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Autore: LaMicheCoria    21/04/2013    2 recensioni
«Non so come funzioni il sistema di notizie nell’Ade, Capitano, ma si dà il caso che io mi sia spezzato la schiena pur di venire a tirarti fuori da questo piattume greco e tu…»
«Io sono morto, Tony. I morti devono rimanere coi morti. Noi non apparteniamo alla vita. Noi apparteniamo all’Ade. Non abbiamo più passato, non c’è concesso futuro. Possediamo solo il presente. E il presente è nell’Ade. Insieme ai morti. Noi non apparteniamo alla vita. I morti devono rimanere coi morti. Io sono morto, Tony.»

Per ordine di Giove, Atropo recide il Filo della Vita di Steve Rogers. Un sacrificio necessario per riportare l'Equilibrio nell'esistenza dei mortali, perchè è giunto il momento che il Destino di Capitan America finalmente si compia.
Ma forse non tutto è così semplice e se Temi, la Giustizia Divina, non interviene più nelle vicende degli uomini, sarà il Caso a far sì che l'inganno -Se esiste, venga svelato.
Per riportare indietro il loro compagno i Vendicatori si spingeranno fino alla bocca dell'Ade -E anche oltre.
[Steve/Tony] [Clint/Coulson] [Bruce/Natasha] [Thor/Jane - Amora/Thor] [ CONCLUSA ]
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cause Nobody Wants To Be The Last One There :.'
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.:  *** :.

 

 

-Lady Virginia..
Pepper smise di massaggiarsi la tempia a punta di dita e rialzò gli occhi: le ci volle più di qualche secondo per mettere a fuoco il volto di Thor. Forse aveva fatto un movimento troppo brusco con la testa, forse era la stanchezza, ma il mondo le era traballato intorno in maniera scomoda e nauseante, cosa che contribuì a peggiorare il pulsare continuo alla fronte.
Si schiarì la voce e asciugò un’ombra di pianto proprio sopra lo zigomo, assottigliando le la labbra e cercando di rivolgere all’Asgardiano l’espressione più cordiale che le riuscisse; cosa in verità non facile, visto e considerando che aveva passato le ultime tre ore e mezza a discutere contrattare ufficializzare concordare proporre con una gamma di persone tanto variegata da averne ormai sono qualche ricordo frammentario. Aveva passato quaranta minuti buoni a discutere con l’ospedale sul perché e sul per come il corpo di Steven Rogers fosse stato spostato dall’obitorio alla Stark Tower, a decidere insieme alle autorità in che modo strutturare e rendere accessibile a chiunque l’esposizione pubblica della salma, a prendere accordi e stabilire che la Tower, tra tutti, fosse il luogo più adatto per allestire la camera ardente.
Aveva speso troppe parole, così tante da non averne più per sé, né per i Vendicatori, né per altri. Ad ogni telefonata, ad ogni e-mail letta dal palmare mentre col cellulare prendeva e dava disposizioni circa i fiori, la cerimonia, la stampa, la gente; ad ogni persona più o meno importante, più o meno conosciuta che ancora la cercava nonostante fosse abbondantemente passata la mezzanotte; ad ogni voce che chiedeva, sbraitava, ululava il nome di Tony, No, il signor Stark non è reperibile al momento; ad ogni minima cosa a Pepper sembrava di perdere un frammento di se stessa e della realtà.
Voleva solo sedersi in un angolo, affondare la testa fra le mani e piangere per Steve Rogers, per Tony, come ancora non era riuscita a fare. Concedersi anche solo un minuto, anche solo un attimo per elaborare il lutto che tutti gli altri continuavano a ricordarle, ma senza darle il permesso, né la possibilità di farvi realmente i conti.
Quando Thor era venuta a chiamarla, Virginia aveva appena attaccato il telefono –Forse con troppa irruenza, forse con troppa rabbia, forse con troppa frustrazione, in faccia ad una giornalista che continuava a sciorinare domande e teorie e ipotesi più o meno fantasiose, più o meno freudiane, più o meno scientifiche sul perché il signor Stark avesse reagito così malamente alla dipartita della leggenda d’America.
-Sì?- chiese, posando il cellulare sopra un tavolino basso e rivolgendo all’Asgardiano quella poca attenzione che ancora le era rimasta.
Thor diede qualche colpo di tosse, la guardò fisso e fece per metterle una mano sulla spalla, rinunciando all’ultimo istante.
-Sono consapevole di quanto io possa risultarle fastidioso, inopportuno, persino poco sensibile nei suoi confronti in questo momento di profondo dolore e rammarico. Tuttavia..- una pausa -Vorrei chiederle, a nome di tutti noi, se sarà possibile vedere Capitan America: vorremmo dargli l’addio che merita. Come eroe, ma soprattutto come amico.
Virginia deglutì e serrò le labbra, le lacrime che già pizzicavano le ciglia; inspirò a fondo e deglutì un singhiozzo prima di rispondere.
-Andrò a parlare con il signor Stark. Lo convincerò a..- la voce le mancò all’improvviso, un sussulto improvviso al petto le impedì di continuare. Thor non disse nulla ed annuì, ringraziandola con un sorriso.
Pepper si scusò e superò a grandi passi sia la divinità che il salone della Tower dove i Vendicatori si erano radunati dopo gli eventi del Madison Square Garden. Lanciò un’occhiata veloce all’interno: il dottor Banner si teneva la fronte con una mano, le spalle piegate ed il volto pallido, l’Agente Barton era di spalle contro la grande vetrata che dava sui tetti di Manhattan, Jane Foster, la nocca dell’indice stretta tra i denti e le guance lucide di lacrime, e infine Natasha, seduta accanto a Bruce. L’Agente Romanoff fu l’unica a sollevare gli occhi al suo passaggio, a darle una stilla di coraggio con un cenno appena percettibile della testa.
Pepper le fu grata e la rivolse un piccolo sorriso prima di continuare la propria strada verso il laboratorio.
Dacché Tony aveva portato Steve via dall’ospedale e si era rifugiato nel laboratorio del novantatreesimo piano, nessuno di loro l’aveva più visto. Non aveva permesso a nessuno di entrare, si era limitato a trasportare il Capitano in laboratorio, serrare la porta e oscurare i pannelli divisori.
A nulla erano serviti i tentativi della signorina Van Dyne, che aveva insistito per venire alla Tower insieme al compagno, il dottor Pym, e poi costretta a lasciarli in modo preparare una conferenza stampa per l’indomani mattina. A nulla i richiami di Natasha, né le preghiere di Jane o le richieste del Team America –Il signor MacDonald, alla fine, aveva convinto i compagni ad andarsene e a commemorare Steve Rogers come ogni buon motociclista avrebbe fatto, ossia trangugiando asfalto e conquistando orizzonti in suo onore.
Imprigionato nel lutto e nel mutismo, Tony Stark aveva rifiutato ogni mano, denigrato ogni aiuto.
Pepper sperava che almeno Rhodey riuscisse là dove gli altri avevano fallito, ma nel vederlo davanti al laboratorio, il pugno chiuso sopra il pannello elettronico e l’espressione truce, capì che riportare Tony alla realtà sarebbe stato più complicato del previsto.
-Rhodey- lo chiamò, ferma sull’ultimo scalino.
Jim scosse il capo e serrò la mano destra, le nocche contratte per la tensione.
-Ha cambiato il codice d’accesso- mormorò -Ho chiesto a J.A.R.V.I.S. di farmi entrare comunque, ma quell’idiota gli ha dato ordine tassativo di non aprire a nessuno. È talmente distrutto da essere più lucido di quanto si potrebbe pensare.
Virginia strinse le dita attorno al corrimano: il freddo del metallo irrorò una scossa gelida lungo i nervi, dandole uno scossone alla schiena. Esattamente ciò di cui aveva bisogno per compiere l’ultimo passo e avvicinarsi a Rhodes. Questi chiuse gli occhi e quando lei gli mise una mano sulla spalla, si lasciò andare in un sospiro.
-Non sarebbe dovuta andare così, Pepper-
-Lo so-
-Non vuole uscire. Non ci permette di entrare. Non so come aiutarlo, mi sento inutile. Non è come quando è mancato suo padre: è diverso. È tutto diverso e non so cosa fare-
-Va’ a casa, Rhodey- Pepper gli sorrise con dolcezza, la mano scivolò a sfiorare il braccio in una tenue carezza -Va’ a casa e riposa. Ti farò sapere se ci sono novità.
Detto questo, si soffermò sul pannello elettronico.
Incerta se tentare o meno la sorte, digitò lentamente le cifre del proprio codice d’accesso: temeva già di vedersi rifiutare l’entrata, un sospiro affranto sulle labbra. Ma lo schermo rettangolare lampeggiò un paio di volte, vibrò, un ronzio, Accesso garantito, benvenuta signorina Potts.
Rhodes sbuffò.
-Dovevo immaginarlo.

 

***

Ai topi lei non piaceva.
Lei sapeva di incenso, di ori, di polvere. Polvere brutta, polvere maligna, polvere grama, quella che sa di petali pestati e pizzica e pullula di robacce anfibie, di umori, di liquidi, di cantilene.
Lei non piaceva ai topi perché aveva gli occhi verdi di un gatto, si muoveva come un gatto, soffiava come un gatto. Scivolava sinuosa nel buio della fogna, i topi la sentivano arrivare e tic tic tic, zampettavano via, squit squit squit, urlacchiavano terrorizzati, gnik gnik gnik si rifugiavano nelle tubature, tra le pietre ed il lerciume.
Ai topi lei non piaceva e nemmeno a lui piaceva, a dire il vero, perché quando era apparsa aveva portato con sè l’altro. E l’altro puzzava di sangue, impregnato di vino fin dentro le ossa, ondeggiava e traballava e aveva sempre quel ghignetto subdolo, viscido e lo guardava senza dire una parola, ma lo derideva in silenzio, si rincantucciava da qualche parte con una bottiglia tra le mani, le ginocchia strette al petto smagrito, gli occhiacci neri, liquidi, e fissava lei, pendeva dalle sue labbra rosse, lei che non piaceva ai topi, lei che i topi odiavano detestavano fino alla punta della coda.
Ma lei era scesa fin nelle fogne per parlargli e quindi andava ascoltata, erano le buone maniere e le buone maniere esistevano anche nelle viscere insozzate di lordume di New York. Anzi, forse erano proprio le viscere insozzate di lordume di Nwe York l’ultimo baluardo delle buone maniere.
Per cui, lei era venuta, lui l’avrebbe ascoltata.
Certo, si era portato anche l’altro, ma finché l’altro se ne rimaneva nel suo angolino puzzolente e non si intrometteva e continuava a bere e pungersi il polpastrello con un ago tutto sporco di sangue marrone, secco, orrido, allora andava bene. Che stesse zitto e canticchiasse idiozie, a lui l’altro non interessava, interessava lei e i suoi discorsi e le sue parole e i gloriosi propositi di cui era messaggera.
Lei gli parlò di riscatto e i topi si rizzarono, interessanti, estasiati, i baffi sottili che vibravano per l’eccitazione.

 

***

 

-Tony..
Anthony Edward Stark, Iron Man, genio, miliardario, playboy, filantropo e altri sinonimi più o meno desueti, alzò la testa, torse il collo, la squadrò dalla testa ai piedi, si girò.
Restò in silenzio.
Pepper sospirò, chiudendosi la porta alle spalle con un singulto di aria compressa. Il laboratorio piombò nella penombra, il buio tagliato a metà unicamente dalla luce che dal centro della stanza bagnava di baci azzurri il profilo cinereo del magnate: un lungo tavolo di linoleum rialzato, asettico, quattro led agli angoli, e sopra di esso, Steve Rogers.
Così disteso con gli occhi chiusi e le mani fasciate nei guanti e intrecciate in grembo, dava l’impressione di essere immerso nel più profondo e pacifico dei sogni: non una ruga ad incrinare la fronte piana, nessuna tensione raccolta a lato della palpebra, né un’emozione a tendere i muscoli della bocca.
Le sopracciglia disegnavano una dolce linea sottile a partire dalla radice del naso e la loro ombra si proiettava fino alle tempie; la testa era reclinata sullo scudo –E la stella che gli sorreggeva la nuca sembrava richiamare con un palpito grigio quella che riposava sul torace- solo una debole, effimera piega incavata a mostrare la rigidità del collo. La curva del petto si alzava a seguire i segni delle costole, le strisce bianche e rosse, e poi ricadeva improvvisamente, pesantemente. senza respiro, e si affossava nel ventre, contro la fibbia rettangolare del cinturone. Pieghe macchiate di nero tappezzavano il kevlar là dove non arrivava il gelido tepore dei led, una barbaglio di luce rosseggiava in cima stivali.
Non portava più la maschera, notò Pepper.
Si portò inconsciamente una mano alla gola, come a convincersi a deglutire, a riprendere a respirare dentro quella bolla soffocante, in quell’atmosfera sospesa. L’aveva Tony, vide, la teneva tra le dita, la faceva scivolare avanti e indietro e indietro avanti sui polpastrelli, la toccava, la piegava, la stringeva, unico movimento visibile in tutta la sua persona.
Per il resto, era immobile. Come la salma che gli stava davanti e da cui, Virginia ne era sicura -lo vedeva dalle occhiaie, dai rigagnoli sanguigni che graffiavano arzigogolati la sclera, non aveva staccato gli occhi un solo momento.
-Tony- ripeté, sperando e pregando in una reazione che non le riuscì di ottenere.
Dovette deglutire un paio di volte, farsi coraggio, costringersi fisicamente ad andare avanti, ad affiancarsi a Stark. Ancora una volta, la propria presenza accanto a lui non sortì alcun effetto.
-Sono tutti preoccupati per te, Tony. Rhodey, Thor, Jane, il dottor Banner, l’Agente Barton e Natasha. Io sono preoccupata per te- sistemò con mano tremante il polsino destro del completo, assottigliò le labbra e le scoprì già bagnate di lacrime -Vogliono vederlo. Vogliono dirgli addio. Per favore. Per favore. Permetti loro di entrare..Esci di qui, Tony. Esci e..-
-Domani.
La voce del magnate era un’eco arrochita, le parole sapevano di metallo e come il metallo erano fredde ed impersonali.
-Domani ci sarà la camera ardente, no? Bene. Domani..-
-Domani verranno a..- Virginia si bloccò di nuovo, non per lasciare all’altro la possibilità di continuare, ma perché era lei a non avere più la forza. Sistemare la salma? A preparare il cadavere? Dio, Steve… -A prepararlo e..-
-E poi ci sarà l’esposizione pubblica e la camera ardente. Come ho detto, no? Come ho detto. Lo so. Non l’ho dimenticato. Ci sarà l’esposizione pubblica e tutti verranno a dirgli addio. E lo saluteranno e gli diranno, Addio, Capitan America, eri il mio idolo, la mia fonte di ispirazione, la mia fantasia preferita quando la connessione internet saltava, il mio futuro marito anche se non lo sapevi, a proposito, le hai mai ricevute le mie lettere? Ho contattato anche dei Wedding Planners, dicono che un matrimonio a tema rosa pesca sarebbe fa-vo-lo-so!
Tony storse la bocca e alzò la mani, il disgusto a contrargli i lineamenti del volto.
-Tutti lì ad adorarlo e idolatrarlo e a comportarsi come se fossero stati da sempre compagnucci di scorribande solo perché adesso è..- serrò le palpebre, strinse i pugni –Addio, Capitan America, e nemmeno lo conoscevano per davvero, neanche sapevano chi fosse in realtà, quanto gli piacesse mettere il miele nel caffè, per l’amor del Cielo era una cosa abominevole, il miele nel caffè, Pepper, capisci? Nel caffè! Il come sapesse a memoria le canzoni di Bing Crosby e le canticchiasse la mattina a colazione, prima di andare in palestra.
“Chi di loro sapeva che Capitan Kirk Skywalker scambiava Star Trek per Star Wars? O che il Grande Gatsby era il suo libro preferito? O che faceva letteralmente pena a poker, ma nonostante tutto si ritrovava a giocarci ogni mercoledì sera con Barton, Grimm e la sua fiammeggiante copia sputata, alias Johnny Storm?
Virginia si tese verso di lui, ma Stark si scostò con violenza e si portò una mano alla fronte.
-Domani allestiranno la camera ardente e allora potranno dirgli addio. Potranno dirgli addio tutte le volte che vorranno.
Fu allora che Pepper compì un gesto che per le circostanze, per la separazione, per orgoglio, non si concedeva da almeno sei mesi: si pose di fronte a Tony, piegò le ginocchia per quanto le permettesse la gonna del tailleur crema, gli prese il volto tra le mani e gli baciò piano, delicatamente la fronte. Chiuse gli occhi nel farlo, una lacrima appesa alle ciglia e il cuore che palpitava contro le labbra.
Stark non disse nulla, né si oppose. Aggrottò le sopracciglia, però, e Virginia poté quasi vedere la mascella di lui che si contraeva e i denti che si digrignavano, la perdita, la comprensione di essa che si raccoglieva in gola e poi scendeva a riempirgli il petto, i polmoni, il cuore.
-Sei tu a doverlo fare, Tony. Sei tu che devi dirgli addio.

 

***

 

Un Erote le sciolse le lunghe trecce e Venere reclinò il collo con un gemito.
Schiuse le labbra tumide, socchiuse gli occhi cerulei e lasciò scorrere le dita sottili tra le ciocche finalmente libere; un altro Erote, compagno del primo, le fece scivolare il pettinino d’oro tra la chiome, un terzo Amorino le dispose di modo che le cadessero ordinatamente sulle spalle candide.
Oh! A qual compito l’aveva chiamata Temi Sovrana, Giustizia Divina arroccata su un trono d’Oblio e Rifiuto!
La Dea piegò la bella schiena all’indietro, tese le braccia e subito gli Eroti le furono tutt’intorno: svolazzando e ridendo e chiacchierando come colombelle dagli occhietti vispi le tolsero anelli e bracciali, in un gran frullare d’ali e tintinnare di ninnoli.
Si mostravano l’un l’altro i gioielli chiusi nelle mani paffute, si rincorrevano nella stanza per avere questa o quella gemma, per cingersi la fronte con un tralcio di vite ad imitazione del rubicondo Bacco, o per finger schermaglie e accendere incensieri.
-Via, via, miei bimbi, miei adorati! Via, con questo baccano! Volete forse risvegliare quel burbero d’Efesto? Lasciatelo ai suoi lavori, alle sue incombenze! Che non ci disturbi! Se ci ritrovasse intenti alle nostre faccende, se ci vedesse mentre adempiamo all’opera che Temi ci ha ordinato..! Oh che scompiglio! Che tragedia ne farebbe!
Come le sovvenne il pensiero, Venere si rizzò in piedi: i capelli le scivolarono a coprire la curva dei seni e si arricciolarono scherzosi e maliziosi alla base della schiena, giocherellando, nascondendo, svelando l’incavatura dorata del pube. Con gesto imperioso, quasi stizzito, la Dea indicò il talamo e tre Amorini risposero con un trillo, gettandosi tra le coltri, saltellando e schiamazzando.
-Controllate bene, miei Eroti, canagliette dalle ali piumate! Se Efesto ha di nuovo nascosto anelli e reti nella mia alcova d’amore, ahimè! Il piano sarebbe disfatto e Temi contrariata! Giammai, giammai! Chissà quella vecchiaccia a che supplizio mi condannerebbe!- si portò una mano alla bianca fronte, finse un commosso mancare di sensi -E se rendesse Ares sgraziato? Apollo muto! Oppure se gli donasse una voce di corvo, proprio come quel barbaro guercio d’Odino, che ordina e sentenzia come se fosse Re, Sovrano di Giove? Ah, Urano, mio spumeggiante Padre! Se tu vedessi a cosa s’è ridotto anche l’Ade! Che disgrazia, che sfacelo!
Venere sorrise, sibillina e sensuale, a punta di dita sfiorò la linea del collo, scese al seno, disegnò la linea rosata dell’aureola, titillò il capezzolo bruno e gettò la testa all’indietro in un ruggito di fiamma dorata.
Lascia che sia il Caso a portare equilibrio nel mondo dei mortali, figlia di Urano così aveva ordinato Temi dall’alto dello scranno Trattieni il tuo amante, da’ tempo alla Sorte di agire per il meglio o per il peggio, com’Ella ritiene debba andare. Fa’ che scenda tra i mortali prima che il caduceo indichi e tracci il funereo cammino.
-Ah! Lascia che sia il Caso, lascia che sia la Sorte!- gorgheggiò e i polpastrelli scesero al ventre, all’incavo dei fianchi, un brivido strappato alla schiena, un gemito alla gola –Ah, Temi! Ai soli Olimpici ora tu ordini e comandi! I mortali ti sdegnano, per loro solo la Sorte esiste! Sorte, figlia mia! Vola, versa, gira la tua ruota senza tempo! Tu, viziata etera, gioiosa sgualdrina! Se solo più spesso mi fosse ordinato di aiutarti, che vita meravigliosa vivrei fra i nembi e l’ambrosia!-
Gli Amorini risero con lei e la Dea allargò le braccia, scoprendo il corpo in tutto il suo nudo splendore. Con mano leggera accarezzò lo specchio di bronzo, con l’unghia grattò le incisioni del kouros, stuzzicò il disegno della fascia stretta attorno al bacino. Se fossero stati veri nodi, si sarebbero arresi senza protesta al suo tocco sapiente.
Si diresse al talamo tra i gridolini eccitati degli Eroti, si umettò le labbra facendo scivolare la lingua lungo le forme turgide della bocca, si distese lentamente, con un che di misurato, ricercato sulle coltri, vi si immerse come al bagno e il corpo biancheggiò candido nelle curve piene, nel ventre fecondo, nel seno florido; lampeggiarono gli occhi cerulei come schegge di turchese tra le ciglia nere; la lunga chioma fu percorsa da una scossa rossa e oro. Piegò le gambe, poggiò la splendida nuca su una mano, con l’altra divise e allargò le ginocchia.
-Ermete..!- ansimò, reclinando la testa, gemendo, ridendo, chiamando -Ermete, mio amato! Ermete, mio sposo! Ermete mio, mio Ermete, ti chiamo, ti anelo! Non senti come mi struggo d’amore per te? Di desiderio, di brama? Vieni a me, Ermete! Lascia i defunti, devia dal sentiero dei morti! A me vieni, in me!
Socchiuse le palpebre, come gatta che soffia e pretende carezze, come regina che attende solo d’essere obbedita.

E mentre ti perderai nel calore del mio abbraccio, il Caso girerà la sua ruota, elargirà doni dalla sua cornucopia rigonfia! Grida il mio nome, amato Ermete, e sarà fatta la volontà di Temi!

 

***

-Detesto le fogne.
Lei  gli rivolse a malapena un’occhiata e un disinteressato arcuarsi del sopracciglio: che le importasse a malapena dei suoi commenti riguardo i meandri meno piacenti di Manhattan era evidente, ma nonostante questo continuò imperterrito a sbiascicare le proprie ragioni. Agitò la bottiglia di vino, il liquido rossastro sbatacchiò oleoso contro il vetro.
-E quello? Dai, è uno schifoso, lurido…topo. Se non squittisce è perché a quanto pare aveva dei cazzoni a lavorargli addosso, oppure degli intelligentoni tanto intelligentoni che quando hanno visto la boiata che stavano facendo hanno preso i soldi e se la sono svignata- ingollò un sorso e si asciugò le labbra col dorso martoriato della mano -Sai, magari sono andati a baldracche, con quei soldi. Anche perché se si sono messi a lavorare su una sottospecie di ratto cencioso, di donne non ne hanno proprio viste. Nemmeno su un porno.
La sua, più che una risata, parve un latrato scatarrante. Lei gli rivolse un’espressione infastidita e lui rispose sogghignando.
-E non mi guardare così. Che c’è, non ti piace come parlo? Deh, altolocata come sei..- e indicò con gesto da ubriaco la tiara che le cingeva la fronte e la veste pregiata, il cui tessuto raccoglieva e scaglionava all’intorno ogni sfumatura possibile o anche solo vagamente contemplata di verde.
-Sta’ pronto e attendi la mia venuta, mortale.
Un altro ghigno, gli occhi malevoli.
-Bhè, donna mia, se è di venire che stiamo parlando..
Ma neanche un istante e lei era già sparita in vortice di polvere luminescente. Sputò un grumo di saliva nel vicoletto buio, bestemmiando.
Troia.
Non fosse stato praticamente immune agli effetti del vino, avrebbe sin detto di essere così sbronzo da averla solo sognata.

 

***

Venere lo chiamava.
Venere distesa nuda sul talamo, gli occhi chiusi e la bocca gemente, lo chiamava.
Ansimava il suo nome, ogni fiato interrotto era un anello di più alla catena che Ermete sentiva stringere attorno alla gola e ai lombi.
Le ali dei calzari fremettero, ma Ermete tenne i piedi ben saldi a terra. Non si sarebbe avvicinato all’alcova di Venere, non era così folle: aveva un compito da portare a termine, un’anima da condurre, non si sarebbe fatto distrarre..Solo uno sguardo. Un’occhiata appena, giacché Venere discinta non era certo fenomeno da destar meraviglia, ma Venere che lo reclamava apertamente, senza terrore d’Efesto o dell’invidia d’Apollo Citaredo era un evento al cui confronto la sobrietà di Bacco sarebbe parsa una bazzecola, pura facezia.
Si avvicinò d’un passo, cauto. Tese l’orecchio, poiché temeva d’ingannarsi: non gli erano mancati gli incontri proibiti con Venere, ma ogni volta più che brama d’uomo gli era sembrata unicamente brama di desiderio. Il richiamo sensuale della carne da soddisfare con chiunque e in qualunque modo, un rimedio alla noia moraleggiante che la tediava quando era costretta ad incontrarsi con Artemide, conversare con Athena o intrattenersi con Vesta.
Soddisfare attraverso lui la sete del corpo, piuttosto che il piacere d’amore –A tanto, Ermete non aspirava. Non sarebbe mai stato Apollo, né poteva competere con Ares.
Tuttavia..tuttavia quel giorno la voce anelante di Venere lo struggeva di desiderio, gli piegava le ginocchia, gli faceva mancare il cuore. Si strinse al caduceo, lo usò come sostegno, le orecchie un ronzio, la lingua come pietra nella bocca arida. Più verde dell’erba si dissetava insaziabile dei gemiti di Venere.
Come avrebbe voluto avvicinarsi! Quanto, oh quanto la desiderava..!
No. No, per Giove! Uno sguardo, ricorda. Uno sguardo appena.
Ma poi Ermete vide il pube dorato scintillare e sfavillare alla luce del sole e tutto fu vano.
Preso d’amore per la bella Venere, ebbro di passione, dimentico d’ogni cosa, d’ogni compito, d’ogni dove, lasciò cadere il caduceo, si tolse i calzari e fu subito tra le sue braccia.

 

***

Pepper gli aveva consigliato di uscire dal laboratorio.
Bhè, lui non aveva alcuna intenzione di farlo. Fuori c’erano le rampe di scale, c’era Rhodey e i suoi occhi mesti, Jane e la sua bocca stretta negli inutili, patetici tentativi di non piangere, c’era Thor con le sue idiozie sulle Valchirie e il Valhalla e Brunilde, c’era Bruce che non avrebbe detto niente, l’avrebbe guardato e basta, e, accidenti a lui, avrebbe capito non quanto Pepper, perché Pepper aveva capito anche prima che ci arrivasse lui stesso, c’era Il Falco e la sua occhiata che tutto voleva dire se solo si aveva la capacità e la voglia di decifrarla, c’era Natasha e se c’era Natasha era anche peggio. Poi c’era Pepper e Pepper era l’unica cosa per cui sarebbe valsa la pena uscire dal laboratorio, ma, davvero, in quel momento non ne aveva proprio l’intenzione.
Pepper forse pensava di prenderlo per la gola, convinta che lì sotto non avesse alcolici cui ricorrere per colmare la solitudine ed il silenzio. Ah, santa Pepper che pensi sempre bene delle persone. C’era eccome una scorta di alcolici, tenuta appositamente per i casi di emergenza: non l’aveva mai sfruttata mentre lavorava, ma ogni tanto controllava che ci fosse ancora, che Ferrovecchio non avesse fatto danni come suo solito. Se era di buon umore poteva anche concedersi il lusso di alzare il bicchiere in onore alle cromature o al nuovo modello o come aveva sistemato il parafanghi di una delle sue adorate signore a quattro ruote.
Steve una volta l’aveva scoperta, aveva scovato la scorta segreta, trovato il sentiero per Shangri-La, lui e quel suo dannato fiuto figlio del Proibizionismo. Cosa non gli aveva urlato, cosa non aveva minacciato di fare..! Ma poi avevano risolto. Risolvevano sempre.
Risolvevano tutto.
Era stata la consapevolezza che da lì in poi nulla si sarebbe più risolto a fargli capire l’entità dell’emergenza. Un bicchiere dopo l’altro, un sorso, due sorsi, tre sorsi, aveva brindato a così tanto e così a lungo che per non pensare a come tutti quei brindisi erano ormai in memoria di aveva brindato ancora. Ancora e di nuovo, diluendo il dolore, centellinando i ricordi.
Aveva brindato a quando l’aveva visto per la prima volta, a quando Fury l’aveva portato nella super stanza segreta inviolabile, quella di cui aveva ricostruito perfettamente la planimetria in macchina, mentre mangiava un doppio cheeseburger e Happy gli chiedeva informazioni in merito a quella chiamata straordinaria dei Men In Black.
Aveva gli occhi chiusi, proprio come allora. Disteso su un tavolo anonimo, proprio come allora. Sembrava dormire, proprio come allora.
Non si sarebbe mai risvegliato. Non come allora.
E così aveva cancellato il ricordo con del buon whiskey e il liquore gli aveva bruciato la bocca ed il cuore. Memoria accartocciate come un foglio bruciato, gemiti di sguardi, grida di mani, cenere, cenere, solo cenere e whiskey, whiskey e cenere fino a che il whiskey non era finito, ma la cenere aveva continuato ad ardere e allora aveva afferrato lo scotch e aveva tentato anche con quello. E aveva funzionato..almeno per un po’. I ricordi sembravano tutti più forti dell’alcool, emergevano dall’intrico di fumi, si appostavano, lo fissavano, lo ammonivano, Saremo qui per sempre, Stark, gracchiavano, Non ce ne andremo, maledetti, maledetti, Sarò qui. Non me ne andrò.
Se solo avessi mentito, se solo avessi mentito..
Era già parecchio alticcio quando aveva cominciato a sentire lo scricchiolio. Non vi aveva dato peso, né vi aveva fatto troppo caso: forse quel cigolio altro non era che la disperazione delle bottiglie vuote o le lacrime infrante dei bicchieri rotti sul pavimento. Ma il rumore era continuato, si era fatto più forte, più pressante e così, preda del mal di testa, le tempie che pulsavano e la bocca che sapeva di alcool e nausea, Tony aveva alzato finalmente la testa.
E poco c’era mancato che gli venisse un colpo.
-Quanto sono ubriaco..?-
-In maniera soddisfacente, mortale, ma nulla che non abbia già veduto. Al confronto d’una menade sei poco più d’una vergine al primo sorso d’Ismarico.
Una donna emergeva bianca dalla luce dei led, sovrastando Steve –Il corpo, la salma di Steve, come una statua di marmo: la veste alla greca ribolliva, tremolava di mille pieghe mutevoli, dalle spalle fino alla cintola, ed una mantella pesante le tintinnava sopra i seni; volse il capo con studiata eleganza e la corona di mura guizzò d’azzurro, il velo che le copriva i capelli tirati sulle tempie sussultò. Teneva la mano destra su una ruotaUna ruota!, mentre sotto il braccio sinistro una cornucopia rigonfia vomitava doni e ninnoli e monete, che si riversavano a terra senza suono alcuno.
Tony deglutì e sgranò gli occhi; si alzò di scatto dalla sedia, provocando l’ilarità di..di chiunque fosse davanti a lui.
-Chi sei?-
-Io?- la bocca della donna si curvò in un sorriso -Io sono il Caso, sono la Sorte. Tyche è il nome che mi diedero i figli diletti di Deucalione e Pirra, ma osa anche solo chiamarmi come gli sciocchi discendenti d’ Enea e avrai di che pentirtene! Fortuna, ah!- il volto si contrasse in una smorfia irata -Mi avete trasformata in una porné dagli occhi bendati, io! Io, l’unica che ancora veglia su di voi!
Tyche abbassò gli occhi, osservando il Capitano con sguardo pietoso; alzò una mano come a volerlo appena sfiorare e il momentaneo stupore di Stark si mutò in rabbia.
-Allontanati da lui. Ora- ringhiò, gelido.
-Quanta virtù in un sol corpo- mormorò l’altra, ignorandolo -Che disgrazia. Che profonda disgrazia. Se il Destino fosse colpevole della sua dipartita certo potrei avere l’ardire di maledirlo, ma per tua fortuna così non è-
-Fortuna? Fortuna?
Dio, quella era la più strana e irritante allucinazione con cui si fosse mai trovato a discutere da ubriaco. Fortuna, la chiamava lei! Capitan America..fortuna! Oh, il non trovare inutili vasetti di brillantina ad occupare spazio prezioso nel mobiletto del bagno era un colpaccio, ma fortuna..!
-Esatto. Fortuna- replicò Tyche, la voce dura e le palpebre socchiuse –Esattamente nel deprecabile significato che voi intendete. Fortuna- lasciò cadere la mano-La morte di costui non è stata decisa volontariamente dal Fato: le Parche hanno avuto l’ordine di tagliare il Filo. Un falso messaggio, o una finta messaggera? Non è importante, non più. Alla causa non c’è modo di rimediare, ma è stato ritenuto lecito che si potesse porre un freno alle conseguenze.
Fato? Parche? E adesso cosa sarebbe successo? Sarebbero saltellati fuori Pena e Panico a chiedergli se aveva sete?
-Ascoltami- Tony alzò le braccia e scosse la testa, tentando il tono più conciliante possibile –Tu sei ovviamente un’allucinazione. Devi essere l’avvisaglia di un disturbo post-traumatico da stress oppure la prova che o il Bourbon era scaduto, oppure mi hanno venduto della melassa invece di whiskey. Per cui, seppelliamo l’ascia di guerra, firmiamo un trattato di non belligeranza e torniamocene ognuno ai propri angolini solitari, d’accordo? Tu..Sparisci, puff!, in una bolla rosa come gli elefanti di Dumbo, d’accordo? Porta i miei saluti a Megafusto, però. Io vedrò di rimediare alla cosa bagnandomi la lingua con—
-Taci!- il grido di Tyche rimbombò nel laboratorio come l’eco di mille voci, le luci tremarono, si ingigantirono, tutto divenne bianco e poi nero e lei dominava su ogni cosa, immensa, gli occhi di mille fiamme e mille colori e mille sguardi e mille volte mille esistenze –Taci, non osare una parola di più! Io sono Tyche, mortale! Le Parche tessono, filano, recidono lo strame, io disfo i nodi di Cloto, creo nuovi intrecci coi fili di Lachesi, se m’aggrada celo alla vista della sdentata Atropo le cesoie funeree! E sempre voi, oh miei caduchi avversari, voi io vinco al gioco eterno degli astragali, barattando la vostra vita con nuovi anni o nuove sofferenze o nuovi amori o nuove perdite, secondo il mio diletto!
Col fiato appeso alla gola, Stark indietreggiò. Cozzò contro la sedia e fu solo per miracolo che riuscì ad appoggiarsi allo schienale e non crollare a terra. Tyche assottigliò le labbra: un respiro e fu di nuovo alla sua forma originaria.
-Giove, Padre degli Dei, ha deliberato e deciso con Odino di Asgard, ma una voce..una menzogna è serpeggiata sibillina dal Concilio. Le Parche hanno ubbidito ad un ordine non vero: la morte di costui è frutto di una conoscenza ottenuta..- un veloce arcuarsi delle sopracciglia –Per caso.
-Per caso? Tu hai..
-Io- lo interruppe –Creo e disfo a mio disio, non mi curo di ciò che le mie azioni potrebbero provocare. Almeno fino a quando non si viene ad infrangere l’Ordine.
“Chi ha ingannato le Parche non ha interesse in tal senso, quel che per noi Olimpici è legge, per lui non è più importante d’un soffio di polvere. L’Equilibrio è stato infranto e gli Dei non permetteranno che questa situazione permanga: e come non succedeva dacché il Protettore di Uomini dominava la Terra, Temi, la Giustizia Divina che ora siede, ordina e dispone per i soli figli di Giove e Giove stesso e la sua consorte, Giunone dal bianco braccio, Temi, dicevo, mi ha affidato un compito. E io, Tyche, ho giurato obbedienza.
Tony si umettò le labbra, la fronte che bruciava, rivoli freddi a rabbrividire lungo le tempie. Era una follia. Un’allucinazione, doveva essere ammattito, quale altra spiegazione? Dei? Giove? Parche? Da quale angolo recondito della memoria erano usciti, perché si erano fatti vivi? E soprattutto..Perchè stava discutendo con un postumo da sbronza?
-Non ho idea di cosa tu stia parlando e..-
-Obbedirò una volta, mortale. Una volta sola mi piegherò e poi tornerò alle mie faccende, non importa quanto a lungo mi chiamerai o cercherai la mia presenza, anelerai al mio aiuto: non risponderò, a meno che non abbia io stesso voglia di risponderti- lo ammonì, la mano alzata ed il mento sollevato –Ti è stato concesso un privilegio. Pochi possono vantarsi d’aver avuto il medesimo dono e sarà loro che tu dovrai cercare.
“Un’unica occasione per ripristinare l’equilibrio: se fallirai, gli eventi prenderanno questo nuovo corso, seguiranno questo nuovo alveo e non vi si sarà più rimedio. Questa è l’unica volta in cui mi piegherò, la sola occasione che ti sarà data.
-Ma di che parli? Di che possibilità stai delirando?
Un sorriso baluginò negli occhi maliziosi della donna.
-Della possibilità di strappare questo mortale alle onde dello Stige. L’occasione riportarlo alla vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cor Mortem Ducens
#02. Da Qualche Parte, nell’Amarezza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

Se Efesto ha di nuovo nascosto anelli e reti nella mia alcova d’amore, ahimè” : Odissea, VIII 266-366. Efesto, per scoprire e punire gli amori di illeciti di Afrodite, nasconde nel talamo una rete d’anelli d’oro finissima: a venirne catturati saranno proprio la bella Afrodite e Ares, dio della guerra.

 
“Urano, mio spumeggiante Padre”: una versione del mito vede la nascita di Afrodite dalla spuma del mare mescolato allo sperma di Urano, finito in mare dopo che Crono lo aveva evirato.

 
Ermete è detto anche psicopompo, ossia colui che guida le anime nel cammino verso l’Ade.

 

Cito qui le abilità di Venere:
Venus has the power to project images or illusions of herself and to control the emotions of others, as well as the ability to fly at high speeds, shield herself from mortal sight, and shift her physical form into other beings. Before the retcon, she was considered to be an Olympian goddess, and thought to possess the enhanced physical characteristics typical of Olympian gods in the Marvel Universe, including superhuman stamina, durability, agility, and reflexes, extraordinary vitality, and virtual immortality.” (Wikipedia)

 

La Tyche (Caso/Sorte) è la “divinità laica” dell’Ellenismo, priva di predestinazione, non è un Destino scritto come quella cui invece, in epoca precedente, erano soggetti uomini e Dei. I Romani la chiamarono “Fortuna”, ma questo termine non ha nulla a che vedere col significato che gli viene dato oggi.

 
Porné: “Puttana” in greco antico.

 
Il Protettori di Uomini altro non è che Alessandro Magno (Alexandròs significa, letteralmente, proprio “Protettore di Uomini”) E’ con la sua morte che si apre l’epoca dell’Ellenismo ed il “dominio” della Tyche a regolare la vita degli uomini.

 

 

 

Note di Fine Capitolo

Otto pagine di roba. Otto. Pagine. Di. Roba. Potete ammazzarmi, davvero. Vi è lecito.
Che poi, penso abbiate notato tutti come si cambi dalla denominazione romana delle divinità (Afrodite-Venere) a quella puramente greca (Ares, Athena, etc): purtroppo è così che vengono chiamati personaggi all’interno degli Olimpici Marvel e, salvo per Tyche (che non esiste ed è dunque da considerarsi un mio OC), mi sono adeguata alla cosa Anche se le concezioni delle divinità romane e greche differiscono profondamente e non so davvero secondo quale delle due mi devo rapportare *La sedano*
Poi..La scena di Venere/Afrodite che si pettina i capelli è una forse/quasi/pseudo citazione dal proemio del III libro delle Argonautiche:
“Lasciando cadere da ambo le parti i capelli sopra le candide spalle, li ravviava col pettine d’oro, e ne faceva lunghissime trecce. Vedendole, smise e le chiamò dentro, e si levò dal suo trono, le fece sedere e sedette di nuovo anche lei, raccogliendo con le  mani le chiome non curate dal pettine.

La scena del poker con Ben Grimm (La Cosa), Barton, Johnny Storm e Capitan America viene dalla serie animata “Avengers – I più Potenti Eroi della Terra” (Dove però comparivano anche Hulk e T’Challa)
E con questo direi basta.
Tranne che il miele nel caffè è buono, checché ne dica Stark OH
Ringrazio la mia nuova mogliaH, Alley per la splendida recensione lasciatami al precedente capitolo! Grazie davvero, mogliaH mia, organizzerò un viaggio di nozze senza precedenti! *A*
Ringrazio poi: Eloise de Winter per aver messo la storia tra le preferite e Hikari_ e F13 per averla aggiunta alle seguite!
Alla prossima!

LEGGETE TUTTI IL GRANDE GATSBY

   
 
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