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Autore: ShadowMoonLady    26/02/2013    4 recensioni
Presentazione decente coming soon~
Silenzio.
D’altronde, che cosa avrebbe potuto dire? Che cosa si poteva dire davvero in una situazione del genere?
Nulla, non c’era nulla da dire. Era così e basta, di soluzioni non ce n’erano, e mai ci sarebbero state.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1
 




 
La scogliera era ripida, a strapiombo, friabile. Bastava un passo sbagliato e si disfaceva sotto i tuoi occhi, non dandoti tempo neanche di urlare che già stavi cadendo. Lì avresti avuto tutto il tempo di gridare, anche di riguardarti la vita in un filmino. Magari avresti avuto anche il tempo di rivederla un paio di volte, data l’impressionante altezza.
Il mare, sotto, era di un nero mozzafiato, nero del cielo nelle notti senza stelle. Nero e bianco, della spuma che lambiva senza tregua la roccia, battendo con ripetuta ossessione, ancora e ancora. Con un’irruenza tale da far arrivare gli spruzzi salati fin sopra, accompagnati dal vento forte che sembrava sputarti in faccia.
La costa rocciosa si estendeva fin dove l’occhio riusciva a perdersi, irregolare, piena di insenature più o meno grandi. A pochi passi dal bordo superiore iniziava quello che pareva un bosco, talmente pieno zeppo d’alberi che se ascoltavi bene potevi sentirlo respirare.
Il rimbombare delle onde era l’unica fonte di rumore: il bosco, dal canto suo, sembrava non ospitare alcuna forma d’essere vivente.
In un punto imprecisato tra l’inizio del dirupo e quel verde fitto e raspante c’era una sagoma indistinta, buttata in malo modo e apparentemente morta. La terra accanto alla figura era macchiata di un rosso ruggine poco rassicurante, e la sagoma era pervasa da un’immobilità che prometteva male.
Poi, di scatto, la figura aprì gli occhi. Davanti a sé, mille puntini neri e bianchi, abbaglianti. Li richiuse subito dopo, emettendo un gemito di dolore e spezzando per un istante la perfetta melodia delle onde.
Passati neanche due secondi, ringhiando, ci riprovò. Scorse il grigio del cielo, e non perse tempo a richiudere gli occhi per riposarsi, anche se provava dolore ovunque. Sollevò la testa, poggiandosi sui gomiti, nonostante gli sembrasse di stare per svenire. Non stette più di mezzo secondo a guardarsi intorno.
A quella sagoma indistinta non poteva fregare un cazzo della scogliera, del mare o del bosco. O almeno, non al momento.
Al momento c’era un solo pensiero che gli ronzava in testa: uccidere Trafalgar Law.
Eustass Kidd si mise in ginocchio, appurando che la testa gli vorticava in modo terrificante e che stava per vomitare da un momento all’altro. Se ne fregò bellamente e si tirò in piedi, constatando che anche se ci vedeva doppio ci vedeva, e quindi poteva dirsi soddisfatto. Non stava neanche troppo male. Non riuscì a finire il pensiero, che si ritrovò piegato in due a terra, vomitando l’anima e del cibo che non sapeva quante ore prima avesse mangiato.
Quando anche gli ultimi conati finirono di scuotergli le viscere, si asciugò la bocca con un braccio. Poi tornò in piedi, cocciuto, muovendo qualche passo per allontanarsi. Se doveva svenire, preferiva non farlo in una pozza di vomito. Le articolazioni gli dolevano terribilmente, e sulla nuca, da quello che con una mano poteva sentire, aveva un taglio lungo più o meno una ventina di centimetri. Il sangue tiepido gli gocciolava sul collo e scendeva per tutta la schiena, andando a condensarsi un po’ per il vento freddo. Kidd rabbrividì. Sospettava vivamente che avesse già esaurito una buona parte del proprio sangue in quella pozza ruggine in cui si era svegliato. Poco male: respirava -più o meno-, riusciva -più o meno- a camminare, e aveva -più o meno- tutti gli arti e gli organi al posto giusto. Si rese conto vagamente di essere su un isola sperduta nel bel mezzo di chissà dove, ma non gli importava più di tanto. Quel che era certo era che se lui era capitato lì, anche le chiappe di quel fottuto medico dovevano essere arrivate da qualche parte. Sempre se fosse sopravvissuto alla scalata. Kidd, mentre zoppicava tenacemente verso un lato dell’isola, fece una smorfia al pensiero che le forze della natura gli avessero tolto tutto il divertimento e avessero ammazzato l’altro prima di lui. La smorfia si incupì al pensiero di una sua morte veloce e indolore, magari mentre era svenuto. Non poteva permettere una cosa del genere. Quel pazzo sadico doveva morire solo e soltanto per mano sua, e in maniera lenta e dolorosa. Doveva pagarla per quello che aveva fatto. E l’aveva fatta davvero, davvero grossa.
La testa gli girò pericolosamente, e si ripiegò per vomitare. Calcolò che non avrebbe ucciso nessuno, in quelle condizioni. Si girò indietro, notando che non aveva fatto nemmeno tanta strada. Emise qualcosa tra un ringhio e uno sbuffo, poi si accasciò a terra, deviando per un soffio la pozza di vomito e trovandosi già incredibilmente stanco. Strinse i denti per sopportare il dolore della caduta. Fanculo. Non riusciva più neanche a sedersi senza provare abbastanza male da fargli desiderare di non essere se stesso e poter scoppiare a piangere. Dov’era finita la rinomata forza di Eustass “Captain” Kidd? Eh?
Kidd era sveglio da circa dieci minuti e stava già perdendo la pazienza.
Si guardò intorno per un attimo, appurando che un albero a cui appoggiarsi sarebbe stato l’ideale per fare il punto della situazione, senza per forza distendersi e dover fare il sacco di carne mezzo morto e sentirsi più patetico di quanto non si sentisse già.
Chiudendo gli occhi, con le ginocchia che tremavano e la nuca che scoppiava, si fece violenza e si rialzò, trascinandosi verso l’albero più vicino. Poi piano, con tutta la delicatezza che possedeva -ben poca, a dire il vero, considerato che in quel momento si sarebbe preso a pugni-, si abbassò fino a terra più che poté, fino a crollare sulle ginocchia. Respirò profondamente, incoraggiandosi mentalmente, poi si rigirò con uno scatto lasciandosi a sedere. Riaprì gli occhi, appoggiando delicatamente la testa contro al tronco. Niente male si disse, oltre al dolore così penetrante da non sapere più dov’era. Ma solo per un secondo. E poi Kidd se l’era scampata con ferite peggiori, sopportando dolori più forti. Un paio di costole incrinate -sì, doveva essere per quello che respirare era una mezza agonia-, diversi tagli superficiali che neanche sanguinavano più, una caviglia molto probabilmente slogata, lo stomaco sottosopra, un taglio enorme sulla nuca, un principio di dissanguamento che non poteva che peggiorare. Niente di che, in fondo. Poteva farcela. Certo, magari se avesse bloccato la perdita dalla ferita alla nuca prima di non riuscire neanche più a muovere le mani, quella era una cosa da non sottovalutare se voleva sopravvivere il minimo per rimettersi in piedi. Si rese conto di avere ancora tutti i propri vestiti addosso, abbastanza in buona forma. Non si domandò come fosse possibile; prese atto con soddisfazione, quasi come fosse merito suo -anzi, esattamente come fosse merito suo-, poi, anche se con un certo rammarico -Erano i suoi pantaloni preferiti quelli, dannazione- e con le mani tremanti, strappò una striscia di tessuto ad occhio e croce sufficiente. Non era un medico, e di ferite del genere di solito se ne occupava qualcun altro, ma qualcosina, a forza di ripetizione, la sapeva: e se c’era un’emorragia, bisognava bloccarla il prima possibile. Come si facesse a bloccare una ferita alla nuca, non ne aveva idea, ma pensò che il classico bendaggio che si applicavano dalle altre parti sarebbe andato più che bene. E poi Kidd era stanco, affamato e allo stesso tempo con un voglia di vomitare ancora e ancora irresistibile, la testa gli faceva un male del diavolo e non aveva voglia di stare a rimbeccarsi per trovare il modo più consono per curarsi.
Quindi, guardando appena la benda improvvisata -Porca puttana, perché ne vedeva tre?- se l’appoggiò alla meno peggio sulla nuca. Sentì un bruciore allucinante perforargli la scatola cranica, ringhiò,ma non mollò la presa sui bordi della stoffa. Le mani gli tremavano, ma dopo aver considerato che stringere la fasciatura sul collo non sarebbe stata la mossa più intelligente, optò per passarla sopra le orecchie e legarla sulla fronte. Abbandonò le braccia lungo i fianchi, ma sentiva già il bendaggio gocciolare, impregnato. Staccò allora un altro lembo dei propri pantaloni, ripetendo l’operazione, e sembrò andare un po’ meglio. Dopo aver preso fiato allungò di nuovo un braccio, toccandosi la base del collo e l’inizio della schiena, e percependo l’appiccicoso del proprio sangue che stava già seccando. Con un certo sollievo e anche una punta d’orgoglio -Poteva dirsi praticamente un medico- abbandonò di nuovo il braccio, sospirando e lasciando crollare le palpebre.
Bene,ora che aveva sistemato la questione principale poteva concedersi di chiudere gli occhi due minuti. Solo due. Il tempo di sistemare i pensieri e di far attenuare quel mal di testa lancinante che non faceva che peggiorare. Gli sarebbe proprio servito un goccio di qualcosa di forte. Qualcuna di quelle bottiglie che Killer gli impediva di bere fino alle occasioni speciali. Che poi, gli diceva sempre, perché le doveva scegliere sempre lui, queste occasioni speciali? Che ne sapeva se, che so, quel giorno non era un’occasione più speciale di altre occasioni che lui riteneva speciali?
Kidd fu sbalzato al presente, mentre piano cadeva nelle spire di un sonno stranamente troppo profondo e incredibilmente piacevole. Una parte di lui si chiese se stesse morendo; un’altra dissentì categoricamente, affermando che era un modo troppo stupido per morire. Un’altra parte ancora, quella che tenne in considerazione, si chiese dove fossero finiti Killer, la sua ciurma, la sua nave.
Si chiese dove cazzo fosse finito quella merda di Trafalgar Law, e pregò qualcuno di cui non credeva l’esistenza che non morisse prima di aver assaggiato la sua vendetta su per il culo.
Mentre i pensieri si confondevano, le immagini si disperdevano, e il nero si chiudeva sempre di più sul lui che scalciava per avere delle risposte decenti alle proprie domande, pensò distintamente una cosa:
Era tutta colpa di Trafalgar Law.
 

~***~

 
Era tutta colpa di Eustass Kidd.
In mezzo a tutte quelle incognite, quella confusione snervante e l’altrettanto snervante sensazione di sapere esattamente come curarsi ma non avere gli strumenti esatti e necessari, Trafalgar Law aveva una certezza. Se si trovava -se si trovavano- in quella situazione la colpa era solo e soltanto di quell’immensa testa di cazzo minorata mentale.
Law era certo anche di due altre cose: era ancora vivo, perché quel cazzone aveva la pellaccia terribilmente dura -e se fosse morto, bè, si sarebbe fatto una grossa risata, poi si sarebbe rimboccato le maniche e avrebbe trovato un modo per riportarlo col culo nel mondo dei viventi- e appena lo avrebbe trovato gli avrebbe fatto confessare le sue colpe e lo avrebbe costretto a pregarlo per risparmiarlo. Poi, con il suo ghigno migliore, sfoderando la nodachi e chiamando la room, lo avrebbe ridotto così male che neanche sua madre sarebbe stata capace di riconoscerlo. Sarebbe stato un giocattolino sprecato per i propri esperimenti, ma avrebbe avuto a disposizione il restante della sua ciurma, quindi non sarebbe stato un gran male. Nonostante non sopportasse gli sprechi. In quel paio d’ore passate da quando si era svegliato su quella riva bassa e sabbiosa, sputando acqua marina che gli corrodeva l’anima e con un Bepo preoccupato che continuava imperterrito a fargli il massaggio cardiaco, aveva potuto considerare che per una più che giusta causa -in questo caso, una più che meritata vendetta-, uno spreco si sarebbe potuto fare. Anche se sarebbe stato divertente vederlo in mezzo a quei cadaveri che tanto lo ripugnavano sui lettini del suo laboratorio, ma che non gli avevano impedito certo di sbatterlo a novanta gradi su uno di quelli rimasti liberi. Ecco, forse uno spreco non da lasciare marginalmente sarebbe stata la fine dei loro incontri casuali -casuali, che parola grossa. Sapevano tutti benissimo che forse il primo, massimo il secondo, poteva essere chiamato così: lui in primis. Dopo mesi e mesi di incontri di casuale non c’era assolutamente nulla-, e Law doveva ancora considerare con attenzioni le clausole del “sacrificabile” fino a cui per una vendetta si arrivava.
Poi però pensava a quello che era successo, alla ferita sulla gamba che richiedeva assolutamente dei punti di sutura e di essere disinfettata, che nella migliore delle ipotesi non sarebbe riuscito a camminare per uno o due mesi, pensava all’acqua marina che lo aveva corroso da dentro, come mai prima, rendendolo debole da far schifo e alla testa così pesante da poter percepire il collo che si spezzava sotto la sua mole. Ovviamente sapeva che era tutto frutto della sua fantasia, che era solo terribilmente affaticato e dolorante e che l’acqua di mare amplificava gli effetti e diminuiva la soglia del dolore, ma la sensazione era quella.
Si guardò ancora una volta intorno, memorizzando quanti più dettagli possibili. La distanza tra il mare burrascoso e l’enorme bosco secolare a cui Bepo aveva attinto la legna con la quale aveva acceso il fuoco e a cui si stavano asciugando era ben poca. Law lo considerò un dettaglio strano, considerando l’impetuosità delle onde che sarebbero dovute arrivare molto più lontano del margine di sabbia che prendevano al momento, e la spiaggia avrebbe dovuto prendere molto più spazio al bosco. Invece, sembrava come se la potenza delle onde scemasse in un punto imprecisato, frenato da non si sa cosa, e le onde arrivassero a riva più dolcemente. Da quello che Law aveva potuto vedere, vero destra sembrava esserci un pendio: arrivò quindi alla conclusione che la costa più in là fosse molto più alta, forse persino rocciosa, e che in tutta l’isola le onde rispettassero il perimetro immaginario di una qualche scogliera. Queste ovviamente erano solo supposizioni -anche abbastanza campate in aria e necessitanti di uno studio più approfondito, si disse fra sé Law-, ma erano delle supposizioni interessanti e che gli tenevano la mente piacevolmente occupata, invece di lasciarsela occupare da pensieri più loschi e preoccupati -Come stava il resto della sua ciurma? E il sottomarino? Dove diavolo erano finiti?- che in quel momento era troppo stanco per prendere in considerazione più del dovuto. Era un medico, dopotutto, e se fosse stato proprio paziente si sarebbe detto di riposarsi per un paio d’ore e di non pensare più di tanto. Esattamente quello che stava facendo, più o meno nei suoi limiti.
Si accoccolò meglio addosso a Bepo, che dietro di sé dormiva già beato. Rabbrividì di freddo, quando una folata di vento particolarmente insidiosa superò il calore del fuocherello imbastito. Chiuse però gli occhi, contando sul folto pelo del proprio vicecapitano e ringraziando che almeno uno dei due fosse completamente sano, tranne un po’ di stanchezza.
Si sentiva stanco come non lo era da tempo, spossato e dolorante come poche altre volte, e quello di cui aveva bisogno era solamente una bella dormita. La gamba pulsava in maniera incredibile, e l’emorragia, lo sapeva, non si sarebbe fermata se non con una sutura chirurgica. Se si concentrava, poteva sentire ogni goccia che gli imbrattava la garza che si era ritrovato con una fortuna fin troppo sfacciata in tasca. Cercò di non pensarci troppo, cercò di non ricordare con precisione quanto tempo ci mettesse un essere umano della sua taglia a morire dissanguato con una perdita di sangue così costante. Avere uno scadere preciso della propria vita lo elettrizzava e inquietava al tempo stesso: chissà se ce l’avrebbe fatta, stavolta. Chissà se non sarebbe diventato lui un cadavere da buttare in mare, vittima della rigidità congelante della morte, persino prima di Eustass-ya. Socchiuse gli occhi, e strinse i pugni: aveva un obbiettivo. Sopravvivere quel tanto che bastava per vedere quello stronzo pagarla per quello che aveva combinato. Con un mezzo ghigno lasciò andare la testa troppo pesante sul corpo morbido di Bepo, chiudendo definitivamente gli occhi e scivolando in un sonno senza sogni.




















Shadow’s Corner (Attenzione:questotitoloservesoloperrenderelemiecazzateunpo’piùpoetiche)

Ciao a tutti, e ben tornati dopo un’eternità e mezzo di tempo al mio nuovo parto~
Prima di tutto vorrei regalare un biscotto a chi è arrivato qua giù, una torta a chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e un Law denudato a chi ha commentato lo scorso capitolo *porge regali con un GRAZIE stampato sopra*
Ora, passando al capitolo: si aprono definitivamente le danze, e mi scuso in anticipo per il luuuungo tempo in cui starò a rompervi l’anima, dato la portata di cui è la storia (come mio solito). Specificatamente in questo capitoletto senza pretese, vediamo come sono messi i nostri Capitani e c’è BEPO il futuro Re dei pirati –anche se di sfuggita- e quindi anche solo per questo lo considererei un bel capitolo scappate da questa storia e dall’autrice, siete ancora in tempo.
Bene, sperando di aggiornare presto, commentate e ditemi che ne pensate, non risparmiatevi dal segnalarmi tutti gli errori e da domandarmi quello che volete! <3
 

Shadow
  
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