Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Eloise_Hawkins    09/01/2013    1 recensioni
Una raccolta di ricordi che si snoda tra le pagine di una vita vissuta con tenacia e affetto. Un'accozzaglia di giorni che narra di una crescita delicata, felice, a tratti sofferta, ma tutto sommato serena. Tra risate e coccole, tra lacrime e dolori, si svolge la vita di Chiara, la protagonista di questa storia, che con un sorriso a volte dolce, a volte amaro, racconta la vita che i suoi genitori le hanno regalato, l'affetto che la sua famiglia le ha donato, il sorriso che ha faticosamente costruito. Sempre all'insegna dell'amore, e del forte legame famigliare che Cinzia e Mauro hanno saputo creare.
A mio padre, che col suo sguardo mi ha insegnato il mondo.
A mia madre, perché nei suoi occhi ho imparato la fantasia.
A mia nonna, perché attraverso i suoi racconti ho capito la vita.
Ai miei folletti, Renata e Irene, che mi hanno tenuto per mano fino ad oggi, in questo girotondo chiamato vita
.
Questa storia si è classificata prima al contest "L'alfabeto dei ricordi", indetto da Angy Lulu sul forum di Efp.
Genere: Fluff, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Thanks for the memories'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

V come via

 

Diciassette anni – Addio

 

Sulla soglia di quella sala, guardavo. Vedevo le mie compagne ballare, ma io rimasi esclusa da quel privato universo fatto di passi, specchi e odore di pece.

Ero al quinto anno. Lo studio per la maturità avrebbe impegnato gran parte del mio tempo, e lo stesso avrebbe fatto il corso che avrei seguito per prepararmi ai test d’ingresso in medicina. Non ci sarebbe stato tempo per la danza, e lo sforzo economico che i miei stavano sostenendo per permettermi di inseguire il mio sogno aveva già prosciugato ogni finanza. Non ci sarebbe stato posto per la danza. Non più.

Avevo trascorso la mia vita dentro quella sala, e in quella ero cresciuta. Il mio carattere e il mio corpo erano stati forgiati dagli anni di esercizi e disciplina che lì dentro mi avevano imposto, e abbandonare quella sicurezza, quell’ancora di salvezza in una vita di difficoltà, aveva il sapore amaro della sconfitta. Mi sentivo una vigliacca ad abbandonare così la passione di una vita, in funzione del sogno del futuro. Sapevo che era un distacco necessario, ma non potevo fare a meno di piangere. Quelle lacrime che mi rigavano il volto erano la naturale conseguenza di una vita vissuta in punta di piedi; scendere da quel piedistallo significava mischiarmi ai comuni mortali.

 

Credo che i miei genitori non abbiano mai davvero capito la portata del mio amore per la danza. Quel giorno, mia madre mi accompagnò a parlare con la mia insegnante, e mi guardava sorridendo, ma non era partecipe del mio dolore. Mio padre, invece, sembrava semplicemente contento di essersi liberato di quella distrazione che mi impediva di mangiare ciò che volevo – perché una ballerina ha bisogno di un fisico leggiadro ed esile, e io non potevo e non volevo essere da meno.

Ogni giorno di quell’anno fu una stilettata al cuore. Era una prova difficile da superare, e io stavo lentamente affondando. Studiavo per la scuola, studiavo per il mio futuro, e non avevo altro sfogo che il pianto. Le lacrime bagnavano ogni sera il mio cuscino, e la mancanza della danza, come valvola di sfogo o semplice passatempo, rendeva tutto più difficile.

Forgiai la mia volontà. Raggiunto l’obiettivo, forse avrei potuto ricominciare a fare ciò che più desideravo: ballare.

Non sono mai stata tanto illusa da pensare di poter diventare una ballerina, né ho mai avuto questo desiderio, ma nonostante la consapevolezza che quello non fosse lo scopo della mia vita, tutto ciò che volevo era continuare a ballare fino alla fine dei miei giorni. Vivere senza la danza era come sopravvivere in anaerobiosi: avevo continuamente fama d’aria, un senso d’ansia, bisogno d’ossigeno. A volte non riuscivo davvero a respirare.

Mi domandavo se la danza avrebbe mai potuto perdonarmi, per averla abbandonata a causa di mio padre: l’amore per lui è sempre stato più forte di qualsiasi altra cosa, e benché lei non mi avesse mai abbandonata, mai ferita, mai tradita, era stato mio padre a desiderarmi, crescermi, amarmi. Era a lui che dovevo tutto.

Ma io, che mi ero ripromessa di non cedere al suo sguardo, alla fine ho sacrificato il mio enorme amore per lei. Quell’amore che credevo fosse più forte di qualsiasi ostacolo, di qualsiasi sguardo, di qualsiasi tempo. E, forse, lo è davvero.

Ma il fatto è, che la mia strada l’avevo già tracciata a sette anni, quando, danzando, ho detto a una telecamera che mi vedeva come la stella più bella che da grande, no, non avrei fatto la ballerina, ma la dottoressa.

Durante quell’anno, sorridevo solo quando sognavo. Mi immaginavo molti anni dopo, con un camice bianco indosso e uno stetoscopio attorno al collo, a guardare con occhi lucidi una bimba stesa sul mio lettino, con le stesse passioni e gli stessi sogni che avevo io alla sua età. La vedevo avvicinarsi a me impettita, sedersi con la schiena dritta e rigida, e nell’attesa, con sguardo basso, stendere i piedini mostrando il suo orgoglio. Lei è sempre stata il mio. Essere una ballerina è un onore che non spetta molti.

Alla danza avevo dato il mio cuore, nonostante tutte le lacrime che avevo versato per lei. Mi mancava nonostante fosse una lotta da superare, mi mancava nonostante il dolore, mi mancava nonostante il sudore, nonostante la stanchezza, nonostante la voglia che qualche volta ho avuto di mollare. Mi mancava nonostante quell’errore, mi mancava per quella presa mai fatta, mi mancava per quel doppio giro mai riuscito. Mi mancava soprattutto per tutte queste cose, e perché lei era ancora lì.

Quello sarebbe stato il mio rimpianto più grande, per sempre.

Durante quell’anno, ho avuto voglia di strapparmi l’anima ballando; sarebbe stato meraviglioso, morire di lei.

Credo che i miei genitori non abbiano mai capito la mia passione, eppure non rimpiango quell’anno senza la danza: mi ha aiutata a capire cosa fosse giusto, a mettere ordine alle mie priorità; mi ha costretta a vivere senza la mia passione, e questo non solo mi ha reso più forte, ma ha anche accresciuto il mio amore. Quando dissi addio alla danza, salutai per sempre anche la mia adolescenza. Da quel momento in poi, la strada sarebbe solo stata in salita.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Eloise_Hawkins