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*** :.
-Lady Virginia..
Pepper smise di massaggiarsi la tempia a punta di
dita e rialzò gli occhi: le ci volle più di qualche secondo per mettere a fuoco
il volto di Thor. Forse aveva fatto un movimento troppo brusco con la testa,
forse era la stanchezza, ma il mondo le era traballato intorno in maniera
scomoda e nauseante, cosa che contribuì a peggiorare il pulsare continuo alla
fronte.
Si schiarì la voce e asciugò un’ombra di pianto proprio
sopra lo zigomo, assottigliando le la labbra e cercando di rivolgere
all’Asgardiano l’espressione più cordiale che le riuscisse; cosa in verità non
facile, visto e considerando che aveva passato le ultime tre ore e mezza a
discutere contrattare ufficializzare concordare proporre con una gamma di
persone tanto variegata da averne ormai sono qualche ricordo frammentario.
Aveva passato quaranta minuti buoni a discutere con l’ospedale sul perché e sul
per come il corpo di Steven Rogers fosse stato spostato dall’obitorio alla
Stark Tower, a decidere insieme alle autorità in che modo strutturare e rendere
accessibile a chiunque l’esposizione pubblica della salma, a prendere accordi e
stabilire che la Tower, tra tutti, fosse il luogo più adatto per allestire la
camera ardente.
Aveva speso troppe parole, così tante da non averne
più per sé, né per i Vendicatori, né per altri. Ad ogni telefonata, ad ogni
e-mail letta dal palmare mentre col cellulare prendeva e dava disposizioni
circa i fiori, la cerimonia, la stampa, la gente; ad ogni persona più o meno
importante, più o meno conosciuta che ancora la cercava nonostante fosse abbondantemente
passata la mezzanotte; ad ogni voce che chiedeva, sbraitava, ululava il nome di
Tony, No, il signor Stark non è
reperibile al momento; ad ogni minima
cosa a Pepper sembrava di perdere un frammento di se stessa e della realtà.
Voleva solo sedersi in un angolo, affondare la testa
fra le mani e piangere per Steve Rogers, per Tony, come ancora non era riuscita a fare. Concedersi anche solo un
minuto, anche solo un attimo per elaborare il lutto che tutti gli altri continuavano a ricordarle, ma senza darle il
permesso, né la possibilità di farvi realmente i conti.
Quando Thor era venuta a chiamarla, Virginia aveva
appena attaccato il telefono –Forse con
troppa irruenza, forse con troppa rabbia, forse con troppa frustrazione, in
faccia ad una giornalista che continuava a sciorinare domande e teorie e
ipotesi più o meno fantasiose, più o meno freudiane, più o meno scientifiche
sul perché il signor Stark avesse reagito così malamente alla dipartita della
leggenda d’America.
-Sì?- chiese, posando il cellulare sopra un tavolino
basso e rivolgendo all’Asgardiano quella poca attenzione che ancora le era
rimasta.
Thor diede qualche colpo di tosse, la guardò fisso e
fece per metterle una mano sulla spalla, rinunciando all’ultimo istante.
-Sono consapevole di quanto io possa risultarle
fastidioso, inopportuno, persino poco sensibile nei suoi confronti in questo
momento di profondo dolore e rammarico. Tuttavia..- una pausa -Vorrei
chiederle, a nome di tutti noi, se sarà possibile vedere Capitan America:
vorremmo dargli l’addio che merita. Come eroe, ma soprattutto come amico.
Virginia deglutì e serrò le labbra, le lacrime che
già pizzicavano le ciglia; inspirò a fondo e deglutì un singhiozzo prima di
rispondere.
-Andrò a parlare con il signor Stark. Lo convincerò
a..- la voce le mancò all’improvviso, un sussulto improvviso al petto le impedì
di continuare. Thor non disse nulla ed annuì, ringraziandola con un sorriso.
Pepper si scusò e superò a grandi passi sia la
divinità che il salone della Tower dove i Vendicatori si erano radunati dopo
gli eventi del Madison Square Garden. Lanciò un’occhiata veloce all’interno: il
dottor Banner si teneva la fronte con una mano, le spalle piegate ed il volto
pallido, l’Agente Barton era di spalle contro la grande vetrata che dava sui
tetti di Manhattan, Jane Foster, la nocca dell’indice stretta tra i denti e le guance
lucide di lacrime, e infine Natasha, seduta accanto a Bruce. L’Agente Romanoff
fu l’unica a sollevare gli occhi al suo passaggio, a darle una stilla di
coraggio con un cenno appena percettibile della testa.
Pepper le fu grata e la rivolse un piccolo sorriso
prima di continuare la propria strada verso il laboratorio.
Dacché Tony aveva portato Steve via dall’ospedale e
si era rifugiato nel laboratorio del novantatreesimo piano, nessuno di loro
l’aveva più visto. Non aveva permesso a nessuno di entrare, si era limitato a
trasportare il Capitano in laboratorio, serrare la porta e oscurare i pannelli
divisori.
A nulla erano serviti i tentativi della signorina
Van Dyne, che aveva insistito per venire alla Tower insieme al compagno, il
dottor Pym, e poi costretta a lasciarli in modo preparare una conferenza stampa
per l’indomani mattina. A nulla i richiami di Natasha, né le preghiere di Jane
o le richieste del Team America –Il signor MacDonald, alla fine, aveva convinto
i compagni ad andarsene e a commemorare Steve Rogers come ogni buon
motociclista avrebbe fatto, ossia trangugiando asfalto e conquistando orizzonti
in suo onore.
Imprigionato nel lutto e nel mutismo, Tony Stark
aveva rifiutato ogni mano, denigrato ogni aiuto.
Pepper sperava che almeno Rhodey riuscisse là dove
gli altri avevano fallito, ma nel vederlo davanti al laboratorio, il pugno
chiuso sopra il pannello elettronico e l’espressione truce, capì che riportare
Tony alla realtà sarebbe stato più complicato del previsto.
-Rhodey- lo chiamò, ferma sull’ultimo scalino.
Jim scosse il capo e serrò la mano destra, le nocche
contratte per la tensione.
-Ha cambiato il codice d’accesso- mormorò -Ho
chiesto a J.A.R.V.I.S. di farmi entrare comunque, ma quell’idiota gli ha dato
ordine tassativo di non aprire a nessuno. È talmente distrutto da essere più
lucido di quanto si potrebbe pensare.
Virginia strinse le dita attorno al corrimano: il
freddo del metallo irrorò una scossa gelida lungo i nervi, dandole uno scossone
alla schiena. Esattamente ciò di cui aveva bisogno per compiere l’ultimo passo
e avvicinarsi a Rhodes. Questi chiuse gli occhi e quando lei gli mise una mano
sulla spalla, si lasciò andare in un sospiro.
-Non sarebbe dovuta andare così, Pepper-
-Lo so-
-Non vuole uscire. Non ci permette di entrare. Non
so come aiutarlo, mi sento inutile. Non è come quando è mancato suo padre: è
diverso. È tutto diverso e non so cosa fare-
-Va’ a casa, Rhodey- Pepper gli sorrise con dolcezza,
la mano scivolò a sfiorare il braccio in una tenue carezza -Va’ a casa e
riposa. Ti farò sapere se ci sono novità.
Detto questo, si soffermò sul pannello elettronico.
Incerta se tentare o meno la sorte, digitò
lentamente le cifre del proprio codice d’accesso: temeva già di vedersi
rifiutare l’entrata, un sospiro affranto sulle labbra. Ma lo schermo
rettangolare lampeggiò un paio di volte, vibrò, un ronzio, Accesso garantito, benvenuta signorina Potts.
Rhodes sbuffò.
-Dovevo immaginarlo.
***
Ai topi lei non
piaceva.
Lei sapeva di incenso, di ori, di
polvere. Polvere brutta, polvere maligna, polvere grama, quella che sa di
petali pestati e pizzica e pullula di robacce anfibie, di umori, di liquidi, di
cantilene.
Lei non piaceva ai topi perché aveva
gli occhi verdi di un gatto, si muoveva come un gatto, soffiava come un gatto.
Scivolava sinuosa nel buio della fogna, i topi la sentivano arrivare e tic tic tic, zampettavano via, squit squit squit, urlacchiavano
terrorizzati, gnik gnik gnik si
rifugiavano nelle tubature, tra le pietre ed il lerciume.
Ai topi lei non
piaceva e nemmeno a lui piaceva, a dire il vero, perché quando era apparsa
aveva portato con sè l’altro. E l’altro puzzava di sangue, impregnato di
vino fin dentro le ossa, ondeggiava e traballava e aveva sempre quel ghignetto
subdolo, viscido e lo guardava senza dire una parola, ma lo derideva in
silenzio, si rincantucciava da qualche parte con una bottiglia tra le mani, le
ginocchia strette al petto smagrito, gli occhiacci neri, liquidi, e fissava lei, pendeva dalle sue labbra rosse, lei che non piaceva ai topi, lei che i topi odiavano detestavano fino
alla punta della coda.
Ma lei era
scesa fin nelle fogne per parlargli e quindi andava ascoltata, erano le buone
maniere e le buone maniere esistevano anche nelle viscere insozzate di lordume
di New York. Anzi, forse erano proprio le viscere insozzate di lordume di Nwe
York l’ultimo baluardo delle buone maniere.
Per cui, lei era
venuta, lui l’avrebbe ascoltata.
Certo, si era portato anche l’altro, ma finché l’altro
se ne rimaneva nel suo angolino puzzolente e non si intrometteva e continuava a
bere e pungersi il polpastrello con un ago tutto sporco di sangue marrone,
secco, orrido, allora andava bene. Che stesse zitto e canticchiasse idiozie, a
lui l’altro non interessava,
interessava lei e i suoi discorsi e
le sue parole e i gloriosi propositi di
cui era messaggera.
Lei gli parlò di riscatto e i topi si rizzarono,
interessanti, estasiati, i baffi sottili che vibravano per l’eccitazione.
***
-Tony..
Anthony Edward Stark, Iron Man, genio, miliardario,
playboy, filantropo e altri sinonimi più o meno desueti, alzò la testa, torse
il collo, la squadrò dalla testa ai piedi, si girò.
Restò in silenzio.
Pepper sospirò, chiudendosi la porta alle spalle con
un singulto di aria compressa. Il laboratorio piombò nella penombra, il buio
tagliato a metà unicamente dalla luce che dal centro della stanza bagnava di
baci azzurri il profilo cinereo del magnate: un lungo tavolo di linoleum rialzato,
asettico, quattro led agli angoli, e sopra di esso, Steve Rogers.
Così disteso con gli occhi chiusi e le mani fasciate
nei guanti e intrecciate in grembo, dava l’impressione di essere immerso nel
più profondo e pacifico dei sogni: non una ruga ad incrinare la fronte piana,
nessuna tensione raccolta a lato della palpebra, né un’emozione a tendere i
muscoli della bocca.
Le sopracciglia disegnavano una dolce linea sottile a
partire dalla radice del naso e la loro ombra si proiettava fino alle tempie;
la testa era reclinata sullo scudo –E la stella che gli sorreggeva la nuca
sembrava richiamare con un palpito grigio quella che riposava sul torace- solo
una debole, effimera piega incavata a mostrare la rigidità del collo. La curva
del petto si alzava a seguire i segni delle costole, le strisce bianche e
rosse, e poi ricadeva improvvisamente, pesantemente. senza respiro, e si
affossava nel ventre, contro la fibbia rettangolare del cinturone. Pieghe
macchiate di nero tappezzavano il kevlar là dove non arrivava il gelido tepore
dei led, una barbaglio di luce rosseggiava in cima stivali.
Non portava più la maschera, notò Pepper.
Si portò inconsciamente una mano alla gola, come a
convincersi a deglutire, a riprendere a respirare dentro quella bolla
soffocante, in quell’atmosfera sospesa. L’aveva Tony, vide, la teneva tra le
dita, la faceva scivolare avanti e indietro e indietro avanti sui polpastrelli,
la toccava, la piegava, la stringeva, unico movimento visibile in tutta la sua
persona.
Per il resto, era immobile. Come la salma che gli
stava davanti e da cui, Virginia ne era sicura -lo vedeva dalle occhiaie, dai rigagnoli sanguigni che graffiavano
arzigogolati la sclera, non aveva staccato gli occhi un solo momento.
-Tony- ripeté, sperando e pregando in una reazione
che non le riuscì di ottenere.
Dovette deglutire un paio di volte, farsi coraggio, costringersi
fisicamente ad andare avanti, ad
affiancarsi a Stark. Ancora una volta, la propria presenza accanto a lui non
sortì alcun effetto.
-Sono tutti preoccupati per te, Tony. Rhodey, Thor,
Jane, il dottor Banner, l’Agente Barton e Natasha. Io sono preoccupata per te- sistemò con mano tremante il polsino
destro del completo, assottigliò le labbra e le scoprì già bagnate di lacrime -Vogliono
vederlo. Vogliono dirgli addio. Per favore. Per
favore. Permetti loro di entrare..Esci
di qui, Tony. Esci e..-
-Domani.
La voce del magnate era un’eco arrochita, le parole sapevano
di metallo e come il metallo erano fredde ed impersonali.
-Domani ci sarà la camera ardente, no? Bene.
Domani..-
-Domani verranno a..- Virginia si bloccò di nuovo,
non per lasciare all’altro la possibilità di continuare, ma perché era lei a
non avere più la forza. Sistemare la
salma? A preparare il cadavere? Dio, Steve… -A prepararlo e..-
-E poi ci sarà l’esposizione pubblica e la camera
ardente. Come ho detto, no? Come ho detto. Lo so. Non l’ho dimenticato. Ci sarà
l’esposizione pubblica e tutti verranno a dirgli addio. E lo saluteranno e gli
diranno, Addio, Capitan America, eri il
mio idolo, la mia fonte di ispirazione, la mia fantasia preferita quando la
connessione internet saltava, il mio futuro marito anche se non lo sapevi, a
proposito, le hai mai ricevute le mie lettere? Ho contattato anche dei Wedding
Planners, dicono che un matrimonio a tema rosa pesca sarebbe fa-vo-lo-so!
Tony storse la bocca e alzò la mani, il disgusto a
contrargli i lineamenti del volto.
-Tutti lì ad adorarlo e idolatrarlo e a comportarsi
come se fossero stati da sempre compagnucci di scorribande solo perché adesso
è..- serrò le palpebre, strinse i pugni –Addio,
Capitan America, e nemmeno lo conoscevano per davvero, neanche sapevano chi
fosse in realtà, quanto gli piacesse mettere il miele nel caffè, per l’amor del Cielo era una cosa
abominevole, il miele nel caffè, Pepper, capisci? Nel caffè! Il come
sapesse a memoria le canzoni di Bing Crosby e le canticchiasse la mattina a
colazione, prima di andare in palestra.
“Chi di loro sapeva che Capitan Kirk Skywalker scambiava Star Trek per Star Wars? O che il Grande Gatsby era il suo libro
preferito? O che faceva letteralmente pena
a poker, ma nonostante tutto si ritrovava a giocarci ogni mercoledì sera
con Barton, Grimm e la sua fiammeggiante copia sputata, alias Johnny Storm?
Virginia si tese verso di lui, ma Stark si scostò
con violenza e si portò una mano alla fronte.
-Domani allestiranno la camera ardente e allora
potranno dirgli addio. Potranno dirgli addio tutte le volte che vorranno.
Fu allora che Pepper compì un gesto che per le
circostanze, per la separazione, per orgoglio,
non si concedeva da almeno sei mesi: si pose di fronte a Tony, piegò le
ginocchia per quanto le permettesse la gonna del tailleur crema, gli prese il
volto tra le mani e gli baciò piano, delicatamente la fronte. Chiuse gli occhi
nel farlo, una lacrima appesa alle ciglia e il cuore che palpitava contro le
labbra.
Stark non disse nulla, né si oppose. Aggrottò le
sopracciglia, però, e Virginia poté quasi vedere
la mascella di lui che si contraeva e i denti che si digrignavano, la perdita,
la comprensione di essa che si
raccoglieva in gola e poi scendeva a riempirgli il petto, i polmoni, il cuore.
-Sei tu a doverlo fare, Tony. Sei tu che devi dirgli
addio.
***
Un Erote le sciolse le lunghe trecce e Venere reclinò
il collo con un gemito.
Schiuse le labbra tumide, socchiuse gli occhi
cerulei e lasciò scorrere le dita sottili tra le ciocche finalmente libere; un
altro Erote, compagno del primo, le fece scivolare il pettinino d’oro tra la
chiome, un terzo Amorino le dispose di modo che le cadessero ordinatamente
sulle spalle candide.
Oh! A qual compito l’aveva chiamata Temi Sovrana,
Giustizia Divina arroccata su un trono d’Oblio e Rifiuto!
La Dea piegò la bella schiena all’indietro, tese le
braccia e subito gli Eroti le furono tutt’intorno: svolazzando e ridendo e
chiacchierando come colombelle dagli occhietti vispi le tolsero anelli e
bracciali, in un gran frullare d’ali e tintinnare di ninnoli.
Si mostravano l’un l’altro i gioielli chiusi nelle
mani paffute, si rincorrevano nella stanza per avere questa o quella gemma, per
cingersi la fronte con un tralcio di vite ad imitazione del rubicondo Bacco, o
per finger schermaglie e accendere incensieri.
-Via, via, miei bimbi, miei adorati! Via, con questo
baccano! Volete forse risvegliare quel burbero d’Efesto? Lasciatelo ai suoi
lavori, alle sue incombenze! Che non ci disturbi! Se ci ritrovasse intenti alle
nostre faccende, se ci vedesse mentre adempiamo all’opera che Temi ci ha
ordinato..! Oh che scompiglio! Che tragedia ne farebbe!
Come le sovvenne il pensiero, Venere si rizzò in
piedi: i capelli le scivolarono a coprire la curva dei seni e si arricciolarono
scherzosi e maliziosi alla base della schiena, giocherellando, nascondendo,
svelando l’incavatura dorata del pube. Con gesto imperioso, quasi stizzito, la
Dea indicò il talamo e tre Amorini risposero con un trillo, gettandosi tra le
coltri, saltellando e schiamazzando.
-Controllate bene, miei Eroti, canagliette dalle ali
piumate! Se Efesto ha di nuovo nascosto anelli e reti nella mia alcova d’amore,
ahimè! Il piano sarebbe disfatto e Temi contrariata! Giammai, giammai! Chissà
quella vecchiaccia a che supplizio mi condannerebbe!- si portò una mano alla bianca
fronte, finse un commosso mancare di sensi -E se rendesse Ares sgraziato?
Apollo muto! Oppure se gli donasse una voce di corvo, proprio come quel barbaro
guercio d’Odino, che ordina e sentenzia come se fosse Re, Sovrano di Giove? Ah,
Urano, mio spumeggiante Padre! Se tu vedessi a cosa s’è ridotto anche l’Ade!
Che disgrazia, che sfacelo!
Venere sorrise, sibillina e sensuale, a punta di
dita sfiorò la linea del collo, scese al seno, disegnò la linea rosata
dell’aureola, titillò il capezzolo bruno e gettò la testa all’indietro in un
ruggito di fiamma dorata.
Lascia che sia il Caso a portare equilibrio nel mondo dei mortali, figlia di Urano così
aveva ordinato Temi dall’alto dello scranno Trattieni
il tuo amante, da’ tempo alla Sorte di agire per il meglio o per il peggio,
com’Ella ritiene debba andare. Fa’ che scenda tra i mortali prima che il
caduceo indichi e tracci il funereo cammino.
-Ah! Lascia che sia il Caso, lascia che sia la Sorte!-
gorgheggiò e i polpastrelli scesero al ventre, all’incavo dei fianchi, un
brivido strappato alla schiena, un gemito alla gola –Ah, Temi! Ai soli Olimpici
ora tu ordini e comandi! I mortali ti sdegnano, per loro solo la Sorte esiste!
Sorte, figlia mia! Vola, versa, gira la tua ruota senza tempo! Tu, viziata
etera, gioiosa sgualdrina! Se solo più spesso mi fosse ordinato di aiutarti,
che vita meravigliosa vivrei fra i nembi e l’ambrosia!-
Gli Amorini risero con lei e la Dea allargò le
braccia, scoprendo il corpo in tutto il suo nudo splendore. Con mano leggera
accarezzò lo specchio di bronzo, con l’unghia grattò le incisioni del kouros, stuzzicò il disegno della fascia
stretta attorno al bacino. Se fossero stati veri nodi, si sarebbero arresi
senza protesta al suo tocco sapiente.
Si diresse al talamo tra i gridolini eccitati degli
Eroti, si umettò le labbra facendo scivolare la lingua lungo le forme turgide
della bocca, si distese lentamente, con un che di misurato, ricercato sulle
coltri, vi si immerse come al bagno e il corpo biancheggiò candido nelle curve
piene, nel ventre fecondo, nel seno florido; lampeggiarono gli occhi cerulei
come schegge di turchese tra le ciglia nere; la lunga chioma fu percorsa da una
scossa rossa e oro. Piegò le gambe, poggiò la splendida nuca su una mano, con
l’altra divise e allargò le ginocchia.
-Ermete..!- ansimò, reclinando la testa, gemendo,
ridendo, chiamando -Ermete, mio amato! Ermete, mio sposo! Ermete mio, mio
Ermete, ti chiamo, ti anelo! Non senti come mi struggo d’amore per te? Di
desiderio, di brama? Vieni a me, Ermete! Lascia i defunti, devia dal sentiero
dei morti! A me vieni, in me!
Socchiuse le palpebre, come gatta che soffia e
pretende carezze, come regina che attende solo d’essere obbedita.
E mentre ti
perderai nel calore del mio abbraccio, il Caso girerà la sua ruota, elargirà
doni dalla sua cornucopia rigonfia! Grida il mio nome, amato Ermete, e sarà
fatta la volontà di Temi!
***
-Detesto le fogne.
Lei gli rivolse a malapena un’occhiata e un
disinteressato arcuarsi del sopracciglio: che le importasse a malapena dei suoi
commenti riguardo i meandri meno piacenti di Manhattan era evidente, ma
nonostante questo continuò imperterrito a sbiascicare le proprie ragioni. Agitò
la bottiglia di vino, il liquido rossastro sbatacchiò oleoso contro il vetro.
-E quello? Dai, è uno schifoso, lurido…topo. Se non squittisce è perché a
quanto pare aveva dei cazzoni a lavorargli addosso, oppure degli intelligentoni
tanto intelligentoni che quando hanno visto la boiata che stavano facendo hanno
preso i soldi e se la sono svignata- ingollò un sorso e si asciugò le labbra
col dorso martoriato della mano -Sai, magari sono andati a baldracche, con quei
soldi. Anche perché se si sono messi a lavorare su una sottospecie di ratto
cencioso, di donne non ne hanno proprio viste. Nemmeno su un porno.
La sua, più che una risata, parve un latrato
scatarrante. Lei gli rivolse
un’espressione infastidita e lui rispose sogghignando.
-E non mi guardare così. Che c’è, non ti piace come
parlo? Deh, altolocata come sei..- e indicò con gesto da ubriaco la tiara che
le cingeva la fronte e la veste pregiata, il cui tessuto raccoglieva e
scaglionava all’intorno ogni sfumatura possibile o anche solo vagamente
contemplata di verde.
-Sta’ pronto e attendi la mia venuta, mortale.
Un altro ghigno, gli occhi malevoli.
-Bhè, donna mia, se è di venire che stiamo parlando..
Ma neanche un istante e lei era già sparita in vortice
di polvere luminescente. Sputò un grumo di saliva nel vicoletto buio,
bestemmiando.
Troia.
Non fosse stato praticamente immune agli effetti del
vino, avrebbe sin detto di essere così sbronzo da averla solo sognata.
***
Venere lo chiamava.
Venere distesa nuda sul talamo, gli occhi chiusi e
la bocca gemente, lo chiamava.
Ansimava il suo nome, ogni fiato interrotto era un
anello di più alla catena che Ermete sentiva stringere attorno alla gola e ai
lombi.
Le ali dei calzari fremettero, ma Ermete tenne i
piedi ben saldi a terra. Non si sarebbe avvicinato all’alcova di Venere, non
era così folle: aveva un compito da portare a termine, un’anima da condurre,
non si sarebbe fatto distrarre..Solo uno sguardo. Un’occhiata appena, giacché
Venere discinta non era certo fenomeno da destar meraviglia, ma Venere che lo
reclamava apertamente, senza terrore d’Efesto o dell’invidia d’Apollo Citaredo
era un evento al cui confronto la sobrietà di Bacco sarebbe parsa una
bazzecola, pura facezia.
Si avvicinò d’un passo, cauto. Tese l’orecchio,
poiché temeva d’ingannarsi: non gli erano mancati gli incontri proibiti con
Venere, ma ogni volta più che brama d’uomo gli era sembrata unicamente brama di
desiderio. Il richiamo sensuale della
carne da soddisfare con chiunque e in qualunque modo, un rimedio alla noia
moraleggiante che la tediava quando era costretta ad incontrarsi con Artemide,
conversare con Athena o intrattenersi con Vesta.
Soddisfare attraverso lui la sete del corpo,
piuttosto che il piacere d’amore –A tanto, Ermete non aspirava. Non sarebbe mai
stato Apollo, né poteva competere con Ares.
Tuttavia..tuttavia quel giorno la voce anelante di
Venere lo struggeva di desiderio, gli piegava le ginocchia, gli faceva mancare
il cuore. Si strinse al caduceo, lo usò come sostegno, le orecchie un ronzio,
la lingua come pietra nella bocca arida. Più verde dell’erba si dissetava
insaziabile dei gemiti di Venere.
Come avrebbe voluto avvicinarsi! Quanto, oh quanto
la desiderava..!
No. No, per Giove! Uno sguardo, ricorda. Uno sguardo
appena.
Ma poi Ermete vide il pube dorato scintillare e
sfavillare alla luce del sole e tutto fu vano.
Preso d’amore
per la bella Venere, ebbro di passione, dimentico d’ogni cosa, d’ogni compito,
d’ogni dove, lasciò cadere il caduceo, si tolse i calzari e fu subito tra le
sue braccia.
***
Pepper gli aveva consigliato di uscire dal
laboratorio.
Bhè, lui non aveva alcuna intenzione di farlo. Fuori
c’erano le rampe di scale, c’era Rhodey e i suoi occhi mesti, Jane e la sua
bocca stretta negli inutili, patetici tentativi di non piangere, c’era Thor con
le sue idiozie sulle Valchirie e il Valhalla e Brunilde, c’era Bruce che non
avrebbe detto niente, l’avrebbe guardato e basta, e, accidenti a lui, avrebbe capito non quanto Pepper, perché Pepper
aveva capito anche prima che ci
arrivasse lui stesso, c’era Il Falco e la sua occhiata che tutto voleva dire se
solo si aveva la capacità e la voglia di
decifrarla, c’era Natasha e se c’era Natasha era anche peggio. Poi c’era Pepper
e Pepper era l’unica cosa per cui sarebbe valsa la pena uscire dal laboratorio,
ma, davvero, in quel momento non ne aveva proprio l’intenzione.
Pepper forse pensava di prenderlo per la gola,
convinta che lì sotto non avesse alcolici cui ricorrere per colmare la
solitudine ed il silenzio. Ah, santa Pepper che pensi sempre bene delle
persone. C’era eccome una scorta di
alcolici, tenuta appositamente per i casi di emergenza: non l’aveva mai
sfruttata mentre lavorava, ma ogni tanto controllava che ci fosse ancora, che
Ferrovecchio non avesse fatto danni come suo solito. Se era di buon umore
poteva anche concedersi il lusso di alzare il bicchiere in onore alle cromature
o al nuovo modello o come aveva sistemato il parafanghi di una delle sue
adorate signore a quattro ruote.
Steve una volta l’aveva scoperta, aveva scovato la
scorta segreta, trovato il sentiero per Shangri-La, lui e quel suo dannato
fiuto figlio del Proibizionismo. Cosa non gli aveva urlato, cosa non aveva
minacciato di fare..! Ma poi avevano risolto. Risolvevano sempre.
Risolvevano tutto.
Era stata la consapevolezza che da lì in poi nulla si sarebbe più risolto a fargli
capire l’entità dell’emergenza. Un bicchiere dopo l’altro, un sorso, due sorsi,
tre sorsi, aveva brindato a così tanto e così a lungo che per non pensare a
come tutti quei brindisi erano ormai in
memoria di aveva brindato ancora. Ancora e di nuovo, diluendo il dolore,
centellinando i ricordi.
Aveva brindato a quando l’aveva visto per la prima
volta, a quando Fury l’aveva portato nella super stanza segreta inviolabile,
quella di cui aveva ricostruito perfettamente la planimetria in macchina,
mentre mangiava un doppio cheeseburger e Happy gli chiedeva informazioni in
merito a quella chiamata straordinaria dei Men
In Black.
Aveva gli occhi chiusi, proprio come allora. Disteso
su un tavolo anonimo, proprio come allora. Sembrava dormire, proprio come
allora.
Non si sarebbe mai risvegliato. Non come allora.
E così aveva cancellato il ricordo con del buon
whiskey e il liquore gli aveva bruciato la bocca ed il cuore. Memoria
accartocciate come un foglio bruciato, gemiti di sguardi, grida di mani,
cenere, cenere, solo cenere e whiskey, whiskey e cenere fino a che il whiskey
non era finito, ma la cenere aveva continuato ad ardere e allora aveva
afferrato lo scotch e aveva tentato anche con quello. E aveva
funzionato..almeno per un po’. I ricordi sembravano tutti più forti
dell’alcool, emergevano dall’intrico di fumi, si appostavano, lo fissavano, lo
ammonivano, Saremo qui per sempre, Stark,
gracchiavano, Non ce ne andremo,
maledetti, maledetti, Sarò qui. Non me ne
andrò.
Se solo avessi mentito, se solo avessi mentito..
Era già parecchio alticcio quando aveva cominciato a
sentire lo scricchiolio. Non vi aveva
dato peso, né vi aveva fatto troppo caso: forse quel cigolio altro non era che
la disperazione delle bottiglie vuote o le lacrime infrante dei bicchieri rotti
sul pavimento. Ma il rumore era continuato, si era fatto più forte, più
pressante e così, preda del mal di testa, le tempie che pulsavano e la bocca
che sapeva di alcool e nausea, Tony aveva alzato finalmente la testa.
E poco c’era mancato che gli venisse un colpo.
-Quanto sono ubriaco..?-
-In maniera soddisfacente, mortale, ma nulla che non abbia già veduto. Al confronto d’una
menade sei poco più d’una vergine al primo sorso d’Ismarico.
Una donna
emergeva bianca dalla luce dei led, sovrastando Steve –Il corpo, la salma di Steve, come una statua di marmo: la
veste alla greca ribolliva, tremolava di mille pieghe mutevoli, dalle spalle
fino alla cintola, ed una mantella pesante le tintinnava sopra i seni; volse il
capo con studiata eleganza e la corona di mura guizzò d’azzurro, il velo che le
copriva i capelli tirati sulle tempie sussultò. Teneva la mano destra su una ruota –Una ruota!, mentre sotto il braccio sinistro una cornucopia
rigonfia vomitava doni e ninnoli e monete, che si riversavano a terra senza
suono alcuno.
Tony deglutì e sgranò gli occhi; si alzò di scatto
dalla sedia, provocando l’ilarità di..di chiunque
fosse davanti a lui.
-Chi sei?-
-Io?- la bocca della donna si curvò in un sorriso -Io
sono il Caso, sono la Sorte. Tyche è
il nome che mi diedero i figli diletti di Deucalione e Pirra, ma osa anche solo
chiamarmi come gli sciocchi discendenti d’ Enea e avrai di che pentirtene! Fortuna, ah!- il volto si contrasse in
una smorfia irata -Mi avete trasformata in una porné dagli occhi bendati, io! Io, l’unica che ancora veglia su di
voi!
Tyche abbassò gli occhi, osservando il Capitano con
sguardo pietoso; alzò una mano come a volerlo appena sfiorare e il momentaneo
stupore di Stark si mutò in rabbia.
-Allontanati da lui. Ora- ringhiò, gelido.
-Quanta virtù in un sol corpo- mormorò l’altra,
ignorandolo -Che disgrazia. Che profonda disgrazia. Se il Destino fosse
colpevole della sua dipartita certo potrei avere l’ardire di maledirlo, ma per
tua fortuna così non è-
-Fortuna? Fortuna?
Dio, quella era la più strana e irritante
allucinazione con cui si fosse mai trovato a discutere da ubriaco. Fortuna, la chiamava lei! Capitan
America..fortuna! Oh, il non trovare
inutili vasetti di brillantina ad occupare spazio prezioso nel mobiletto del
bagno era un colpaccio, ma fortuna..!
-Esatto. Fortuna- replicò Tyche, la voce dura e le palpebre socchiuse
–Esattamente nel deprecabile significato che voi intendete. Fortuna- lasciò cadere la mano-La morte
di costui non è stata decisa volontariamente
dal Fato: le Parche hanno avuto l’ordine
di tagliare il Filo. Un falso messaggio, o una finta messaggera? Non è
importante, non più. Alla causa non c’è modo di rimediare, ma è stato ritenuto
lecito che si potesse porre un freno alle conseguenze.
Fato? Parche?
E adesso cosa sarebbe successo? Sarebbero saltellati fuori Pena e Panico a
chiedergli se aveva sete?
-Ascoltami- Tony alzò le braccia e scosse la testa, tentando
il tono più conciliante possibile –Tu sei ovviamente un’allucinazione. Devi
essere l’avvisaglia di un disturbo post-traumatico da stress oppure la prova
che o il Bourbon era scaduto, oppure mi hanno venduto della melassa invece di
whiskey. Per cui, seppelliamo l’ascia di guerra, firmiamo un trattato di non
belligeranza e torniamocene ognuno ai propri angolini solitari, d’accordo?
Tu..Sparisci, puff!, in una bolla
rosa come gli elefanti di Dumbo, d’accordo? Porta i miei saluti a Megafusto, però.
Io vedrò di rimediare alla cosa bagnandomi la lingua con—
-Taci!- il grido di Tyche rimbombò nel laboratorio
come l’eco di mille voci, le luci tremarono, si ingigantirono, tutto divenne
bianco e poi nero e lei dominava su ogni cosa, immensa, gli occhi di mille
fiamme e mille colori e mille sguardi e mille volte mille esistenze –Taci, non
osare una parola di più! Io sono Tyche, mortale! Le Parche tessono, filano,
recidono lo strame, io disfo i nodi di Cloto, creo nuovi intrecci coi fili di
Lachesi, se m’aggrada celo alla vista della sdentata Atropo le cesoie funeree!
E sempre voi, oh miei caduchi avversari, voi io vinco al gioco eterno degli
astragali, barattando la vostra vita con nuovi anni o nuove sofferenze o nuovi
amori o nuove perdite, secondo il mio diletto!
Col fiato appeso alla gola, Stark indietreggiò. Cozzò
contro la sedia e fu solo per miracolo che riuscì ad appoggiarsi allo schienale
e non crollare a terra. Tyche assottigliò le labbra: un respiro e fu di nuovo
alla sua forma originaria.
-Giove, Padre degli Dei, ha deliberato e deciso con
Odino di Asgard, ma una voce..una menzogna
è serpeggiata sibillina dal Concilio. Le Parche hanno ubbidito ad un ordine non
vero: la morte di costui è frutto di una conoscenza ottenuta..- un veloce
arcuarsi delle sopracciglia –Per caso.
-Per caso? Tu hai..
-Io- lo interruppe –Creo e disfo a mio disio, non mi
curo di ciò che le mie azioni potrebbero provocare. Almeno fino a quando non si
viene ad infrangere l’Ordine.
“Chi ha ingannato le Parche non ha interesse in tal
senso, quel che per noi Olimpici è legge, per lui non è più importante d’un
soffio di polvere. L’Equilibrio è
stato infranto e gli Dei non permetteranno che questa situazione permanga: e
come non succedeva dacché il Protettore di Uomini dominava la Terra, Temi, la
Giustizia Divina che ora siede, ordina e dispone per i soli figli di Giove e
Giove stesso e la sua consorte, Giunone dal bianco braccio, Temi, dicevo, mi ha
affidato un compito. E io, Tyche, ho giurato obbedienza.
Tony si umettò le labbra, la fronte che bruciava,
rivoli freddi a rabbrividire lungo le tempie. Era una follia. Un’allucinazione,
doveva essere ammattito, quale altra spiegazione? Dei? Giove? Parche? Da quale
angolo recondito della memoria erano usciti, perché si erano fatti vivi? E
soprattutto..Perchè stava discutendo con
un postumo da sbronza?
-Non ho idea di cosa tu stia parlando e..-
-Obbedirò una volta, mortale. Una volta sola mi
piegherò e poi tornerò alle mie faccende, non importa quanto a lungo mi chiamerai
o cercherai la mia presenza, anelerai al mio aiuto: non risponderò, a meno che
non abbia io stesso voglia di risponderti- lo ammonì, la mano alzata ed il
mento sollevato –Ti è stato concesso un privilegio. Pochi possono vantarsi
d’aver avuto il medesimo dono e sarà loro che tu dovrai cercare.
“Un’unica occasione per ripristinare l’equilibrio:
se fallirai, gli eventi prenderanno questo nuovo corso, seguiranno questo nuovo
alveo e non vi si sarà più rimedio. Questa è l’unica volta in cui mi piegherò,
la sola occasione che ti sarà data.
-Ma di che parli? Di che possibilità stai delirando?
Un sorriso baluginò negli occhi maliziosi della
donna.
-Della possibilità di strappare questo mortale alle
onde dello Stige. L’occasione riportarlo alla vita.
Cor Mortem Ducens
#02. Da Qualche Parte, nell’Amarezza
Note
“Se Efesto ha di
nuovo nascosto anelli e reti nella mia alcova d’amore, ahimè” : Odissea, VIII
266-366. Efesto, per scoprire e punire gli amori di illeciti di Afrodite,
nasconde nel talamo una rete d’anelli d’oro finissima: a venirne catturati
saranno proprio la bella Afrodite e Ares, dio della guerra.
“Urano, mio spumeggiante Padre”: una
versione del mito vede la nascita di Afrodite dalla spuma del mare mescolato allo
sperma di Urano, finito in mare dopo che Crono lo aveva evirato.
Ermete è detto anche psicopompo, ossia colui che guida le
anime nel cammino verso l’Ade.
Cito qui le abilità di Venere:
“Venus has the power to project
images or illusions of herself and to control the emotions of others, as well
as the ability to fly at high speeds, shield herself from mortal sight, and
shift her physical form into other beings. Before the retcon, she was
considered to be an Olympian goddess, and thought to possess the enhanced
physical characteristics typical of Olympian gods in the Marvel Universe,
including superhuman stamina, durability, agility, and reflexes, extraordinary
vitality, and virtual immortality.” (Wikipedia)
La Tyche (Caso/Sorte) è la “divinità laica” dell’Ellenismo, priva di
predestinazione, non è un Destino scritto come quella cui invece, in epoca
precedente, erano soggetti uomini e Dei. I Romani la chiamarono “Fortuna”, ma
questo termine non ha nulla a che vedere col significato che gli viene dato
oggi.
Porné: “Puttana” in greco
antico.
Il Protettori di Uomini altro non è che Alessandro Magno (Alexandròs
significa, letteralmente, proprio “Protettore di Uomini”) E’ con la sua morte
che si apre l’epoca dell’Ellenismo ed il “dominio” della Tyche a regolare la
vita degli uomini.
Note
di Fine Capitolo
Otto pagine di roba. Otto. Pagine. Di.
Roba. Potete ammazzarmi, davvero. Vi è lecito.
Che poi, penso abbiate notato tutti
come si cambi dalla denominazione romana delle divinità (Afrodite-Venere) a
quella puramente greca (Ares, Athena, etc): purtroppo è così che vengono
chiamati personaggi all’interno degli Olimpici Marvel e, salvo per Tyche (che
non esiste ed è dunque da considerarsi un mio OC), mi sono adeguata alla cosa Anche
se le concezioni delle divinità romane e greche differiscono profondamente e
non so davvero secondo quale delle due mi devo rapportare *La sedano*
Poi..La scena di Venere/Afrodite che
si pettina i capelli è una forse/quasi/pseudo citazione dal proemio del III
libro delle Argonautiche:
“Lasciando cadere da ambo le parti
i capelli sopra le candide spalle, li ravviava col pettine d’oro, e ne faceva
lunghissime trecce. Vedendole, smise e le chiamò dentro, e si levò dal suo
trono, le fece sedere e sedette di nuovo anche lei, raccogliendo con le
mani le chiome non curate dal pettine.”
La scena
del poker con Ben Grimm (La Cosa), Barton, Johnny Storm e Capitan America viene
dalla serie animata “Avengers – I più Potenti Eroi della Terra” (Dove però
comparivano anche Hulk e T’Challa)
E con
questo direi basta.
Tranne che
il miele nel caffè è buono, checché ne dica Stark OH
Ringrazio
la mia nuova mogliaH, Alley per la
splendida recensione lasciatami al
precedente capitolo! Grazie davvero, mogliaH mia, organizzerò un viaggio di
nozze senza precedenti! *A*
Ringrazio
poi: Eloise de Winter per aver messo
la storia tra le preferite e Hikari_ e F13 per averla aggiunta alle seguite!
Alla
prossima!
LEGGETE TUTTI IL GRANDE GATSBY