

  
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