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Autore: Boku no Seida    23/05/2013    4 recensioni
A pensarci mi veniva sempre da ridere. Non sapevo nemmeno il suo nome.
Ma mi sembrava talmente naturale stare con lei che l’idea di perdere tempo prezioso per chiederle una cosa tanto stupida mi sembrava uno scempio. Forse lo ero davvero, alla fine. Pazza. Ma forse lo era anche lei. Quindi andava tutto bene.

Luka è una liceale che soffre di depressione, bersaglio di bullismo che ormai si è rassegnata ad accettare. Un giorno i suoi assalitori vengono allontanati da una sconosciuta piuttosto rozza che, insperabilmente, le cambia la vita. Ma sarà sufficiente la sua vicinanza per salvarla dal suo odio per il mondo e soprattutto per se stessa?
Basata sulla famosissima World's End Dancehall. Linguaggio molto volgare (specialmente da parte di Miku, che in questa storia non sarà uno stinco di santa) e tematiche che potrebbero urtare il lettore (quali bullismo, sottomissione, violenza fisica trattata superficialmente e omosessualità).
L'ho messa sotto raiting arancione per non limitarne la lettura, ma consiglio comunque di maneggiarla con cautela.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Luka Megurine, Miku Hatsune
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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4; in circles






















«Agh... che merda.»
Finsi di non aver sentito e cercai di chiudere gli occhi, per lo meno per cercare di recuperare un briciolo di sonno. Ma la sua voce mi giunse di nuovo con un’altra lamentela, facendomi sospirare. «Allora» iniziai. «Per l’ultima volta, qual è il problema?»
«Questo fottuto materasso è il problema. E dire che pensavo che voi ricchi dormiste su cose più morbide. Ce li avete i soldi per permettervelo, no?»
«Guarda che i ricchi imbottiscono il materasso di banconote per non metterle in banca. Lo sai che stai dormendo sopra i miei risparmi di tre milioni di yen?»
Subito la sentii tastare il letto e muoversi convulsamente, come se stesse cercando di graffiare la federa con le unghie. «PORCO MONDO! Dici sul serio!?»
«Ah ah... certo che no.»
«Ooooh» fece lei. «Vedo che anche i depressi cronici hanno senso dell’umorismo.»
«Se così non fosse tanto varrebbe metterci un’etichetta attorno all’alluce e chiamarci cadaveri, non pensi?» replicai. «E comunque il nostro si chiama “humor inglese”. Perché ogni volta che proviamo a fare gli spiritosi non si capisce, e quando si capisce non fa mai ridere nessuno.»
«Ottima definizione, miss saputella. Che ti sei mangiata prima, un vocabolario?»
Il fatto era, che sapeva benissimo cosa mi fossi mangiata, visto che era a tavola con me. Così come la sera prima, e quella prima, e quella prima ancora. Mi aveva accompagnata a fare la spesa il giorno dopo che si era fatta ospitare da me, e così, stando in mia compagnia, aveva anche scoraggiato l’incursione dei miei soliti assalitori, che ancora avevano ben chiaro in mente il momento in cui i loro genitali erano stati minacciati dalla sua temibile “arma”.
Non mi aveva più mollato, lei. Non avevo la minima idea del perché si ostinasse a starmi appiccicata. Forse era pietà, compassione, o forse davvero pensava di essere una specie di eroina e si sentiva in dovere di proteggermi. Qualunque fosse il suo vero proposito, col tempo avevo perfino smesso di preoccuparmene seriamente. Perché sapevo che le cose più piacevoli erano proprio quelle che non si riuscivano a spiegare. E allora perché provarci? Va bene che ero masochista, ma un po’ di bene me lo volevo persino io.
Comunque, tutto sommato, era bello. Stare in sua compagnia, intendo.
Sotto la corazza da ragazzina selvaggia e volgare, si nascondeva una personalità buffa con cui era facile scherzare e prendere in giro, quando anche lei stava al gioco. Mi faceva ridere, mi teneva di buonumore, e mi faceva sentire inspiegabilmente sicura. Non che tutti questi cambiamenti fossero visibili: per i miei compagni di classe, quando stavo a scuola, ero la solita “puttana lesbica emo” di sempre. Ma quello perché - incredibile a dirsi - soffrivo la sua mancanza quando non era con me.
A pensarci mi veniva sempre da ridere. Non sapevo nemmeno il suo nome.
Ma mi sembrava talmente naturale stare con lei che l’idea di perdere tempo prezioso per chiederle una cosa tanto stupida mi sembrava uno scempio. Impensabile.
Forse lo ero davvero, alla fine. Pazza.
Ma forse lo era anche lei. Quindi andava tutto bene.
Quella era la settima notte che mi dormiva accanto. Una settimana, esatto; era da una settimana che mi gironzolava intorno, mi scroccava i soldi per il cibo, e faceva la dispotica nella mia stessa casa comandandomi a bacchetta. E che, come dimenticarlo, mi teneva lontana dai guai, e soprattutto compagnia.
Di solito quando ci mettevamo a letto si addormentava sempre subito. Ma quella notte fu diverso. Era in vena di chiacchiere, a quanto pareva. E io non potevo che assecondarla, visto che sapevo quanto non amasse che le si disobbedisse. «Senti, disperata, me la toglieresti una curiosità che ho da un po’ di tempo?»
«Se proprio vuoi che lo faccia.»
«Hai mai avuto una storia d’amore con una ragazza?»
«No» sorrisi amara. «Mai avuto il privilegio. Non me lo lasciavano fare.»
«Ah... capisco.» Un attimo di pausa, prima di sbottare, del tutto senza preavviso: «E che cazzo, però, questa cosa mi sta sulle palle! Il fatto che ti costringevano a fare tutto quello che pareva a loro. Che pezzi di merda!»
«Disse quella che mi ha seguita fino a casa, che sfrutta la mia ospitalità e mi obbliga a stare al suo servizio come una servetta.»
«Senti, è una cosa diversa.»
«E in che modo?»
«E’ una cosa diversa, e punto.» Mise su il broncio. «Scommetto che quelli lì ce l’hanno una casa in cui non vedono l’ora di tornare dopo aver fatto i loro sporchi comodi, una famiglia che gli prepara il loro bel pranzetto, un camino davanti al quale sedersi per scaldarsi e un bel lettuccio in cui fare la nanna, a posto con la loro disgustosa coscienza.»
Mi misi le mani dietro la nuca, a pancia in su. «E tu queste cose non le hai?»
«Sei perspicace» commentò lei, ma poi rimase in silenzio.
Mi voltai verso di lei. «Cambiando discorso... non posso fare a meno di aver notato una tua tendenza a... parlare in modo non esattamente consono a una ragazza della tua età.»
«Tutte le ragazze della mia età parlano così, tranne le ochette che se la tirano come te.»
«Potrei insegnarti a parlare meglio» le sorrisi dolcemente. «Sai, senza intercalari volgari, e in modo meno sgrammaticato. Non credo che tu sia una grande studiosa, o sbaglio?»
«Non credo che lo sarei nemmeno se andassi a scuola» grugnì lei per tutta risposta. Malgrado il buio riuscii a vedere un leggero rossore di vergogna affluirle alle guance.
Forse non le piaceva tanto essere così rozza, o almeno non come lo dimostrava, pensai.
Distolsi lo sguardo dal suo volto e lo puntai sulle travi del soffitto. «Lo sai, io mi interesso abbastanza di letteratura, arte... e musica. So anche suonare qualche strumento. Pianoforte, viola da gamba, chitarra. Ogni tanto canto anche, ma» risi incerta «non lo faccio mai a voce troppo alta, per evitare di spaccare vetri o cose del genere.»
La sentii reprime una risata, che si impose di soffocare nelle lenzuola. «Oh. Una figlia di papà come si deve. Non ti sei proprio fatta mancare niente, eh? Dimmi, ti sei pure imparata a memoria il galateo?»
«Conoscerne alcuni passi è utile» risposi.
«Come no. Così conosci dieci modi diversi per pulirti il sangue dal labbro quando ti pestano in un vicolo cieco.»
La ignorai: «Se vuoi potrei darti qualche lezione, visto che non frequenti la scuola. Invece di stare qui a far niente mi piacerebbe rendermi utile e sdebitarmi per quando hai messo in fuga quei ragazzi, l’altro giorno. Potrei anche insegnarti a suonare qualche strumento. Sai, è un modo molto efficacie di scaricare la tensione e dimenticarti di tutto. Ci sei solo tu, e la musica nell’aria, e le tue dita che volano, sempre impegnate, per creare nuove melodie. È tutto un altro mondo, ed è veramente, veramente bello.»
«Suonare non mi serve a sopravvivere» fece lei con voce piatta.
«Su questo ho i miei dubbi» replicai. «Ma è inutile che continui a ricamarci sopra. È un’esperienza che finché non vivi in prima persona, non capirai mai fino in fondo.»
Per la prima volta, una mia affermazione le aveva fatto perdere le parole, così stette in silenzio e solo dopo un po’ si girò dall’altra parte.
Sentendomi rassicurata da quel fatto più unico che raro, le scossi lievemente una spalla. Lei sussultò, evidentemente sorpresa da quella mia presa di iniziativa. Era la prima volta che avevamo un contatto fisico, ora che ci facevo caso. Era strano. Ma in un certo senso, anche piacevole. Un po’ come il suo starmi addosso da una settimana a quella parte. «Senti... io non ho sonno. Ti va di provare a suonare qualcosa?»
«N-No grazie» balbettò.
«Allora ti va se ti faccio sentire qualcosa io?»
Lei fece roteare gli occhi. «Fai quel cazzo che ti pare.»
«Ah-ah... basta che la smetti con le parolacce.»
«Che due-» iniziò, ma guardandomi in faccia riuscì a trattenersi: «Accipicchia, che seccatura
«Molto meglio» le sorrisi.
Mi alzai dal materasso e lei mi imitò. Tutto sommato non era stato così difficile convincerla, forse le andava veramente sentirmi suonare. Quella sorta di attenzione mi fece sentire lusingata. Non avevo mai avuto una persona che si interessasse a me, anche solo un po’, e pensai che fosse veramente una bella sensazione.
Raggiunsi il mio studio e mi sedetti al pianoforte. Mi sgranchii le dita, come vedevo fare ai pianisti veri. «Questo è il mio strumento preferito» le confidai prima di iniziare a suonare davanti al suo sguardo fintamente distaccato. Cominciai a capire che il suono della melodia le piaceva quando la vidi, con la coda dell’occhio, raddrizzarsi, e quel po’ di sonno nei suoi occhi sparire definitivamente, lasciandola più sveglia che mai. Quando finii il pezzo, ci guardammo negli occhi.
«Era...» iniziò lei, a disagio. «Cioè... non era male. Era carino.»
«Ammettilo che non vedi l’ora di provare» la provocai.
Si voltò, mormorando un «Mai» poco udibile.
Quel suo ostinarsi a fare la tsundere della situazione non fece che divertirmi. Senza nemmeno rendermene conto l’avevo afferrata per i polsi e allungato il collo, per stamparle un lungo bacio sulla guancia già bollente.

























Hai haai!
Non so che dirvi. C'è solo una cosa molto importante che dovete sapere: aspettatevi yuri selvaggio di qui a breve.
Anche se scommetto ci foste arrivati prima di me XD e poi, come posso far dormire Luka e Miku nello stesso letto senza farle... consumare il loro amore? Eh...
Mi sento sempre una pervertita che spia le coppie da un cespuglio mentre loro... make out, se sapete che intendo.
Comunque, in questo capitolo non c'è molto da dilungarsi in complessità introspettive. C'è giusto qualche indizio in più sulla vita che Miku conduceva prima di infestare la villa di Luka. Ma per il resto... il prossimo capitolo sarà più utile per capire la loro psiche molto più a fondo, specie quella di Luka. Per quella di Miku vi tocca aspettare. Ee... che volete che vi dica, c'est la vie.
Ah, una grande anticipazione: da questo capitolo una cosa cambierà in modo radicale, una cosa che non vi aspettereste mai! Ovvero, Miku la smette con le parolecce! /i lettori e l'autrice lanciano coriandoli orgogliosi/
Breva, breva, è già un grande passo avanti.
Al prossimo aggiornamento!
BNS <3 
  
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