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Autore: Kalyptein    26/05/2013    4 recensioni
«Peeta mi consigliò di chiamarti Primrose, come lei. Per mantenere vivo il ricordo, diceva. Come con i suoi biscotti, i suoi quadri e le nostre urla nel sonno»
«Perché non l’hai fatto?»
«Perché alla fine, quando perdi qualcuno, nessun nome, fiore o dipinto rimedierà al fatto che l’unica cosa che ti resta è un vuoto dove una volta c’era quel qualcuno a cui tenevi» [...]
«Sai che il tuo nome, Ivory, significa edera. Bhe, l’edera è una pianta che cresce sulle superfici più diverse, può nascere anche dove il suolo è più distrutto. Si avvolge con tenacia sui tronchi e sui muri. Per questo è un simbolo di fedeltà, di attaccamento e di caparbietà nell´inseguire i propri obiettivi. Ha anche funzione di sostegno. Tu sei il mio sostegno, Ivy, non dimenticarlo mai»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve lettori! Nei capitoli precedenti non ho avuto modo - e forza di volontà - per scrivere un angolo autore decente, quindi credo che sia arrivato pure il momento di farne uno decente! Volevo solo dirvi che non so bene quando posterò il prossimo capitolo perchè con la fine dell'anno scolastico e parecchie materie da recuperare mantenere una costanza è un po' difficile. E anche dopo, visto che sicuramente uscirò con qualche debito, quindi chiedo perdono già da ora!
E vorrei scusarmi anche per le risposte alle recensione che a volte arrivano in ritardo. Sappiate che le leggo tutte vi amo alla follia, siete sempre carinissime e gentilissime e non vorrei sembrarvi monotona con la solita risposta ma davvero mi ringrazio dal cuore!
E ho finalmente finito di creare il banner! Uno yei per me! ahaha
Idiozia a parte, buona lettura :)


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Certo che ho sentito parlare di Hunger Games. Chi non ne ha mai sentito parlare? Me ne hanno parlato per la prima volta a scuola, dieci anni fa. La maestra ne aveva parlato con la voce tremante, raccontando di uno show a cui tutti i Distretti erano costretti a partecipare. Mandare dei bambini in un arena a scannarsi l’un l’altro, solo per far divertire la grande Capitale. Tutti scoppiarono a piangere, tranne me. La maestra si avvicinò e mi disse che i miei genitori parteciparono insieme e vinsero. Non ho mai chiesto niente ai miei. L’unica spiegazione che mi basta è il velo di tristezza nei loro occhi, anche quando sorridono.
«Mio padre ne ha conservato qualche copia, me le ha mostrate qualche anno fa. Per non dimenticare» spiega. Dopo essere andata fuori di testa davanti a lui, osserva ogni mio minimo movimento. Forse cerca ancora dei segni di cedimento. Non li troverà, non più. Non mi mostrerò mai più debole di fronte a lui né a nessun altro.
«Scegli: tua madre e tuo padre, Haymitch Abernathy, Finnick Odair, Johanna Mason, Annie Cresta o ancora tua madre e tuo padre, Finnick e Johanna?»
«Haymitch» dico senza pensarci sul serio.
Perciò, quando lui inserisce il nastro, io mi raggomitolo sul me stessa e lui si siede sul divano poco distante. Il mio cuore perde mezzo battito quando parte il vecchio inno di Panem e un uomo estrae una busta, proclamando l’Edizione della Memoria. Non ho idea di cosa sia e chiedo spiegazioni a Liam. Lui mi fa segno di tacere e di continuare ad ascoltare. L’uomo legge e tutto è più chiaro. Il doppio dei ragazzi dovranno partecipare a quell’edizione. Il doppio di ragazzi morti. Stringo forte i pugni, infilzando le unghie nella carne. Un ragazzo riccio dai capelli scuri, dall’aria piacente e con un fisico slanciato viene inquadrato mentre si guarda intorno, appena cosciente di quello che succede.
«Mi sa che hai sbagliato, non è Haymitch quello» dico, ma il nome che viene estratto è proprio il suo. Haymitch Abernathy, il mio odioso padrino, esce dal suo gruppo a testa alta e sale sul palco. Il video procede con una parata abbastanza ridicola e Liam va avanti fino alla sua intervista. Saranno stupidi il doppio rispetto al solito, perciò immagino che le probabilità siano più o meno le stesse. Sì, è proprio Haymitch. Quindi non è diventato così scorbutico con l’età, è già nato con il gene della stronzaggine. Il video passa al primo giorno nell’arena. Haymitch è furbo, riesce a sopravvivere. Ad ogni fiotto di sangue che sgorga stringo sempre di più i pugni, fino a quando non sono io a perdere sangue dalle mani. Mi pulisco sulla manica, tenendo lo sguardo fisso sul televisore. Haymitch viene accerchiato da un gruppo di ragazzi. Ne uccide due. Ho paura. E la paura è una delle sensazioni più estranianti che abbia mai provato. Non posso chiamare nessuno, sono come un pesce che ha dimenticato come si sta sott’acqua. Sono in apnea senza la bombola d’ossigeno.
Haymitch vive, una biondina riccia del nostro Distretto lo salva. Si alleano ma la cosa dura per poco. Sciolta l’alleanza lei muore. Mi porto una mano al collo, quasi stessi provando il suo stesso dolore quando il becco di un uccello le trafigge il collo. Haymitch le tiene la mano fino a quando non esala l’ultimo respiro. Nemmeno io riesco più a respirare. L’ultimo scontro mi fa salire su la colazione. Riesco a vedere l’intestino di Haymitch, grazie ai primi piani della telecamera e l’orbita vuota di una ragazza. Chiudo gli occhi, aspettando di sentire il cannone che preannuncerà una morte. So già come andrà a finire. Liam stoppa il nastro. Apro lentamente gli occhi.
Ho passato praticamente tutta la mia vita a casa di quest’uomo senza conoscerlo davvero. Anzi, senza conoscerlo per niente.
«Stai bene?»
Annuisco. Ora non riesco più nemmeno a piangere. Ieri ho pianto dopo non so quanto tempo. E il cuore mi esplode, la testa mi fa male, ma le lacrime non scendono e questo mi fa impazzire.
«Ivy, stai bene?» Liam si allunga per accarezzarmi un braccio, ma lo tolgo prima che mi tocchi.
«Ancora» gracchio e sono quasi sicura che non mi abbia sentito – a dire la verità, non sono neanche sicura che la voce sia stata la mia. «Voglio vederne ancora. Annie Cresta»
«Non credo ti faccia molto bene» replica, lanciando uno sguardo alle mie mani arrossate. «E poi è tardi, andiamo a letto»
Saliamo le scale in silenzio e prima che possa dirmi qualsiasi cosa gli sbatto la porta della stanza in faccia. Mi strappo di dosso i vestiti che ho indossato tutto il giorno e mi raggomitolo sotto le coperte solo in biancheria. Ho bisogno di un pensiero felice. Ho bisogno di addormentarmi subito. Senza essere invasa da mille pensieri intrisi di preoccupazione, ho bisogno di stringere le coperte e sentirmi serena. Non ricordo nemmeno quando è stata l’ultima volta in cui ho chiuso gli occhi senza preoccuparmi del giorno dopo. Serro gli occhi, arricciandomi su me stessa.
Buio. Una luce infondo. Mi avvicino sempre di più, nonostante il buio mi sia sempre piaciuto. Ha un qualcosa di rassicurante, ma non questo. Sospiro di sollievo quando la luce si trasforma in una Ghiandaia Imitatrice. Mi avvicino a passi lenti, sento le gambe pesanti come il piombo, e quando finalmente arrivo sorrido. Le accarezzo il becco delicatamente e sembra quasi modificarsi sotto il mio tocco. Fermo la mano, quando la Ghiandaia mi urla contro. Arretro di un passo, mentre il becco della piccola Ghiandaia si allunga e il suo corpo si contorce, diventare qualcosa di completamente nuovo. Un ibrido. Il suo lungo becco è troppo, troppo, troppo vicino.
Inizio a correre a perdifiato, ma per quanto corra veloce lei è sempre ad un centimetro meno di me. Inciampo in un ramo spuntato da chissà dove e rotolo riempiendomi di foglie e fango. Ho un secondo prima che il mio collo venga trafitto dal collo di quello schifoso ibrido…
Mi sveglio di soprassalto, con la fronte madida di sudore. Inspira, espira. Inspira, espira. Seguendo i consigli di mia madre (non che sia esattamente lo stereotipo di una persona tranquilla, ma devo accontentarmi) cerco di calmarmi. Sguscio fuori dal letto, pulendomi le mani umidicce sulle cosce nude. Raccatto una maglietta sformata dal pavimento e la infilo velocemente. Ci vuole un attimo per riconoscere l’odore del mio fratellino e che mi fa salire le lacrime agli occhi. Esco dalla mia stanza, ma appena metto un piede fuori dalla soglia inciampo in qualcosa che sembra una.. gamba? Il sangue mi si gela nelle vene prima di mettere a fuoco la figura accasciata di Liam che mi guarda.
«Ma sei coglione o cosa?» sibilo, mollandogli un calcio sul fianco.
Lui rantola un po’ prima di rialzarsi. Lo tempesto di piccoli pugni poi mi ferma entrambe le mani e mi incolla al muro. «Non volevo tornassi a guardare quei video!»
«Non ho bisogno di te!» gli ringhio addosso e gli mollo una ginocchiata che sfortunatamente lo colpisce a metà coscia. Lui mi lascia e si allontana di un centimetro, squadrandomi critico. Devo avere un aspetto orrendo. Lo noto nel suo sguardo quando si posa sulla fronte imperlata, sugli occhi arrossati e sui piccoli brividi che scuotono il mio corpo. Il suo sguardo prosegue oltre verso le mie cosce, così mi abbasso la maglietta fino a metà coscia coprendomi, sentendo fluire ogni goccia di sangue verso le guance. «Ah no? Perché ti ci sono voluti solo dieci minuti per uscire dalla tua stanza!»
«Di quello che faccio io, non dovrebbe importartene un bel niente!»
«Invece sì, perché in qualche strano, contorto e triste modo, siamo una famiglia!»
Lascio cadere le braccia lungo i fianchi, svuotata dal peso di quella frase. Quella parola. Famiglia. Io non ho più una famiglia. Non è mia madre la mia famiglia, nemmeno mio padre. E nemmeno Berry, che non vedo da così tanto che tutto quello che mi rimane di lui è una maglietta. I boschi non lo sono più da ieri. E che diamine, mi rifiuto di pensare che Haymitch sia tutto quello che mi rimane. No, non ho una famiglia. Mi lascio scivolare lungo la parete, infilando le gambe nella maglietta e abbracciandole. Nessuna famiglia.
«Stai bene, Ivy?» sussurra Liam, sedendosi a debita distanza.
«Nessuna famiglia..»
«Uhm?»
«Quando ero piccola pensavo di sì. Non è possibile: l’ho detto. I grandi non capiscono quanto ci si può sentire soli da bambini, come se tu non contassi. Io avevo sette anni e Cara Hidden disse che i miei genitori mi avevano adottato e che ero troppo fifona per essere figlia di due Vincitori. Così mi arrampicai su un albero e caddi per terra, mi ruppi un osso e nessuno volle parlarmi per mesi per paura che i miei genitori parlassero con i loro. E intanto avevo dei giocattoli, delle bambole: la mia preferita era una bambola diversa dalle altre che io chiamavo Ivory e la sgridavo in continuazione: non devi essere sola, sii carina con gli altri! Che assurdità. Come se, potendo trasformare lei, potessi per magia cambiare me stessa»
Mi scappa solo una lacrima che spazzo via con cattiveria. Da quando Liam e quell'altra piaga sono entrati nella mia vita, sembra che io non faccia altro che piangere. Ed è una cosa che mi fa così arrabbiare... non sono mai stata una marmocchia, una di quelle ragazzine che frignano per avere un po’ di attenzione. Io odio stare al centro dell’attenzione.
«Ivy..» Le sue braccia calde e muscolose mi avvolgono goffamente e la confessione mi ha talmente svuotata che non ho neanche la forza di oppormi. Rimaniamo così per un po’.
«Devo andare a dormire» dico, anche se so che non riuscirò a chiudere nemmeno un occhio.
«Resto con te?»
«No» rispondo. Mi alzo goffamente e: «Grazie» sussurro, un attimo prima di chiudere la porta alle mie spalle.


**



Mi intrufolo in casa Abernathy, attraverso la mia solita finestra. Di Haymitch non c’è traccia. Mi aggiro furtivamente nel suo appartamento fin quando non sento la sua odiosa voce imprecare contro le sue stupide oche selvatiche. Credo di odiarle almeno quanto lui.
«Che bel quadretto» commento, appoggiandomi allo stipite della porta con le braccia incrociate.
«Merito del mio fascino naturale» grugnisce, gettando l’intero sacco di mangime per terra. Una decina di oche lo assale, mentre dopo molte falcate – imprecazioni – Haymitch riesce ad uscirne con i capelli che iniziano a schiarirsi tutti fuori posto. Non riesco a credere che quel bel ragazzo si sia trasformato in questa specie di ibrido. Ibrido. Scaccio la parola dalla mia mente scuotendo la testa.
«Che vuoi ragazzina?»
«Ho visto la tua edizione. Quella degli Hunger Games» Lo vedo irrigidirsi sul posto, stringere i pugni e camminare svelto dentro casa. Lo seguo dentro e lo vedo mentre butta all’aria tutta la dispensa, fin quando non ne estrae una bottiglia con un liquido trasparente. La sbatte sul tavolo e mi guarda con il suo sguardo più odioso. «Cosa vuoi ancora?» ringhia stringendo la mano intorno al collo della bottiglia. Eccolo, il ragazzo che è sopravvissuto a 45 assassini.
«Non lo so» dico a mezza voce, arretrando di un passo.
«Te lo dico io, dolcezza. Hai paura, te la fai sotto dalla paura! Hai paura dei mostri che ti circondano e hai ancora più paura che quei mostri siano le uniche persone che tengano a te. E questa paura ti fotte a tal punto che hai bisogno di condividerla perché, indovina un po’, sei una bambina capricciosa ed egoista. Non potevi restare a giocare con le bambole, dovevi per forza entrare in qualcosa più grande di te, più grande di tutti noi! Vorrei sul serio che tua madre avesse continuato a dire di no a tuo padre per una figlia, almeno non avrei avuto la grande seccatura di farti da padrino ed essere in qualche modo collegato con te!»
Rimango in silenzio mentre lo vedo respirare a fatica, portandosi una mano all’addome. Aspetto che la sua faccia torni di quel colorito giallognolo prima di dire: «Per te sono morta» Esco dalla stanza, sbattendo i piedi sul pavimento e buttando per terra qualunque cosa fragile. Il totale dei danni sono due vasi di fiori, che facevano schifo a tutti, e tre bottiglie rimaste lì da chissà quanto.
«La prima buona notizia del giorno!» sento dire dall’altra stanza.
Prima di uscire e sbattere la porta urlo a pieni polmoni: «Non ho paura di niente!»

**



Catnip, aiutami.
Cosa dovrei fare? Cercare di dimenticarti? Fingere che non c’è niente qui dentro, nel cuore? Fingere che non c’è niente nel petto che mi impedisce di respirare ogni volta che ti penso? Che dovrei fare? Fingere che non ci sia mai stato nulla, che tu non sia nulla? Che il noi nella mia testa sia davvero nulla? Dimmelo, che dovrei fare? Vado via se mi cacci. Resto, se tu vuoi. Ma tu che vuoi davvero? Troppe domande.


«Ivy?»
Accartoccio la lettera e la nascondo sotto al sedere. «Mamma?»
Mia madre mi sorride e si fa spazio accanto a me sul divano del salotto. «Hai un'espressione più truce del solito, cosa hai combinato?»
Ho appena finito di leggere una delle numerose lettere d’amore che scambiavi con l’essere più viscido della Terra mentre eri ancora sposata con mio padre. «Perché dai per scontato che sia stata io a combinare qualcosa?»
«Non è così?»
«Bhe.. sì.» Mia madre ridacchia, beccandosi una mia occhiataccia. «Ho avuto una discussione con Haymitch»
«A proposito di cosa?»
Non posso dirle che ho visto gli Hunger Games. «Le sue stupide oche» mento. O meglio, ho omesso la verità perché di oche abbiamo parlato.
«Ma se le odia!»
«Già, è quello che ho detto»
«Non ascoltarlo, quando è ubriaco è sempre cattivo con tutti»
«Era sobrio»
«Ti rivelo un piccolo segreto: quando è sobrio lo è ancora di più!» Ridiamo insieme. «Ti meriti una buona notizia. E’ arrivata una lettera dal 4»
Il mio viso si illumina. Questo vuol dire una cosa sola: Dylan! Dylan è una delle mie persone preferite al mondo, sebbene abiti a sette Distretti di distanza e ci sentiamo una volta all’anno. Siamo entrambi troppo pigri – soprattutto lui – per impegnarci sul serio a scambiarci lettere tutti i mesi, quindi quando ricevo sue notizie deve essere un avvenimento speciale.
«Tra due settimana ci sarà la commemorazione per la morte di Finnick»
Annuisco. «Quando partiamo?»
«Tra una settimana, Annie aveva bisogno di me per i preparativi»
«Si è rimbambita al punto da non sapersi allacciare neanche le scarpe da sola?»
«Ivy!» esclama mia madre, incrociando le braccia al petto.
«Scusa» mormoro, per niente dispiaciuta. In fondo, è la verità. Annie Cresta è una delle persone più strane e svampite che conosca. Quando ero piccola avevo persino paura di lei, fin quando Dylan non mi assicurò che nessun nel 4 mi avrebbe fatto del male perché mi avrebbe difeso lui con il suo tridente magico.
«E quando arriveremo, cerca di toglierti dalla faccia quell’espressione felice» dice mia madre, alzandosi dal divano. «Anche se sono convinta che a Finnick non dispiacerebbe»
  
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