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Autore: Maricuz_M    02/02/2013    7 recensioni
Dopo una delusione amorosa, c’è chi dice “Si chiude una porta, si apre un portone” oppure chi afferma “Meglio soli che male accompagnati”.
Ebbene, Eleonora fa parte di quest’ultimo gruppo di persone.
Le sue giornate, però, la porteranno in situazioni che la convinceranno a cambiare idea e, cosa non meno importante, a non fidarsi delle docce, dei marciapiedi e degli ascensori. O anche di alcuni suoi amici che si divertono a mixare il suo nome con quello dei suoi conoscenti, giusto per suddividersi in team e supportare coppie diverse in cui lei, ovviamente, rappresenta la parte femminile.
Dal secondo capitolo:
“Elle, guardati le spalle.”
“Ci manca pure che la sfiga mi attacchi da dietro.”
“La sfiga attacca dove vuole lei, mica dove vuoi tu.”
“Sennò come ti coglie impreparata? Vuoi una telefonata a casa, la prossima volta?”
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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XXVII Capitolo


States
Quanto può esser bello avere delle amiche? Delle persone che possono comprenderti appieno, che sanno sempre quali sono le parole giuste per te e quali no, che ti chiedono cosa c’è che non va quando tutto va storto o che sorridono quando ti vedono raccontare ciò che ti rende davvero felice e ti fa brillare gli occhi.
Sì, dovrei pensare a tutto questo, invece che mandare mentalmente vari generi di insulti nei confronti di Manuela e Ginevra.
Come hanno potuto sbattermi fuori di casa in quel modo, quando era palese che stessi chiedendo un piccolo aiutino? Oltre a non avermelo dato, mi hanno buttato in pasto ai leoni –al leone- come se non fossi una persona facilmente impressionabile e piuttosto sensibile a ciò che accade a me medesima. Davvero, il loro è stato un comportamento davvero esemplare, dovrei proprio legarmela al dito.
Ok, no, lo ammetto. Sto semplicemente sviando la mia mente dal pensiero principale: Filippo. Sono appoggiata al muro, proprio accanto alla porta della biblioteca stabilita come punto d’incontro e sto praticamente congelando. Bello, Febbraio. Sospiro, creando la tipica nuvoletta di fronte alla faccia. La guardo finché non si dissolve, per poi concentrarmi sul cellulare che ho appena estratto dalla tasca. Le persone mi passano davanti indisturbate, inconsapevoli del mio stato mentale. Chissà come appaio agli altri, in questo momento. Avrò una faccia sconvolta? Dio, se così fosse anche Filippo se ne accorgerebbe. Devo assolutamente pensare a qualcosa di allegro, magari divertente. No, divertente no. Potrei cominciare a ridere da sola, e da sconvolta passerei a psicopatica. Forse è meglio non pensare a niente e continuare a sembrare sconvolta. Sì, va bene così. Il cellulare, però, lo controllo lo stesso. Facendo due conti, dovrebbe arrivare da un momento all’altro. E io dovrei decisamente cambiare sfondo, visto che ho lo stesso da tre mesi.
“Ci sono!” Filippo si ferma davanti a me, facendomi notare, fra tutte le cose, la sua altezza. Pian piano alzo la testa e incrocio il suo sguardo. Ha il fiatone, però sorride lo stesso “Scusa. Pietro ha preso la macchina per andare da Sara e sono rimasto a piedi.”
“Tranquillo, non sei in ritardo.”
“Da quanto aspetti?”
“Non molto. Un minuto, forse.” O forse un po’ di più.
“Ah,” sospira “beh, non è andata malissimo, allora. Tutto apposto?”
“Sì, sì!” rispondo immediatamente, col solito tono acuto di quando sono nervosa “Tutto bene. Tu?”
“Va tutto bene. Davvero.” E il modo in cui pronuncia quel davvero sembra quasi un mezzo per farmi capire che sa che, per me, tutto apposto non è. Faccio una piccola smorfia colpevole e, molto probabilmente, arrossisco. Beccata subito, accidenti.
“Scusa.” Bisbiglio, facendogli addolcire lo sguardo.
“Mi hai fatto qualcosa di brutto e non lo so?” mi chiede, con un sorriso lieve sulle labbra. Scuoto il capo freneticamente “No, no! Solo..”
“Elle,” mi interrompe “stai tranquilla. Siamo qui per passare un po’ di tempo insieme, niente di più, niente di meno. Non c’è motivo per stare in ansia. Siamo solo io e te che..” ma stavolta lo blocco io.
“Solo io e te. E’ questo il motivo.”
“Ok..” mormora, dopo qualche secondo “Penso che l’unico modo per affrontare la cosa, sia non affrontarla affatto. Quindi, dove vuoi andare?Facciamo un giro o entriamo da qualche parte?” Perché devo decidere io?
“Ehm.. Non lo so, è uguale.”
“Hai freddo?”
“No, non troppo. Sto bene.”
“Allora facciamo prima un giro.”
Cominciamo così a camminare, sempre in silenzio, l’uno accanto all’altra. Non so se è un problema nostro o se è normale, ma tutte le volte che ci troviamo in luoghi aperti c’è sempre il momento in cui nessuno dice niente, proprio appena iniziamo a muoverci. E’ anche la parte che odio, tra l’altro. Mi lascia troppo tempo per pensare, e non voglio farlo. Non mi piace.
“Insomma.. Eri da Ginevra, mh?”
“Già. E’ stato un periodo pieno di novità, era necessario.” Oh, sì. Adesso gli dico anche che abbiamo parlato di lui.
“Effettivamente..” sussurra “Oltretutto, molte sono di genere sentimentale. Marco e Sonia, Samuele e Manuela, Vanessa e Simon..” ok, sto sperando con tutto il cuore che non dica i nostri nomi. Sarebbe imbarazzante e forse anche affrettato. Vero, probabilmente, ma affrettato.
“Ti ricordi” grazie a Dio “quando Simon ci aveva invitato a pranzo e ci siamo ritrovati in salotto ad ascoltarlo mentre era con Vanessa?” si ferma per ridacchiare “Quello non si vergogna di niente, è incredibile.”
“E’ sempre stato così.” Sorrido, quasi intenerita “L’anno scorso aveva fatto una scommessa, che ha perso. Si è spogliato, è rimasto in mutande ed è montato in macchina, poi ha chiesto ad una vecchietta delle indicazioni. Mi sono vergognata io per lui. Probabilmente l’avrebbe rifatto..”
“Non ci credo. E la vecchietta come ha reagito?”
“Ha minacciato di denunciarlo imprecando contro le nuove generazioni.”
“Che dolce.”
“Sì. La sua dolcezza ha fatto cambiare idea a Simon. E’ lei il motivo per cui quella è stata la prima ed ultima volta.” Rido, pensando all’espressione sconvolta del mio migliore amico in quel giorno. Era primavera, se non sbaglio.
“Quindi è il vostro giullare?” chiede Filippo, curioso. Quando annuisco, continua “Voi Simon, noi Jonathan.”
“Per questo vanno d’accordo, forse..” rifletto, guardando a terra.
“Senz’altro. L’importante è non lasciarli soli.. Ah, Manu come sta?” Cambia argomento, lasciandomi inizialmente interdetta. Faccio due più due.
“Samu come sta?” ribatto, ghignando.
“Lui ha affittato un appartamento in Paradiso. Adesso sta a te rispondere. Manuela?”
“Vive con lui.”
“In un certo senso, mi sento un po’ come Cupido. Tu sei stata la mia freccia. Insomma, è la freccia che dà la conferma, che assicura l’unione tra i due individui. Infatti ho chiesto a te.” Mi volto e vedo sul suo volto un’espressione compiaciuta. Dondolo un paio di volte la testa.
“Sono un oggetto.” Sparo a caso, per buttarla sull’insensato.
“Sei anche l’oggetto che rende Cupido quello che è, non denigrarti.”
“E’ una grande responsabilità, allora..” Deglutisco. E’ inutile, qualunque intenzione io abbia, con lui va in fumo, soprattutto se cerco di non far prendere al discorso una piega strana.
“Ma dà anche soddisfazione. Poi, voglio dire, Cupido sono io..”
“Già.” Sospiro, fingendomi rassegnata “Dimenticavo che ogni tanto la parte più modesta di te esce fuori.”
“Non fingere che ti dispiaccia.” Mi ammonisce, spingendomi piano con la spalla. Alzo le sopracciglia, continuando a recitare.
“Chi ti dice che io stia fingendo?”
“Chi ti dice che io non sappia riconoscere se tu fingi o meno?”
“Ok, ok!” Smetto di trattenermi e scoppio a ridere “Hai vinto, va bene. Non mi dispiace.”
“Ok, adesso puoi dire che ti piace.” Insiste “Ammettilo.”
“Perché con te devo sempre ammettere qualcosa? Come se non lo sapessi, poi.” Mi lamento. Mi accorgo che sto praticamente saltellando affianco a lui, esattamente come una bambina. L’inquietudine di prima è quasi sparita, ed anche il mio corpo mi mostra quanto sia più sciolta. Menomale.
“Beh, le mie sono deduzioni. Spesso esatte, ma deduzioni.” Risponde ovvio, facendo spallucce.
“Certo, scusa.”
“Fa niente. Lì c’è un bar, entriamo?”
 
“Sai che ore sono?”
“Poco fa erano le sei e cinque. Ti annoio?” Mi domanda inespressivo, appoggiando il gomito sul tavolo e il volto sul palmo.
“Non dire cavolate, lo sai che non mi annoi.” Sorrido, guardando e giocando con la bustina vuota di zucchero. La mia domanda aveva il significato contrario a quello usato da lui per provocarmi: volevo semplicemente sapere quanto mancava al momento in cui l’avrei salutato per tornare a casa. Più lontano è, meglio è.
“Come sta andando, secondo te?”
“Bene! Ma sapevi anche questo.”
“Non lo sapevo, però lo speravo.” Alzo lo sguardo, trovandolo intento a fissarmi, rilassato eppure attento. Respiro profondamente, cercando di farla passare come un’azione casuale, e dopo una manciata di secondi inclino la testa e dondolo un po’ il busto.
“Perché mi guardi senza dire niente?” chiedo, nascondendo il mio imbarazzo alla meglio.
“Ti studiavo in stato di quiete.” Sorride appena, ma mi basta per avvertire un tonfo in pieno petto e arrossire. Dio, sono proprio senza speranza. Mi basta rendermi conto di qualche sguardo, qualche gesto o qualche parola e mi va in trip il cervello. Abbasso il capo e guardo la mia barchetta di carta –pace all’anima della bustina-.
“Ci sono molte differenze?” Chiedo dopo essermi schiarita la voce.
“Rispetto a quale altro stato?”
“Quanti stati ho?”
“Non hai idea.” Ridacchia, spingendomi a spostare la mia attenzione di nuovo su di lui.
“E.. Ne hai uno preferito?”
“Sì e no. Mi è difficile trovare le mie cose preferite, faccio troppe distinzioni, troppi ragionamenti.. Cerco pro e contro e non riesco mai a decidere quale sia l’alternativa più adatta. Per esempio, vado in crisi quando mi chiedono qual è la mia canzone preferita. A parte il fatto che nel corso della mia vita, che non è poi così lunga, ne ho sentite a migliaia, come faccio a dire qual è quella che prediligo? Una può essere bella musicalmente, l’altra può avere un testo più significativo, la terza può ricordarmi un evento importante. Magari ieri avevo bisogno di qualcosa che avesse un determinato ritmo, oggi delle parole che riescano a rispecchiarmi, domani di perdermi nella mia memoria..” scuote la testa, approfittandone per fare un gesto con la mano adesso libera “E’ tutto troppo relativo.”
Annuisco senza neanche rendermene conto, tornando improvvisamente con la mente a quel giorno prima di Natale, quando mi ero incantata ad ascoltarlo mentre parlava della scrittura. Il cuore batte velocemente, e sento il bisogno di fare respiri solo ed esclusivamente profondi. Sento così tante cose..
“E..” tossicchio “Facendo l’esempio dei miei stati..?”
Mi scruta non variando la sua espressione, fin quando non sorride divertito e, sospirando, si appoggia completamente allo schienale della sedia, incrociando le braccia davanti al petto. La pendenza della sua testa mi suggerisce l’azionamento delle sue rotelline, così mi preparo. Poco dopo, infatti, parla “Beh, dipende dal momento e dal punto di vista. Se ti guardo come ricercatore di spunti, sempre. In modo particolare, però, quando sei confusa o comunque in situazioni critiche. Questo è un mio difetto di fabbricazione: trovo affascinanti le figure problematiche. Se invece ti guardo come Filippo, nonché persona che prova sentimenti nei tuoi confronti, scelgo i tuoi stati di quiete, di allegria, di tranquillità e tutte le varie sfumature. Oh, e lo stato di riflessione! Purché non sia su di te o su cose che ti riguardano direttamente. Anche quando arrossisci e sei imbarazzata, tipo adesso, o quando sei in fase di venerazione, come poco fa.”
“Ok.” Alzo le mani e distolgo lo sguardo “Può bastare. Ho capito. Non ne hai uno preferito.”
“Lo sono tutti.” Dall’intonazione capisco che sorride, ma scelgo di non accertarmene “Se ti chiedessi di rispondere alla stessa domanda faresti scena muta, giusto?”
“Giustissimo.” Mormoro.
“Allora evito. Torniamo fuori o stiamo ancora un po’ qui, al calduccio?”
“Torniamo fuori.” Rispondo, senza ragionarci più di tanto.
“C’è meno contatto visivo, eh?” Sghignazza lui.
“Oh, per piacere. Smettila di ricordarmi che sei onnisciente.”
 
“Perché non mi hai detto che sei nato il tredici Dicembre?! Avrei potuto farti gli auguri!” Brontolo, mettendo su anche il broncio. Ho scoperto solo adesso il giorno del suo compleanno, capitemi! No, ok, è una cavolata.
“Non me li avresti fatti.” Ribatte convinto “Ci conoscevamo da.. Massimo tre settimane. Ti vergogneresti a farmeli adesso, figurati prima.”
“Non è vero, non mi sarei vergognata!” Mi giro, con gli occhi spalancati “E non mi vergognerei neanche adesso.”
“Sì, lo faresti se ti chiedessi un regalo specifico.”
“Non voglio saperlo.” Lo minaccio con lo sguardo, poi torno a concentrarmi sulla strada, mentre lui continua a prendersi gioco di me.
“Vuoi tenerti la sorpresa per il prossimo compleanno?”
“Se vuoi vederla così, va bene. Basta che non me lo dici.”
“Non so le richieste che tu hai ricevuto in passato, ma la mia non sarebbe oscena, davvero.”
“Ci credo, ma meno so e meno mi rivelo demente.”
“Non sei una demente.”
“Questo è quello che pensano tutti. Se solo tu fossi dentro il mio cervello..”
“Cosa succederebbe?” mi sprona, guardandomi curioso.
“Beh, non so come funziona, ma sentiresti o vedresti tutti i miei veri pensieri, tutte le mie fisime, tutti i miei traumi, tutti i miei ricordi, tutte le mie speranze e tutte le mie paure. Sarebbe come andare in una discarica piena di roba messa lì senza un filo logico. L’unica differenza è che nel mio cervello non ci sono cose che puzzano o che sono sporche. Credo. Non sono cose concrete, non possono puzzare o essere sporche!”
“Invitante.”
“Raccapricciante.” Lo correggo e rotea gli occhi.
“Tu invece? Quando sei nata?”
“Ieri.”
“Cosa?! Davvero? Ieri era il tuo compleanno?” Chiede fermandosi in mezzo alla strada, improvvisamente nel panico. Resisto un paio di secondi, poi inizio a ridere come una matta. Sono persino costretta a piegarmi in due dal dolore, mentre gli occhi iniziano ad inumidirsi per le lacrime. E’ una delle cose più stupide a cui abbia mai riso, è vero, ma la sua faccia era da fotografare e appendere davanti al letto, giusto per iniziare ogni giornata con un sorriso.
“Deduco che tu non sia nata ieri.” Dice, facendosi sfuggire un sorrisetto.
“No.” Prendo un respiro profondo e mi raddrizzo, passandomi le mani sotto gli occhi “Sono nata a Maggio. L’undici Maggio.”
“Anche mio cugino è nato l’undici Maggio.”
“Me lo segno.” Annuisco, cercando di recuperare tutto il contegno necessario per riprendere a camminare “Ma.. Tu dove abiti?”
“In fondo alla strada. Lì davanti.” Dice semplicemente.
“Ah. Comodo. Avete quasi tutto intorno. Appartamento?”
“Sì. Secondo piano, però, non ottavo. In ogni caso, il nostro ascensore funziona. Con te è necessario specificare questo aspetto, altrimenti non ci entreresti mai con me.”
“A volte basta prendere le scale.” Affermo saccente, come se avessi detto chissà quale perla di saggezza.
“Sarebbe stato bello prendere le scale, quel giorno, se qualcuno non si fosse fatto male alla caviglia.” Butta lì. Aggrotto la fronte.
“Cosa vorresti insinuare? Mica ti ho detto io di prendere l’ascensore!”
“E lasciare una povera donzella infortunata e suggestionabile nelle grinfie di un aggeggio poco funzionante? Mai.”
“Hai preso quell’ascensore per me?” chiedo, sconvolta.
“Non ho detto questo.”
“Non ci posso credere.” Bisbiglio, fissandolo con gli occhi più spalancati di prima.
“Ok.” Si ferma davanti ad una porta “Adesso ti chiederò una cosa, però prima ho bisogno che tu smetta di puntarmi in quel modo con quegli occhioni scuri, d’accordo?” sospirando e prendendolo alla lettera, chiudo gli occhi. Se ci avessi pensato non l’avrei fatto, vorrei sottolineare questo aspetto.
“Grazie. Ora voglio che tu mi assicuri che riceverò una risposta sincera.”
“Te l’assicuro.. Ma ho paura.”
“Lasciala perdere. Guardami.” Faccio quello che dice “Vuoi salire? Ti do cinque secondi per riflettere, solo perché ti voglio bene e so che in questo momento la tua discarica profumata ha fatto bum.” Ma bravo. Boccheggio per un paio di secondi, poi provo a chiedergli se mi prende in giro, senza riuscirci. Ha alzato l’indice e l’ha posto esattamente tra il suo viso e il mio.
Sì o no? Sì o no? No, non posso. Ma perché no?Maledizione, perché mi fa questo? Dovevo aspettarmi che prima o poi avrebbe smesso di facilitarmi le cose.
“Tre.. Due.. Uno..” Il dito si sposta e punta me. Deglutisco, mi passo la lingua tra le labbra e prendo fiato.
“Sì.”

 


La la la Eleonora è fori de capoccia la la la!

LADIES AND.. LADIES!
Eccomi qui, con il penultimo capitolo di questa storia. Di conseguenza, il prossimo sarà l'ultimo. Ma poi c'è l'epilogo, quindi alla fine dovete ancora cagarmi per un paio di volte. :')
Allora, che ne dite? Io non mi pronuncio. 
Anzi, siccome ho già scritto l'ultimo capitolo e sto preparando l'epilogo, fi faccio una domanda: cosa vorreste fosse chiarito o affrontato nell'episodio finale? E quando vorreste fosse svolto? Cioè, qualche giorno dopo, settimane, mesi, anni..? Potreste davvero aiutarmi rispondendo a queste domande. :'D

Well, well.. Se devo essere sincera inizio a sentirmi male. Non vorrei mai abbandonare nessuno di questi personaggi, ma l'ho fatto con Amore al primo Tweet, con Ruth, e devo farlo anche con La monotonia non esiste.
Ovviamente vi devo ringraziare per tutto quello che avete fatto e state facendo, ma lo farò meglio dopo l'epilogo. :')
Il 28° capitolo verrà pubblicato l'8 Febbraio, che è Venerdì. Non più una settimana di attesa, quindi. u_u

Se volete contattarmi, potete farlo qui su EFP, su Twittah oppure sul mio personal Blog.
E' stato un piacere. A presto!!

Maricuz

Ps: Domani è il mio compleanno. *gongola*
   
 
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