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Autore: Emmie90    22/01/2013    2 recensioni
Una bambina con dei rossi capelli, occhioni verdi e il carattere giusto per mandare in crisi un timido e riservato ragazzo di otto anni più grande di lei.
"Il fogliame iniziò a scricchiolare sotto il leggero tocco di un paio di stivaletti rossi di gomma, la loro proprietaria era infatti sgattaiolata in giardino, senza farsene accorgere e, ancora in camicia da notte, puntava decisa verso il grosso albero del giardino."
La storia è ambientata nel mondo di Harry Potter, anche se i due protagonisti sono stati creati prendendo spunto dai personaggi di Doctor Who: Amy Pond per lei, Eleven (e un po' Rory Williams caratterialmente) per lui. Gli sviluppi della trama e i loro caratteri si evolvono poi in maniera differente, ma lo scheletro dei loro personaggi e storie è stato attinto da questa serie tv che amo particolarmente. Una specie di tributo, insomma.
Ringrazio inoltre NadyaTompsett che mi ha concesso di usare il suo personaggio (Steven) per questa storia.
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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3.Succede sempre così

 Erano passati due anni da quando la casetta accanto a quella dei McKenzie era diventata la dimora di Steven e famiglia. Rispettivamente il sesto e settimo anno del tassorosso e Amelia aveva passato praticamente ogni giorno d’estate con lui, una volta lo aveva persino trascinato sugli scogli a cercare di pescare, inutile dire che nessuno dei due aveva preso nemmeno l’ombra di un pesce. Steven la aveva portata al cinema in un paese vicino, aveva cercato di imparare da lei la difficile arte dell’arrampicata sugli alberi, ma non era agile come lei e la scena finiva sempre con Amelia che rideva dall’alto di un ramo e il sedere del ragazzo che scivolava sul terreno. Certo, avevano parecchi anni di differenza, ma quando erano insieme nessuno dei due sembrava ricordarsene davvero.
“Amy, dai, vieni giù … allontanati da quella finestra.”
La voce della zia arrivò dal corridoio cercando di convincere la bambina a scendere: era ormai dalla mattina che continuava a rimanere lì, a fissare la strada dalla sua finestra.
“Tesoro, facciamo la torta insieme, ti va? Quella con il ripieno alla cannella.”
Provò ancora, sperando di attirare così la sua attenzione.
“Aspetto qui. Aspetto ancora un po’, falla tu e poi io la mangio dopo.”
Amelia rispose senza schiodarsi dalla sua posizione, teneva le ginocchia strette a lei avvolgendole con le braccia, il mento poggiato su di esse, gli occhioni verdi ben vigili e fissi oltre il vetro, i capelli rossi un po’ scompigliati.
La zia scosse il capo, sapendo che niente la avrebbe convinta, scendendo le scale e raggiungendo la cucina, sperava solo che la piccola non rimanesse delusa, delusa per l’ennesima volta.
Passarono un altro paio d’ore, la testolina sbatté contro il vetro risvegliandola dal leggero torpore che l’aveva circondata, si stropicciò un occhietto cercando di scrutare bene la situazione: qualcuno la stava salutando con la mano. Un ciuffo da un lato, l’espressione timida, avrebbe riconosciuto Steven ovunque. Rispose al saluto tirandosi in piedi e aprendo la finestra, l’arietta fresca di settembre le solleticò il viso.
“Scendi?”
Le chiese il ragazzo, infilandosi le mani in tasca e dondolandosi leggermente sul posto, alzando lo sguardo su Amelia.
“Devo asp … no, va bene, scendo.”
La sua espressione non sembrava la solita faccetta vispa e birichina, sembrava così delusa e triste, come se le fosse successo qualcosa. Steven era passato sotto casa McKenzie già un paio di volte in giornata e aveva sempre scorto la chioma rossiccia di Amy alla finestra e sapere che lei non si era mossa da lì tutto il giorno non era certo rassicurante.
Amelia comparve nel giardino, aveva le spalle ricurve e sembrava avere la testa altrove.
Steven le diede un colpetto sulla testa, come se volesse bussare, chinandosi poi a guardarla in volto.
“Ehi, piccoletta, che ti succede?”
Chiese, guardandola in maniera gentile, cosa che ormai accadeva sempre, aveva preso a cuore quella bambina.
“Non sono una piccoletta. “
Brontolò lei, come faceva sempre, quando lui le faceva notare che era piccola confronto a lui.
“Non è venuto nemmeno oggi e aveva scritto. Forse non voleva vedermi.”
Steven capì che c’era qualcosa che non andava davvero: di chi stava parlando? Chi non avrebbe voluto vederla?
Si sedette sui gradini del portoncino, come facevano sempre, uno accanto all’altro.
“Di chi stai parlando, Amy? Chi doveva venire oggi?”
Le domandò, sperando che Amelia rendesse il discorso un po’ più comprensibile.
“Papà. Aveva detto che oggi sarebbe passato da Pittenweem, lo aveva detto. Ho sentito che parlava al telefono con lo zio. Loro non volevano che io lo sapessi, non so perché.”
Gli zii di Amelia avevano temuto che lui non si presentasse e che la bambina rischiasse di rimanerci male, esattamente come era accaduto.
Steven rimase immobile un paio di secondi: Amy non parlava mai dei suoi genitori, non conosceva nulla di loro dalla vocetta di lei, certo chiunque sapeva che sua madre era morta dandola alla luce, ma del padre non aveva mai saputo niente, non aveva idea del perché non fosse lì con loro.
“Forse ha avuto un contrattempo, non credi? Verrà domani.”
E così aveva aspettato tutto il giorno, ferma alla finestra, solo sperando di veder spuntare il padre nella via. Perché la aveva fatta aspettare in quel modo, cosa c’era che non andava?
“No, non viene quasi mai. Lavora lontano, lontano … Lavora in America, tu ci sei mai stato? Lui non è un mago, la mamma lo era però. Da quando lei, lei … è morta lui è andato via, lo vedo solo poche volte.”
Spiegò, era la prima volta che ne parlava con qualcuno, forse perché nessuno le aveva mai chiesto niente sul serio.
“No, Amy, l’America è davvero molto lontana. Non ci sono mai stato là.”
Quindi era per la tragedia capitata alla nascita della figlia che il padre la aveva lasciata con gli zii? Steven, le portò un braccio attorno alle spalle, abbracciandola leggermente, riconosceva quello sguardo: Amelia stava cercando di non fare vedere che era triste e che voleva piangere. Faceva sempre così, lei non piangeva mai, piegava solo il labbro in quel modo, iniziava a stropicciarsi gli occhi e a tenere lo sguardo basso.
“Lui non mi vuole Steven? Perché gli altri papà tornano per Natale, le vacanze o i compleanni e il mio no? Forse io non gli piaccio tanto, ma non capisco, non gli ho mai fatto niente. Gli avevo anche fatto un disegno quando ero più piccola, come avevo fatto a te, ricordi?”
Amelia alzò il capo su di lui, non riusciva a capacitarsene, perché non voleva mai venire a trovarla? Prima pensava che fosse per il lavoro, per la lontananza, ma aveva iniziato a credere che non fosse per quello, che forse lui non volesse.
Steven si ritrovò a stringerla forte a sé, senza dirle niente: probabilmente lei era così uguale a sua madre, forse era la copia piccola di quello che suo padre aveva perso. La aveva abbandonata? Era quello che aveva fatto davvero? Di certo non poteva chiedere a lei, non avrebbe saputo dargli risposta.
“Un giorno sarò grande e andrò io in America a trovarlo, verrai con me?”
Chiese con la sua solita spontaneità, guardandolo come se fosse l’unica speranza che le rimaneva.
“E gli chiederò perché non viene quasi mai a trovarmi, perché mi fa sempre aspettare.”
Lui a quelle parole le sorrise rassicurante, dandole un piccolo bacino sulla fronte, per poi scompigliarle leggermente i capelli rossi, guadagnandosi un’occhiataccia della bambina.
“Si, verrò con te, quando sarai grande.”
Amelia fece un sorrisone, visibilmente contenta, e i suoi occhi si illuminarono leggermente.
Rimasero in silenzio un paio di minuti, vicini uno all’altra, senza bisogno di parole per rappresentare ciò che pensavano.
Fu Amelia a interrompere quel momento iniziando nuovamente a parlare, cambiando discorso, come faceva spesso.
“Ah, dovevo dirti una cosa: a scuola hanno chiesto di scrivere un tema sul migliore amico per le vacanze, io ho descritto come tu non sei capace di arrampicarti sugli alberi e che non mangi dolci. Però non te lo faccio leggere, è una cosa privata, poi tu lo correggi e invece io voglio che rimanga così.”
Steven arrossì leggermente sentendosi praticamente dichiarare il migliore amico di Amelia, non che non lo pensasse anche lui, quella peste di dieci anni aveva riempito il suo cuore più di qualsiasi suo coetaneo.
“Adesso che hai finito Hogwarts possiamo andare tutti i giorni a pattinare d’inverno. Ti insegnerò io, a me ha insegnato Mary, lei è bravissima, sai?”
Continuò a parlare imperterrita, forse aveva recuperato un bel del suo solito carattere. Steven la guardò preoccupato, si era quasi dimenticato che doveva parlarle, che doveva probabilmente mettere fine alle sue fantasie sul loro inverno insieme.
“Amy … mmm, ero passato per dirti che beh, ecco, si … andrò all’Accademia per fare l’auror.”
Si passò una mano tra i capelli, parecchio dispiaciuto e aspettando una sua reazione.
“E non sei contento? Tu vuoi tanto fare l’auror, vero? Perché fai quella faccia? Gli auror non possono pattinare, per qualche ragione che non sappiamo?”
Amelia lo guardò, avvicinando il suo visino al suo e scrutandolo bene, non riusciva a capire perché non dovesse essere una cosa positiva.
“Non tornerò a Pittenweem per due anni … non sapevo come dirtelo, Amy, mi mancherai tanto.”
Le disse prima che lei potesse rispondere, ma lei lo guardava, sembrava le avessero appena detto che quell’anno non ci sarebbe stato il Natale.
“Ah…”
Nemmeno una chiacchierona come lei riusciva a trovare parole in quel momento, si sentiva di nuovo abbandonata, questa volta da Steven. E due anni erano tanti, erano troppi.
“Troverai un’altra amica con i capelli rossi, vero? Forse nemmeno tu tornerai più.”
Riuscì a parlare solo dopo parecchi minuti di silenzio, nel quale la sua testolina aveva cercato di ragionare e fare luce sulla situazione.
“No, Amy, questo no. Tu sei la mia amica con i capelli rossi, anzi no, tu sei la mia sola amica. Tornerò sempre qui se ci sei tu, va bene?”
La guardò, mettendole le mani sulle spalle, cercando di farsi guardare negli occhi, per farle capire che non scherzava.
“Te lo prometto, devi fidarti di me.”
Amelia rimase un momento a guardarlo, poi sembrò venirle in mente qualcosa e posò una manina sul terreno ai suoi piedi afferrando una castagna: era di nuovo autunno e nel giardino se ne potevano trovare parecchie.
“Tieni. Questa non te la tirerò in testa.”
Gliela tese, sistemandola poi nella sua mano. Gli sorrise, stava cercando di essere forte, ma in realtà non voleva che stesse via così tanto tempo, si era affezionata tanto a lui, era una bambina che faceva pochissima fatica a fare amicizia, ma non sarebbero bastati tutti gli studenti di Hogwarts a mettere fine alla mancanza di Steven.
“Grazie, la terrò sempre con me, così mi ricorderò dei tuoi fantastici lanci dritti sulla mia testa.”
Lui le sorrise, infilandosi la castagna nella tasca dei pantaloni.
“Sbrigati a diventare un auror, Stev, così poi tornerai e andremo a pattinare insieme.”
Si alzò di colpo, stringendolo in un abbraccio, portandogli le braccina attorno al collo; sembrava aver accettato la sua partenza, ma in realtà si sentiva tremendamente sola, prima suo padre e adesso Steven.
“Quando parti?”
Chiese, sciogliendosi dall’abbraccio e facendo qualche passo indietro.
“Domani mattina, ho appena finito di fare la valigia e sono venuto a dirtelo.”
Lui si grattò nuovamente la testa, come sempre quando era in imbarazzo.
“Allora ci dobbiamo salutare.”
Il labbro di Amy tremò nuovamente, abbassando lo sguardo.
Non disse più niente e scappò in casa, incapace di stare ancora lì senza scoppiare a piangere. Se fosse rimasta avrebbe notato quella che era un’inconfondibile gocciolina scivolare dall’angolo dell’occhio di Steven facendosi largo silenziosamente lungo la sua guancia, fino a cadere sulla castagna che aveva ritirato fuori dalla tasca, stringendola forte tra le dita.

  
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