Ciao
a tutti!
Eccomi
dopo tanto tempo con un nuovo capitolo. “Nuovo” si
fa per
dire perché l’avevo scritto alcuni mesi fa ma non
mi ero mai decisa a
pubblicarlo fino ad adesso (sindrome da parto della storia).
È
un capitolo un po’ più oscuro diciamo, mi ricorda
in alcuni
punti il secondo…fatemi sapere che cosa ne pensate J
Buona
lettura!
Capitolo 9
Il suono
dei suoi passi affrettati risuonò cupo nel grande parcheggio
all’aperto.
Melissa si guardò intorno disorientata, strizzando gli occhi
per vedere oltre
l’oscurità indistinta in cui era immersa. La notte
inghiottiva silenziosa
l’immenso parcheggio lasciandola brancolare spaesata nel buio
più totale. A
occhio doveva trovarsi nella periferia di una grande città;
riusciva a sentire
in lontananza l’eco martellante di un’ambulanza e
la musica sommessa di qualche
locale. Un rimbombo potente scosse violentemente l’aria e di
colpo una sottile
pioggerellina incominciò a riversarsi sul parcheggio.
Melissa deglutì, sentendo
la saliva scivolare a fatica lungo la gola arida. Un lampo
squarciò il cielo
illuminando il suo volto tremante, mentre la pioggia si fece
più insistente.
Alzò la testa al cielo, socchiudendo leggermente la bocca
per assaporarne il
dolce sapore muschioso. Piccole gocce le scivolavano veloci dal labbro
inferiore, indugiando appena sul mento per poi riprendere a scorrerle
lungo il
collo sottile. Il freddo pungente della notte la raggiunse penetrandole
nelle
ossa; tuttavia non si mosse fino a che le punte dei suoi lunghi ricci
biondi
non furono inzuppate de tutto. La testa le girava vorticosamente mentre
poteva
percepire l’incessante pulsare del sangue nelle sue tempie.
Ancora non sapeva
con esattezza dove si trovasse, ne perché ci fosse arrivata.
D’un
tratto un altro lampo rischiarò il cielo, illuminando
un’ombra familiare
all’altro capo dell’edificio.
- Papà…Papà?!
La sua
voce piena di orrore s’infranse sulle labbra per poi morirle
in gola. La frase,
rimasta a metà, suonava più come una domanda in
attesa di conferma. I suoi
occhi scattarono veloci sul padre che arrancava a fatica verso
l’uscita
premendosi una mano sul petto. A un certo punto, vinto dalla
spossatezza, si
appoggiò a una colonna per poi accasciarcisi sopra. A
Melissa mancò il fiato;
il cuore le batteva all’impazzata mentre un unico pensiero
l’assillava: è
ferito.
Rimase
paralizzata per qualche secondo, incapace di muoversi anche di un solo
passo;
la bocca si apriva e chiudeva meccanicamente senza emettere alcun
suono.
Finalmente sembrò riacquistare l’uso della parola
e dopo aver emesso un gemito
sordo, con la faccia trasfigurata dall’orrore,
incominciò a correre disperata
nella sua direzione.
Le sue
gambe scattavano veloci sul manto bagnato dell’asfalto, una
dopo l’altra, mentre
i muscoli si contorcevano e rilassavano seguendo il ritmo precipitoso
della
corsa. I lunghi capelli agitati dal vento le sferzavano la faccia,
arrossandole
il viso ma a Melissa non importava. Tutto quello su cui riusciva a
concentrarsi
in quel momento era suo padre,
accasciato a quella colonna nel
gelo della notte. Si impedì mentalmente di pensare al
peggio, troppo
terrorizzata all’idea che lui potesse sparire dai suoi occhi,
abbanonarla con
la stessa facilità con cui le era apparso. Ormai li
separavano solo una decina
di metri; erano abbastanza vicini perchè Melissa riuscisse a
sentire il suo
petto alzarsi e abbassarsi sotto il soffio strozzato del suo respiro.
Tese una
mano nella sua direzione: lacrime salate scorrevano in piccoli rivoli
sul suo
viso melscolandosi alla pioggia, gli occhi indagavano disperati alla
ricerca
dei suoi.
D’un
tratto una jeep scura sbucò dalla sua sinistra, tagliandole
la strada. Il
ruggito del motore rimbombò nelle sue orecchie mentre la
luce dei fanali la
accecò costringendola a chiudere gli occhi. Quando
riuscì a riaprirli, scorse
due uomini vestiti di nero uscire dal veicolo. Si avvicinavano a passi
spediti
verso la colonna dove suo padre giaceva inerte: il suo volto una
maschera di
paura e rassegnazione. I tre si scambiarono qualche parola, che Melissa
non
riuscì a percepire oltre l’incessante scorrere
della pioggia. Il momento delle
capitolazioni giunse al termine e quando l’uomo alla sinistra
del padre si
portò la mano alla cintura, la ragazza sentì il
cuore cederle nel petto. Il
rumore degli spari fendette l’aria e le rimbombò
in testa. Il tempo si era
improvvisamente fermato. Melissa si accasciò a terra in
preda al dolore, le
mani a coprirle la faccia, annaspando per riuscire a prendere qualche
boccata
d’aria tra i singhiozzi.
- Papà! Nooooo!!!!
Il grido
disperato di Melissa infranse il rumore della pioggia, risuonando
stridulo per
tutto il parcheggio. I due uomini si voltarono accorgendosi solo allora
della
sua presenza per poi muoversi veloci nella sua direzione. La
raggiunsero e
tenendola ferma per le braccia, la trascinarono verso l’auto.
- Lasciatemi! Lasciatemi!!
No...Papà!!!
Non
servì a niente divincolarsi, i due la caricarono di peso nel
portabagagli,
noncuranti delle sue grida. Nella foga a uno cadde il cappuccio sulle
spalle.
Un gemito morì in bocca alla ragazza nel riconoscere il
volto in parte oscurato
che troneggiava sopra di lei. I bei lineamenti contratti in una smorfia
di
trionfale malvagità, così perfetti e gelidi
perfino nello scherno.
- Will...
Driiiin
Driiiiin.
Tutto si fece confuso e
offuscato. L’immagine
del corpo esangue di suo padre si annebbiò e
sbiadì. Melissa si svegliò di
colpo alzandosi sul letto con un grido soffocato. Era al sicuro nella
sua
stanza, alla Glenalley. Si portò una mano al viso
asciugandosi il sudore freddo
che le imperlava la fronte. Il suo corpo era ancora scosso dai brividi
e il
sangue le si gelò nelle vene al ricordo di quello che aveva
visto. Il
parcheggio, suo padre, Will le erano sembrati così
reali…potevano davvero
essere stati solo un sogno?
Driiiin
Driiiiin.
Il
freddo rumore metallico che l’aveva svegliata
continuò a risuonare incalzante
nel dormitorio. Sembrava il rumore di un telefono. Melissa
afferrò la sveglia
sul comodino: segnava
le 04.10. Chi
cavolo poteva chiamare a un’ora del genere?
Lentamente,
scivolò da sotto le coperte e
infilata la vestaglia da notte, procedette cauta alla porta della sua
stanza. I
piedi nudi accarezzavano leggeri la morbida moquette. Uscì
dalla sua stanza in
punta di piedi e rabbrividì a una folata di vento gelido
insinuatasi dalla
finestra aperta del corridoio. Richiuse la porta dietro di
sé accompagnandola
con la mano per evitare di fare rumore.
Driiiin
Driiiiin.
Ora
riusciva a vedere con i suoi occhi da dove provenisse il rumore. La
cornetta
nella cabina telefonica di fronte a lei si agitava al rumore degli
squilli.
Melissa entrò nella piccola stanzetta e disse esitante:
- Pronto?
- Pronto?
Tesoro?
La
faccia di Melissa si rasserenò allargandosi in un sorriso:
avrebbe riconosciuto
quella voce tra mille.
- Mamma!
Poi,
ricordandosi del sogno avuto poco prima aggiunse:
- Papà
sta
bene??
- Stiamo tutti
bene, cara. Scusaci se non siamo riusciti a chiamarti prima.
É stata una
settimana particolarmente stressante e non ci hanno lasciato telefonare
prima
di essere giunti alla nostra nuova casa.
La voce
di sua madre suonava stanca e spossata. Sapeva che per lei era un
brutto
periodo: non doveva essere stato facile per la signora Marchesi, unica
figlia
del conte Ferrari adattarsi a una vita nascosta, constantemente sotto
scorta, a
vivere nella continua paura di essere scoperti.
Sapeva
tuttavia che l’aveva fatto per seguire l’uomo che
amava e cercava costantemente
di non far trasparire la paura e il dubbio che, era sicura, la
tormentassero
giorno e notte.
Quello
che ancora non capiva era perchè quel ragazzo conosciuto
alcuni giorni
addietro, continuasse a tormentare i suoi sogni e perchè
questa volta le fosse
apparso sotto una luce così diversa, quasi oscura.