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Autore: Judith Loe    28/05/2013    1 recensioni
La verità era che lei non sapeva. Aveva vissuto la sua vita fino a quel momento nella più completa ignoranza. Come la maggior parte, per non dire la quasi totalità, del genere umano; era stata tenuta all'oscuro di tutto, protetta da una realtà che avrebbe potuto distruggerla, un mondo complesso, di cui si temeva non sarebbe riuscita a reggere il peso. E chi avrebbe potuto? La verità era che quel mondo sarebbe dovuto restare segreto. Un regno freddo e governato da rigide leggi. L'Illusione era pericolosa. E le ombre che vi si muovevano dentro lo erano ancora di più.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE
 
Beh questo capitolo è una sorta di introduzione alla protagonista, la sua vita, la scuola, i suoi amici, la sua normalità e quotidianità…insomma le cose interessanti devono ancora arrivare ;)
  Dal prossimo capitolo le cose si faranno movimentate
Grazie a chi legge e vorrà recensire, ma grazie anche a chi lo fa in silenzio e segue la mia storia :D
 
 
 
 
 
 
 
2 Status Quo.
 
 
 
  Mi svegliai di colpo, sbattendo la testa contro il muro.
Ero confusa, non ero vicino al muro come…certo non ero vicino al muro “in bagno”, ma adesso non ero in bagno: ero in camera mia, a letto.
 
  Alex… pensai sorridendo.
 
  Mi misi a sedere e prendendomi la testa tra le mani. Avevo ancora mal di testa ma nel complesso mi sentivo meglio.
Un pensiero prudeva fastidiosamente ai confini della mia attenzione, forse era un sogno. Cercai di riportarlo a galla, ma tutto ciò che me ne restò fu la sgradevole sensazione di non potermi muovere ed un colore. L’azzurro. Bah.
  Scossi la testa cercando di liberarmi da quegli strani pensieri e mi alzai dal letto cautamente, temendo che movimenti troppo bruschi avrebbero fatto tornare il mal di stomaco. Mi guardai allo specchio appeso dietro la porta prima di uscire. Ero ancora pallida, ma il colorito verdastro era sparito e le occhiaie erano molto meno evidenti. I capelli erano un po’ più smorti del normale, erano lisci e biondi, ricadevano tristi sulle spalle. Mi feci una coda di cavallo. Molto meglio.
  Scesi in cucina. Grazie al cielo Barbie era già uscita.
La domenica andava sempre in centro con le sue Oche. Le Oche erano le sue due migliori amiche. Le chiamavo cosi per via del loro modo ‘starnazzante’ di ridere... e anche per il loro – notevolmente basso – quoziente intellettivo.
Se Alex mi sentiva chiamare così le amiche della sua adorata, mi riprendeva, ma infondo anche lui la pensava in quel modo e se eravamo solo noi due – cosa ormai rara – ci passava sopra e si metteva a ridere cercando di non darlo a vedere.
  Il salotto era vuoto, perciò andai in cucina. Alex era seduto a tavola, leggeva il giornale con davanti la sua enorme tazza di caffé fumante, la prima di una lunga serie. Ormai ero convinta che mio fratello avesse una qualche dipendenza da caffeina, ma lui non sembrava disposto a prendermi sul serio tutte le volte che glielo facevo notare. Forse era perché – teoricamente – sarebbe stato lui, in quanto mio tutore, a dovermi tenere lontana da qualunque sostanza che potesse creare dipendenza, ma poiché l’unica sostanza dalla quale potessi trarre assuefazione, fino a quel momento, era stato lo zucchero, trovava divertente il fatto che fossi io, la sorella minore, la piccola di casa, l’eterna bambina, a fargli certi discorsi.
 
  “Ciao” dissi entrando nella stanza sorridendogli.
Lui alzò la testa sorpreso di vedermi così di buon umore, o forse più semplicemente viva, dopo la serata precedente, i suoi occhi verdi si concentrarono su di me; avevamo lo stesso colore d’occhi, verde smeraldo, era l’unica cosa di cui mi potessi vantare, per il resto ero una bellezza nella media. Alex mi sorrise, lasciò cadere il giornale sul tavolo ed allargò le braccia in attesa che mi avvicinassi per farmi abbracciare.
 
  “Vedo che stai meglio. Senza offesa ma ieri sera eri proprio uno schifo!” mi diede un bacio sulla fronte.
 
  “Si…grazie.” dissi senza troppo entusiasmo.
 
   “Dai! Lo sai che per me sei sempre bellissima!” rispose strizzandomi l’occhio.
 
  “Sarà che sei un po’ di parte?”
 
  “No?! Ma che dici? Tu sei la mia bellissima sorellina... in fondo siamo parenti!” disse ridendo e mettendosi in posa.
Scossi la testa fingendomi esasperata.
 
  “Fame?” chiesi avvicinandomi ai fornelli.
 
  “No. Grazie ho già fatto colazione” disse indicando il piatto davanti a lui. Aveva avanzato mezza frittella. Il mio stomaco si contorse al solo pensiero.
  Mmm…fissai il frigo. Avevo davvero fame?
Era meglio non rischiare. Presi in compenso un’aspirina per il mal di testa che non accennava a diminuire. Poi mi diressi verso le scale.
 
  “Dove vai? Ti senti male?” chiese subito preoccupato. Alex aveva un solo difetto, tra quelli più evidenti: era tremendamente apprensivo.
 
  “No, no. Vado a vestirmi. Annabell mi ha mandato un messaggio per chiedermi se stessi meglio e se ci potevamo incontrare”.
 
  “Ah. Okay”
 
  “Non preoccuparti, non torno tardi”  gli gridai in risposta mentre salivo in camera, aprii il primo cassetto della cassettiera e m’infilai una maglietta verde, ovviamente il mio colore preferito, una felpa e un paio di jeans.
Presi la borsa e scesi di corsa.
Avevo voglia di vedere i miei migliori amici; Annabell Joudson e Tyler Barker, ci conoscevamo da quando eravamo piccoli.
 
  “Ciao!” urlai verso la cucina.
Sentii un “ciao” di risposta seguito da un bip, il segnale acustico della caffettiera elettrica. Era già al secondo caffé nel giro di dieci minuti.
 
*
  Uscita un brivido mi scosse. Mi bloccai sul portico. Un ricordo si fece strada tra i miei pensieri. Senza ragione la mia testa scattò verso il dondolo abbandonato. Già, era stato ricoperto dall’edera che da quando mamma se n’era andata, senza cure si stava impossessando di parte della ringhiera di legno e del dondolo ovviamente. Feci un passo insicuro verso l’oggetto abbandonato e immobile. Sotto il fogliame era possibile intravederlo. Cercai di spostare un po’ di pianta infestante da un bracciolo, ma senza strapparla completamente era impossibile liberare l’altalena. Con un sospiro, lasciai perdere e tornai sui miei passi. Mi sentivo stranamente osservata mentre camminavo sul vialetto. Mi guardai attorno con la coda degli occhi per non sembrare una psicopatica, ma non c’era in giro nessuno. Mi scrollai di dosso quegli strani pensieri accelerando il passo. Non vedevo l’ora di vedere Ann e Ty. Fortunatamente abitavamo vicini, quindi mi bastò attraversare la strada, costeggiare per non più di venti metri il parco, entrare in un vialetto e suonare il campanello di Ann. Nell’attesa che venisse qualcuno ad aprirmi, gettai un occhiata agitata alle mie spalle. L’impressione di avere due occhi incollati addosso non se n’era ancora andata.
 
  “E’ arrivata!”. Era la voce di Ty.
 
  “Aprile!”. Lo esortò Ann.
Sentii un rumore sordo seguito da un borbottio, probabilmente nella fretta di aprire Ty era caduto per le scale. Sorrisi all’idea. La porta si spalancò.
 
  “Eccola che torna dal mondo dei morti!” disse Ty abbracciandomi.
 
  “Vacci piano! Ho ancora le ossa indolenzite” mugugnai tentando di allontanarlo.
 
  “Scusa” disse lui sorridendo.
 
  “Emily!” strillò Ann precipitandosi giù delle scale e saltandomi letteralmente addosso.
 
  “Anche io sono felice di vederti! Ma come vedi non ti aggredisco”
Sorrise colpevole.
 
“Sono successe così tante cose in questa settimana! Ho così tanto da dirti!” iniziò lei eccitata afferrandomi per un braccio e trascinandomi in casa.
 
  “Oh no… Ora comincia…” si lamentò Ty. Ann gli fece una linguaccia in risposta, poi si rivolse a me con un grande sorriso luminoso. Quello sguardo poteva significare solo una cosa…
 
  “Dimmi che è quel che penso io! “ dissi con voce strozzata da tanta era l’emozione.
 
Ti prego, ti prego…
 
  “Erick Coleby…” l’inizio era perfetto.
 
Si, si...
 
Riprese il respiro e lo disse tutto d’un fiato “Erick Coleby ha rotto con Tanya Ledge!” Urlammo tutte due alla notizia, anche se lei già lo sapeva.
 
  “Ecco è finita la pace...” borbottò Ty, mentre si lasciava cadere sul divano.
 
  “Chi ha lasciato chi?” chiesi veloce, ansiosa di avere più notizie possibili.
 
  “Lui ha lasciato lei!” Ricominciammo ad urlare e a saltellare tenendoci le mani come due perfette idiote.
 
  “Uff…” sbuffò Ty alzando il volume. Senza degnarlo di uno sguardo, troppo prese dalla nostra euforia, schizzammo in cucina chiudendoci la porta alle spalle.
 
  “Non ci posso credere!”
 
  “Oh ma il bello deve ancora venire! L’ha mollata con una scenata assurda a mensa!!.
 
  “Davanti-a-tutti?!” scandii lentamente incredula.
 
  “Una cosa incredibile! Ho riso come una pazza! Le sta bene, così magari si smonta un po’. E’, anzi era, convinta di essere una dea” la snobbò Ann, con un ghigno malefico. Non ci potevo credere Erick Coleby il più bello della scuola  -beh per me del mondo-  era libero! Poteva succedere qualcosa di più bello?
 
  “Quindi se lui ha lasciato lei vuol dire…”. Iniziai io pensando a mezza voce.
 
  “...che ha in mente qualcun’altra!” concluse lei.
 
In quell’istante realizzai di non aver avuto mai così tanta voglia di andare a scuola.
  Mi concentrai per un attimo sull’espressione di Ann, anche i suoi occhi brillavano, sprizzava felicità e sorrideva a trentadue denti; io probabilmente in quel momento apparivo a lei nello stesso modo.
  La porta si aprì lentamente, da dietro vidi la testa di Ty apparire; era cauto e prima di parlare ci osservò per qualche secondo. Poi tirò un sospiro di sollievo e disse: “Finalmente avete finito…Non avrei potuto resistere ancora per molto! Giuro che se sento un altra volta il nome Eri…”
 
  “ERICK COLEBY!” urlammo in coro. Tyler si portò con un gesto teatrale le mani sulle orecchie fingendo esasperazione. Scoppiammo tutti e tre a ridere immediatamente. Mi erano mancati da morire. Era stato strano non vederli per una settimana intera, abituati com’eravamo a vivere praticamente in simbiosi.
 
  “Dai non te la prendere! Hai ragione. Scusa siamo state un po’ esagerate…” mi scusai arrossendo. Effettivamente dovevamo essergli sembrate due bimbe di cinque anni, tutte contente come se fosse l’ora di aprire i regali il giorno di Natale.
 
  “ Sì…vi perdono.” disse fingendo di rifletterci e prendendoci a braccetto uscimmo dalla cucina tornando in salotto. La televisione era ancora accesa, stavano trasmettendo un programma sui delfini, Ty spense immediatamente la televisione. Aveva il terrore dell’acqua, non avevo mai capito il perché, e ogni tentativo di farlo parlare era stato inutile. Ogni volta che io o Annabell accennavamo all’argomento, si faceva scuro in volto e si chiudeva come un riccio. Non una parola riguardo all’argomento, o diventava ingestibile per giorni. Così avevamo tentato di estorcergli la verità in modo subdolo, con stupide proposte e promesse, eravamo arrivate al punto di minacciarlo, ma niente. Era una tomba a riguardo di quel suo segreto. Così alla fine avevamo lasciato perdere. Bastava evitare l’argomento acqua e filava tutto liscio.
 
  “Allora…” iniziai, fissando entrambi mentre mi sedevo sulla poltrona davanti al divano dove loro si sedettero cominciando subito a punzecchiarsi e spintonarsi per prendere più posto, neppure avessero tre anni.
“Com’è andato l’esame d guida?” chiesi sentendomi un pò in colpa. Ero stata talmente male da non avere la forza di chiamarli neanche una volta…ma che brava.
Ty con un gesto fluido s’infilò la mano nella tasca dei pantaloni ed estrasse una tessera. Me la porse pomposo.
 
  “Nooo!  Ci sei riuscito al primo colpo! Ma guarda che bella foto. Complimenti!”
Lui allungò la mano per riprendere la sua patente e la ripose nella tasca.
 
“E tu?” chiesi guardando Ann speranzosa. Aveva già rifatto tre volte l’esame.
Lei abbassò lo sguardo e s’incupì. Ops…
 
  “Quello stupido parcheggio a esse. La macchina non ne voleva sapere di mettersi dritta!”  si lamentò facendo una smorfia.
 
  “Certo! La macchina…” fece Ty sghignazzando. Ann, offesa, gli diede una gomitata nelle costole, ed io alzai gli occhi al cielo, cercando di trattenere un sorrisetto.
 
  “Non ti preoccupare” la rassicurai posandole una mano su un ginocchio, con fare affettuoso “Lo rifaremo insieme”. Tenendo gli occhi bassi fece di sì con la testa.
“Bene, bene, vorrà dire che domani mattina ci darai un passaggio” dissi alzando la voce con fare beffardo in modo da risollevare un po’ l’atmosfera. Non volevo che Ann si deprimesse.
 
  “Ovviamente!” fece Ty allegro “Così mostrerò ad Ann che non bisogna essere domatori di leoni per far fare all’auto un parcheggio!”. Lo fulminai. Lui scoppiò a ridere mentre Ann si imbestialiva. Nel giro di un minuto stavo assistendo ad un incontro di lotta libera in piena regola.
 
*
 
  Ovviamente a scuola regnava il caos. Il discorso era solo uno: la rottura dei due vip. Sembra ridicolo, ma quando si vive in un paesino di cinquemila anime, nel bel mezzo del nulla – se non si considerano i campi di granoturco, gli spaventapasseri e le mucche, tantissime mucche -, è normale che ci si ecciti per ogni singolo mutamento dell’ordine sociale.
E il nome che si ripeteva era solo “Erick”. Tutte le ragazze erano agghindate alla perfezione, truccate ed indossavano i loro vestiti più belli, quelli pieni di nastrini e perline che di solito si infilavano solo la domenica per andare in chiesa. Io e Annabell non facevamo eccezione. Cosa più importate desideravamo tutte la stessa cosa: modificare lo status quo. Essere la potenziale nuova ragazza di Erick Coleby  – quarterback della squadra di football e ragazzo più popolare della scuola - avrebbe fruttato i suoi vantaggi: niente più stupidi scherzi da parte delle cheerleader, niente più code alla mensa, le feste dopo partita, il rispetto incondizionato... Chi li avrebbe buttati via?
 
   Quella mattina venne a prendermi Tyler, come promesso. Suonò due volte il clacson, e appena lo udii mi precipitai fuori da casa ansiosa come non mai di arrivare a scuola un po’ in anticipo.
Appena uscita Ty aveva fatto una faccia…non la capii subito. All’inizio mi era sembrata solo sorpresa , poi mi ero soffermata a pensare alla sua espressione; era durata non più di tre secondi, ma l’avevo notata: era rimasto a bocca aperta. Mi aveva squadrata con due occhi!
 
  “Allora come sto?” gli avevo chiesto facendo un giro su me stessa, civettuola. Indossavo un paio di jeans attillati e una maglia con una scollatura forse un po’ troppo profonda; non l’avevo mai indossata…era un regalo di Violett.
Anche i capelli erano opera sua, me lo aveva insegnato, mi ero dovuta svegliare quasi un ora prima per lisciarli alla perfezione e per poi arricciarli in onde precise, ma ne valeva la pena. Forse Violett non era buona solo a fare il veleno.
 
  “B-Benissimo…”aveva farfugliato abbassando lo sguardo e voltandosi di colpo. Era arrossito. “Andiamo” aveva detto andando a passo spedito verso la sua auto. Non riuscii a trattenere un sorrisetto compiaciuto. Impiegò molto tempo a fare retromarcia e manovra per uscire dal vialetto del mio garage, più del necessario, e in tutto quel tempo, stette ben attento a non guardarmi. Quando si voltò il rossore era scomparso quasi del tutto dal suo viso. Mentre guidava lo tenni d’occhio, senza farmi notare e lo vidi sbattere parecchie volte le palpebre, come se volesse allontanare chissà quale immagine terribile che gli si era creata nella mente contro la sua volontà… mi rifiutai di pensarci.
 
  “Andiamo a prendere Annabell” annunciò senza troppo entusiasmo una volta arrivato in fondo alla via. Poi si voltò a guardarmi un’altra volta e scuotendo la testa farfugliò qualcosa del genere “Chissà perchè si comportano così…”. Non ci arrivava proprio! Se io o Ann, fossimo diventate la ragazza di Coleby, o se una nostra amica lo fosse diventata, avremmo avuto le porte aperte per qualsiasi cosa!
  Durante il tragitto, molto breve in effetti, restammo entrambi in silenzio. Io perchè sapevo che se mi avesse guardato un’altra volta con quella faccia sognante, sarei esplosa e gli avrei riso in faccia. Lui probabilmente per evitare che ciò avvenisse.
Arrivati davanti al vialetto d’Annabell, spense la macchina e suonò due volte il clacson. Io intanto guardavo fuori dal finestrino, quando alzando lo sguardo, notai un luccichio nello specchietto retrovisore che attirò la mia attenzione; qualcuno che ci stava fissando. Esaminai la figura, ma questa appena notò che anche io la stavo scrutando, riprese a camminare come se nulla fosse. Era un ragazzo.
 
  Il ragazzo. Mi si mozzò il respiro. Non era stata un’allucinazione? In quell’istante il sogno della notte precedente divenne più nitido, ricordavo dettagli, il suono dolce della voce, la paura, la consapevolezza di non potermi svegliare… e la sensazione che ciò che avevo visto prima di addormentarmi avesse influenzato in qualche modo il sogno, non mi piacque. Rabbrividii involontariamente. Il riflesso del ragazzo nello specchietto era scomparso. Mi guardai attorno con fare circospetto, ansiosa di vedere dove fosse finito, ma in strada non ce n’era traccia. Mi rigirai con uno scatto verso casa d’Ann con lo sguardo fisso sulla porta di casa sua sentendomi una stupida. Mi stavo immaginando tutto!
Grugnii a disagio con me stessa. Dovevo smetterla di pensare a quelle allucinazioni.
 
  “Perché Ann ci mette tanto?” domandai irritata. Ty mi stava guardando con aria perplessa.
 
  “Che fai?” chiese con un sopracciglio alzato, si voltò subito per capire quale fosse l’oggetto del mio interesse. Non essendoci nulla tornò a me. Attendeva. Io rimasi in silenzio, mentre lui continuava a scrutarmi aspettando una risposta.
  Certo che non c’era niente. Perché non c’era mai stato nessuno. Me l’ero immaginato, tutta colpa della febbre e delle allucinazioni. Ecco cos’era stata. Un’allucinazione molto vivida che si era impressa nella mia mente a causa di quello stupido sogno…che mi era sembrato terribilmente realistico. Ty continuava a fissarmi. Ora sembrava seriamente preoccupato.
 
  “Niente. Controllavo il trucco.” dissi con leggerezza, tornando a fissare il mio volto nello specchietto retrovisore. Lui sbuffò annoiato.
  In quel momento Ann - finalmente - si decise ad uscire di casa. Si avvicinò alla macchina saltellando sul vialetto, per infilarsi una scarpa ( la solita ritardataria), e nella fretta di fare più cose nello stesso istante, rovesciò la cartella, che non essendo chiusa lasciò fuoriuscire tutti i libri, che rovinarono terra sparpagliandosi nell’erba. Io sbuffai incredula di fronte alla goffaggine di quella ragazza. Era incredibile! Poi mentre la osservavo disperarsi cercando di raccogliere tutto il contenuto della cartella, oramai a terra, tentando di non poggiare il piede - ancora senza scarpa – sull’erba bagnata, scoppiai a ridere.
  Ty fece lo stesso, mentre scendeva dall’auto per darle una mano. Probabilmente le rivolse una delle sue solite battute perché vidi Ann fargli una smorfia accompagnata da una sberla dritta in testa. Scossi la testa ridendo di quei due buffoni. Risalirono in macchina ridendo. Grazie al cielo Ty si era dimenticato del mio strano comportamento.
  Mi voltai con un sorriso raggiante verso Ann, un po’ per l’emozione di arrivare a scuola, un po’ di ringraziamento per il suo teatrino che aveva distratto Ty, ma questo lei non poteva capirlo. Mi rivolse a sua volta un sorriso. Anche Ann era molto bella, ma forse perchè sapendo cosa aspettarsi, Ty non fece una piega.
  Arrivammo a scuola nel giro di dieci minuti. Ann non era stata zitta un secondo, mentre io ridevo delle sue battute e Ty sbuffava infastidito dai suoi discorsi che stranamente quella mattina si concentravano solo su Erick.
  Il liceo sembrava - non è un eufemismo - la gabbia delle scimmie allo zoo.
Insomma! Ero stata malata una sola settimana! Possibile che gli eventi più interessanti si fossero concentrati in quei cinque miseri giorni di mia assenza? I ragazzi sembravano normali, ma per comprendere certi avvenimenti erano le ragazze quelle da tenere d’occhio. E infatti, osservandole bene, era possibile percepire l’agitazione. Bisbigli, risatine isteriche, troppo trucco per un lunedì mattina e troppi sorrisi contenti. Era chiaro che qualcosa bolliva in pentola. Si capiva che c’era chi – come me ed Ann in effetti – attendeva un cambiamento.
 
  “Ci vediamo dopo. Non voglio assistere all’ora del pasto.” ironizzò Ty guardandosi intorno disgustato. Non gli rispondemmo. Di colpo calò il silenzio. La caccia era aperta. Erick scese dalla sua Mercedes nera con il suo solito fascino. Si tolse i Ray Ban e con un unico gesto fluido e li mise nel collo del maglione leggero che indossava. Era bellissimo, come sempre. Capelli biondi, occhi azzurri e un fisico da far paura. Appena entrò nel corridoio tutte cercarono di assumere una posa che risultasse il più naturale possibile. Tutte speravamo la stessa cosa: uno sguardo, un sorriso…un qualcosa. Qualsiasi cosa!
Superò sorridendo qua e là tre quarti del corridoio, si stava avvicinando. Era quasi arrivato alla sua classe e non mi aveva ancora guardata. Ma poi all’improvviso cambiò direzione. Ann non riuscii trattenere un gridolino e mi diede una gomitata. Il cuore accelerò. Mi si avvicinava sorridendo, mi stavo sciogliendo…un lampo azzurro nella mia testa e l’immagine di due occhi che mi schernivano mi fece traballare. Mi sentii una completa idiota.
 
  “Ciao “ mi fece con naturalezza come se fossimo grandi amici. Il lampo azzurro di poco prima scomparve dai miei pensieri.
 
Con me, sta parlando con me!  Deglutii rumorosamente.
 
  “C-Ciao” risposi io impacciata. Cavolo! Mi tremava la voce, ma lui sembrò non accorgersene. Mentre sistemava gli occhiali nel fodero e se li infilava nella tasca dei jeans cercai di ricompormi.
 
  “Tu sei nel mio corso di storia, vero?” chiese. E non solo, frequentavamo anche letteratura, matematica, scienze, francese e sociologia assieme. Si ricordava solo dell’ora di storia? Ne fui un po’ delusa.
 
  “Sì.” risposi in un sussurro. Lui sembrò concentrarsi.
 
  “Sei…sei…Emma!” disse spalancando gli occhi convinto di averci preso. Sentii un tuffo al cuore. Il corridoio era diventato stranamente silenzioso, benché sapessi che era estremamente affollato.
 
  “Emily” corressi io. Qualcuno rise.
 
  “Certo, Emily”. Sorrise nuovamente.
 
  “Già…”. Ecco, questa era la cosa più intelligente che mi era venuta in mente. Già?!
Forse avrei dovuto allontanarlo. Mi stava facendo fare la figura della stupida. E che diamine! Non si ricordava neppure il mio nome… che cosa patetica. Un senso di disagio mi strinse il petto. Sperai che la cosa non trapelasse dal mio sguardo, non troppo per lo meno, anche se sapevo che il sorrisino civettuolo se n’era gia andato da un pezzo, lasciando il posto all’imbarazzo più completo. Senza dubbio il caro Erick aveva perso una quantità infinita di punti nella mia personale classifica a lui dedicata e per rimediare gli serviva molto più che quella misera conversazione. Mi ci voleva un certo invito…
 
  “Senti so che ormai manca poco e che forse avrei dovuto chiederlo prima ma…Ti volevo chiedere se per caso ti andrebbe di…” ma ormai non lo ascoltavo più. Il cuore aveva ricominciato a correre, batteva talmente forte da tapparmi le orecchie.
Oddio stava per dire proprio quello che pensavo? Il cuore si fermò.
 
  “Sì certo! Non c’è problema!” dissi prima che finisse d parlare, forse con un po’ troppa enfasi. A non più di due settimane di distanza ci sarebbe stata la sua solita festa in piscina, per celebrare la fine dell’estate. E se aveva lasciato Tanya significava che era libero e che stava cercando una campagna per la festa…
 
  “Ah…perfetto. Allora mi servono quelli del capitolo otto e successivi. Okay?” chiese affabile, sorpreso che avessi capito al volo la sua richiesta. Ma solo in quel momento mi resi conto che non avevo capito proprio niente.
Ma cosa stava dicendo?
Probabilmente vide la mia espressione e chiese: “Che c’è? Sono troppi?”
 
  “No... non ho afferrato il concetto…” farfugliai.
 
  “Beh hai ragione! Forse dal capitolo otto sono troppe pagine di appunti! Ma la verifica è dopo domani e sono un po’ indietro...”. Mi lanciò quella che doveva essere un’occhiata seducente o forse d’intesa, mascherata da finta colpevolezza, ma io non la capii.
 
  Patetico. La voce azzurra mi sorprese. Non ricordavo di aver conservato un ricordo uditivo di quella voce.
 
  Gli appunti. Voleva gli appunti… e addio ai salti delle code a mensa o qualsiasi altro tipo di favoritismo. Se era possibile in quel momento ero scesa di qualche gradino, nella gerarchia, al posto di guadagnare posizioni. Davanti a tutti tra l’altro. Evviva…
Mi serviva una via d’uscita un modo per mascherare l’enorme scivolone che a causa sua avevo appena fatto.
 
  “Gli appunti! Certo…no, nessun problema.” feci ostentando un sorrisone. “ Domani te li porto.” continuai, ma ormai il tono era piatto.
 
  “Grazie” disse lui sorridendomi ed avvicinandosi per abbracciarmi. Non fui in grado di ricambiare. Io rimasi immobile con espressione vacua, mentre lui si voltò e con le mani in tasca si avviò verso il gruppetto d’amici che si erano affollati di fronte al suo armadietto.
Il mondo era caduto, per lo meno il mio si stava sgretolando, e non avevo nulla a cui aggrapparmi per non essere portata via assieme a lui. Ma, dopo tutto, in quel momento avrei voluto solo scomparire. Puff!
 
 Che figura di merda!  Dichiarò una voce nella mia testa. 
 
Rimasi immobile a fissare Erick allontanarsi e mi sentii sprofondare. Era stato un disastro…
  Lo osservai meglio, in effetti non era così bello. Il naso era un po’ troppo piccolo e le labbra troppo sottili…e i capelli! Non me n’ero mai accorta! Quel biondo non poteva essere vero. Forse il mio cervello stava elaborando i primi impulsi che gli occhi gli mandavano, per farmi sentire meno sciocca. Stavo infamando il ragazzo che fino a cinque minuti prima era stato il centro dell’universo. Eppure il cervello continuava la sua ispezione, per trovare tutti i punti deboli di Erick.
Gli occhi erano azzurri, ma di un azzurro insulso…non erano paragonabili a quelli…
L’immagine s’impossessò prepotentemente della mia mente, bloccandola e costringendomi a perdermici dentro, obbligandomi a navigare nella bellezza che i suoi occhi sprigionavano. Tornò l’immagine del ragazzo che ci spiava fuori dalla casa di Ann, il modo in cui se ne era andato quando si era accorto che lo stavo fissando… l’immagine mi distrasse rendendomi momentaneamente cieca, facendomi dimenticare che mi trovavo ancora nel corridoio della scuola dopo un colossale fallimento, e riportandomi al sentiero di ciottoli bianchi nel bel mezzo del nulla, facendomi avvertire sotto le dita la consistenza dell’erba morbida e alta che lo costeggiava. E poi tornò la voce. Morbida e vellutata, entusiasta. “Emily!” stava chiamando. A lui era sembrato patetico Erick, non io. Aveva ragione dopo tutto. E continuava, continuava a ripetere il mio nome, prima con dolcezza e poi man mano sempre più impaziente, finché la voce non cambiò tono e colore; quella che sentivo adesso era una voce familiare…troppo vicina.
 
  “Allora?! Cosa voleva?” Ann mi distolse dalle mie riflessioni e, mio malgrado, delle mie fantasie. Era stata lei a chiamarmi, e non uno stupido ragazzo inventato dalle mie sciocche allucinazioni. Ma che cavolo mi prendeva?! Con un sospiro irritato tornai alla realtà, quella giusta, quella nella quale dovevo restare, quella in cui ero appena stata umiliata…
 
  “Voglio parola per parola!” continuò lei con enfasi.
 
  “Non c’e’ molto da dire…” cercai di terminare la conversazione, senza risultato.  Ann non si arrendeva facilmente.
 
  “Dai! Sei l’unica con cui abbia parlato! Ti ha abbracciata!” e per un attimo temetti che mi svenisse lì davanti “ Cosa voleva?”. Domandò su di giri. Era una notizia così eccitante? No, non lo era, era una cosa stupida, un nonnulla rispetto ai veri problemi dell’umanità! Era una cosa insignificante se paragonata alle mie allucinazioni, alle mie incantevoli fantasie…
 Voleva la verità? Perfetto allora, le avrei dato la verità. Nel modo più brutale possibile, magari si sarebbe tappata la bocca una volta per tutte. Non ero mai stata più infastidita dalla sua presenza.
 
  “Appunti.” risposi secca.
 
  “Cosa?” chiese lei con aria spaesata scuotendo impercettibilmente la testa.
 
  “Appunti” ripetei con lo stesso tono “Voleva gli appunti di storia.”.
 
  “Appunti.” ripeté lei con aria schifata. Forse anche lei aveva riposto in quella conversazione qualche speranza. Che ora era svanita.
 
  “Già” risposi sconsolata, addolcita dalla sua reazione.
 
Oh no, niente malinconia!  Mi rimproverai, una smorfia mi fece storcere il naso.
 
  “Infondo non è così bello, sai?” dissi sull’onda dell’emozioni discordanti che mi sballottavano nel cervello. Le mi guardò torva. Non era per niente convinta dalle mie parole. Cercai di articolare un discorso, ma mi resi conto subito che non mi andava, allora cercai di dare un minimo significato alla mia affermazione. “Cioè, ci sono ragazzi molto più belli.” No, non stava funzionando.  “Per lo meno, molto più interessanti” cercai di salvarmi.
Stavo cercando di dare un senso alle mie parole con scarso successo. Ann, scosse la testa ed assunse la sua espressione comprensiva. Quella che sfoggiava nei momenti delle crisi esistenziali e dei pianti sconsolati.
 
  “Non te la prendere! Non è detto che tu non gli piaccia” disse Ann poggiandomi una mano sulla spalla come se volesse consolarmi.
 
  “Non è questo il punto.” dissi scocciata allontanando con un gesto brusco la sua mano. “A ME non piace più!” dissi forse alzando troppo il tono della voce.
Lei alzò le mani in segno di resa, come se dovesse tirarsi fuori da una situazione spiacevole   
 
  “Okay, okay non ti arrabbiare!” fece lei indietreggiando. Sbuffando mi guardai attorno, irritata dal fatto che la campanella non fosse ancora suonata. Che aspettavano per far finire quel momento tremendo? Un invito scritto?
  Tyler si avvicinò trascinando i piedi.
 
  “Allora?” chiese per niente interessato. Non mi andava di rispondergli. Mi limitai a far di no con la testa sperando di poter così liquidare in fretta l’intera faccenda. Non volevo più parlarne, mai più per nessun motivo.
 
  Al diavolo Erick Coleby!
 
Lui non capì. Inspirai profondamente e sbottai irritata: “ Non-mi-piace-più! Questione chiusa!”. Quasi gli urlai in faccia. Per un istante rimase interdetto. Ann scosse la testa. Senza farsi vedere Ty sorrise, quando si accorse che l’avevo notato, battè le mani e cambiò subito discorso.
 
  “Forza. Siamo in ritardo” disse allegramente nel momento esatto in cui la campanella suonava per avvertirci dell’inizio delle lezioni. Mi lasciai trascinare a testa bassa.   
Per il resto della mattinata non pensai ad Erick, no. Avevo altri occhi in testa.
Gli occhi del ragazzo della pioggia.
 
*
 
  Erano passati due giorni dal fatto. Non n’avevamo più parlato. Non che avessi fatto poi tanto per evitarlo.
  In effetti non avevamo proprio più parlato. Stranamente decidere di rifugiarsi nelle mie illusioni, in quegli strani pensieri, si era rivelata la soluzione migliore. Passeggiare per quel vialetto di ciottoli bianchi mi faceva stare meglio. Essere lontana da tutto e da tutti, mi sembrava quasi di avere trovato il passaggio per un’altra realtà, di quel posto così semplice e eppure meraviglioso, dove il cielo azzurro del tramonto velato da nuvole rosee che sembravano batuffoli di cotone o zucchero filato, continuava all’infinito senza mai toccare la terra sulla quale camminavo e senza tracciare nessun orizzonte. Perché non c’era altra linea di divisione tra cielo e terra se non quella che si creava tra il cielo stesso e l’erba verde che si stagliava contro di esso. Quell’erba soffice e alta che mi nascondeva assieme al sentiero incantato…mi sembrava di sentirne ancora il profumo.
  Tra l’altro erano tre giorni che lo sognavo. Quello strano posto e la voce azzurra. Ogni sera mi avvicinavo di qualche metro alla fine del vialetto e tutte le volte la voce aggiungeva qualcosa. Per esempio un  “Non immagini quanto sia felice di averti trovata”, oppure un “Emily ti prego fa in fretta!”. Poi quando mi sembrava di essere ad un passo dalla persona che mi chiamava, quando finalmente l’allegria e l’entusiasmo di cui era pregna la voce mi contagiava facendomi aumentare il passo ed il battito cardiaco, tutto diventava buio, m’immobilizzavo e ricominciavo a tremare, imprigionata nel mio corpo, impossibilitata dallo svegliarmi. E risentivo qualcuno afferrare i miei vestiti e cercare di tirarmi, trascinarmi nel buio…ma era in quei momenti, quelli in cui ero terrorizzata, che quegli occhi meravigliosamente azzurri arrivavano a salvarmi, tranquillizzandomi, e allora, solo quando li avevo visti, mi svegliavo. E mi ritrovavo nel mio letto, con uno stupido sorrisetto stampato in faccia che mi illuminava gli occhi fino a quando non mi mettevo a sedere e lo vedevo riflesso nello specchio appeso alla parete ai piedi del letto, dietro la porta. Allora mi riprendevo ed il sorriso spariva.
  Era una cosa penosa in effetti. Stava peggiorando. Io stavo peggiorando.
Sapevo che avrei dovuto togliermi questa storia assurda dalla testa, ma era così bello abbandonarsi a quei sogni ad occhi aperti; era stranamente rassicurante e quella voce così familiare e suadente mi metteva a mio agio all’istante, come se conoscessi la persona che la possedeva da tutta una vita…
 
*
 
  Tyler mi si avvicinò mentre uscivamo dalla classe di matematica, sembrava preoccupato. Stava per aprir bocca, ma lo anticipai perdendo all’istante il mio buon umore, o per lo meno quell’assenza di dolenza: “Pensavo fosse un discorso chiuso.” gli dissi acida senza degnarlo di uno sguardo e continuando a camminare impettita verso il mio armadietto. Non se l’aspettava e rimase un attimo bloccato.
 
Poi scosse la testa e mi raggiunse con uno slancio: “Già, lo credevo anche io”. Disse afferrandomi per un braccio. Lo lasciai fare con insofferenza; perché non lasciava perdere?
 
  “ Bene allora non vedo che motivo ci sia di parlarne”. Conclusi sbattendo con forza – forse troppa – lo sportello dell’armadietto che si chiuse con uno schianto. Ty fece si ritrasse di colpo e per poco non perse l’equilibrio.
  Ricominciai a camminare spedita verso la mensa, senza aspettarlo. Mi saltò di fronte bloccandomi la strada allora mi fermai anche io per non dargli la soddisfazione di avermi fatto perdere la pazienza, e feci finta di essere interessata ad un volantino appeso sulla bacheca, un corso di una disciplina di cui non sapevo neppure pronunciare il nome. Poi capii il perché: era attaccato al contrario.
  Okay, se prima gli potevo sembrare strana, ora probabilmente mi credeva pazza. Distolsi lo sguardo incavolata con il mondo. Tyler mi fissava in ansia.
 
  “A quanto pare c’è qualcosa che non va! Sono due giorni che non parli. Non puoi esserci rimasta così tanto male!”. Esclamò fissandomi. Forse si aspettava che parlassi, ma non lo feci; rimasi a fissarlo con espressione vuota. Poteva interpretarla come voleva. Noia, vanità, superiorità, stupidità… zittii la voce nella mia testa all’istante.
 
  “Ti credevo diversa…non pensavo che fossi…” Ora cominciava a rompere. Cosa voleva saperne lui di ciò che mi passava per la testa?!
 
  “Che fossi COSA! Anzi come?! Non pensavi che fossi una stupida? Una che si butta giù solo perché la vita non va come aveva programmato? Buh-uh! Infatti sto piangendo come una fontana, non vedi?”. Finsi di asciugarmi le lacrime che non cadevano.
 
  “No, Infatti. Non lo pensavo. Ma forse farei meglio a ricredermi.”. Mi voltai verso di lui infastidita e anche in pò stufa di quella paternale ridicola.
 
  Ti prego!
 
  “ Non fare il melodrammatico! Non sai neanche perché non parlo.” Mi morsi la lingua. Così lo avrei solo incuriosito!
 
  “Già, non parlando non aiuti!”. Alzai gli occhi al cielo, scocciata.
 
  “Dimmi un po’ da quando devo riferirti tutto quel che penso e da quando, sempre se non sono indiscreta – non sia mai! - devo rispondere a te delle mie azioni?” chiesi inviperita.
 
  “Sciocca, sono solo preoccupato”.
 
  “Beh, puoi anche farne a meno” sbottai.
Lui mi guardò inarcando le sopracciglia e scuotendo la testa, poi mi mise le mani sulle spalle e mi fissò dritto negli occhi.
 
  “Non è per Erick, vero?”. Mi si contorse lo stomaco.
Abbassai lo sguardo. “Emily?” voleva una risposta.
Dovevo tirarmene fuori alla svelta. Cercai aiuto nel sarcasmo.
 
  “Oh Tyler! Non ho più dodici anni da un pezzo ormai. Non perdo l’appetito se il mio fidanzato immaginario decide di rompere con me”
 La ragazza follemente innamorata, di un amore malato e non corrisposto, che si strugge quando si rende conto che il suo innamorato non la filava neppure. Già il mio innamorato…
 
Emily, ora stai superando il limite oltre il quale c’è la pazzia!  Questa storia doveva finire. Mi feci violenza e mi costrinsi a rimuovere dai miei pensieri quei meravigliosi occhi azzurri ghiaccio.
 
  Lui non rise. Appunto. Non faceva per niente ridere, mi veniva da piangere…
Riabbassai gli occhi sospirando.
 
  “No, non è per Erick. È solo che ho visto una cosa e ci sto rimuginando forse più del dovuto”.
 
  “E non vuoi dirmi di cosa si tratta. “ Non era una domanda.
 
  “Veramente Tyler, non è niente” dissi cercando di sorridere.
 
  “D’accordo” si arrese, per niente rincuorato, ma solo perché aveva sentito qualcuno nel corridoio avvicinarsi.
In quel momento arrivò Ann. Lei non frequentava il nostro corso di matematica, era nella classe avanzata o per cervelloni, come la definiva Ty.
 
  “Aloah!” ci salutò lei con un ampio gesto della mano.
 
  “Allora signorina Joudson, cosa avete imparato oggi? A costruire uno Shuttle?” lei gli rispose con una linguaccia.
 
  “Vede, signor Barker, non tutti abbiamo le facoltà mentali di una nocciolina - senza offesa Emily - quindi c’è chi decide di utilizzare il proprio potenziale in modo più costruttivo!”. Fece lei tagliente.
La scenetta mi fece tornare il buon umore. Anche Ty rise, più che altro per la soddisfazione di avermi fatto ridere.
 
  “Andiamo! Sto morendo di fame e visto che oggi mi sento buono ho deciso che vi darò anche un passaggio per tornare a casa, visto che voi non avete ancora la patente.”. disse mostrandoci le chiavi dell’auto.
 
  “Ancora per poco.” precisò Ann guardandolo truce.
Ty le lanciò uno sguardo di sfida. Non di nuovo…
 
  “Scommetto venti dollari che verrai bocciata per l’ennesima volta” propose mostrando un sorriso scintillante e allungando la mano verso di lei.
 
  “Sicuro? Dovrai veramente sborsare venti bigliettoni!” disse Ann stringendogli vigorosamente la mano. Loro due erano in grado di scommettere su tutto. Era un vizio che avevano sin da quando eravamo piccoli. Non so chi dei due avesse perso più soldi.
  Entrammo in mensa, ma c’era troppo rumore per continuare la discussine tra me e Ty, che però mi lanciò occhiatine per tutto il pranzo, quindi filò tutto liscio.
Anche quando suonò la campanella della fine delle lezioni io ed Ann ci avviammo insieme fuori, verso il parcheggio e trovammo Tyler che ci aspettava accanto alla sua auto, mentre parlava di non-so-che-aggeggio per truccarne il motore della sua auto con Phil Dorfman, un ragazzo schivo che ogni tanto usciva assieme a noi con la sua ragazza Courtney.
Quando Phil si accorse che ci stavamo avvicinando, mi lanciò un’occhiata allarmata e si allontanò veloce, salutando di gran fretta Ty.
 
  “Che gli prende a Dorfman?” chiese Ann quando avemmo raggiunto Tyler, continuando a seguirlo con lo sguardo mentre se ne andava allontanandosi dal parcheggio della scuola veloce, guardandosi attorno…sembrava spaventato.
 
  “Boh, è sempre stato un po’ strano” rispose Ty facendo spallucce. Era stato un po’ troppo vago, per i miei gusti.
 
  “Certo che lo è” concordò Ann ghignando “ E’ amico tuo!” esclamò ridendo. Ty al posto lanciarle qualche frecciatina come faceva di solito, accennò in sorrisetto tirato e mi lanciò uno sguardo. Ma distolse subito gli occhi, non appena si accorse che lo stavo fissando.
 
  “Andiamo, stasera i miei hanno gente a cena, non voglio arrivare troppo tardi, altrimenti mi toccherà fermarmi dopo cena a sparecchiare”.
Ann trattenne un’altra risata. Io continuavo a tener d’occhio Ty, aveva qualcosa di strano. Iniziavo a dubitare che poco prima con Phil stesse parlando di auto.
Cercai il ragazzo sul marciapiede opposto, ma non lo vidi.
Salimmo in macchina, e per il resto del viaggio tutto sembrò tornare alla normalità.
 
   
 
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