E
come emozione
Diciotto anni – Questa
storia
Il
giardino in cui è cominciata questa storia, quel giorno, era illuminato da un
sole gentile e tiepido. Erano passati esattamente diciotto anni da allora, e
molte cose erano cambiate, io per prima. Avevo appena sopportato sei ore di
lezione, nonostante il calore della città e la voglia che avevo di rendere quel
giorno speciale, e non vedevo l’ora di immergermi nell’acqua salata di quel
luogo che mi aveva vista nascere.
Ero
emozionata di quell’emozione che avevo conosciuto anni prima, in circostanze
del tutto diverse. Ma che quell’emozione sarebbe diventata così feroce, non
avrei mai potuto immaginarlo.
Quando
papà ci richiamò tutti in giardino, erano le cinque del pomeriggio: la
parrucchiera aveva appena finito di torturarmi i capelli, e il dj stava
sistemando la sua attrezzatura vicino alla terrazza. Mauro si sedette al centro
del giardino, a pochi metri dall’ombelico del mondo, e recitò la storia della
mia vita.
Mi
raccontò di come, con amore, fui concepita; mi disse con quale gioia avevano accolto
la mia nascita, e quale magia ci fosse stata in ogni giorno. Mi raccontò del
mio coraggio il primo giorno di scuola - «Non ti sei mai voltata indietro» - e
di quello che avevo avuto anche in seguito. Della mia energia, della mia
testardaggine, e, inaspettatamente, parlò anche dei miei due grandi amori: lui, e la danza. Lui aveva capito, ma non aveva mai detto; in silenzio
aveva coltivato le sue consapevolezze, ed io, sciocca, non avevo mai capito
quanto di vero ci fosse in quello sguardo, quanto di sincero, quanto di
cosciente.
Aveva
scritto una storia, la mia, e l’aveva scritta per me; aveva speso parte del suo
tempo per dedicarmi quel piccolo frammento del suo cuore, e non era tanto la
storia ad emozionarmi, quanto quello che c’era dietro. Tra le pagine fitte di
parole, c’era lui, e c’ero io, e c’eravamo noi.
Mio
padre mi amava. Mai come allora intuii quel sentimento così potente e feroce
che vibrava anche nella sua voce mentre raccontava. Vedevo i suoi occhi
brillare, e dei miei, pieni di lacrime, non m’importava. Il mio cuore batteva,
incontrollato, e la ferocia con cui un groppo aveva artigliato la mia gola mi
impediva di parlare ed esprimere tutto ciò che avrei voluto. Sarebbe stato
impossibile spiegare a parole il mio amore, ma avevo voglia di urlare al mondo
quanto fossi felice in quel momento.
C’era
tanta magia, in quel racconto, che non potei fare a meno di constatare quanto
profondo e passionale fosse mio padre. Le sue parole erano gemme preziose, ma
più di ogni cosa mi emozionava non il contenuto del suo racconto, ma la sua
qualità: era il modo in cui narrava, il timbro con cui enunciava quella storia,
il tremore segreto e sottile della sua voce, e il suo sguardo luminoso e fiero
mentre la narrava. Quell’angolo di storia era stata ritagliato solamente per
me, e ne ero tanto orgogliosa quanto incantata.
Mauro
disse che somigliavo alla mamma; ne fui talmente felice, da non sapere cosa
dire – come sempre, in quel momento – perché significava anche che parte del
suo amore per lei era anche per me.
«Il
tempo, che all’inizio sembra infinito, più andiamo avanti più sembra scorra
veloce, e non sempre ce n’è abbastanza per dire e fare ciò che si
vorrebbe. Abbiamo percorso in un lampo i tuoi diciotto anni, e magari, in
futuro, potrebbe non esserci sempre il tempo per dirci tutto. Ho quindi
preferito scriverti affinché tu possa non dimenticare mai: da dove vieni, perché è il tuo profondo; quello che è stato fin qui perché
ti è servito per volare; e soprattutto – chi
sei adesso… per non sporcarti mai. Grazie di esistere e Auguri Stellina piccola piccola»
Forse, in futuro, non ci sarebbe stato tempo per le parole;
ma quei frammenti di vita strappati a un’esistenza troppo veloce, sarebbero
bastati per sempre.
Quando lo abbracciai, avvertii il suo cuore battere forte
contro il mio petto, ed ebbi la certezza che le emozioni più belle, sono quelle
che si vivono una volta sola. Lo strinsi, e nel suo odore avvertii tutto
l’amore che in quei diciotto anni mi aveva regalato. E tra le sue braccia, mi
sentivo un’ostrichetta; e lui era la mia grande
conchiglia.