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Autore: Eloise_Hawkins    03/02/2013    1 recensioni
Una raccolta di ricordi che si snoda tra le pagine di una vita vissuta con tenacia e affetto. Un'accozzaglia di giorni che narra di una crescita delicata, felice, a tratti sofferta, ma tutto sommato serena. Tra risate e coccole, tra lacrime e dolori, si svolge la vita di Chiara, la protagonista di questa storia, che con un sorriso a volte dolce, a volte amaro, racconta la vita che i suoi genitori le hanno regalato, l'affetto che la sua famiglia le ha donato, il sorriso che ha faticosamente costruito. Sempre all'insegna dell'amore, e del forte legame famigliare che Cinzia e Mauro hanno saputo creare.
A mio padre, che col suo sguardo mi ha insegnato il mondo.
A mia madre, perché nei suoi occhi ho imparato la fantasia.
A mia nonna, perché attraverso i suoi racconti ho capito la vita.
Ai miei folletti, Renata e Irene, che mi hanno tenuto per mano fino ad oggi, in questo girotondo chiamato vita
.
Questa storia si è classificata prima al contest "L'alfabeto dei ricordi", indetto da Angy Lulu sul forum di Efp.
Genere: Fluff, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Thanks for the memories'
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G come giusto

 

Diciassette anni – Sciocchi, diamanti e pezzi di vetro

 

La prima delusione d’amore giunse a diciassette anni, e mia madre era lì a sorreggermi. Non seppe mai quanto importanti furono le sue parole, e che ruolo determinante ebbe lei nel sancire la mia guarigione.

L’emotività che fin da bambina mi aveva sempre seguita come un’ombra fastidiosa, anche quella volta aveva avuto la meglio. Lui mi aveva lasciata, e io non riuscivo a farmene una ragione. Faceva male, di un male diverso da tutti quelli saggiati fino a quel momento.

Non riuscivo a mangiare, non riuscivo a studiare, non riuscivo a concentrarmi a lungo su qualcosa, e il fatto che il giorno dopo dovessi sostenere un esame di maturità non mi aiutava nell’impresa.

Fino a pochi giorni prima andava benissimo, poi lui aveva deciso che non stava più bene con me, e  mi aveva lasciata. Eravamo stati insieme solo un mese, ma era stato un mese intenso e pieno di sentimento. Non era ancora amore, ma la sensibilità con cui il mio cuore tendeva a legarsi a qualcuno aveva fatto sì che quell’affetto si trasformasse in qualcosa di selvaggiamente profondo. Era crudele, quel dolore che sentivo.

 

Mia madre venne nella mia camera quando ormai era sopraggiunta la sera. Faceva caldo, ma io ero lo stesso rintanata sotto le coperte, il libro di filosofia aperto sulle gambe e la mente sgombra da ogni nozione scolastica. Piangevo, anziché studiare, e sapevo che lei aveva il cuore spezzato almeno quanto il mio. Si sedette sul bordo del mio letto, e mi accarezzò piano la testa. Io non riuscii più a trattenermi, e un singhiozzo acuto mi sfuggì dalle labbra, prima ancora che le lacrime cominciassero a scorrere copiose sul mio volto.

Lei mi abbracciò, e io la strinsi forte, e mi sentii di nuovo una bambina dentro quelle braccia calde e morbide.

«Mamma, perché deve fare così male?» chiesi tra le lacrime. Non ebbi mai risposta. Lei mi guardò, stringendo le labbra e continuando a carezzarmi i capelli.

«Non era quello giusto» disse, invece di replicare alla mia domanda. Fu laconica, e quella frase mi sorprese tanto da sospendere per qualche minuto il mio dolore. Mi scostai un poco da lei, per guardarla in volto: sorrideva.

«Come?» chiesi, incerta e perplessa. Non riuscivo a capire a cosa si riferisse, e cosa l’avesse portata a fare quell’affermazione. Eppure, il peso che mi opprimeva lo stomaco divenne appena meno soffocante.

«Quando l’ho visto accanto a te, ho avuto subito questa sensazione. Non era quello giusto» continuò placidamente. La guardai negli occhi, cercando in quelle iridi azzurre una traccia di bugia, o di falsità: non ne trovai. Il suo sguardo era limpido e sincero come solo quello di una madre in pena può esserlo. Sapeva ciò che diceva, ed era sicura delle sue parole.

Avevo visto mia madre debole e spaventata, ma questo non mi aveva impedito di considerarla sempre superiore a me. L’avevo sempre ammirata, fino a quando non l’avevo vista piangere; ma anche allora, ho conservato fin dall’infanzia quel senso di inspiegabile insicurezza che solo lei poteva placare, con le sue parole. Ho sempre creduto che i miei genitori avessero ogni risposta, e sapere da lei che la sua sensazione fosse quella, mi rassicurò. Mi sentii di nuovo serena.

 

Più tardi, nella mia stanza, riuscii a farmi entrare in testa qualcosa prima dello scoccare della mezzanotte. Il giorno dopo avrei dovuto sostenere la terza prova, e nonostante ora fossi decisamente più tranquilla, il mio fisico era stato provato da una lunga ansia, e un prolungato digiuno, per cui mi sentivo debole e intorpidita. Quando il mio cellulare squillò, sulle prime non feci attenzione a quel particolare. Solo molti minuti più tardi mi ricordai di quel suono, e lessi il messaggio che mi era arrivato.

“Lo sciocco può barattare il diamante per un pezzo di vetro, ma il diamante rimane la cosa più pura e preziosa esistente in natura”.

Me lo mandava mia madre.

 

   
 
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