Opposizione
Quando infine la lunga agonia ha termine, e tutto scompare dentro una valigia, sali sull’Espresso, ed esso ti conduce finalmente via da quella gabbia dorata, attraversando verdi colline, correndo su binari costruiti in epoche remote, lontano dal dolore e dalla sofferenza, verso altra angoscia, più dolce e malinconica.
I prati verdeggianti scorrono sotto il tuo sguardo, nuovamente acceso e limpido adesso che è fuori dall’influsso malefico della tua famiglia. Quando entri nella tua stanza, ti pare che essa si adatti a te, che ti circondi con braccia morbide.
E ti sembra di essere tornata a casa.
I primi giorni scorrono lenti, affogati nel grigiore dell’Inverno.
Non ti sfuggono gli sguardi indagatori che Ted ti rivolge da quando sei tornata, né quello che ti segue costantemente non appena ne ha l’occasione. Attende un segno, un piccolo gesto, un sorriso, qualsiasi cosa che lo rincuori, qualcosa che lo spinga a rivolgerti nuovamente la parola.
Mai arriverà da te un simile incoraggiamento.
Lo ignori, fingi di non vedere nei suoi occhi le domande, le suppliche, l’incertezza.
Fingi di non amarlo.
E pian piano, dolorosamente, questa finzione si salda alla tua realtà, e inizi a crederci tu stessa.
Ignori i battiti accelerati del tuo cuore quando ti accorgi che ti osserva.
Ignori i suoi occhi limpidi. Ignori la necessità di posare i tuoi occhi su di lui.
Ignori il sussurro del tuo cuore, relegato in fondo all’anima, ma che sempre leva la sua esile voce.
La freddezza del tuo atteggiamento non è passata inosservata a lui, né il gelo del tuo sguardo.
Sempre più fredda.
Sempre più lontana.
Sempre più sofferente, anche se non vuoi ammetterlo.
Eppure lui non si stanca mai di osservarti, di parlarti con gli occhi nel muto linguaggio dell’amore; di attendere e di attenderti.
E tu lo respingi, sempre.
Sono passati mesi da quella sera nel cortile, e nulla è ritornato come prima: in un remoto angolo della mente, il ricordo di quel bacio e della dolcezza nei suoi occhi restano vividi e brillanti quando invece dovrebbe svanire, consumati dal tempo.
Non vi rivolgete la parola da molto tempo, il filo della complicità che c’era tra voi si è spezzato, gli sguardi sono diventati furtivi, i tuoi si riducono ogni giorno di più, fin quando non riesci a resistere al desiderio di osservarlo.
L’amore è soffocato, e tu credi che sia morto, non riesci a scorgere le braci rosseggianti nelle quali cova, forte e potente come sempre.
Gennaio è trascorso, la neve è caduta, le aurore sono state nebbiose.
Febbraio è passato, il ghiaccio ha cominciato a sciogliersi, i primi fili d’erba sono nati in segreto, celati agli occhi del mondo; i primi semi sono germogliati nelle profondità della terra; le albe si sono rischiarate.
Marzo è giunto, con i primi fiori colorati, le foglie novelle sui rami, la neve che scorre ora fluida, il calore dei raggi del sole che diventa sempre più intenso; l’aurora che brilla di luce dorata.
Siedi in biblioteca.
È pomeriggio, e ti pare di vivere una scena già vista.
Ted giunge con passo felpato.
Sa dove trovarti.
Non avresti mai dovuto mostrargli il tuo angolo nascosto.
Lo senti arrivare: il suo passo è pesante.
Si appoggia a uno scaffale.
Avverti chiaramente che a breve inizierà a parlare.
Lo precedi
«Cosa vuoi?» La tua voce è tagliente, fredda, dura. Non ti eri mai rivolta a lui con tale tono. Non ti volti nemmeno, continui a scrivere, mentre il sole che cala a Occidente t’illumina i capelli di riflessi rossi.
«Parlare».
«Lo stai già facendo».
«Sai cosa intendo, Andromeda».
«Non lo so, non voglio saperlo».
«Andromeda…».
«Vattene, Ted. Quanto dovevo dirti già l’ho pronunciato. Null’altro v’è da chiarire tra noi».
«Non vuoi ascoltare quello che voglio dirti?»
«No, non voglio. Voglio solo che mi lasci in pace, Ted».
«Non posso, Andromeda, non posso, poiché tu stessa non mi dai pace».
«La pace è qualcosa di raro a questo mondo».
«Ma non impossibile da raggiungere». Ti volti, irata e fremente.
«Ci sono cose che tu nemmeno immagini, in questo mondo, fantasmi di tempi lontani che impongono il loro volere, un passato impossibile da dimenticare, tradizioni più antiche della stessa terra».
«Il passato è nelle tombe, Andromeda, non nella vita, non nel presente. Le tradizioni possono essere infrante, i fantasmi sconfitti».
«Non sai di cosa parli… se solo tu fossi come me, forse capiresti».
«Ma non lo sono, Andromeda, e non voglio capire».
«Allora non puoi aspettarti spiegazioni, poiché non vuoi ascoltarle».
«Non sono spiegazioni, Andromeda, sono scuse».
«Non puoi saperlo, e non puoi pensare di saper leggere nei miei occhi. Tu non appartieni a questo mondo quanto me».
«Ma ci appartengo».
«Non puoi capire ciò che è più antico della magia stessa, tu, in cui essa scorre da così poco tempo. Tu non hai nessuno degli obblighi a cui sono chiamata io. Tu non sai, non conosci, non puoi parlare».
«Credevo che tu fossi diversa, Andromeda, lo credevo davvero, ma adesso ti riveli uguale a tutte le altre: arrogante, sprezzante… incapace d’amare».
«Tu non sai… Non capisci, parli di cose che ti sono sconosciute.».
«No, Andromeda, sei tu a non capire, io…».
«Non una parola di più, Ted».
«Dici che io non voglio ascoltare, eppure l’unica a farlo sei tu».
«Ci sono motivi validi per cui non posso farlo».
«Fantasmi? Tradizioni?».
«Non permetterti di parlarmi così, Ted, o potrei lasciar da parte l’educazione». Lui nemmeno ti sente, continua a parlare, beffardo, incurante delle tue parole.
«E cos’altro? Temi il tuo cuore? Temi la verità?». La tua mano giunge rapida a destinazione, lasciando sulla sua guancia un segno rosso.
«Silenzio!».
«Io non sono come tutti gli altri che conosci, né un tuo servitore, a cui puoi imporre il silenzio quando più ti aggrada». Come spiegargli che non glielo stai imponendo, ma lo stai supplicando di non parlare?
«Non posso darti quello che cerchi».
«Come sai cosa voglio?».
«È scritto chiaro nei tuoi occhi».
«Non puoi pensare di leggere i miei occhi».
«Ma posso intuire quello che celano. Addio, Ted».
«Non sei legata per sempre alle tue tradizioni! Non permettere al passato di condizionare il tuo presente… Andromeda!». Quella frase rimbomba nella tua mente, e mentre il sole cala lentamente a Occidente, prima che assieme alle stelle compaiano anche le tue lacrime, ti allontani, fredda e gelida, con una scintilla bellicosa negli occhi: se proverà a fermarti, la dolce Andromeda scomparirà. Lo sorpassi, altera e glaciale. La sua voce, il suo richiamo, è solo un’eco convulsa.
«Andromeda…»
Ti rifugi in camera, e con la ferrea volontà che ti contraddistingue impedisci alle lacrime di scendere copiose e abbondanti sulle guance. Siedi con eleganza sulla sponda del letto, la schiena rigida e il volto simile a marmo. Non permetterai a un’insulsa conversazione di spostare la pietra sotto cui hai soffocato i tuoi sentimenti.
All’ostentata indifferenza si sostituisce l’aggressività: sguardi sdegnosi, riposte taglienti; l’odio che a tutti voi è richiesto di provare verso i Nati Babbani emerge lentamente, ma tu non sai se sia vero odio, oppure un’altra delle tante finzioni della tua vita: realtà e invenzione si sono mescolate troppo nella tua vita per distinguerle. La notte cala, il sole sorge. Le aurore si susseguono numerose, sempre più pallide, sempre più slavate ai tuoi occhi.
Giunge Aprile, e con esso la primavera.
I fiori sbocciano, le rose fioriscono, la rugiada le ingioiella, le foglie inverdiscono, i tramonti sono sempre più rossi, le albe più dorate.
E la tua vita sempre più grigia.
Nonostante la mente che ti rassicura, che ti dice di aver scelto giustamente, sei inquieta.
Ted non ti cerca più e ciò, che dovrebbe farti gioire, non ha altro ruolo che provocarti un grande vuoto nel cuore, un dolore sordo all’altezza del petto.
Quando i gelsomini sbocciano, ti arriva notizia che Ted frequenta una giovane Grifondoro.
Il cuore rallenta, il respiro si fa appena percettibile, le labbra si schiudono, e un brivido di malinconia ti attraversa la schiena.
L’ultimo legame è spezzato.
Dovresti esserne felice, e invece ti ritrovi nella tua stanza, in lacrime.
Cos’è questo dolore così dolce e struggente in fondo al cuore?
Cosa sono queste lacrime?
Cosa vive dentro di te, che invece dovrebbe essere morto?
Cosa fiorisce nella tua anima?
Dov’è l’approvazione di tua madre, il sorriso di tuo padre, per cui hai rinunciato a tanto?
Dove sono gli elogi per cui hai rifiutato l’amore?
E queste domande da dove provengono?
Dal cuore o dalla mente?
La confusione ti lascia spossata.
Sugli occhi si posa il Sonno.
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Mi dispiace che questa storia, che personalmente amo molto, abbia ricevuto così poche recensioni, spero che ne avrà altre in futuro. Grazie in ogni caso a coloro che leggono.
LadySaphira