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Autore: LindaBaggins    21/01/2013    6 recensioni
Nel passato di Thorin Scudodiquercia non ci sono solo un regno e un tesoro perduti. Nel passato di Thorin Scudodiquercia c'è anche una ragazza, che gli era stata promessa in sposa e da cui la caduta di Erebor l'ha separato. Molti anni dopo, però, il passato tornerà a trovarlo, portandosi dietro complicazioni e vecchi segreti che il tempo non è riuscito a cancellare.
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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2. PESSIMO INIZIO

“Sta succedendo tutto troppo in fretta.”
Fu questo il primo pensiero di Thorin quando, un paio di giorni dopo il colloquio con suo padre nella Sala del Consiglio, gli fu annunciato che quel pomeriggio avrebbe avuto luogo un incontro con la sua futura sposa e il governatore, in onore dei quali, per quella sera, era previsto un sontuoso banchetto.
Così, alla fine, Balin ci aveva visto giusto, rimuginò allacciandosi gli stivali prima di scendere a mettere qualcosa sotto i denti per colazione: suo padre non aveva perso tempo ad ufficializzare la cosa. Thorin sapeva che la prospettiva di quell’incontro avrebbe dovuto renderlo, se non felice, perlomeno un po’ più positivo riguardo alla situazione: in fondo, aveva l’opportunità di vedere la sua futura moglie, osservarla, conoscerla meglio… e nessuno avrebbe potuto impedire che, magari, potesse persino arrivare ad apprezzarla…
Thorin, sfortunatamente, non pensava a nulla di tutto ciò. L’unica, sgradevole sensazione che riusciva a provare in quel momento era quella di essere irrimediabilmente in trappola. Di non poter più tornare indietro, e di aver perso l’ultima occasione di fermare tutto e scendere da quella inesorabile macchina che era stata messa in moto.
Gli mancava l’aria. Era come se, all’improvviso, le pareti della sua stanza avessero deciso di restringersi intorno a lui, soffocandolo. Doveva assolutamente uscire di lì…
Quella mattinata scorse in modo talmente rapido che, quando la campana di mezzogiorno risuonò nei locali della forgia, facendo vibrare le spesse pareti di pietra, Thorin si arrestò con il martello a mezz’aria e si guardò intorno disorientato, certo che ci fosse un errore e che il segnale fosse stato dato prima del tempo.  Purtroppo gli altri nani, senza mostrare il minimo segno di stupore, si stavano già sfilando gli sporchi e affumicati grembiuli da lavoro e si stavano già dirigendo verso l’uscita, ansiosi di sedersi a tavola per pranzo; perciò tutto quello che gli rimase da fare fu deporre i suoi strumenti e imitarli, anche se a malincuore e con la faccia più scura che avesse mai avuto uscendo dalla fucina.
«Andrai a darti una bella ripulita, spero» disse Dwalin in tono burbero verso la fine del pranzo, staccando nel contempo gli ultimi brandelli di carne dall’osso di una coscia di montone e osservandolo di sottecchi. «Puzzi come la carcassa di uno stramaledetto orco.»
Thorin non fece una piega di fronte alla disarmante franchezza del commento. Se si fosse trattato di chiunque altro, avrebbe subito chiesto conto della imperdonabile mancanza di rispetto, ma Dwalin non era un nano qualunque. Più vecchio di lui di qualche anno, era stato il suo migliore amico fin da quando Thorin riuscisse a spingere indietro la memoria. La prima volta in cui si erano incontrati, quando lui aveva quattro anni e Dwalin sette, avevano deciso, dopo nemmeno cinque minuti, che non si piacevano affatto, e si erano presi a botte. La questione si era conclusa con un dente spezzato da parte di Thorin e un occhio nero da parte di Dwalin, ma da quel momento in poi erano diventati inseparabili.
«Immagino di doverlo fare» rispose Thorin tra il rassegnato e l’ironico, svuotando con un sorso il boccale di birra e facendo per alzarsi.
«Pare che la signorina abbia vissuto gli ultimi dieci anni in compagnia degli Elfi» borbottò Dwalin, scuotendo la testa vagamente disgustato. «Sia mai che le sue aspettative vengano deluse e lei scappi a gambe levate mandando all’aria i preziosi piani di tuo padre!»
«Anche nel Reame Boscoso avrà visto dei fabbri, presumo…»
«Sì, ma il loro sudore profumerà sicuramente di rose» sogghignò Dwalin. «E non è decisamente il tuo caso.»
Thorin scoppiò a ridere per la prima volta dopo giorni, e il tovagliolo che aveva appena usato per ripulirsi fu scaraventato scherzosamente in grembo all’amico.
La conversazione con Dwalin ebbe perlomeno il merito di alleggerire il peso che avvertiva in fondo allo stomaco e di tenerlo relativamente allegro per qualche ora. Il bagno che fece per togliersi di dosso il sudore, la sporcizia e la stanchezza fu addirittura rigenerante, e quando uscì dalla vasca per indossare i suoi vestiti migliori, Thorin scoprì, se non di essere tornato quello di sempre, perlomeno di aver recuperato parte di quei nervi saldi e di quel distacco che lo contraddistinguevano.
“Eccomi qua, padre” pensò sarcastico, osservando con sguardo amaro la sua immagine riflessa nello specchio. “Tuo figlio. Il tuo erede. Ripulito, pettinato e pronto ad entrare in scena.”
Il farsetto blu scuro lungo fino alle ginocchia, stretto in vita da una larga cintura d’argento, i pantaloni neri e gli stivali di pelle lavorata gli conferivano senza dubbio un’aria più regale di quella che avrebbe avuto in un giorno qualsiasi uscendo dalla fucina, questo doveva ammetterlo. Ma era proprio quando si sentiva stanco, sudato e sporco dal lavoro nella forgia, che Thorin si sentiva un vero principe dei Nani, un vero figlio di Durin. Aveva sempre pensato che il vero capo non fosse quello che poteva permettersi lavorare di meno, come accadeva nei regni degli Uomini, ma, al contrario, quello che lavorava di più, per eccellere nell’arte del suo popolo e dare l’esempio a tutti gli altri…
Un regno dovrebbe essere costruito così, con la dedizione, il coraggio e il duro lavoro. Non con l’oro o con ridicoli compromessi come i matrimoni. Questo, tuo padre e tuo nonno sembrano averlo dimenticato...
No, pensò Thorin riscuotendosi. Suo padre sapeva quello che faceva. Desiderava solo il meglio per il suo popolo. Doveva avere fiducia in lui, e fare la propria parte in quella storia, per quanto potesse sembrargli assurda…
Prima di lasciarsi assalire di nuovo da pensieri nefasti, distolse lo sguardo dal proprio riflesso nello specchio e lasciò a grandi passi la stanza. Avrebbe dovuto essere al piano di sotto da un po’... ci mancava soltanto che arrivasse in ritardo il giorno in cui avrebbe dovuto conoscere la sua promessa sposa!
Quando arrivò, quasi di corsa, nella Sala del Trono, tutti i presenti si voltarono a guardarlo. Tra i membri delle famiglie di nani più importanti di Erebor, tutti silenziosamente schierati lungo le interminabili pareti della sala, Thorin scorse Balin, che gli rivolse un ammiccamento e un sorriso incoraggiante, e, accanto a lui, Dwalin, che rimase impassibile, ma che cercò i suoi occhi e sostenne il suo sguardo con muta solidarietà.
«Che fine avevi fatto, in nome di Durin?» gli bisbigliò Thràin, quando Thorin lo raggiunse accanto al trono reale. «Stavamo aspettando soltanto te! Stanno quasi per arrivare!»
Thorin si scusò come poteva e andò a piegare il ginocchio davanti all’imponente trono di pietra, su cui, corrucciato e non meno maestoso, sedeva Thròr, signore di Erebor e Re sotto la Montagna.
«Maestà» disse Thorin, abbassando il capo in segno di rispetto. Thròr si lisciò la folta barba grigia ornata da fregi argentati e oscillò in segno di approvazione la grossa testa sormontata da una corona d’oro massiccio tempestata di diamanti e rubini grossi come noci, opera dei più abili artigiani del regno.
Ma non era la corona a conferire a Thròr l’aura di divina regalità che lo contraddistingueva, Thorin lo sapeva bene. Gran parte del merito, oltre alla naturale alterità e maestosità di suo nonno, andavano alla pietra dalle luminescenze azzurrine incastonata nella parte superiore del trono, proprio sopra la testa del re.
L’Archepietra… Thorin dubitava che suo nonno avrebbe potuto amare il suo regno o uno qualsiasi dei suoi figli o nipoti più di quanto amava quella gemma grossa come un pugno di nano.
Non si era ancora rialzato, quando una delle guardie avanzò fino alla base degli scalini che conducevano fino alla piattaforma reale e fece il suo annuncio.
«Sua eccellenza il governatore Eevar di Dale, sua figlia Elinor, e il loro consigliere, Uren figlio di Ungrim!»
I portali d’ingresso si aprirono, e dal fondo della sala si fecero avanti tre figure, che Thorin mise lentamente a fuoco mano a mano che si avvicinavano.
L’uomo sulla destra aveva una faccia familiare. Ricordò di averlo già visto un paio di volte quando suo padre e suo nonno l’avevano ricevuto a Erebor per questioni diplomatiche, perciò intuì che si trattava del governatore. Più alto della maggior parte dei nani presenti nella sala (anche se Dwalin lo superava comunque di una buona spanna), Eevar di Dale era comunque basso e tarchiato rispetto alla media degli Uomini. Ancora piuttosto giovane, con folti capelli castani leggermente striati di grigio, i sontuosi abiti finemente ricamati non riuscivano a compensare la mancanza di regalità della sua rozza faccia squadrata da contadino.
Sulla sinistra, Thorin si stupì di vedere un nano. Non un uomo con sangue di nano, come nel caso di Eevar, ma un vero e proprio nano, anche lui abbastanza giovane, ma con la barba già piuttosto lunga e folti baffi grigio scuro che gli coprivano le labbra. Sotto delle cespugliose sopracciglia ancora nere come il carbone scintillavano due piccoli e vivaci occhi color onice, inquieti e saettanti da un volto all’altro dei presenti nella sala.
Ma fu la figura al centro ad attirare maggiormente l’attenzione di Thorin.
Fino a quel momento, si era immaginato Elinor di Dale né più né meno come qualunque altra nana di Erebor, vale a dire molto simile a un nano maschio sia di corporatura che di aspetto. Nella sua mente, la parte umana della ragazza aveva avuto, al massimo, il merito di donarle una barba meno lunga e meno folta rispetto alle nane purosangue di sua conoscenza, ma niente di più. Adesso, però, mentre la guardava avanzare verso la piattaforma reale, Thorin si rese conto di essersi completamente sbagliato.
La statura di Elinor era quella della maggior parte delle figlie di Durin, ma le somiglianze con esse si fermavano qui. Nel suo volto sottile e dai lineamenti graziosi, punteggiato sul naso e sugli zigomi da leggerissime efelidi, non vi era alcuna traccia né di barba, né di baffi, né di nessun altro genere di peli. Sotto una folta frangia che andava a coprirle la parte destra della fronte e, in parte, del viso, scintillavano due grandi occhi verdi, e una treccia biondo cenere le scendeva dalla spalla destra fin quasi alla vita. Questa era sorprendentemente stretta, e, sebbene le sue forme fossero abbastanza pronunciate sia sul petto sia sui fianchi, nel complesso somigliava più ad un’umana in miniatura che ad una nana.
A Thorin ci volle qualche secondo per riprendersi dalla sorpresa, ma, per quando i tre furono arrivati al cospetto di re Thròr, era fortunatamente riuscito a recuperare il dominio di sé.
«Vostra Maestà» disse Eevar in tono reverente,inchinandosi e ripetendo il gesto sia davanti a Thràin che davanti a Thorin. «E’ un onore, per me, essere ricevuto al vostro cospetto. Questo è Uren, il mio fedele consigliere.»
Il nano si fece avanti e si inchinò a sua volta, fin quasi a toccare terra con la larga fronte sporgente. «Uren figlio di Ungrim al vostro servizio, mio re» disse con una voce bassa e melliflua che a Thorin risultò subito assai sgradevole.
«E questa è Elinor, mia figlia» continuò il governatore, mentre la ragazza, che fino a quel momento era rimasta un paio di passi dietro di lui, si faceva avanti e piegava leggermente le ginocchia in un riverenza. Thorin notò che non stava facendo il minimo sforzo per sorridere o mettersi in mostra: al contrario, dalla riluttanza con cui si era fatta avanti, sembrava che la Sala del Trono di Erebor fosse l’ultimo posto sulla terra dove desiderasse trovarsi in quel momento. E Thorin, per quanto si sforzasse di mostrarsi bendisposto davanti a suo padre e a suo nonno, non poteva certo dire di biasimarla.
Di sicuro, comunque, lo stesso non poteva dirsi del governatore, che pareva estremamente eccitato di trovarsi al cospetto di re Thròr, dei suoi eredi e di tutta la corte al completo. Stava giusto proclamando con tono accorato quale immenso onore fosse per lui essere stato ricevuto con tanta ufficialità e le grandi cose che i loro due popoli avrebbero potuto costruire insieme – spalleggiato di tanto in tanto dai servili cenni di assenso del suo consigliere – che re Thròr, poco avvezzo, come la maggior parte dei nani, alle lusinghe e alle lungaggini superficiali, lo interruppe borbottando un “Certo, certo, può bastare, può bastare”.
Thràin si schiarì la voce e intervenne prima che suo padre potesse risultare scortese o inappropriato. «Sua Maestà intende dire che apprezza immensamente la vostra sincera amicizia e la vostra lealtà, governatore, e che è impaziente di discutere in privato i dettagli concreti del nostro accordo. Prima, però, spero vorrete accettare questi doni come dimostrazione della nostra benevolenza.»
Quella di offrire doni agli ospiti importanti e ai potenziali alleati che venivano ad Erebor per discutere patti e stipulare accordi, era una tradizione ormai secolare del popolo dei Nani, e Thorin potè constatare che suo padre e suo nonno vi avevano tenuto fede più che degnamente: davanti ai suoi occhi, trasportati da guardie e valletti, passarono sacchi d’oro, scrigni di gemme e un variegato assortimento di pugnali, spade e asce tradizionali naniche, molte delle quali il giovane principe riconobbe senza dubbio come sue creazioni, e che avrebbe di gran lunga preferito veder restare al loro giusto posto all’interno del regno di Erebor. Per ultima venne una bellissima collana di puro argento, finemente cesellata e ornata da stupefacenti gocce di diamanti, che nelle intenzioni dell’artigiano che l’aveva fabbricata avrebbero dovuto andare a ricoprire quasi completamente il petto della fortunata che l’avrebbe indossata. Il dono era chiaramente indirizzato ad Elinor, che tuttavia, quando il gioiello le passò sotto gli occhi, non reagì in alcun modo e si limitò a guardarla con aria indifferente e solo leggermente ammirata. In effetti, notò Thorin osservandola con più attenzione, la ragazza non aveva indosso alcun tipo di gioielli, e il loro fascino non sembrava avere particolari effetti su di lei. Al contrario, l’unico momento in cui aveva visto i suoi occhi accendersi d’interesse era stato quando i valletti avevano offerto a suo padre le armi provenienti dalle fucine di Erebor, e Thorin aveva notato che Elinor aveva dovuto dominarsi per non allungare la mano e afferrarne una. Questo, rimuginò, la rendeva sicuramente più interessante, anche se la prospettiva del matrimonio continuava a risultargli allettante quanto un bagno nell’acqua ghiacciata.
Quando anche Eevar ebbe offerto a re Thròr i suoi doni – stoffe pregiate e vasi della miglior ceramica di Dale che sarebbero apparsi scarsamente attraenti agli occhi di qualsiasi nano degno di questo nome – Thràin propose finalmente al governatore e a Uren di unirsi a lui, a suo padre e ai loro consiglieri nella Sala del Consiglio per definire meglio i particolari del loro accordo e iniziare a parlare dei preparativi per il matrimonio.
«Sono sicuro che Thorin sarà ben felice di intrattenere Elinor mostrandole le bellezze di Erebor, mentre noi siamo impegnati in questa discussione» disse Thràin, inarcando le sopracciglia e rivolgendo un segno eloquente con il capo al figlio. Thorin fece un passo avanti, mentre lo stomaco sembrava precipitargli in modo sgradevole fin dentro gli stivali.
«Ne sarei onorato» rispose a denti stretti, cercando di mascherare come meglio poteva il fastidio che quell’incombenza (seppur necessaria) gli procurava. 
«Mi sembra un’eccellente idea, mio principe!» concordò subito il governatore in tono entusiasta. «D’altronde, non so come la pensiate qui ad Erebor, ma a Dale riteniamo che i consigli di guerra e le riunioni diplomatiche non siano decisamente il luogo adatto per una donna!»
L’ultima parte del commento, che avrebbe voluto essere scherzoso, ebbe il solo effetto di lasciare indifferenti i nani e di provocare un’occhiata di fuoco da parte di Elinor all’indirizzo di suo padre: occhiata che, apparentemente, solo Thorin sembrò notare. La ragazza parve avvertire la sua attenzione verso di lei, perché si voltò verso il giovane nano e sostenne il suo sguardo con un’espressione negli occhi verdi che somigliava molto alla sfida.
Thorin ed Elinor rimasero l’uno davanti all’altro a fissarsi in silenzio, mentre i presenti nella sala sfilavano loro accanto, chi per raggiungere il re e il governatore nella Sala del Consiglio, chi per tornare alle sue occupazioni abituali. Thorin, con la coda dell’occhio, notò Uren soffermarsi per un lungo istante ad osservarli con i suoi piccoli occhi scuri e indagatori; soltanto quando il governatore, accorgendosi che era rimasto indietro, chiamò ad alta voce il suo nome, il nano si riscosse e si unì agli altri che abbandonavano la Sala del Trono.
«Vogliamo andare?» domandò Thorin in tono ruvido, quando la stanza si fu quasi del tutto svuotata. Sapeva che sarebbe stato opportuno esibirsi in qualche gesto galante, come porgerle la mano o il braccio e offrirsi di guidarla fisicamente in quella visita, ma i suoi muscoli sembravano voler disobbedire agli ordini del suo cervello, lasciandogli le mani saldamente incrociate dietro la schiena.
Elinor non parve offesa da quella mancanza di cavalleria. Si limitò a incurvare le labbra in un leggero sorriso e a rispondere, con un guizzo di divertita ironia negli occhi verdi: «Vi seguo, Thorin figlio di Thràin.»
Uscirono da una delle porte laterali della Sala del Trono e imboccarono il corridoio che portava ai piani superiori. Camminarono per un po’l’uno accanto all’altra, il silenzio rotto solo dal rumore dei loro passi che rimbombava sordo fino al soffitto. Elinor fissava dritto davanti a sé, voltando appena la testa di tanto in tanto per guardare con aria vagamente ammirata le ciclopiche colonne che si susseguivano ad intervalli regolari lungo le pareti e gli affreschi raffiguranti la storia della stirpe di Durin. Thorin la osservava di sottecchi, le sopracciglia talmente vicine da scomparire nelle pieghe della fronte.
“E’ graziosa, questo non si può certo negare” rimuginò, ricordando le voci sul suo conto che Balin gli aveva riferito. Magari definirla “molto bella” era un po’ eccessivo: aveva la bocca un po’ troppo grande rispetto al viso, la sua carnagione era forse eccessivamente pallida, e quelle piccole lentiggini spruzzate sul naso e sugli zigomi erano una particolarità umana da cui le donne naniche erano, di norma, immuni, e che quindi risultava strana ai suoi occhi. Tuttavia, la lucentezza dei suoi grandi occhi verdi, il taglio armonioso delle labbra, la dolcezza dei lineamenti e la morbidezza del corpo – quel poco che si riusciva a intravedere sotto l’abito color verde foresta, perfettamente intonato con gli occhi – creavano un insieme tutt’altro che sgradevole, e sicuramente ben superiore a qualunque sua aspettativa.
La cosa, invece di rallegrarlo, confortarlo o fargli apparire un po’ più rosea la prospettiva del suo matrimonio, lo innervosì ancora di più. Se adesso tutti quanti si aspettavano che, di punto in bianco, lui cominciasse a sorridere e a mostrarsi entusiasta soltanto grazie a due occhi dolci e a un bel visino, avrebbero avuto pane per i loro denti! Anche se gli fosse stata offerta in sposa Lúthien Tinúviel in persona, nessuno sarebbe mai riuscito a persuaderlo che avere una donna tra i piedi per tutta la vita fosse qualcosa di auspicabile e allettante!
“E, a quanto pare, nemmeno lei sembra particolarmente impaziente di celebrare queste nozze” osservò Thorin, guardando la sua espressione seria e il guizzo appena percettibile del suo sopracciglio verso l’alto mentre attraversavano una dopo l’altra le sale reali. Il pensiero gli provocava sensazioni contrastanti: da un lato, lo faceva sentire meno fuori posto in tutta quella faccenda e gli faceva provare una sorta di empatia mista a solidarietà per quella ragazza; dall’altro, però, lo scarso entusiasmo di Elinor davanti alle stupefacenti meraviglie di Erebor, che pochi nella Terra di Mezzo potevano vantarsi di avere visto con i propri occhi o toccato con mano, lo irritava non poco. Sicuramente l’aver passato tutto quel tempo a mescolarsi con quelle spocchiose creature dalle orecchie a punta la faceva sentire in diritto di disdegnare tutto ciò che provenisse dal mondo dei Nani, perché troppo rozzo per le sue delicate manine candide!
«Non sembrate molto felice di trovarvi qui» constatò Thorin in tono vagamente allusivo, subito dopo averle mostrato la stanze dove lei e suo padre avrebbero alloggiato quella sera. Elinor si voltò verso di lui, disorientata come se Thorin le avesse appena letto nel pensiero, ma recuperò quasi subito la sua compostezza.  
«A quanto sembra, fra non molto dovrò frequentare questo posto abbastanza spesso» rispose in tono leggero, come se stesse parlando del tempo. «Quindi, immagino che iniziare a prendere confidenza con scale, corridoi e grandi saloni tutti identici l’uno all’altro non possa che essermi utile.»
«Mi auguro che riuscirete ad orientarvi, qui dentro. Erebor può sembrare un vero e proprio labirinto, per chi non è abituato a vivere e a muoversi nel nostro mondo» disse Thorin di rimando. L’ultima parte della frase, sottolineata con un guizzo delle sopracciglia apparentemente casuale, aveva voluto essere una sottile allusione al lungo soggiorno di Elinor fra gli Elfi. Allusione che la ragazza colse perfettamente, perché, dopo alcuni secondi di silenzio, rispose, in tono affabile ma velato da una sottile ironia: «Sapete, ho vissuto per dieci anni nel Reame Boscoso, che, di certo l’avrete sentito dire, è situato proprio nel bel mezzo della foresta più estesa di tutta la Terra di Mezzo. Credo di essere riuscita a sviluppare delle buone capacità di orientamento.»
A conclusione della frase, Elinor gli rivolse un sorriso talmente amabile da far passare quasi inosservata l’espressione di trionfo dei suoi occhi per essere riuscita a rispondergli a tono. Thorin, indispettito e insieme ammirato dalla sua capacità di ribattere prontamente, non potè far altro che incassare.
«Senza dubbio» disse a mezza voce, concedendosi un sorrisetto.  «A proposito,» aggiunse mentre camminavano sul corridoio sopraelevato che costeggiava la Sala delle Armi e si dirigevano verso una delle tante terrazze costruite sul fianco della Montagna Solitaria «permettete una domanda?».
«Naturalmente.»
Dal tono di voce di Elinor, uno strano misto di disponibilità e divertimento, era perfettamente chiaro che la ragazza si aspettasse qualche altra frecciata, e anche che fosse pronta a ribattere a tono a qualunque commento sarcastico da parte di Thorin.
«Per quale ragione, sebbene voi e vostro padre abbiate il sangue di Durin nelle vene, il governatore ha deciso di mandarvi nel Reame Boscoso?» domandò questi, senza girarci intorno.
Elinor non rispose subito. Raggiunse la balaustra della terrazza, vi si appoggiò con entrambi gli avambracci e poi, dopo aver fissato per qualche secondo il paesaggio, con la città di Dale che si stagliava davanti a loro indorata dal sole del tramonto, si voltò verso Thorin.
«Intendete: “Perché mio padre ha deciso di mandarmi tra gli Elfi invece che mandarmi qui, tra quella che, da un certo punto di vista, può essere considerata la nostra gente?”» chiese di rimando.
Thorin fu felice che avesse centrato subito il punto della questione. «Precisamente.»
La franchezza con cui Elinor rispose fu addirittura disarmante. «Perché sono stata io a chiederglielo» disse con semplicità, sostenendo senza difficoltà il suo sguardo. «Messa di fronte alla scelta di passare i seguenti dieci anni della mia vita sepolta dentro una montagna oppure in un luogo aperto, verde e spazioso, ho preso la decisione più congeniale alla mia natura, ovvero quella che somigliasse il meno possibile ad una prigione.»
Persino Thorin, il cui carattere impulsivo lo spingeva sempre ad essere più diretto e sincero possibile, rimase interdetto di fronte alla schiettezza della ragazza. Nella sua testa risuonava una sola frase, quel “sepolta viva dentro una montagna” che Elinor aveva pronunciato con tanta impertinenza e tanto disprezzo. Improvvisamente, tutti gli sforzi che aveva fatto fino a quel momento per mostrarsi cortese e bendisposto nei suoi confronti si disfecero come neve al sole.
«Beh, a quanto pare, però, il destino ha deciso per voi» disse in tono sarcastico, senza nemmeno sforzarsi di sembrare gentile. «A quanto pare, alla fine dovrete davvero passare la vostra vita “sepolta dentro una montagna”.»
Elinor si adeguò subito a quel cambiamento di registro nel tono della loro conversazione. Anzi, quasi sembrava che non stesse aspettando altro che un’occasione per sfogare tutto il suo nervosismo. «Credete che ne sia felice?» domandò in tono freddo, senza abbassare gli occhi da quelli azzurri e furiosi di Thorin. «Credete che questa sia stata una mia scelta?»
«Non temete, non ho dubbi che la prospettiva non vi entusiasmi!». Thorin sputò fuori le parole con rabbia, dominandosi a stento per non alzare troppo il tono della voce. «Il vostro sguardo e il vostro volto hanno parlato in modo sufficientemente chiaro fin da quando avete varcato le porte della Sala del Trono. Certamente deve essere fastidioso, dopo aver passato tutto questo tempo in compagnia di creature perfette come gli Elfi, dover avere a che fare con gente tanto rozza e materialista! Se vi può consolare, comunque, la prospettiva di queste nozze non entusiasma neanche me!»
«Vedo che ci intendiamo alla perfezione, allora!» constatò Elinor, sarcastica. «Me ne compiaccio. Il nostro sarà un matrimonio lungo e felice.»  
«L’unico pensiero che mi consolerà riguardo a questa unione sarà quello di aver fatto il mio dovere nei confronti di mio padre e del mio regno!» ringhiò Thorin, avvicinando minacciosamente il viso a quello di lei. Elinor non battè ciglio e sostenne fieramente il suo sguardo.
«Così come lo sarà il mio» si limitò a rispondere, glaciale.
Rimasero per diversi secondi a fronteggiarsi, fulminandosi a vicenda con lo sguardo, solo vagamente coscienti delle molte teste che, durante il crescendo della loro discussione, si erano voltate a guardarli. Thorin, l’ira che minacciava di sopraffarlo, controllava a fatica il respiro, mentre Elinor stringeva spasmodicamente a pugno le mani per arrestare il tremito che si era impossessato di loro.
Poi, dopo quelle che parvero ore, il giovane principe dei nani arretrò di qualche passo.
 «Credo che sia giunto il momento che voi andiate a preparavi, Elinor» disse con voce cortese, da cui tuttavia trasparì fin troppo chiaramente la sua rabbia repressa. «Il banchetto inizierà tra poche ore. Conoscete la strada per le vostre stanze.»
E, dopo averle rivolto un ultimo sguardo inceneritore, si voltò e si allontanò a grandi passi lungo il corridoio, lasciandola sola sulla terrazza.
 
ANGOLO AUTRICE: Come richiesto, eccomi ritornata da voi! Questo capitolo in realtà non avrebbe dovuto finire qui, ma ero troppo impaziente di aggiornare e di sapere che ne pensavate della protagonista, così ho dato un bel taglio alla faccenda e ho pubblicato il capitolo:) Quindi, chiedo perdono se è un po' più corto del previsto, mi farò perdonare! Come vedete, le cose tra i nostri due protagonisti non sono iniziate proprio nel migliore dei modi, ma è inutile che vi dica che di momenti ammmmmmorosi ne avrete a volontà, anche se magari non subito.
Buona lettura e al prossimo capitolo!

Linda
   
 
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